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CAPITOLO 1
ATTACCAMENTO: UNA DEFINIZIONE
“La propensione ad esprimere l’angoscia
per la separazione e il dolore per la
perdita, sono i risultati ineluttabili
di una relazione d’amore, del fatto
di voler bene a qualcuno”
(Bowlby, 1973)
1.1 La genesi della teoria dell’attaccamento
La teoria dell’attaccamento ha fornito una cornice teorica interessante allo studio
delle relazioni precoci che il bambino sviluppa nei primi anni di vita; inoltre, ha
contribuito a chiarire in che modo tali relazioni influenzano lo sviluppo cognitivo ed
emotivo del bambino negli anni successivi. Fondatore ne fu John Bowlby (1969, 1973,
1980), il quale, pur non rinnegando la sua formazione psicoanalitica, fu influenzato
dalle scoperte nell’ambito dell’etologia, della cibernetica e della psicologia cognitiva.
In particolare, dall’approccio etologico deriva l’importanza attribuita alle influenze
genetiche e ambientali in ogni percorso evolutivo. Bowlby, discostandosi dalla
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psicoanalisi, secondo cui lo sviluppo procede lungo un unico percorso su cui è possibile
distinguere diversi stadi, fece invece suo il modello dei diversi percorsi di sviluppo
proposto dai biologi evoluzionisti. Secondo questo modello, l’individuo, fin dall’inizio
del suo sviluppo, può scegliere tra diversi potenziali percorsi evolutivi e la scelta di uno
di essi dipenderà dalla particolare modalità di interazione che si instaura tra il soggetto
nella sua attualità e l’ambiente in cui si trova in quel dato momento.
All’interno di questo percorso Bowlby riservò un’importanza fondamentale ai legami
emotivi che si instaurano tra il bambino e le figure di accudimento, in particolare tra il
bambino e sua madre. Rimase colpito, durante gli anni della sua formazione, dagli
effetti negativi provocati da carenti relazioni precoci d’attaccamento sullo sviluppo del
bambino. Infatti il lavoro che portò allo sviluppo della teoria dell’attaccamento, iniziò
proprio quando Bowlby svolgeva la sua attività in un istituto per ragazzi disadattati,
dove iniziò ad ipotizzare che una relazione fortemente disturbata con la madre fosse il
precursore chiave di disturbi mentali in questi giovani. A partire da questi presupposti,
Bowlby prese le distanze dalla teoria psicoanalitica, secondo la quale il legame emotivo
con il caregiver era considerato una pulsione secondaria, basata sulla gratificazione di
bisogni orali.
Grazie ai dati di Lorenz (1935), che dimostravano come nel regno animale (anatroccoli)
i piccoli sviluppavano un attaccamento nei confronti dei più grandi da cui non erano
stati nutriti, Bowlby giunse ad affermare che i bambini entrano a far parte del mondo
predisposti a partecipare all’interazione sociale, attribuendo così un ruolo centrale alla
tendenza biologica del bambino a formare un legame di attaccamento. Un ulteriore
contributo allo sviluppo della teoria dell’attaccamento venne dai lavori di Harlow
(1958) sulle scimmie Rhesus, egli dimostrò che, se i piccoli potevano scegliere tra due
surrogati materni, l’uno che offriva calore e contatto e l’altro che offriva nutrimento,
essi preferivano trascorrere la maggior parte del tempo aggrappati alla madre che offriva
piacere al contatto. Da osservazioni successive sui piccoli dell’uomo (Ainsworth, 1967;
Schaffer e Emerson, 1964), risultò un comportamento analogo: i bambini preferivano il
contatto fisico, piuttosto che il cibo. Tutto ciò condusse Bowlby a ritenere che questo
legame estremamente forte non era stabilito da processi di apprendimento associativo,
bensì da un desiderio di vicinanza, basato biologicamente. Quindi alla base della
relazione bambino-caregiver vi era un’origine biologica.
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1.2 La prima formulazione della teoria dell’attaccamento (1958)
Nell’ambito della British Psychoanalytic Society, Bowlby introdusse la teoria
dell’attaccamento presentando tre articoli che segnarono l’insoddisfazione per il
modello psicoanalitico della pulsione secondaria, il quale proponeva che il legame tra il
bambino e la madre fosse connesso al soddisfacimento delle esigenze fisiologiche,
soprattutto quelle alimentari.
Nel 1958, Bowlby presentò il suo primo articolo The Nature of the Child’s Tie to
His Mother, nel quale si assisteva alla prima formulazione della teoria
dell’attaccamento, utilizzando i contributi etologici. Secondo l’autore, nel patrimonio
genetico del neonato si riscontrano risposte istintuali che si sviluppano nel corso del
primo anno di vita, come il succhiare, l’aggrapparsi, il sorridere, il piangere, il seguire, e
che si organizzano come un comportamento diretto ad una specifica figura materna,
nella seconda metà del primo anno. Il piangere e il sorridere vengono utilizzati dal
bambino per evocare le risposte materne, mentre il succhiare e l’aggrapparsi vengono
usate dal piccolo per ottenere e mantenere il contatto e la vicinanza con la figura di
attaccamento. Queste risposte istintuali assicurano al bambino sufficienti cure parentali
per la sopravvivenza. L’ambiente psicoanalitico, però, accolse con ostilità le idee di
Bowlby che tenta, in questo modo, di rivedere i costrutti freudiani riguardanti la prima
infanzia.
Nonostante le critiche, Bowlby continuò le sue ricerche e pubblicò, in
collaborazione con Robertson (Rubertson e Bowlby, 1952), Separation Anxiety (1960a),
nel quale mise in evidenzia che la teoria psicoanalitica non riusciva a spiegare né il forte
attaccamento del bambino alla madre, né le risposte di disperazione dei piccoli di fronte
alla separazione. In questo scritto Bowlby riportò i risultati di una ricerca basata sulle
osservazioni di bambini tra i 18 mesi e i 4 anni, ricoverati per alcune settimane in
ospedale o presso un nido, prima e dopo la separazione dalla madre. Bowlby ipotizzò
che l’angoscia da separazione veniva sperimentata dai bambini quando il
comportamento di attaccamento è attivato, ma non può essere disattivato o portato a
termine. Robertson rilevò che i bambini reagivano alla separazione dalla madre con una
sequenza comportamentale composta da tre fasi: fase della protesta, nella quale il
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bambino piange, richiede la presenza della madre e si agita; fase della disperazione,
nella quale il bambino continua a piangere aspettando il ritorno della madre, anche se
incomincia a perdere la speranza di vederla e può così alternare comportamenti passivi e
atteggiamenti di protesta; fase del distacco, nella quale il bambino accetta le cure del
personale e rinuncia al ritorno della madre. A partire da queste osservazioni gli studiosi
individuarono nell’assenza della figura materna, la principale variabile che scatena le
reazioni di disagio e profondo malessere riscontrate nei bambini separati dalla madre.
Con il terzo articolo Grief and Mourning in Infancy and Early Childhood
(1960b), Bowlby respinse la tesi di Anna Freud e sostenne che i bambini, al pari degli
adulti, sperimentavano il lutto e il dolore ad esso collegato. Al contrario, Anna Freud
asseriva che i bambini non sono in grado di sperimentare il lutto perché il loro Io è
ancora immaturo.
Bowlby criticò anche il concetto di Melanie Klein, secondo cui la più giovane
privazione che può subire un bambino è la perdita del seno materno durante lo
svezzamento. Al contrario, secondo l’autore, il dolore e il lutto compaiono nei bambini
e negli adulti quando è attivato il comportamento di attaccamento e la madre non è
disponibile. Bowlby descrive cinque caratteristiche del lutto presenti nell’adulto e
sostiene che tali manifestazioni si ritrovano anche nei bambini. Basandosi sulle
osservazioni di Robertson, Bowlby sostenne che i bambini fin da piccoli, oltre al
desiderio di rivedere la madre, manifestano rabbia e aggressività verso chi si vuole
prendere cura di loro. Il bambino può superare il trauma e instaurare nuovi rapporti
affettivi, se è accudito con regolarità dallo stesso caregiver. Quando le figure che si
prendono cura del bambino non sono stabili, si può verificare l’incapacità di stabire
rapporti affettivi profondi.
Tutti gli aspetti più importanti della teoria dell’attaccamento sono presenti in
questi primi scritti di Bowlby e forniscono, come ha constatato Bretherton (1992, p.762)
“il primo basilare abbozzo della teoria dell’attaccamento”.
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1.3 La teoria dell’attaccamento (1969)
Nonostante che la prima formulazione della teoria dell’attaccamento (1958)
abbia permesso l’integrazione delle idee psicoanalitiche con la prospettiva etologica, si
possono riscontrare dei limiti. Uno di questi è inerente allo studio esclusivo del legame
madre-bambino e alla generalizzazione di dati tratti da osservazioni cliniche di soggetti
problematici che sono stati estesi a bambini cresciuti in famiglie non a rischio. Bowlby
sostiene che i bambini tendono a indirizzare le risposte istintuali esclusivamente verso
la madre, parlando quindi di monotropismo, e persiste nella convinzione che la figura
materna è la principale responsabile dell’integrazione del bambino nel mondo sociale.
In secondo luogo, le osservazioni di Bowlby vengono criticate in ambito psicoanalitico.
Bowlby, consapevole di questi limiti della prima formulazione della teoria
dell’attaccamento, decide di revisionare la sua opera. Scrive la trilogia Attaccamento e
Perdita (1969, 1973, 1980), nella quale vi è un’esposizione più completa della
dinamiche comportamentali dell’attaccamento.
L’attaccamento è la: “Propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un
membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica,
dolore,impotenza o malattia” (Bowlby, 1969).
Nel primo volume L’attaccamento alla madre (1969), il legame madre-bambino
viene considerato come un sistema indipendente, basato sulla predisposizione genetica
presente nei primati, al fine di garantire la sopravvivenza della specie. Infatti, il
bambino e la madre sono strutturati per cercare e mantenere la vicinanza, che permette
al piccolo la sopravvivenza. Bowlby asserisce che il comportamento istintivo è guidato
da sistemi integrati di controllo, che operano in relazione con le variabili ambientali.
Questo comportamento istintivo è continuamente corretto, tramite regolazioni, secondo
lo scopo. Per cui risulta importante ai fini della relazione di attaccamento, la qualità del
legame instaurato dal bambino col caregiver. Infatti, se la figura di accudimento è
disponibile e responsiva, allora il bambino acquisirà fiducia in sé e nel mondo
circostante. Al contrario, se il caregiver è anaffettivo o incoerente, il bambino sarà
predisposto ad essere insicuro e ansioso nei rapporti affettivi. Pertanto, le prime
relazioni di attaccamento saranno il modello sul quale si struttureranno le successive
relazioni sociali del bambino.
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Nel secondo volume La separazione dalla madre (1973), Bowlby affronta
diverse tematiche: l’ansia come risposta ad una figura di attaccamento poco disponibile,
il ruolo dell’esperienza infantile come fattore che determina diversi gradi di sicurezza o
di ansia, la formazione della personalità collegata con il grado di fiducia in se stessi.
L’ansia nel bambino non è patologica, è una reazione emotiva che si genera a partire
dalla separazione dalla figura di attaccamento; essa ha una funzione adattativa, perché il
bambino, in questo modo, è intenzionato a suscitare una reazione di vicinanza alla
figura di attaccamento.
Dal primo anno di vita il bambino è in grado di sviluppare dei modelli operativi interni
del sé e della realtà. Se il bambino ha instaurato una relazione positiva col caregiver,
egli avrà interiorizzato un modello di sé e degli altri degno e sensibile ai suoi bisogni.
Invece, il bambino che ha esperito una figura di attaccamento discontinua o distante,
svilupperà modelli operativi inadeguati o ostili. Bowlby afferma che i modelli operativi
interni svolgono un ruolo importante nella trasmissione intergenerazionale dei pattern
di attaccamento.
Nel terzo volume La perdita della madre (1980), Bowlby sostiene che il dolore
conseguente ad un lutto è una reazione naturale alla perdita di una persona cara. La
perdita del caregiver implica manifestazioni di pianto e di disperazione, le quali
diventano più intense se la scomparsa è definitiva. Dopo un periodo in cui si prova
dolore, il soggetto sarà capace di instaurare nuovi legami affettivi e di approfondire le
relazioni già esistenti.
1.4 Comportamento di attaccamento
“Il comportamento di attaccamento è quella forma di comportamento che si
manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di
un’altra, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in modo
adeguato. Questo comportamento diventa evidente ogni volta che la persona è
spaventata, affaticata o malata, e si attenua quando si ricevono conforto e cure”
(Bowlby, 1988, p. 25).