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CAPITOLO UNO
VERSO UNO “SPAZIO GIUDIZIARIO EUROPEO”
SOMMARIO: 1.1. Convenzione europea di estradizione di Parigi. – 1.2. Le origini
della cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni. – 1.3.
Dall’Accordo di Schengen alla Convenzione di Dublino. – 1.4. Il Trattato di
Maastricht. – 1.5. Il Trattato di Amsterdam. – 1.6. Il Consiglio europeo di
Tampere. – 1.6.1. Le prospettive post Tampere. – 1.7. Il Trattato di Nizza. – 1.8.
Dal Consiglio europeo di Laeken al Trattato di Lisbona.
1.1. Convenzione europea di estradizione di Parigi
La Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, ed
entrata in vigore il 18 aprile 1860, fu istituita per dare una risposta (non più
attraverso i tradizionale strumenti degli accordi bilaterali, ma attraverso appunto
lo strumento convenzionale) al crescente fenomeno dei crimini e dei reati non
solo più a livello nazionale ma anche a livello sovranazionale
1
. In primo luogo,
all’articolo 1 si afferma che “le Parti contraenti s’impegnano a consegnarsi
reciprocamente, secondo le norme ed alle condizioni determinate, le persone che
sono perseguite per un reato o ricercate per l’esecuzione di una pena o di una
misura di sicurezza, dalle autorità giudiziarie della parte richiedente”. In secondo
luogo all’articolo 2 si afferma, tra le numerose disposizioni, che “ daranno luogo
ad estradizione i fatti puniti, dalle leggi della parte richiedente e della parte
1
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9
richiesta, con una pena restrittiva della libertà o con una misura di sicurezza
restrittiva della libertà nel massimo non inferiore ad un anno o con una pena più
severa
2
. Quando la condanna ad una pena è stata pronunciata o la misura di
sicurezza è stata inflitta sul territorio della parte richiedente, la sanzione
pronunciata dovrà essere della durata dì almeno quattro mesi”. In terzo luogo,
all’articolo 3 e 4 si parla delle ipotesi di limitazione all’esercizio della procedura
estradizionale, cioè si afferma nello specifico che “ l’estradizione non sarà
accordata se il reato per il quale è richiesta sia considerato dalla parte richiesta
come reato politico o come fatto connesso a reato
3
di tale natura oppure sia un
reato di natura militare”. All’articolo 6 e 7 si regolamenta l’ipotesi del rifiuto
estradizionale, dove, nel primo articolo, si afferma la facoltà, esercitabile da parte
di ogni Stato contraente, di rifiutare l’estradizione dei propri cittadini, mentre, nel
secondo articolo, si afferma che “ La Parte richiesta potrà rifiutare di estradare la
persona reclamata per un reato che, secondo la propria legislazione, è stato
commesso in tutto o in parte sul proprio territorio o in luogo assimilato al proprio
territorio”. In ultimo, l’articolo 10 della Convenzione regolamenta il principio del
ne bis in idem, affermando che “L’estradizione non sarà accordata quando la
persona richiesta è stata giudicata in forma definitiva dalle autorità competenti
della Parte richiesta, per il fatto od i fatti per i quali l’estradizione è domandata”.
1.2. Le origini della cooperazione nel campo della giustizia e degli affari
interni
Storicamente l’attivazione di una cooperazione nel campo della giustizia e degli
affari interni tra gli Stati membri della Comunità nasce dall’idea di aprire nelle
relazioni tra di essi una pagina nuova, non contemplata dal sistema comunitario
2
www.giurcost.org
3
www.diritto.it
10
esistente
4
. Si tratta dell’idea, proveniente dal presidente francese Giscard
d’Estaing, della creazione di uno “spazio giuridico europeo”, durante il
Consiglio europeo di Bruxelles del 1977. L’obbiettivo era quello di affiancare
una nuova dimensione a quella economica-commerciale dei Trattati originali: a
fianco di un “mercato comune” doveva costruirsi uno “spazio giudiziario”. La
priorità era comunque assegnata alla sfera penale. Come suggeriva lo stesso
Giscard d’Estaing, infatti, nel proporre una convenzione di estradizione
automatica come primo mattone di questo “spazio giudiziario europeo”, l’input
primario era far si che le frontiere non fossero un strumento a favore della
criminalità terroristica. In altri termini, la prospettiva con cui veniva ad
affacciarsi allora tra gli Stati membri il tema della cooperazione giudiziaria era
quello dello Stato per così dire di “esportazione”, di provenienza del criminale
5
.
Il primo segnale positivo in tal direzione fu l’Accordo di Dublino del 4 dicembre
del 1979, relativo all’applicazione, tra gli Stati membri della Comunità, della
Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 27 gennaio del 1977.
L’Accordo di Dublino aveva come obbiettivo quello di rendere più agevole
l’adozione della convenzione del Consiglio d’Europa a tutti quei Paesi membri
che non ne facevano parte. Fino alla metà degli anni ottanta non si hanno altre
iniziative. Bisogna aspettare quell’epoca, infatti, per vedere una ripresa effettiva
del dibattito sulla cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni
6
.
Vi contribuiscono probabilmente due fattori collegati entrambi all’adozione
dell’Atto unico europeo del 1986: da una parte, la cooperazione politica europea
viene da questo istituzionalizzata; dall’altra parte, viene inserito nel Trattato CEE
un inedito articolo 8A che, nel porre l’obbiettivo della realizzazione di un grande
“mercato interno” entro il 1993, getta le basi per la creazione di uno “spazio
senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci,
4
MARCHETTI M., Istituzioni europee e lotta al terrorismo, CEDAM, Padova, 1986, pag. 84 ss.
5
ADAM R., La cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni: da Schengen a Maastricht,
in Rivista di diritto europeo, Giuffrè, 1994, pag. 225 ss.
6
LIBRANDO, La cooperazione giudiziaria nell’ambito della Comunità economica europea, in Diritto
comunitario e degli scambi internazionali,SEDIT, Milano, 1990, pag. 7 ss.
11
delle persone, dei servizi e dei capitali”. Con la prima, quell’insieme di attività
che si svolgono tra gli Stati membri della Comunità hanno finito per trovare di
fatto un quadro istituzionale di riferimento capace di razionalizzarle, pur
rimanendo ferma la dimensione intergovernativa delle stesse. Dal canto suo, la
previsione della creazione di uno “spazio senza frontiere” è venuta ad innestare
un motivo nuovo nella tematica della cooperazione giuridica e giudiziaria tra gli
Stati membri. Diversamente dall’ antica proposta di Giscard d’Estaing, dopo
l’Atto unico questa cooperazione cessa di essere vista come un fine in se stesso,
per collegarsi invece ad una finalità comunitaria in senso proprio. La stessa
Commissione aveva infatti avvertito che l’abolizione delle frontiere
intracomunitarie non poteva non collegarsi alla contemporanea predisposizione
di tutta una serie di misure compensatorie in materia di asilo, di visti di ingresso,
di controllo sulle armi, volte a far fronte al deficit di sicurezza che il venir meno
dei controlli avrebbe comportato
7
. Identica preoccupazione fu espressa dagli Stati
membri al momento di concludere l’Atto unico, visto che in una dichiarazione
relativa agli articoli 13-19 rivendicavano il diritto di adottare tutte le misure
“necessarie in materia di controllo dell’immigrazione da paesi terzi, nonché in
materia di lotta contro il terrorismo, la criminalità, il traffico di stupefacenti e il
traffico delle opere d’arte”. Se nella proposta di Giscard d’Estaing si privilegiava
la prospettiva dello Stato di esportazione del criminale, qui l’ottica diventa quella
dello Stato che rischia di importare criminali: infatti il pericolo è quello che il
venir meno dei controlli alle frontiere agevoli anche la circolazione e la
diffusione dei fenomeni criminali. Che sia per il rinnovato quadro della
cooperazione politica, o che sia per il suo maggior collegamento con gli
obbiettivi comunitari, fatto sta che dopo l’Atto unico si assiste ad una ripresa
della cooperazione tra gli Stati membri nei settori della giustizia e degli affari
interni. A partire dall’entrata in vigore dell’Atto unico si assiste alla conclusione
7
GRASSO, La cooperazione giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri della Comunità europea,
in Foro italiano, Roma,1987, pag. 1 ss.
12
di una serie di convenzioni internazionali su aspetti specifici dell’assistenza
giudiziaria in materia civile e penale. Si va dalle due convenzioni di Bruxelles
del 25 maggio 1987 riguardanti rispettivamente la soppressione della
legalizzazione dei documenti tra gli Stati membri della Comunità e il ne bis in
idem, all’accordo concluso nella stessa occasione per l’applicazione tra tali Stati
della Convenzione europea sul trasferimento delle persone condannate; da un
Accordo di San Sebastian del 26 maggio 1989 sulla semplificazione e la
modernizzazione delle forme di trasmissione delle richieste di estradizione (cd.
Accordo telefax, perché consente l’utilizzo di questo strumento per l’inoltro di
richieste di estradizione), all’Accordo tra gli Stati membri sul trasferimento dei
procedimenti penali, adottato a Roma il 6 novembre 1990; dalla Convenzione
infine, sempre di Roma e sempre del 6 novembre 1990, per la semplificazione
delle procedure relative al recupero dei crediti alimentari all’estero, alla
Convenzione di Bruxelles del 13 novembre 1991 relativa all’esecuzione delle
condanne penali straniere. Ma al numero ed all’importanza delle iniziative non
ha corrisposto pari successo in termini di operatività. Il numero delle ratifiche è
stato bassissimo, cosicché la stragrande maggioranza delle convenzioni non sono
riuscite a entrare in vigore. Le poche che lo sono, lo devono al fatto che, ferma
restando la condizione della ratifica da parte di tutti gli Stati membri, ciascuno di
questi al momento di procedervi può dichiarare di considerarla applicabile nei
rapporti con qualsiasi altro Stato che la ratifichi facendo la medesima
dichiarazione. Ciò rappresenta un fallimento del progetto di integrazione
giuridica comune che tali iniziative miravano a realizzare tra questi Stati.
1.3. Dall’Accordo di Schengen alla Convenzione di Dublino
Nel 1985 a Schengen, cittadina lussemburghese al crocevia con Germania e
Francia, cinque Paesi membri della Comunità ( i tre del Benelux, più Germania e
Francia) concludevano un accordo diretto alla graduale eliminazione dei controlli
13
alle frontiere comuni, accordo che sostanzialmente riprendeva tra di essi la
regolamentazione contenuta in una precedente intesa franco-tedesca (l’Accordo
di Saarbrucken) del 1984
8
. L’Accordo, prevedendo la progressiva abolizione dei
controlli alle frontiere, richiedeva necessariamente l’adozione di forme più agili
di cooperazione non solo di polizia, ma anche giudiziaria, tanto che tali strumenti
sono stati introdotti con la Convenzione di applicazione di Schengen aperta alla
firma il 19 giugno 1990 che appunto è andata ad integrare l’omonimo accordo.
Codesta convenzione dà più completa semplificazione ai principi contenuti
nell’accordo. Si tratta di un corpo di norme assai rilevante, soprattutto nel caso
della convenzione
9
. Se l’accordo si limitava infatti, in più o meno una trentina di
articoli, a sintetizzare alcune misure a breve e lungo termine per raggiungere
l’obbiettivo prefissogli dall’alleggerimento delle frontiere, la convenzione arriva
a ben 142 articoli. Ma ciò che più conta non è tanto l’incremento quantitativo di
questo secondo atto, è la stessa prospettiva adottata che cambia, non risultando
più rigidamente collegata alla regolamentazione dello specifico problema delle
frontiere interne
10
. All’interno di essa si ritrova in effetti disciplinato uno spettro
assai vasto di questioni che spaziano dall’attraversamento delle frontiere esterne
e la regolamentazione dei visti di ingresso di corta e lunga durata alla
cooperazione di polizia, dall’assistenza giudiziaria in materia penale al ne bis in
idem, dall’estradizione al trasferimento dell’esecuzione di sentenze penali, dalla
lotta agli stupefacenti all’acquisto, detenzione, fabbricazione e commercio di
armi, per arrivare fino al trasporto e alla circolazione di merci. In materia
estradizionale, ha ampliato i casi di estradabilità non attribuendo più rilievo: a)
alle cause di sospensione della prescrizione sancite dallo Stato richiesto; b)
all’amnistia pronunciata dalla Parte contraente richiesta; c) alla mancanza di
condizioni di procedibilità, qualora le stesse siano necessarie solo per la
8
PASTORE M. – NASCIMBENE B., Da Schengen a Maastricht, Giuffrè, Milano, 1995, pag. 26 ss.
9
ADAM R., La cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni, in Rivista di diritto
internazionale, Giuffrè, Milano, 1991, pag. 232
10
GRASSO G., La cooperazione giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri della Comunità
europea, in Foro italiano,Roma, 1987, pag. 458 ss.
14
legislazione dello Stato richiesto (art. 62 della Convenzione di Schengen). Sono
state previste altresì forme procedurali semplificate nell’ipotesi in cui
l’estradando presti il proprio consenso alla consegna con possibilità di rinunziare
anche alla applicazione del principio di specialità. (art. 66 della Conv. Schengen).
Il tutto viene corredato da un sistema informativo: il SIS ( Servizio informativo
Schengen), disciplinato da ben 27 articoli, e che è una banca dati a disposizione
delle autorità competenti degli Sati parte per verifiche e controlli di polizia e
doganali e l’amministrazione degli stranieri. Con Schengen si mette in piedi un
sistema assai complesso, che va ad abbracciare quasi l’intero ambito di una
cooperazione intergovernativa nei campi della giustizia e degli affari interni.
Tuttavia, la frammentarietà delle innovazioni introdotte ha imposto l’adozione di
ulteriori strumenti che portassero ad una effettiva revisione della disciplina
dell’estradizione contenuta nella Convenzione europea. Un preciso input politico
in tal senso è venuto dal Consiglio europeo di Bruxelles del 29 ottobre 1993 che
si poi è tradotto nella Convenzione relativa alla procedura semplificata di
estradizione tra gli Stati membri dell’Unione, aperta alla firma a Bruxelles il 10
marzo 1995, sia quella relativa alla estradizione tra gli Stati membri, aperta alla
firma a Dublino il 27 settembre 1996. La Convenzione di Bruxelles, al pari degli
Accordi di Schengen, prevede la possibilità di una procedura semplificata di
estradizione, subordinandone l’operatività a due specifiche condizioni: l’accordo
dello Stato richiesto ed il consenso dell’estradando alla consegna, con eventuale
rinuncia alla operatività del principio della specialità, efficace se prestato alla
presenza di un difensore e dinanzi all’autorità giudiziaria competente. In tal
modo si addiviene ad una consegna del soggetto in tempi ridotti.
La Convenzione di Dublino ha rappresentato un ulteriore, significativo passo in
avanti nella semplificazione della procedura estradizionale. Le più rilevanti
novità introdotte concernono gli aspetti sostanziali dell’istituto, incidendo sui
tradizionali motivi di rifiuto previsti dalla Convenzione europea di estradizione
15
del 1957
11
. Infatti vi si contempla una generale presunzione di apoliticità dei reati
oggetto di richiesta da parte degli Stati appartenenti all’Unione (art.5), anche al
fine di attuare il comune impegno a prevenire e combattere la criminalità di tipo
eversivo; vi è sancito il venir meno del requisito della cittadinanza quale motivo
di diniego della estradizione (art. 7) ed insieme l’irrilevanza della prescrizione
consumata secondo la legge dello Stato richiesto e l’attenuazione dell’incidenza
del principio di specialità. In particolare detta Convenzione, limitatamente ai
reati associativi, prevede il superamento del principio di doppia incriminazione,
con la conseguenza che l’estradizione per i fatti-reato qualificati dalla legge dello
Stato richiedente come reati di conspiracy o di associazione a delinquere deve
essere concessa anche nell’ipotesi in cui l’ordinamento dello Stato richiesto non
preveda tale figura criminosa. Il rilievo assunto dalle evocate Convenzioni è
senz’altro notevole. Dal punto di vista giuridico, non solo perché queste
rappresentano il tentativo di semplificare l’estradizione, ma soprattutto perché le
stesse comunque saranno destinate a trovare attuazione, qualora ratificate,
nonostante l’effetto sostanzialmente abrogativo connesso all’entrata in vigore
della decisione quadro. Sotto l’aspetto politico, al pari della decisione quadro, ed
a differenza della maggior parte degli accordi conclusi nell’ambito del Consiglio
d’Europa, che ammettono l’adesione anche di Stati esterni al Consiglio, le
Convenzioni impegnano soltanto i Paesi aderenti dell’Unione europea e
riguardano quindi realtà nazionali la cui normativa interna, segnatamente per
quanto concerne i diritti dell’imputato e del condannato, risulta, se non
coincidente, quanto meno caratterizzata da un elevato grado di omogeneità, tale
da giustificare il superamento di alcuni principi cardine in materia. Tuttavia,
l’insufficiente numero di ratifiche statali, impedendo o, comunque, ritardando
notevolmente l’entrata in vigore delle suddette convenzioni, ha ostacolato il
processo di semplificazione della procedura estradizionale tra i Paesi
11
MOSCONI, L’accordo di Dublino del 4 dicembre 1979, le Comunità europee e la repressione del
terrorismo, in Legislazione penale, Giuffrè, Milano, 1986, pag. 543 ss.
16
dell’Unione; ciò ha indotto la Commissione, nel perseguimento di tale obiettivo,
a ricorrere allo strumento della decisione quadro che, stante il suo carattere
vincolante, garantisce certezza di attuazione della nuova disciplina, anche se la
stessa, a causa della libertà attribuita a ciascuno Stato membro nella scelta dei
mezzi e delle forme di attuazione, comporterà, inevitabilmente, disparità di
trattamento con ovvie ricadute per i diritti dei singoli, disparità che potranno
essere evitate o, quanto meno attenuate, solo dando applicazione ai principi
sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, nell’interpretazione
degli stessi fornitane dalla giurisprudenza dalla Corte di Lussemburgo e di
Strasburgo, che insieme alla Carta dei diritti di Nizza rappresenta l’unico
parametro normativo, in tema di tutela dei singoli, comune agli Stati membri.
1.4. Il Trattato di Maastricht
Il trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio del 1992 ed entrato in vigore il 1°
novembre del 1993, segna una svolta significativa nell’ambito della cooperazione
giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri della Comunità Europea
12
.
Dedica specificatamente alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari
interni l’intero suo titolo VI, composto dagli articolo da K a K9. A tal proposito,
l’articolo K1suddivide in nove punti i temi su cui dovrà vertere la cooperazione
tra gli Stati membri nel campo della giustizia e degli affari interni. Ai primi tre
posti vi sono la politica di asilo, le norme che disciplinano l’attraversamento
delle frontiere esterne degli Stati membri da parte delle persone con
l’espletamento dei relativi controlli e, infine, la politica d’immigrazione e quella
da seguire nei confronti dei cittadini dei paesi terzi, politiche il cui oggetto viene
indicato nelle condizioni di entrata, circolazione e soggiorno dei cittadini dei
12
CURTI GIALDINO C., Il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea. Genesi, struttura, contenuto,
processo di ratifica, Roma, 1993, pag. 16 ss.
17
paesi terzi nel territorio degli Stati membri
13
. L’articolo K1 menziona, ai punti 4,
5, 6, 7 e 8, la lotta contro la tossicodipendenza, la lotta contro la frode
internazionale, la cooperazione giudiziaria in materia civile, in materia penale e
doganale. Chiude il tutto il punto 9, relativo alla “cooperazione di polizia ai fini
della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico illecito di droga e
altre forme di criminalità internazionale. Il fatto che la cooperazione nei settori
della giustizia e degli affari interni abbia trovato posto nel Trattato di Unione non
ha comportato affatto un abbandono per essa della strada intergovernativa a
vantaggio dei meccanismi comunitari in senso proprio. Il carattere
intergovernativo conservato dal Trattato di Maastricht alla cooperazione nei
settori della giustizia e degli affari interni non esclude però la possibilità di un
futuro travaso di materie dal titolo VI al Trattato CE. Tale possibilità è anzi
formalizzata nello stesso Trattato di Unione. In base all’articolo K3, numero 1, il
Consiglio da un lato costituisce la cornice formale nella quale “gli Stati membri
si informano e si consultano reciprocamente… per coordinare la loro azione”, ma
sono di sua esclusiva competenza l’emanazione di deliberazioni attraverso cui la
cooperazione è destinata a prendere corpo; la procedura di voto è di regola
l’unanimità. L’unica eccezione alla regola dell’unanimità, a parte le decisioni su
questioni di procedura previste dall’articolo K4, numero 3, riguarda l’eventuale
successiva adozione di misure di applicazione di quelle deliberazioni: il
Consiglio può decidere, all’unanimità, che queste possano essere prese a
maggioranza
14
. Dall’altro lato, la Commissione svolge il consueto ruolo di
impulso: le spetta infatti l’iniziativa rispetto alle deliberazioni del Consiglio. La
particolarità consiste qui nel fatto che tale potere non è né assoluto né esclusivo:
essa lo condivide con gli Stati membri per le questioni da 1 a 6 dell’articolo K1,
mentre è addirittura esclusa per quanto riguarda la cooperazione in materia
13
PARISI N. – RINOLDI D., Giustizia e affari interni nell’Unione europea, Giappichelli, Torino, 1998,
pag. 133 ss.
14
CHITI – FAVILLA – LIMBERTI, Il terzo pilastro, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario,
Giuffrè, Milano, 1997, pag. 799 ss.
18
penale, la cooperazione doganale e la cooperazione di polizia, nell’ambito delle
quali è previsto che l’iniziativa possa venire solo dagli Stati membri. Anche il
Parlamento europeo trova il suo spazio nel quadro della cooperazione in materia
di giustizia e di affari interni. Il suo coinvolgimento ha però i caratteri del
controllo politico, ma questo si svolge in modo scarsamente incisivo anche a
deliberazioni del Consiglio prive di efficacia vincolante propria. A tal proposito,
l’articolo K6 prevede che il Parlamento sia “regolarmente” informato dei lavori
del Consiglio e che la presidenza di quest’ultimo lo consulti sui principali aspetti
delle attività intraprese, adoperandosi affinché le sue opinioni “siano tenute in
debito conto”. Per quanto riguarda la Corte di giustizia
15
, essa appare in linea di
principio tagliata fuori dal funzionamento del “sistema K”, potendo solo giocare
un ruolo all’esterno di esso. Ai sensi dell’articolo K3, c’è la possibilità che nelle
convenzioni di cooperazione che possono essere adottate dal Consiglio sia
previsto che la Corte abbia la competenza “per interpretarne le disposizioni e per
comporre le controversie connesse con la loro applicazione, secondo modalità
che saranno precisate dalle medesime convenzioni”. Il trattato di Maastricht
formalizza anche le forme che dovrà d’ora in poi assumere la cooperazione nei
settori della giustizia e degli affari interni. È in primo luogo previsto, infatti, che
la consultazione tra gli Stati membri in sede di Consiglio possa portare
all’adozione di “posizioni comuni” da parte di quest’ultimo, oppure l’adozione di
“azioni comuni” e infine di “convenzioni. Quale sia la forma assunta la
cooperazione tra gli Stati membri nei settori della giustizia e degli affari interni
dovrà rispettare la Convenzione europea dei diritto dell’uomo. Successivamente
all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht si registrò la prosecuzione delle
tradizionali modi di cooperazione cioè le convenzioni
16
. A tal riguardo, sono da
segnalare la nascita di un elevato numero di convenzioni nel settore della lotta
contro la criminalità organizzata: la Convenzione che istituisce l’Europol (ufficio
15
STROZZI G. – MASTROIANNI R., Origini e sviluppo dell’integrazione europea, in Diritto
dell’unione europea, Giappichelli, Torino, 2009, pag. 1 ss.
16
SAULLE M., Il Trattato di Maastricht,Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1995, pag. 78 ss.
19
europeo di polizia); la Convenzione sulla lotta contro la corruzione dei funzionari
delle Comunità europee. A fianco agli strumenti convenzionali tradizionali,
sempre per quanto concerne il settore della lotta e repressione della criminalità
organizzata, vi fu il “Piano di azione contro la criminalità organizzata” adottato il
28 aprile del 1997 dal Consiglio. Esso è suddiviso in tre parti e contiene trenta
raccomandazioni. Le parti in cui è suddiviso riguardano, in primo luogo, le
soluzioni per sconfiggere la criminalità organizzata, in secondo luogo, gli
“orientamenti politici” sul tema e, in terzo luogo, le modalità di attuazione di tali
“orientamenti politici”. Mentre, dall’altro lato, nelle trenta raccomandazioni si
incoraggiava l’attuazione delle convenzioni di cooperazione, e l’armonizzazione
del diritto penale degli Stati membri
17
.
1.5. Il Trattato di Amsterdam
Il quadro introdotto dal Trattato di Maastricht risulta sensibilmente modificato
dall’entrata in vigore, il 1° maggio 1999 ( firmato il 2 ottobre 1997) del Trattato
di Amsterdam. A seguito dell’entrata in vigore di codesto trattato lo sviluppo
delle politiche dell’Unione Europea in materia di giustizia e di affari interni è
divenuto uno degli obbiettivi fondamentali dell’Unione. Il nuovo articolo 3 del
Trattato sull’Unione Europea propone all’Unione l’obbiettivo del
raggiungimento di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia
assicurata… la prevenzione della criminalità e la lotta contro di essa”. Quindi, sin
dalle prime disposizioni, il nuovo trattato sembra intenzionato a procedere ben
oltre la semplice cooperazione, introducendo un preciso riferimento all’esigenza
di prevenire e lottare direttamente la criminalità con uno sforzo congiunto.
17
STROZZI G., Origine e sviluppo dell’integrazione europea, in Diritto istituzionale dell’unione
europea. Dal trattato di Roma al Trattato di Amsterdam, Giappichelli, Torino, 1998, pag. 20 ss.