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Introduzione
« Tutto faceva pensare che questi bambini avessero recepito i segni,
consci o inconsci, con cui la madre manifestava il suo rifiuto o la sua impazienza
nei loro confronti e che, per tale motivo, la loro volontà di vivere fosse stata spezzata. »
Ferenczi, 1929
La trasmissione della psicopatologia tra la psiche genitoriale e quella infantile è una
tematica che, in modo più o meno esplicito, più o meno diretto, attraversa
trasversalmente l’intera storia della psicoanalisi, e per questo motivo non ho potuto non
subirne il fascino nella scelta dell’argomento per la mia tesi. Ho deciso di approfondire in
questa sede le declinazioni psicopatologiche di tale fenomeno per quanto concerne una
problematica sempre attuale come la depressione, delineandone i fattori di rischio e i
fattori di protezione.
Il presente lavoro si suddivide in quattro capitoli, nei quali ho illustrato, rispettivamente,
le più recenti acquisizioni per quanto riguarda la comunicazione e la relazione madre-
bambino, la trasmissione psichica e le modalità mediante le quali tale processo si
attualizza, la patologia depressiva con una particolare attenzione per i quadri post-partum
e quelli infantili, e infine, nel quarto e ultimo capitolo, il ruolo del padre come fattore di
rischio o di protezione per la diade primaria madre-bambino.
Nel primo capitolo ho brevemente illustrato le più recenti acquisizioni teoriche e cliniche
per quanto riguarda la relazione e la comunicazione tra madre e bambino, dedicando il
dovuto spazio ai concetti di intersoggettività primaria e secondaria, alla sintonizzazione e
regolazione affettiva, alle rotture e riparazioni interattive, al ruolo delle emozioni, in
particolar modo di quelle positive, nella strutturazione dei primi nuclei della personalità,
e alla funzione riflessiva, e questo per meglio delineare la cornice teorica entro la quale
questo lavoro risulta inserito.
Nel secondo capitolo ho approfondito il concetto di trasmissione psichica, illustrandone
le conseguenze per quanto concerne lo sviluppo infantile, rimarcando le proposte
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teoriche di vari autori, quali Ferenczi, Freud, Fairbairn, Borgogno, Bleichmar, Garon,
Kaes, Balint e altre figure fondamentali della storia della psicoanalisi. Ho delineato un
breve excursus storico per quanto riguarda le concettualizzazioni delle modalità mediante
le quali i contenuti mentali materni possono costituire e influenzare la psiche infantile. A
tal proposito va rimarcato, come indicato da Stern, come tale processo sia stato
inizialmente considerato quasi “magico”, come se la mente materna potesse influenzare
in modo diretto quella dei propri figli, e questo si può evincere da alcuni concetti
psicoanalitici classici quali ad esempio la rêverie bioniana o la funzione specchio della
madre di winnicottiana memoria. T uttavia, secondo Stern, tale influenza avrebbe la
facoltà di realizzarsi solamente grazie ai comportamenti interattivi concreti della madre
nei confronti dell’infante, anche al di fuori della soglia di coscienza (Stern, 1995). Ho
dunque illustrato la proposte teoriche di questo autore, rimarcandone il carattere di
rottura e di innovazione rispetto alle concettualizzazioni ad esse antecedenti. Il capitolo si
chiude con un’ampia panoramica sulle più recenti ipotesi neurofisiologiche che
individuerebbero nel sistema limbico orbitofrontale il sostrato biologico del processo di
trasmissione interpsichica, senza trascurare le implicazioni per quanto concerne il
meccanismo di difesa dell’identificazione proiettiva (Schore, 2003).
Il terzo capitolo è interamente dedicato alla problematica depressiva, della quale ho
illustrato le principali classificazioni diagnostiche attualmente in uso nella pratica clinica,
senza trascurare le inevitabili problematiche intrinseche in ogni nosografia che, va
rimarcato, è sempre il risultato di precise scelte epistemologiche. Ho esposto le principali
prospettive teoriche psicodinamiche da un punto di vista storico, a partire da Karl
Abraham, sino a giungere alla letteratura contemporanea, senza tralasciare gli aspetti
critici di ognuna di esse. Il corpus principale del capitolo riguarda la depressione
infantile, della quale sono stati presentati anche i quadri nosografici, ribadendo la
necessità di realizzarne uno specifico per l’infanzia che risulti essere largamente
condiviso e accettato dalla comunità scientifica e clinica. Ampio spazio è stato dedicato
al modello transazionale dello sviluppo infantile (Sameroff, 1989), con una particolare
attenzione per le implicazioni con la problematica depressiva, e sono state di
conseguenza prese in considerazione le caratteristiche temperamentali del bambino, le
caratteristiche della madre depressa e i fattori di rischio e di protezione in grado di
esercitare effetti significativi sulla diade primaria. Ho inoltre illustrato le caratteristiche
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della depressione post-partum materna, senza tralasciare i risvolti e le implicazioni per lo
sviluppo infantile successivo.
Il quarto e ultimo capitolo è stato infine dedicato al ruolo del padre quale possibile
fattore di rischio o di protezione per quanto concerne le influenze sulla relazione tra
madre depressa e bambino. Ho effettuato una ricerca online sullo stato dell’arte della
letteratura scientifica su tale tematica utilizzando le banche dati Medline e Psychinfo,
approfondendo vari aspetti dell’influenza paterna, come ad esempio le caratteristiche e
l’incidenza della depressione post-partum maschile, l’interazione con la medesima
condizione femminile (che ha ricevuto decisamente maggiori attenzioni in letteratura), e
gli esiti in termini di rischio psicopatologico infantile. Dagli articoli presi in
considerazione si può evincere che il campo di studio risulta essere tuttora aperto, poiché
devono essere ancora individuate al momento attuale le dimensioni che sottendono, tra
gli altri, i costrutti di responsività e supporto paterno.
La problematica depressiva risulta essere un campo d’indagine fortemente stimolante da
un punto di vista terapeutico, e nel presente lavoro ho dedicato spazio alle implicazioni
per il trattamento che le disamine teoriche comportano; questo perché è indispensabile
che alle conoscenze teorico-sperimentali seguano pari passo miglioramenti nella pratica
terapeutica, in modo tale che questa sofferenza spesso senza nome, dolore senza
significato, che la depressione implica possa trovare una soluzione, cosicchè possa essere
ripristinato il sentimento di esistere (Vallino Macciò, Macciò, 2004) come fondamento
del modo di vivere della persona.
I seguenti passaggi tratti dal testo di Franco Borgogno Psicoanalisi come percorso
illustrano efficacemente la cornice entro la quale risulta inserito il presente lavoro
« […] quanta sofferenza può circolare all’interno delle famiglie e quanto dolore, in gran parte inconscio e
proveniente da più generazioni, venga ineluttabilmente e drammaticamente veicolato dai genitori ai figli
attraverso la “logica operativa profonda” che essi offrono loro come implicita guida per lo stare al mondo
e per affrontare i diversi aspetti dell’esistenza [Borgogno, 1999 pag. 94, corsivo dell’autore]. »
« Le pecore degli altipiani (ricordava l’infanzia) per un nonnulla si muovono improvvisamente tutte
compatte, mischiandosi fra loro, ai più piccoli sussurri dell’ambiente circostante. Fummo in silenzio, per
un attimo, “entrambi agli altipiani”: un’unica massa, lanosa e calda, in questo caso, e non un cortocircuito
dove un polo scarica l’altro. Una mente tra-due, internamente condivisa [Borgogno, 1999 pag. 113]. »
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CAPITOLO 1: La relazione precoce madre-bambino
« E’ di fondamentale importanza rendersi conto
di come i bambini siano sensibili. »
Ferenczi, 1927
1.1 Introduzione
Ormai da alcuni decenni la ricerca psicologica ha rivoluzionato l’immagine del bambino
nella prima infanzia, mettendo in luce le complesse competenze di tipo sociale e
interattivo emergenti nelle primissime fasi dello sviluppo. Le prime interazioni che il
bambino intrattiene con i suoi caregivers risultano inoltre essere veicoli privilegiati delle
emozioni che egli esprime nei loro confronti, in un flusso bidirezionale. In questo
capitolo illustrerò brevemente alcuni concetti attualmente considerati fondamentali per
comprendere ed inquadrare la relazione tra il bambino nel corso del primo anno di vita e
le figure di accudimento principali, concentrandomi in particolare sul rapporto tra
l’infante e la madre.
1.2 L’intersoggettività
Lo psicobiologo Colwyn Trevarthen ha posto l’accento sulla possibilità di rintracciare
nel bambino, fin dal primo mese di vita, un’intelligenza di tipo sociale, considerata
innata, che lo renderebbe pronto a interagire e comunicare con i suoi partners. Egli
teorizza l’esistenza, nel corso del primo anno di vita, di due distinte tipologie di
intersoggettività, ovvero l’intersoggettività primaria e quella secondaria (Trevarthen,
1979).
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L’intersoggettività primaria racchiude le varie manifestazioni interattive dal secondo al
quinto mese di vita, considerabili come veri e propri “dialoghi sociali”, caratterizzati da
scambi di sguardi, vocalizzazioni, sorrisi, turn taking. Si è dunque ipotizzato che esista
nel neonato una innata motivazione a comunicare, con una precoce consapevolezza (e vi
è qui un sostanziale punto di rottura con la tradizione psicoanalitica) dell’altro come
interlocutore. In tale prospettiva la comunicazione non risulterebbe monodirezionale, con
una madre pronta a cogliere i segnali del bambino, bensì bidirezionale, con un infante
altresì considerabile come un promotore a pieno titolo di scambi comunicativi.
Nell’interazione tra madre e bambino si possono dunque evidenziare delle vere e proprie
protoconversazioni (Bateson, 1979), di tipo preverbale. La madre
1
, inserendosi nelle
pause che caratterizzano questa tipologia di dialogo precoce, tende a rispecchiare la
mimica espressiva del neonato, con una particolare enfasi sulle emozioni di tipo positivo
(Sameroff, Emde, 1989), e ciò avviene attraverso l’imitazione drammatizzata ed
enfatizzata dei primi atti comunicativi di quest’ultimo (Stern, 1985). Secondo la
psicoanalista Beatrice Beebe l’interazione madre-bambino sarebbe già nei primi mesi
regolata da schematizzazioni della reciproca relazione. Trevarthen sottolinea
l’importanza, per lo sviluppo delle capacità interattive, che il neonato si relazioni con un
partner intuitivamente responsivo, e pone l’accento su un’iniziale consapevolezza,
presente già dalla sesta settimana di vita, dell’altro e di sé con l’altro. Esiste dunque nel
bambino una tendenza innata a ingaggiare relazioni che va distinta dai segnali di
attaccamento, di chiara origine biologica, che egli rivolge all’adulto per ottenere
protezione (Bowlby, 1988).
L’intersoggettività secondaria permette di dare significato alle interazioni a partire dal
quinto mese di vita dell’infante. Dopo questo lasso di tempo si assiste infatti a una
frattura della relazione diadica madre-bambino fondata sulla comunicazione faccia-a-
faccia, poiché quest’ultimo inizia a esplorare in maniera sempre più accentuata
l’ambiente circostante, diminuendo di conseguenza il suo interesse per la comunicazione
con la figura materna. A partire dai nove mesi di vita la relazione duale inizia a
“triangolarizzarsi”, aprendosi e coordinandosi con il mondo degli oggetti e delle attività
esplorative. Cruciale, per il raggiungimento tale competenza, è l’acquisizione di
determinate funzioni, che fanno la loro comparsa in questo periodo evolutivo. Grazie al
coordinamento visivo il bambino inizia a cercare di condividere con la madre la sua
1
Utilizzando la parola ‘madre’ in tale sede mi riferisco sempre alla figura del caregiver principale.
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attività esplorativa, rivolgendo alternativamente il suo sguardo agli oggetti che lo
interessano e alla madre stessa, con la finalità di condividerne l’attenzione; questo porta
alla costruzione di un universo di significati comuni, condivisi, di natura preverbale. La
triangolazione della relazione con l’adulto attuata dall’infante in tale periodo è inoltre
testimoniata dall’emergenza di giochi sociali di tipo convenzionale, in cui la relazione
bambino/adulto/oggetti viene sancita dalle stesse “regole del gioco”. Tali attività ludiche,
come sottolineato dallo psicologo Jerome Bruner, implicano un format ben definito,
costituito da una struttura convenzionale che regola le azioni, i turni, e le mansioni dei
partecipanti, e ciò allenerebbe il bambino al turn taking e alla condivisione di attività e
significati. Il ruolo della madre, nel periodo che va dai 9 ai 12-13 mesi, sarebbe dunque
quello di catalizzare la relazione del bambino con la realtà circostante, fungendo da
mediatrice con quest’ultima, e ciò risulta confermato dalle ricerche sul riferimento
sociale, che mettono in evidenza come il bambino, nell’arco di tempo sopra citato,
utilizzi l’adulto come guida e “informatore affettivo” soprattutto rispetto a fenomeni non
conosciuti e ambigui (Riva Crugnola, 2007).
1.3 La Sintonizzazione affettiva
Ad un certo punto nella relazione madre-bambino si determinano dei comportamenti che
in apparenza potrebbero essere descritti e interpretati come imitativi; in realtà questi
ultimi trascendono la semplice imitazione, andando a caratterizzare ciò che Daniel Stern
ha definito sintonizzazione affettiva (affect attunement):
« La sintonizzazione degli affetti […] consiste nell’esecuzione di comportamenti che esprimono la qualità
di un sentimento condiviso senza tuttavia imitarne l’esatta espressione comportamentale [Stern, 1985 pag.
151]. »
Stern differenzia tale fenomeno rispetto ad altri simili, come il rispecchiamento (che, dal
suo punto di vista, avrebbe lo svantaggio di alludere a una perfetta sincronia temporale),
il riecheggiamento (troppo vicino all’imitazione) e l’empatia (da cui la sintonizzazione si
differenzia poiché procede in direzione di un ri-plasmaggio creativo dell’affetto colto).
Secondo il neuropsicologo Allan Shore le relazioni di attaccamento sono caratterizzate da
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differenti gradi di sintonia diadica, come avremo modo di vedere nel corso del presente
lavoro (Schore, 2003).
1.4 La regolazione affettiva
Il linguaggio emotivo di cui è dotato il bambino nella prima infanzia sembra svolgere
un’essenziale funzione comunicativa con i suoi partners, costituendo la base delle prime
forme di intersoggettività (cfr. par. 1.1) e dei legami di attaccamento. Lo sviluppo
emotivo/relazionale del bambino sembra essere inoltre connesso alla progressiva capacità
che egli acquisisce, già a partire dai primi mesi di vita, nella regolazione delle proprie
emozioni. Edward Tronick, a partire dal paradigma della still face
2
, pone l’accento
sull’esistenza di competenze autoregolatorie decisamente precoci nell’infante, che lo
rendono in grado già nei primi mesi di vita di modulare la tensione indotta da eventi
stressanti o semplicemente nuovi, e tali competenze risultano essere almeno in parte
indipendenti dai caregivers. Un esempio di tali condotte è dato dal distogliere lo sguardo
dallo stimolo stressante, che è in grado di decelerare il battito cardiaco. D’altra parte, tali
condotte autoregolatorie di cui il bambino è originariamente dotato devono interagire con
la funzione (etero)regolatoria svolta dai genitori nei confronti delle sue emozioni, e in tal
senso risulta fondamentale l’aiuto fornito da questi ultimi nei confronti dell’infante nel
trasformare le emozioni positive in negative (Emde, 1989).
Secondo Louis Sander il bambino e il genitore devono essere considerati reciprocamente
interagenti nel loro costituire un ‘sistema vivente’, laddove fino agli anni ’60 del secolo
scorso la relazione veniva considerata fondamentalmente monodirezionale. In tali sistemi
ognuna delle persone che li costituisce, oltre a svolgere la funzione di agente regolatore
dell’altra, dalla quale al contempo viene anche regolata, è altresì capace di autoregolarsi;
entrambi i tipi di regolazione, ossia quella rivolta verso l’altro e quella rivolta verso il Sé,
risultano essere sempre in atto, parallele e interagenti (Amadei, 2005). Secondo Alan
Sroufe dalla fine del secondo anno di vita la regolazione diadica lascia spazio a forme di
2
Tale paradigma venne sviluppato da Tronick e collaboratori, e venne così definito per l’espressione
neutrale ed immobile assunta dal genitore. Tronick chiese ad un gruppo di madri non depresse di simulare
un’interazione di tipo depressivo con i loro bambini di tre mesi d’età. Tale paradigma sperimentale è
suddiviso in tre fasi, ognuna delle quali ha una durata predefinita di due minuti. La prima fase contiene una
situazione di gioco libero in un setting faccia-a-faccia; nella seconda fase, viene chiesto alla madre di non
attuare nessun comportamento imitativo; infine, nella terza fase di reintegrazione, la madre riceve la
richiesta di tornare a relazionarsi con il bambino nel modo usuale. L’episodio chiave del paradigma è
un’interruzione dell’abituale contatto tra madre e bambino (Ammaniti, 2001; Vigna, 2006).
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regolazione emotiva autonome più mature rispetto a quelle esistenti nel primo anno di
vita, e ciò avviene sulla base della formazione di stili di regolazione individuali, che in
seguito diverranno costitutivi dei primi nuclei del sé infantile (Sroufe, 1989).
1.5 Rotture e riparazioni interattive
Nei suoi lavori più recenti Edward Tronick ha ulteriormente approfondito la tematica
della regolazione affettiva diadica madre-bambino, enfatizzando le caratteristiche
sistemiche e interattive di tali processi. Il bambino è in grado di esprimere, fin dai primi
mesi di vita, configurazioni emotive specifiche nei confronti dell’ambiente, che
coinvolgono l’espressione del volto, la tonalità della voce, la gestualità e gli sguardi.
Attraverso tali configurazioni l’infante comunica chiaramente il suo stato affettivo e, allo
stesso tempo, la propria valutazione dell’interazione con il caregiver. Questi tende ad
adattarsi al comportamento affettivo del bambino, sintonizzandosi (cfr. par. 1.3) con gli
stati affettivi che esprime. Si origina in tal modo, secondo Tronick, un sistema di mutua
regolazione entro cui bambino e caregiver si adattano l’un l’altro, sincronizzandosi
reciprocamente sui medesimi stati affettivi. Tronick, effettuando minuziose osservazioni
microanalitiche delle interazioni tra madre e bambino, giunge a conclusioni decisamente
differenti rispetto alla letteratura precedente; l’autore, infatti, evidenzia come il sistema di
regolazione diadica proceda attraverso stati affettivi coordinati e non coordinati, durante i
quali possono emergere errori interattivi da parte di entrambi i membri della diade. In
condizioni interattive normali gli errori vengono riparati celermente dalla madre, ma
anche dal bambino. Dunque, una “madre adeguata”, secondo tale concezione, è colei che
risulta in grado di sintonizzarsi con gli stati affettivi del proprio bambino, ma anche di
riparare gli errori comunicativi che frequentemente commette (Tronick, Weinberg, 1997;
Riva Crugnola, 2007).
1.6 Emozioni, interazioni e primi nuclei della personalità
Le emozioni che il bambino sperimenta nell’ambito della comunicazione affettiva e
nell’esperienza di regolazione con i caregivers risultano essere i “mattoni” fondamentali
per la costruzione della sua personalità. A tal proposito, risultano di particolare interesse
le ipotesi dello psichiatra Robert Emde, il quale considera gli affetti come strutture stabili
che fungono da organizzatori della vita psichica e da guida dell’esperienza relazionale.
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Egli sottolinea, inoltre, il ruolo fondamentale svolto dalle emozioni di segno positivo, che
costituiscono un sistema separato da quelle negative, fin dal loro iniziale manifestarsi
mediante il sorriso endogeno precoce. Il bambino sarebbe guidato, sin dalle prime fasi
del suo sviluppo, dalla ricerca di emozioni positive, le quali svolgerebbero una funzione
organizzativa fondamentale in tale lasso di tempo. La condivisione di tali affetti positivi è
resa possibile dal ruolo di scaffolding
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emotivo svolto dalla madre verso ogni attività del
bambino e getta le basi per la formazione di fonti interne di fiducia, e per
l’organizzazione del Sé infantile. Come sottolinea Emde,
« […] Il Sé affettivo, dotato di forti radici biologiche, viene orientato verso determinate risposte
emozionali, dipendenti dalle prime esperienze nella relazione di accudimento. Successivamente
intervengono ulteriori influenze esercitate dalle esperienze relazionali specifiche che vengono interiorizzate
man mano che il significato condiviso si arricchisce di intenzioni, negoziazioni e contro interazioni […]
[Emde, 1989 pag. 61]. »
I primi nuclei prerappresentazionali del Sé infantile si costituiscono dunque secondo
l’autore attraverso l’interiorizzazione degli schemi esperienziali di comunicazione e di
regolazione emotiva attuati con il caregiver. Il nucleo affettivo del Sé formatosi in tal
modo funge da guida per le successive esperienze relazionali del bambino (Riva
Crugnola, 2007).
1.7 La Funzione riflessiva
Lo psicoanalista Peter Fonagy ha ipotizzato che il meccanismo sotteso all’importanza
tradizionalmente attribuita alle relazioni primarie bambino-caregivers non sarebbe più da
rintracciare nel determinare la forma delle relazioni successive (come nel caso dei
Modelli Operativi Interni postulati da John Bowlby), quanto piuttosto nello sviluppare un
efficace information processing control system, ovvero un sistema regolatorio che va a
costituire la più importante ricaduta evolutiva inerente le relazioni con i caregivers. Tale
3
Per scaffolding intendiamo quella funzione svolta dall’adulto nei confronti del bambino volta a
“incorniciarne” l’attività, fornendogli situazioni di gioco e di esplorazione costanti e iterati, e
permettendogli di sperimentare in modo condiviso la progressiva costruzione di significati, cognitivi ed
affettivi, circa l’ambiente animato che egli sta operando (Riva Crugnola, 2007).