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INTRODUZIONE
Sono circa le quattro e trenta di un caldo pomeriggio di settembre. Da
una decina di giorni Fabian ed io viaggiamo attraverso l‟Italia. Partiti da
Brescia la mattina del due abbiamo fino ad ora visitato i dintorni di Latina, la
reggia di Caserta, Amalfi, Positano, Pompei ed altre località della Campania.
Ora siamo a Napoli. “Finalmente!”, esclama Fabian, che da diverso tempo
desidera vedere la città partenopea.
Passeggiamo per un lungo viale in discesa, diretti verso piazza del
Plebiscito quando un uomo, magro e piuttosto anziano, si affaccia ad una
vetrina e ci invita energicamente ad entrare nella sua bottega. Indica un
televisore acceso e ci sprona ad osservarne le immagini. Vediamo un aereo
di linea che si schianta contro un palazzo di New York. Per qualche istante
crediamo che sia un film, poi ci rendiamo conto è la realtà. Si tratta infatti di
un‟edizione speciale del telegiornale che mostra gli attentati avvenuti alcune
ore fa negli Stati Uniti. Al momento non ce ne rendiamo conto ma, quello
che stiamo osservando, è l‟evento che segna l‟inizio del nuovo millennio.
Vediamo le torri crollare e sentiamo i primi tentativi di dare delle cifre
a quella spaventosa tragedia. Si parla di migliaia di morti, forse ventimila.
Ci chiediamo chi può essere stato. La televisione risponde: “Gli
attentati sembra siano stati rivendicati dal Fronte Democratico per la
Liberazione della Palestina”. Fabian resta impietrito.
Già perché, l‟amico che in piedi accanto a me sta osservando le Twin
Towers rovinare al suolo, è Fabian Odeh Khaled, figlio di Tayseer Khaled,
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leader politico palestinese, tra i fondatori, e attualmente ai vertici proprio del
Fronte Democratico.
“Non ho dubbi: mio padre, come nessuno del suo partito, può aver
fatto una cosa simile”.
Infatti basteranno poche ore perché arrivi la smentita: l‟FDLP non ha
niente a che vedere con “l‟undici settembre”; già in serata si parlerà di al
Qaida, Bin Laden, i Talebani.
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Usciamo dal negozio e continuiamo la strada verso la più famosa
piazza di Napoli, ma il nostro umore è cambiato. Fabian non parla, non
riesce a godersi il fascino della città che sognava di visitare, dato che ancora
si chiede da dove possa venire quella rivendicazione, cosa ci sia di vero.
Arrivati alla nostra meta ci sediamo sul margine della piazza, ma non ci
sentiamo più dei turisti, non ci guardiamo attorno con grande attenzione, non
scattiamo foto.
Restiamo lì seduti per ore, finchè scende il buio, fumando e parlando
con dei ragazzi del posto. Fabian non dice di essere di origine palestinese per
non influenzare i loro commenti. Anche tra loro c‟è chi crede poco al
coinvolgimento dei palestinesi.
Finalmente andiamo a mangiare una pizza, seduti al tavolo davanti ad
un televisore che trasmette in continuazione quelle immagini che già
conosciamo fin troppo bene. In attesa del pullman, che alle tre del mattino
partirà per riportarci al campeggio di Pompei, ci spostiamo da un bar
all‟altro osservando altri TG, ascoltando ipotesi, commenti e anche la notizia
che qualcuno sta bombardano i Talebani nel nord dell‟Afghanistan. La “pista
palestinese” sembra ormai dimenticata.
Fabian ed io siamo amici da qualche anno. Ci siamo conosciuti in una
sala di lettura dove anche lui prepara gli esami dell‟università. Mi ha
presentato suoi amici palestinesi ed ebrei che studiano nella nostra città. E‟
stato grazie a loro che ho iniziato ad interessarmi alla “questione
palestinese”. Proprio qualche mese prima di quel tragico giorno di settembre,
avevo invitato Fabian ed una ragazza ebrea, sua amica, a partecipare ad una
puntata del programma radiofonico che tenevo in una radio locale, per
parlare dell‟Intifada e permettere agli ascoltatori di approfondire, di fare un
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po‟ di chiarezza, riguardo a quello che la gente è abituata a sentire solo “di
striscio” dai telegiornali. Pochi giorni prima dell‟intervista però, la ragazza
israeliana si era tirata indietro: l‟Intifada era esplosa in una violenza inaudita
in quei giorni e lei mi disse: “Non capisco più quello che sta succedendo.
Non sarei quindi in grado di spiegarlo agli ascoltatori”. In vista
dell‟incontro avevo avuto modo anche di contattare per la prima volta il
signor Khaled che avrebbe aiutato Fabian a rispondere alle domande, data la
sua conoscenza della storia palestinese e della situazione attuale.
Nella foto: Tayseer Khaled festeggia con Yasser Arafat la sua liberazione dalla
prigionia in Israele, 3 giugno 2003.
Ancora stentavo però a capire quanto importante fosse il ruolo del
padre di un mio amico nell‟ambito della storia del conflitto arabo-israeliano.
Più tardi, nel febbraio 2003, Tayseer Khaled verrà arrestato
dall‟esercito israeliano, prelevato mentre si trova nel suo ufficio di Nablus,
in Cisgiordania.
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Senza subire un processo, in quanto non accusato di alcun reato, sarà
rilasciato il giugno seguente, dopo un accordo tra Ariel Sharon, premier
israeliano, e Abu Mazen, primo ministro palestinese.
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Nell‟autunno del 2004, dopo la morte di Yasser Arafat, si candiderà
alla presidenza dell‟Autorità Palestinese in quanto personalità di spicco del
Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina.
Non verrà eletto, come sappiamo, ma sarà il terzo candidato per
numero di voti conquistati, dietro ad Abu Mazen e a Mustafa Barghouthi.
Nella foto: Gaza, palestinesi davanti a cartelloni elettorali alla vigilia delle elezioni
per la presidenza dell‟Autorità Palestinese, 8 gennaio 2005. A sinistra Tayseer Khaled, a
destra Mahmud Abbas (Abu Mazen). (Fonte: http://www.aljazeerah.info)
Fu inevitabile per me scegliere questi argomenti per la ricerca finale
del mio corso di laurea ed è con grande soddisfazione che sono riuscito
nuovamente a contattare il signor Khaled e ad intervistarlo una seconda
volta, per sentirlo parlare di un argomento, la prima Intifada, che nella
precedente intervista non avevo affrontato.
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Quando, nell‟autunno del 1987 esplose l‟Intifada, Khaled, insieme a
Fabian e all‟intera famiglia, si trovava in Giordania, esiliato dalla
Cisgiordania, come molti dei membri dell‟OLP, dopo la guerra del giugno
1967. Aveva più volte cercato di lasciare il Paese hascimita, ma senza
successo. A quel tempo era membro dell‟ufficio politico del Fronte
Democratico per la Liberazione della Palestina. Più tardi sarebbe entrato
nell‟Esecutivo dell‟OLP. Nel 1989 riuscì, grazie ad un permesso speciale
rilasciato ai membri dell‟Assemblea dell‟Organizzazione, a spostarsi a
Damasco, in Siria, dove rimase per alcuni anni. Tornerà finalmente in
Palestina nel marzo del 1996.
Ecco l‟intervista che ho realizzato lo scorso novembre.
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INTERVISTA A TAYSEER KHALED
TRA I MASSIMI LEADER DEL FRONTE
DEMOCRATICO PER LA LIBERAZIONE DELLA
PALESTINA
E MEMBRO DEL COMITATO ESECUTIVO DELL‟OLP
(Intervista realizzata dall‟autore nel mese di novembre 2005)
Nella foto: Tayseer Khaled tra i premi Nobel per la pace Nelson Mandela e Yasser
Arafat
Signor Khaled, vuole parlarci della sua carriera politica? Cosa l‟ha
spinta ad intraprendere una vita di questo tipo?
Il mio lavoro ed interesse per la politica non fu programmato, dopo
aver conseguito la maturità nel 1958 avrei voluto iscrivermi in Inghilterra
alla facoltà di medicina, ma in quel periodo mi recai in Kuwait per lavoro.
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Lavorai nella radio pubblica kuwaitiana dove incontrai un impiegato della
radio pubblica siriana diventando in seguito suo amico. Egli mi consigliò di
iscrivermi alla facoltà di scienze politiche in Germania dove si laureò lui
stesso. Il suo consiglio accese in me molti interrogativi, in particolar modo
sul mio futuro, dato che in quel periodo conobbi alcuni giovani palestinesi
con i quali poi lavorai per la fondazione di un partito di sinistra dei lavoratori
palestinesi (Partito Palestinese dei Lavoratori).
All‟inizio degli anni sessanta mi trasferii in Germania e mi iscrissi alla
facoltà di scienze politiche dell‟università di Heidelberg e lì prese inizio il
lavoro politico con il movimento studentesco tedesco di sinistra (SDS) e con
il circolo dei comunisti tedeschi (KBM). Poi iniziai a collaborare con il
Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina.
Iniziai ad avere un pensiero di sinistra quando fui studente alle scuole
superiori e proseguii durante gli anni dell‟università. Coltivai la professione
politica nella sinistra, lavorando ai vertici del Fronte Democratico sin dagli
anni „70.
Può tracciare un quadro delle organizzazioni politiche Palestinesi
presenti in Israele e in Palestina? Quali dispongono di una milizia
armata?
Le forze palestinesi con braccio armato sono:
1- Movimento di al Fatah. È un movimento nazionale. Iniziò la
sua attività politica nel 1965 e il suo attuale braccio armato è il gruppo
chiamato: “I martiri di al-Aqsa”
2- Movimento di Hamas, movimento islamico. Appartiene
politicamente ed ideologicamente al movimento “Fratelli Musulmani”. Iniziò
il lavoro militare agli inizi degli anni novanta, il suo braccio armato è la
”Milizia di Ezeddin el Qassam”.
3- Movimento della Jihad islamica. Nata dalla scissione dai
“Fratelli Musulmani”, “scissione a sinistra” alla fine degli anni „80, cominciò
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il lavoro militare agli inizi degli anni „90. Il suo braccio armato è chiamato
”Saraia al Quds”.
4- Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Appartiene
politicamente ed ideologicamnete al movimento dei “Nazionalisti Arabi”.
Inizia il lavoro militare a metà degli anni „60. Il suo braccio armato sono le
“Milizie di Abu Ali Mustafà”, nome dedicato al segretario del FPLP
assassinato da Israele nel suo ufficio nel 2002.
5- Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina,
movimento marxista di sinistra fondato nel 1969. Iniziò il lavoro militare nel
1969. Il suo braccio armato sono le “Milizie Nazionali per la Resistenza
Palestinese”.
Quando e come è nato il Fronte Democratico per la Liberazione
della Palestina? Quali sono i valori e gli obiettivi del suo partito?
Diventai membro del Fronte in giugno del 1969, dopo 2 mesi dalla sua
nascita. Come recita il suo programma politico e il suo statuto interno: “Il
Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina prende i suoi
principi dal marxismo-leninismo e comprende nelle sue file lavoratori,
poveri contadini, profughi e intellettuali rivoluzionari. Mira alla
liberazione dall‟occupazione israeliana e alla fondazione di uno Stato
palestinese sui territori occupati nel 1967, con capitale Gerusalemme e
non accetta un non ritorno dei profughi del 1948. Mira a costruire un
governo parlamentare democratico multipartitico e un ordine sociale
basato sull‟uguaglianza e il rispetto della legge”.
Perché organizzazioni armate, come Hamas, pur essendo fuori dal
gioco partitico, godono di tanta popolarità? Con la scomparsa di Arafat
e l‟arrivo di Abu Mazen, si sono rafforzate o indebolite?
Hamas non è distante dalla politica come lei afferma. Gode di
un‟influenza politica molto forte dovuta:
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1- Al sostegno del movimento “Fratelli musulmani”, politico,
economico e morale.
2- A diverse istituzioni le quali si occupano di salute pubblica,
insegnamento, asili, scuole e un‟università: “l‟Università Islamica di Gaza”,
casse di sostengo economico per i poveri e molte attività sociali.
3- Gode di uffici in tutte le città palestinesi e un forte controllo nella
quasi totalità delle moschee.
Nota: mi oppongo molto fortemente alle sue azioni contro civili.
Lo sviluppo dei partiti politici palestinesi negli anni ‟60 e ‟70 ha
significato un modificarsi del comportamento del popolo palestinese?
Più speranze? Più delusioni?
Dopo il 1948, centinaia di migliaia di palestinesi persero case e terra e
divennero profughi. Molti iniziarono a lavorare in movimenti nazionali come
il “movimento di Nassiria”, il partito “al Baath” e movimenti religiosi come i
“Fratelli Musulmani”. Il popolo palestinese non aveva alcuna identità
nazionale. Con la nascita dei partiti palestinesi, a cominciare da al-Fatah nel
1965, iniziò a prendere forma l‟identità nazionale palestinese indipendente,
dando molte speranze ai palestinesi, speranze di ritrovare l‟identità perduta,
nell‟idea di nazione palestinese.
I diversi movimenti iniziarono un rapporto molto conflittuale e
complesso, da una parte contro Israele, vista come il nemico occupante e
dall‟altra contro istituzioni arabe che vedevano nelle organizzazioni
palestinesi rivali un pericolo che minacciava i loro interessi e le relazioni
diplomatiche e politiche nazionali.
Nel 1974 l‟OLP “Organizzazione per la Liberazione della Palestina”,
fu riconosciuta in qualità di unico ente rappresentante legittimo del popolo
palestinese. Fu riconosciuta dalla Lega Araba, dall‟Unione Africana, dal
movimento dei “Non Allineati”, da diverse nazioni europee: Francia, Italia,
Spagna, Grecia e dalle Nazioni Unite. Così l‟OLP diventò l‟organizzazione
politica nazionale palestinese che diede ai palestinesi la speranza nella
liberazione dall‟occupazione e nell‟indipendenza nazionale.
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L‟arrivo dei partiti ha migliorato i rapporti con Israele? E‟ servito
per spostare il conflitto verso un maggior dialogo, dalle battaglie sulla
strada al tavolo dei colloqui?
Nel 1974 il Consiglio Nazionale Palestinese (il parlamento del popolo
palestinese) avviò una strategia nazionale che invitava ad una soluzione
pacifica del conflitto, basata su due Stati ispirandosi al decreto di divisione
del 1947 ”Stato di Palestina e stato di Israele”. Era Israele in principio a
rifiutare questa proposta risolutiva e per questo proseguì il bagno di sangue.
Il tavolo delle trattative è la scelta politica del popolo palestinese per
arrivare ad una soluzione che si basa sul principio di due Stati, ma questa
scelta non cancella il legittimo diritto dei palestinesi alla resistenza e a
combattere il colonialismo e l‟occupazione. Quando Israele interromperà le
sue politiche nemiche di espansione, le sue attività di colonizzazione nella
Cisgiordania, compresa Gerusalemme, annuncerà la sua sincera intenzione
ad accettare la soluzione di due Stati, nonché una soluzione al problema dei
profughi palestinesi e si impegnerà ad evacuare i coloni come è successo a
Gaza, allora si aprirà la strada per una soluzione politica di trattativa.
Altrimenti andrà avanti il conflitto ed entrambi i popoli pagheranno con vite
umane.
Crede che la leadership politica palestinese sia oggi realmente
rappresentativa?
L‟Autorità Nazionale Palestinese, per com‟è la sua attuale situazione,
non rappresenta effettivamente il popolo palestinese in modo reale. Essa è un
organismo in cui non vi è trasparenza, basato sulla corruzione e mancanza di
legalità. Il partito al governo (al Fatah) è dominato dalla corruzione, dal
controllo delle poltrone, dall‟occupazione civile e militare e dalle entrate di
denaro. Il tentativo di risanamento e lotta alla corruzione all‟interno del
partito avanza molto lentamente e trova parecchie difficoltà. La corruzione
non è più un male da combattere ma è divenuto un‟istituzione. Le elezioni
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che stanno per essere fatte proprio ora per le giunte provinciali e locali e
quelle prossime per il parlamento saranno una buona occasione per curare i
mali dell‟Autorità Nazionale e cioè diffondere la democrazia e creare un
ordine parlamentare pluripartitico nonché per il varo di leggi nuove per
combattere la corruzione e riportare il potere alla legalità.
Nel 1987, dopo 20 anni di occupazione dei Territori, l‟Intifada era
l‟unica via possibile per ottenere diritti e libertà?
La prima Intifada nel 1987 fu vitale e di primaria importanza
nazionale. Quando la contraddizione negli interessi tra occupante ed
occupato raggiunge il culmine l‟Intifada diventa la principale questione del
popolo che deve vincere l‟occupazione.
Questo è un principio che non riguarda solo la questione palestinese ma
qualsiasi occupazione, qualunque popolo si trovi sotto occupazione,
sfruttamento e contraddizione verso gli interessi primari nazionali. Proprio
come successe al popolo palestinese dove, in quel periodo, si raggiunse il
limite che portò all‟esplosione in faccia agli occupanti.
Quali ne sono state le reali cause scatenanti? E chi l‟ha avviata? Ci
furono motivi religiosi a spingere alla rivolta?
L‟Intifada iniziò spontaneamente come reazione all‟uccisione di alcuni
lavoratori del campo profughi di Jabalia nella Striscia di Gaza da parte di
soldati israeliani. Con il passare del tempo si trasformò da una Intifada
spontanea ad una Intifada organizzata, guidata dalle forze nazionali e
democratiche.
Il principio “Ordine numero 2“ che invitava alla nascita di un vertice
nazionale unito per guidare l‟Intifada, fu proposto dal Fronte Democratico.
Hamas non aderì inizialmente all‟Intifada. Iniziò solo quando fu espresso il
principio “Ordine numero 13”; allora Hamas iniziò a cercare di guidare
l‟Intifada, da sola, con i vari comandi che diede. Ma il vero vertice
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organizzativo rimase in mano alle forze nazionali e democratiche (di
sinistra).
Dove si trovava lei e come ha vissuto quel periodo?
In quel periodo ero fuori dalla Palestina ma sostenevo l‟Intifada
lavorando.
Ho scritto in quel periodo un libro sull‟Intifada dove discutevo il suo
cammino le sue motivazioni, il suo traguardo e gli obbiettivi da raggiungere.
Nella foto: Tayseer Khaled durante un comizio elettorale
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L‟Intifada ha ottenuto i risultati sperati? Se sì: quali?
L‟Intifada realizzò molte cose. Ha confermato dal punto di vista
internazionale l‟Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp),
come unico legittimo rappresentante del popolo palestinese.
Ha rafforzato la rottura all‟interno della società israeliana riguardo
l‟occupazione.
Ha portato ad un aumento dei movimenti israeliani che chiedevano il
ritiro dai territori e un negoziato con i palestinesi.
Ha portato un sostegno internazionale per la causa palestinese.
Ha aperto la strada verso una possibile soluzione bilanciata che accetta
l‟esistenza del popolo palestinese e i suoi diritti.
Nel 1988 l‟Italia vinse la coppa olimpica di calcio e dedicò la vittoria al
popolo palestinese e alla sua lotta.
Secondo lei era l‟unico strumento possibile?
Quando l‟occupazione non mostra di voler alleggerire la sofferenza dei
civili, la resistenza diventa un principio prioritario che non può
compromettere altre scelte politiche, come quella dei negoziati. La resistenza
a quel punto diventa una buona carta per negoziare.
Anche gli arabi di cittadinanza israeliana vi hanno preso parte? Le
frustrazioni che li hanno spinti a reagire, erano le stesse dei palestinesi
nei Territori o le motivazioni erano diverse?
Da parte degli arabi israeliani non vi fu una diretta partecipazione. Ma
a livello economico e morale sì. C‟erano colonne di camion carichi di viveri
che raggiungevano le città e i paesi in Cisgiordania e Gaza, offerti dai
palestinesi in Israele e dalle associazione di soccorso israeliane arabe e anche
internazionali.
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Cosa ha posto fine alla prima Intifada?
La prima Intifada finì con la firma degli accordi di Oslo tra l‟Olp e il
governo israeliano nel 1993.
Cosa distingue questa seconda Intifada dalla precedente? Pensa
che l‟elezione di Abu Mazen abbia dato una svolta verso la fine
dell‟Intifada? Se sì: come?
Le motivazioni in entrambe le rivolte erano identiche. Le cause furono
la politica dell‟occupazione, le sue azioni terroristiche, le attività di
colonizzazione e sequestro dei terreni per soddisfare le richieste dell‟estrema
destra israeliana e costruire colonie.
Ma vi è una differenza fondamentale: la prima era una resistenza
pacifica mentre la seconda era una resistenza armata con azioni militari. La
seconda Intifada, nel corso dei primi otto mesi, era pacifica, ma si tramutò in
resistenza armata in risposta alle azioni dell‟esercito israeliano e delle milizie
dei coloni. (Puntualizzo nuovamente che il Fronte Democratico si oppose
fortemente alle operazioni che coinvolgevano civili e invitava a concentrare
le operazioni contro i militari).
Abu Mazen chiede il disarmo dell‟Intifada, ma io penso che nella
situazione di occupazione nella quale ci troviamo, sia difficile riuscire ad
ottenere qualcosa solo per vie pacifiche, dato che l‟avversario è un esercito.
Se il palestinese non dovesse combattere il sequestro della sua terra, la
demolizione delle fondamenta del suo Stato magari si potrebbe guardare il
problema con un‟altra ottica, ma le attività dell‟esercito sono in continua
crescita e l‟attività di colonizzazione è sempre sotto protezione militare.
Quindi la resistenza sarà pacifica ma anche armata.
Israele è realmente una democrazia?