4
INTRODUZIONE
Ogni giorno ci troviamo di fronte a centinaia di scelte economiche da compiere, dalle più
piccole (in quale bar prendere il caffè) alle più grandi (acquistare una casa o un’altra) e di
conseguenza prendiamo delle decisioni che pensiamo possano essere le migliori. Ci
troviamo di continuo immersi in ambienti che ci trasmettono informazioni, stimolano i
nostri sensi e il nostro cervello e condizionano il nostro comportamento economico.
Scommettere, investire, entrare in competizione, negoziare, vendere e comprare sono
tutte attività economiche quotidiane, entrate nell’ordinarietà delle persone. L’economia e
la matematica applicata non spiegano però che cosa ci sia dietro la decisione di una
persona di correre dei rischi, rispetto a chi sceglie di non correrli. Oppure perché le
abitudini rimangono tali anche quando nel tempo si sono rivelate dannose, se facciamo
veramente i nostri interessi e in che modo possiamo sapere se le scelte che prendiamo
sono quelle corrette. A queste e altre domande comportamentali, legate alle scelte e
decisioni economiche, risponde la neuroeconomia che oggi investiga direttamente su
quali siano i meccanismi neurali che entrano in gioco, quando l'essere umano prende
decisioni di carattere economico e mostra che ogni azione che compiamo non è frutto
solo di una scelta razionale o emozionale ma entrambi le parti concorrono alla
formazione della posizione che determina la decisione. Questo fa capire quanto può
essere importante l’ambiente in cui viviamo e quanto l’emotività sia una costante della
nostra vita. Troviamo qui una sensibile divergenza con il concetto di Homo oeconomicus
che la teoria economica classica ha elaborato, descrivendo un uomo dotato di sola
razionalità e che cura solamente i suoi interessi personali massimizzando la sua utilità.
Questo concetto va ad escludere quindi che le emozioni influenzano le decisioni
economiche. Nella realtà di tutti i giorni però sappiamo che l’Homo oeconomicus della
teoria classica è distante dalla nostra posizione. Prendiamo ad esempio un bene semplice
come un quotidiano: indipendentemente da dove si acquista il bene è in sostanza identico,
sia per il costo sia per la sua natura. Secondo la teoria economica classica quindi l’Homo
oeconomicus calcolerà l’edicola più vicina alla sua posizione e vi acquisterà il
quotidiano, poiché economicamente più vantaggioso sia per il minor costo di
5
spostamento che per il minor tempo impiegato. Nella realtà però non sono prese in
considerazione solo le variabili economiche e razionali ma influiscono nella scelta anche
le variabili emozionali.
Ad esempio nutriamo simpatia per un giornalaio più distante di altri e anche se siamo
consapevoli del fatto che avremo costi maggiori, acquisteremo il quotidiano dal più
simpatico non rispettando il concetto economico classico. Questo ci basta per capire
quanto sono fondamentali le emozioni che proviamo, sia a livello di consumatore, quindi
dal lato della domanda, sia a livello di mercato, quindi dal punto di vista dell’offerta.
Ogni scelta economica anche la più razionale è sempre influenzata e in qualche modo
deviata dalle emozioni, ed ogni emozione ha origine dal cervello. A questo punto
s’intuisce quanto è importante lo studio dei processi cerebrali per conoscere veramente le
origini delle scelte che scaturiscono le transazioni economiche e quanto anche materie
coma la psicologia e la neuroscienza possano dare un contributo all’economia.
Il primo capitolo è proprio volto all’analisi e definizione di questa nuova materia
interdisciplinare. Vedremo quali relazioni intercorrono tra le più comuni scelte
economiche, le emozioni associate e le relative aree cerebrali sollecitate, con l’utilizzo di
giochi, test e dati provenienti da recenti studi condotti in materia.
Nel secondo capitolo valuteremo le contraddizioni economiche-sociali nel commercio
moderno di beni (a mio parere) similmente ripugnanti, così come li definisce Gironde, il
tutto analizzato in chiave neuroeconomica. La conclusione, infine, raccoglie
considerazioni personali scaturiti dall’intero lavoro.
6
Capitolo 1
Lo studio della mente per capire le scelte : la neuroeconomia
7
1.1 Neuroeconomia: concetti base
L’uomo fin dalle sue origini comprese di possedere qualcosa che gli altri esseri viventi
non possedevano: la coscienza. Il termine coscienza deriva dal latino Cum-scire ("sapere
insieme") ed indicava originariamente un determinato stato interiore. Secondo la
definizione e le informazioni riportate su Wikipedia, non tutti gli antichi dividevano
l'uomo solamente in mente e corpo. Anzi era molto diffusa l'idea (oggi tornata alla
ribalta) che l'uomo avesse tre funzioni relativamente indipendenti chiamate centro
intellettivo, centro motore-istintivo e centro emozionale, collocate rispettivamente in una
parte dell'encefalo, nella parte terminale della colonna vertebrale e nella zona del plesso
solare, in quelli che sono oggi chiamati gangli del simpatico e del parasimpatico. Ebbene
la coscienza indicava quello stato interiore di sintonia tra i tre centri (sapere insieme) che,
se raggiunto, permetteva all'uomo di elevare la propria ragione. Secondo questa
definizione quindi, già dall’antichità si era a conoscenza della parte emotiva, che avrebbe
influenzato la vita dell’essere umano essendo parte integrante e sinergica della coscienza.
Parte emotiva che viene ripresa in considerazione nello studio della scienze sociali e
scientifiche da materie interdisciplinari proprio come la neuroeconomia. Saranno
analizzate quindi le parole chiave maggiormente citate nei libri, negli articoli e nelle
recenti ricerche in materia, al fine di creare un quadro sintetico e chiaro sull’argomento.
Sulla definizione Gironde (2008) afferma che la neuroeconomia è l’incontro tra
economia, intesa come scienza sociale, e neuroscienze, la quale studia e cerca di
individuare i meccanismi neuronali da cui scaturiscono le scelte economiche, tramite
strumenti e tecniche, come la risonanza magnetica e la tac, proprie di competenza
neuroscientifica. Il CRESA (acronimo per Centro di Ricerca di Epistemologia
Sperimentale e Applicata 2007) a differenza di Gironde aggiunge alle già sopraccitate
discipline, nella definizione di neuroeconomia la psicologia, l’epistemologia e la
filosofia, definendola come un crocevia tra discipline alquanto differenti per scopi,
metodi e prospettive d’indagine, dando alla definizione di neuroeconomia un’accezione
meno scientifica. In ogni modo, la definizione implica lo studio del cervello e i suoi
8
impulsi, per comprendere al meglio il decision making dell’uomo. Il cervello umano
quindi si trova al centro dello studio, poiché è l’organo più importante del corpo e da esso
dipendono tutte le funzioni vitali ed intellettive dell’uomo. Per capire e comprendere il
comportamento umano è necessario partire dal funzionamento dell’encefalo e delle sue
funzioni. Al fine di questo, si intuisce quanto sia fondamentale monitorare le reazioni a
determinati stimoli emozionali e riprodurre certe emozioni, nei laboratori di ricerca,
tramite giochi e test.
Nello studio della neuroeconomia i giochi sono una costante, tramite il gioco viene
ricreata nella mente del giocatore l’emozione che va ovviamente a stimolare una parte del
cervello cosi da poter essere registrata tramite macchinari e le informazioni utilizzate per
lo studio. Per quanto riguarda i giochi e le loro teorie, un fautore e studioso da ricordare è
sicuramente John Nash. Il mondo è pieno di valori mutevoli, un costante evolvere di
numeri, dati e forme. Verrebbe, quindi, da rinunciare a trovare, nel caos, una logica o un
metodo che riesca a razionalizzare fenomeni complessi, ma fortunatamente non è così. La
matematica, e le altre scienze esatte, sono in grado di fornire numerosi modelli e teorie
atte a catalogare, almeno in parte, la realtà, e i giochi sicuramente contribuiscono a
semplificarla e ridurla. Per meglio esprimere il concetto riportiamo le parole, di un
collega di Nash, Peter Ordeshook, (Kunh e Nasar 2002):
« Il concetto di “Equilibrio di Nash" è sicuramente l'idea più importante nella teoria dei
giochi, per quel che riguarda i giochi non cooperativi. Se analizziamo le strategie di
elezione dei candidati, le cause della guerra, la manipolazione degli ordini del giorno
nelle legislature, o le azioni delle lobby, le previsioni circa gli eventi si riducono ad una
ricerca di o ad una descrizione degli equilibri. Detto in altri termini e banalizzando, le
strategie d’equilibrio sono tentativi di predizione circa il comportamento della gente. »
La ricerca di risposte a quesiti che investigano sulle possibili reazioni di una persona o
entità (il mercato finanziario) soggetta ad un’azione esterna, o la possibilità di predire un
comportamento, o quale comportamento abbia maggior probabilità di accadimento o
domande simili, in generale, volte alla previsione di un effetto come risposta ad una causa
nota, consentono a chi se le pone di godere di una posizione di vantaggio scaturita dalla
conoscenza del futuro. Con i giochi quindi ricreiamo nella mente il macro che non
9
potrebbe essere analizzato e assimilato diversamente, se non ridotto a misura d’uomo e
tramite di essi creiamo una base e un supporto per le risposte che la neuroeconomia cerca
di spiegare. Abbiamo, a questo punto, come nella teoria di Nash descritta da Peter
Ordeshook, un oggetto di studio, composto da una parte razionale, assoluta e scientifica
data dall’origine tecnica degli esperimenti osservati in laboratorio e, da una parte non
controllabile e relativa non solo data dalle variabili ambientali ma dalla matrice umana
stessa del giocatore; e la previsione delle risposte tramite le strategie di equilibrio (giochi)
in questo caso suscita motivatamente grande curiosità e interesse.
Si capisce, quindi, quanto sia da considerare superata la figura teorizzata dall’economia
classica dell’homo oeconomicus. Essa aveva formulato il principio per cui l’uomo era
pura razionalità nelle scelte economiche e che avrebbe dovuto prendere oltre alla
massimizzazione della sua utilità, l’interesse esclusivo per se stesso: quindi totalmente
amorale. La critica però, viene rivolta all’impossibilità di prendere delle decisioni
massimizzanti in situazioni di incertezza e rischio come quelle in cui ci si trova; poiché
gran parte delle decisioni economiche sono caratterizzate da incertezza. L’idea, quindi,
di un uomo in grado ad ogni istante di calcolare freddamente l’ottimizzazione della
funzione di utilità a partire dalle circostanze non è realmente attuabile. A forza di questo,
riassumendo un concetto di Herbert Simon (1982) in cui la conoscenza perfetta non è
realizzabile e che ogni attività economica implica un certo rischio. Oltre a queste critiche
che sono anche le più dirette si aggiungono anche critiche di sociologi e psicologi che
definiscono l’uomo un animale sociale che cerca e tende all’interazione con i suoi simili,
instaurando legami affettivi e creando rapporti che non sono ammessi nella teoria poco
realistica dell’homo oeconomicus.