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Introduzione
Il presente lavoro intende analizzare la tematica dell’orientamento
professionale in rapporto alla disabilità. Nonostante al nostro Paese venga
riconosciuto il merito di aver scelto il modello dell’integrazione e di aver
previsto, a riguardo, una serie di supporti legislativi e normativi a proposito
dell’orientamento e dell’inserimento lavorativo delle persone disabili, non
sono poche le difficoltà che devono essere ancora risolte e le iniziative che
devono essere intraprese affinché sia garantita anche a queste persone
un’occupazione professionale e una partecipazione alla vita sociale.
In una società come la nostra poi, dove vengono richieste abilità
sempre più specialistiche, l’integrazione dal punto di vista professionale
risulta essere particolarmente difficile, anche se le leggi del nostro Paese
forniscono supporti validi per la facilitazione dei rapporti tra datori di
lavoro, agenzie e servizi che si occupano di riabilitazione ed inserimento
lavorativo.
La presente ricerca si articola in due parti.
La prima parte di carattere teorico si sofferma ad analizzare i diversi
aspetti che caratterizzano la disabilità in relazione con il lavoro e
l’orientamento professionale; in particolare vengono descritte le principali
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dimensioni psicologiche dell’orientamento (considerate e analizzate nella
seconda parte) e le varie fasi di cui si compone un percorso di orientamento
per persone che sperimentano una condizione di disabilità.
La seconda parte del lavoro ha carattere sperimentale e illustra i
risultati di una ricerca volta ad analizzare alcune variabili psicologiche
dell’orientamento in un campione di studenti universitari disabili
appartenenti all’Ateneo catanese.
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I. Lavoro, disabilità e orientamento professionale
L’Italia è una Repubblica democratica
fondata sul lavoro.
Art.1 Costituzione Italiana
Il termine lavoro ha subito un cambiamento di significato durante il
corso della storia. Infatti la parola lavoro proviene dal latino “labor” che
significa “sforzo”, “fatica” e che quindi assumeva un significato negativo.
Il lavoro era un’attività svolta dagli schiavi, che venivano paragonati agli
animali e in quanto tali dovevano svolgere le attività che richiedevano
fatica e sforzo, mentre era rifiutato dagli uomini di alto livello che
privilegiavano l’ozio.
Con l’evoluzione sociale e civile il termine acquisisce via via un
significato diverso passando dall’epoca cristiana-protestante che diede un
valore positivo al lavoro considerandolo come riscatto dell’uomo sulla terra
e mezzo attraverso il quale avvicinarsi a Dio, alla più moderna concezione
marxiana dove il lavoro viene inteso come un valore, esso infatti vuol dire
“produrre”, “creare” e quindi esprime la parte migliore dell’uomo (Bellotto,
1997).
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Oggi il lavoro ha assunto diverse funzioni:
• Economica;
• Di sviluppo soggettivo;
• Relazionale;
• Sociale.
Queste funzioni assumono un valore diverso a seconda
dell’importanza che ogni singolo individuo gli dà (Bellotto, 1997): vi è
dunque un valore intrinseco del lavoro, cioè quando quest’ultimo è
stimolante e sviluppa la nostra creatività, e uno estrinseco, ovvero quando
esso dà sicurezza, benessere, guadagno (Sarchielli, 2003). Ognuno di noi
attribuisce a tale concetto un’importanza diversa, e ciò dipende dal rapporto
che si ha con altri ruoli che l’uomo ricopre all’interno della società.
1.1 Le persone disabili e il mondo del lavoro
Cosa si intende per disabilità? La definizione che viene suggerita
dall’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) è la seguente: “nel contesto
delle conoscenze e delle esperienze sanitarie si intende per disabilità
qualsiasi restrizione o carenza (conseguente a una menomazione) della
capacità di svolgere un’attività nel modo o nei limiti ritenuti normali per
un essere umano” (Soresi, 1998, p.26).
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In Italia “sulla base dell’ultimo censimento, a detta dell’Istat,
sarebbero presenti almeno 2milioni e 615mila persone disabili, pari al 5%
circa della popolazione. Si tratta sicuramente di una sottostima del
fenomeno dal momento che non sono qui compresi i bambini di età
inferiore ai sei anni, né coloro che non vivono in famiglia” (Soresi, 2003,
p.10).
Da questi dati si può rilevare che il sesso più colpito è quello
femminile con il 66% di persone disabili e più del 74% di persone che
hanno un’età superiore ai 65 anni. Inoltre vi sono delle differenze tra Nord
e Sud Italia, infatti mentre al Nord la presenza di disabili viene stimata
intorno al 4%, nel Sud e nelle isole essi rappresentano il 6% della
popolazione.
Le tipologie di disabilità sono diverse, anche se le più frequenti sono
rappresentate da varie forme di confinamento individuale, disabilità relative
ad alcune funzioni vitali, disabilità motorie e sensoriali (Soresi, 2003).
Diversi studi hanno messo in risalto la qualità di vita delle persone con
disabilità, in termini di soddisfazione percepita riguardo la propria
condizione di salute, affettiva, sociale, professionale. Il primo aspetto
risulta avere valore negativo in quanto il 53,5% degli intervistati considera
il proprio stato di salute cattivo, e in corso di peggioramento man mano che
si invecchia. Il secondo aspetto, ovvero quello affettivo,vede una
percentuale di uomini celibi elevata (83%) nei confronti del 59,6% delle
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donne nubili. Anche il terzo aspetto riporta dati non positivi in quanto le
relazioni sociali di tali individui risultano essere poche e con l’avanzare
dell’età i rapporti sociali si fanno sempre minori. Da non sottovalutare
inoltre che ancora oggi sussistono pregiudizi e stereotipi nei loro confronti,
nonostante negli ultimi anni siano aumentate le strutture che possono
garantire una migliore integrazione sociale.
La psicologia sociale ha studiato questi “fenomeni di distacco” che si
verificano nelle interazioni tra persone con disabilità e non. In particolare
sono tre gli effetti riscontrabili:
• Effetto priorità: ovvero la “prima impressione”. Difatti quando
si incontra qualcuno per la prima volta si ha sempre una “prima
impressione” su di lui, in base alle informazioni che riusciamo
a percepire, e che difficilmente sono modificabili nel tempo.
• Effetto similarità: le persone si scelgono tra di loro in base a
delle caratteristiche che si hanno in comune.
• Effetto spettatori: in occasione di aiuto o assistenza, la presenza
di più persone tende a bloccare più che sbloccare l’azione di
sostegno (Soresi, 1998).
Infine l’ultimo aspetto riguarda l’inserimento delle persone con
disabilità nel mondo del lavoro. Anche questo punto presenta aspetti
negativi in quanto i dati mostrano che “le persone disabili effettivamente
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occupate non raggiungono le 150mila unità, pari al 21% di quelle in età
lavorativa, […] contro il 54,6% dei loro coetanei senza disabilità. Inoltre,
considerando quelle aventi un’età compresa tra i 15 e i 44 anni, si constata
che i maschi occupati sono circa il 32%, contro quasi il 70% dei maschi
non disabili, che le donne con disabilità sono decisamente meno inserite
degli uomini […] e che il divario che registrano in rapporto alle loro
coetanee non disabili è ancora più consistente (18,3% vs 45,6% nella classe
di età 15-44)” (Soresi, 2003, p.19). Di fronte a questi dati, viene quasi
naturale pensare a quanta difficoltà abbiano queste persone ad inserirsi nel
mondo del lavoro. La disoccupazione costituisce oggi uno dei principali
problemi che riguardano la società italiana (e non solo): tuttavia per coloro
i quali si trovano in situazioni “peculiari” la questione assume certamente
proporzioni più vaste. Dati allarmanti dunque, considerando soprattutto il
fatto che il lavoro contribuisce alla formazione di una propria identità
personale, sia in quanto mezzo attraverso il quale si provvede ai propri
bisogni, sia in quanto mezzo per esprimere le proprie capacità e abilità
creative (Soresi, Nota, Sgaramella, 2003).
1.2 Le leggi per il diritto al lavoro dei disabili
Nel 1968 venne varata in Parlamento la legge n.482 conosciuta come
“Legge sul collocamento obbligatorio degli invalidi”.
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Questa legge prevede che le aziende sia pubbliche che private che
hanno un minimo di 35 dipendenti abbiano l’obbligo di assumere il 15% di
persone con disabilità.
Dieci anni dopo, nel 1978 viene emanata una seconda legge, la n.180,
conosciuta come “Legge Basaglia” che prevede la chiusura dei manicomi,
considerando servizi e strutture adeguate per l’integrazione sociale. Dopo
molti anni arriva una nuova legge, la n. 68 del 1999, “Norme per il diritto
al lavoro dei disabili”, la quale rivoluziona i contenuti della 482 del 1968.
I principali punti d’innovazione sono i seguenti:
− i contenuti della legge si applicano a disabili fisici, psichici e
sensoriali;
− viene abbassato il limite d’assunzione, sia per le aziende
pubbliche che per quelle private;
− compare il concetto di “collocamento mirato” che prevede
strumenti adatti a valutare le persone con disabilità e le loro
competenze;
− vengono introdotte pesanti sanzioni economiche in caso di
mancata osservanza della legge;
− vengono elargiti incentivi per i datori di lavoro che assumono
un disabile con oltre l’ 80% d’invalidità.
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La più grande novità introdotta da tale legge è l’uso del “collocamento
mirato”: infatti attraverso una "serie di strumenti tecnici e di supporto che
permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro
capacità lavorative e di inserirle nel posto di lavoro adatto, attraverso
analisi dei posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzione di
problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni
interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione" è possibile
valutare e scegliere per la persona con disabilità il posto di lavoro più
adatto per lei. Tale approccio permette di integrare nel mondo del lavoro
queste persone agli stessi livelli di produttività degli altri lavoratori.
1.3 Le attività di orientamento professionale
Con il termine orientamento si intende “il processo che la persona
mette in atto spontaneamente per gestire il proprio rapporto con
l’esperienza formativa e lavorativa e, quindi, l’azione professionale che
viene erogata da esperti per supportare in modo positivo la capacità di far
fronte a questo processo da parte del soggetto” (Pombeni, 1990, p.9).
L’attività di orientamento è andata via via trasformandosi nel corso
della storia, trasformazione dovuta ai cambiamenti socioeconomici della
società e del lavoro. Quest’ultimo infatti fino al XIX secolo veniva
tramandato da padre a figlio, quindi l’orientamento veniva svolto più a