INTRODUZIONE
I numeri e i ritmi dell’andamento demografico evidenziano che viviamo in un mondo
sempre più interconnesso e multiculturale. Anche in Italia la presenza di persone
immigrate è in forte aumento e questo implica una ripercussione su ogni sfera del vivere
quotidiano, su quella sociale, politica ma anche, ed in particolar, su quella sanitario-
assistenziale in quanto l'immigrato, soprattutto quello proveniente dal sud del mondo,
nonostante l'iniziale effetto migrante sano, è una persona estremamente esposta alle
patologie. Più immigrati significa dunque, diversi e nuovi bisogni assistenziali, che la
medicina e l’ infermieristica non possono ignorare. L’assistenza infermieristica assume, in
base a queste considerazioni, una rilevanza notevole dal momento che si fa carico di
erogare un’assistenza individualizzata e personalizzata ai sempre più numerosi utenti
provenienti da culture “altre”. Infatti, la scienza che si occupa di assistere l’uomo nel suo
continuum salute-malattia è strettamente interconnessa con i bisogni più profondi ed
essenziali dell’essere umano. Le dimensioni della struttura fisiologica (mangiare, bere,
respirare, eliminare), della struttura sociale (sistema politico, fattori economici, fattori
politici) e di quella culturale (valori, credenze, stili di vita) non possono più essere
separate se si vuole assistere la persona secondo un approccio complesso dove l’utente
riacquisti quella centralità nei confronti del mantenimento del più alto livello di salute
possibile.
Pertanto, l’assistenza infermieristica deve esprimere più che mai la sua valenza
transculturale - o meglio interculturale, attraverso risposte soddisfacenti ai bisogni
espressi dall’alterità-straniera.
La conoscenza della teorie dell'infermieristica transculturale di Madeleine Leininger
consentono, dunque, all’infermiere di prendere coscienza delle diversità culturali proprie
di ogni persona al fine di interpretare accuratamente il comportamento del cliente sano o
malato.
Date queste premesse, la presente tesi intende realizzare, nella prospettiva pedagogica,
un’indagine sia bibliografica che conoscitiva sul tema dell’infermieristica transculturale.
La tesi è strutturata in quattro capitoli. Il primo analizza la situazione immigratoria
italiana alla luce del nuovo dossier statistico sull’immigrazione della Caritas Italiana del
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2007; il secondo fa riferimento al processo evolutivo della professione infermieristica con
un’attenzione particolare al pensiero e alla teoria dell’infermieristica transculturale di
Madeleine Leininger. Nel terzo capitolo, viene trattato da un punto di vista pedagogico,
l'interazione tra l'infermiere e l'utente straniero, ovvero cio’che caratterizza, con i suoi
elementi di arricchimento ma anche di criticità, l' incontro tra due soggetti portatori di due
culture diverse.
L’elaborato presenta, nella parte finale, la sintesi di un’indagine conoscitiva realizzata ai
fini di valutare i suddetti elementi, le difficoltà e i bisogni che caratterizzano la relazione
tra infermiere ed utente straniero nella pratica assistenziale. Tale indagine, realizzata con
l’ausilio di un questionario costruito “ad hoc”, ha avuto come campione gli infermieri di
9 Unità Operative (Gastroenterologia, Medicina Interna, Chirurgia Vascolare, Chirurgia
d’Urgenza, Pronto soccorso, Pronto soccorso Pediatrico, Diabetologia) del Policlinico
Universitario S. Orsola di Bologna.
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CAPITOLO 1
IL FENOMENO MIGRAZIONE OGGI
1.1. Aspetti generali La storia dell’uomo è strettamente associata allo spostarsi da una regione all’altra, al
migrare. La spinta alla mobilità territoriale e alla colonizzazione di nuovi spazi va
considerata una caratteristica della nostra specie, la cui riuscita dipende dalla capacità
dell’uomo d’adattarsi socialmente e culturalmente ai nuovi ambienti, superando i limiti e
la lentezza dell’adattamento biologico cui sono costrette le altre specie animali.
Grandi flussi migratori hanno sempre accompagnato la storia dell’uomo, l’hanno
modificata fornendo spinte spesso innovatrici in campo sia culturale che sociale. Sulle
cause dei movimenti territoriali esiste una letteratura vastissima. In termini generali la
causa di fondo può essere ricondotta alla ricerca di un migliore equilibrio fra l’individuo
e il suo “spazio” personale, familiare, economico, politico e culturale. Nella dinamica dei
flussi migratori, sociologi e demografi generalmente si distinguono due tipi di forze
fondamentali che agiscono in modo complementare:
1) fattori di espulsione dai paesi di esodo (push factors)
2) fattori di attrazione esercitati dal paese d’approdo (pull factors)
I fattori di espulsione dai paesi di esodo sono essenzialmente connessi a:
- peggioramento delle condizioni di vita;
- incremento demografico;
- situazione politica di oppressione, guerra, dittatura;
- catastrofi ambientali;
- diffusione dei modelli di vita occidentali.
I fattori di attrazione nei paesi d’approdo consistono in:
- aspettative culturali (benessere, libertà);
- migliori possibilità economiche;
- richiesta di manodopera;
- ricongiungimento familiare.
Altri fattori che assumeranno un ruolo sempre più importante nel guidare i flussi
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migratori sono:
3) i fattori di sceltae cioè quegli aspetti che l’immigrato potrebbe soppesare nello
scegliere un paese piuttosto che un altro, come ad esempio:
- norme più o meno restrittive in materia di controllo dell’immigrazione;
- presenza di una grossa comunità di propri connazionali;
- clima e ambiente;
- accettazione sociale dello straniero.
Le nuove migrazioni sono connotate da un carattere di spontaneità/incontrollabilità
con
cui il fenomeno si manifesta: non più un’importazione più o meno programmata di
manodopera, ma una spontanea, disperata risposta a problemi derivanti dal nuovo ordine
economico mondiale, responsabile dei crescenti squilibri tra Nord e Sud del pianeta. A
prevalere sembrano essere sempre più i cosiddetti fattori di espulsione (push factors) su
quelli di attrazione (pull factors), come dimostra il fatto, altrimenti paradossale, che
l’immigrazione si sia estesa ai Paesi del sud Europa (Italia, Grecia, Spagna e Portogallo)
proprio in una fase di recessione economica di questi ultimi, quando il problema
occupazionale iniziava a preoccupare gli stessi lavoratori locali. Ciò a dimostrazione di
quanto poco questi flussi siano motivati dalle reali opportunità offerte dal mercato del
lavoro dei paesi di approdo. I fattori di espulsione nei paesi d’esodo si ricollegano a un
complesso intreccio di situazioni: demografiche, politiche, economiche, sociali, che
interagiscono tra loro più o meno strettamente. Umberto Melotti parla di crisi epocale del
sud del mondo e afferma: «le aree di provenienza si estendono e finiscono per interessare
quasi tutti i paesi del Terzo mondo, colpiti da una crisi economica senza precedenti e per di più senza alcuna concreta prospettiva di risoluzione a breve o a
medio termine”.
I fattori di espulsione nei paesi d’esodo si ricollegano ad un insieme di
situazioni demografiche, politiche, economiche, sociali che interagiscono tra loro. In
particolare l’esplosione demografica si accompagna a peggioramento delle condizioni di
vita di gran parte della popolazione minacciata da guerre, carestia, epidemie ed instabilità
politiche. Da non trascurare il ruolo esercitato dai media che svolgono una funzione
fondamentale nella rappresentazione del mondo. Ogni giorno migliaia di notizie
bombardano, sconvolgono, stupiscono, deludono, interessano i cittadini del mondo; stili
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di vita e modelli culturali si intersecano determinando scelte individuali e collettive che
modificano assetti sociali consolidati. Così è accaduto che le "notizie" dell'occidente
opulento innescassero il moto apparentemente inarrestabile dell'immigrazione. Uomini e
donne cercano il loro "altrove" lasciando terre segnate dalle guerre civili e dalla povertà; i
giovani guardano la tv e scoprono il luccichio del nord del mondo, percepiscono “tenori
di vita” diversi, società apparentemente pronte all'accoglienza. Come visto
precedentemente, i parametri dei flussi migratori cambiano continuamente e ciò comporta
che non possono e non devono essere previste risposte standard sul piano legale ed
amministrativo ma si deve sempre prestare attenzione a ciò che il movimento migratorio
può significare economicamente, politicamente, socialmente nonché umanamente sia per
gli immigrati sia per l’impatto sul paese ospite. Nel mondo in questo momento vi sono
191 milioni di immigrati, di cui 20 milioni richiedenti asilo o rifugiati, ai quali si
aggiungono, secondo stime, 30-40 milioni in situazione irregolare e 600-800 mila
persone vittime della tratta.
1.2. Breve storia dell’immigrazione in Italia L’Italia, quale Paese di immigrazione, ha una storia molto recente, risalente agli anni
settanta, periodo in cui i Paesi del Nord Europa, mete storiche dell’immigrazione,
iniziano ad applicare politiche di forte chiusura delle frontiere e di repressione. Negli anni
che vanno dal 1870 al 1970, con le sole interruzioni dei due conflitti mondiali, l’Italia è
stata Paese di emigrazione, contribuendo con le sue risorse umane allo sviluppo delle
economie capitalistiche ed al decollo di alcuni Paesi del Sud America. Negli anni
Sessanta, grazie allo sviluppo economico e all’industrializzazione, dopo una fase di
migrazioni interne dal Sud al Nord del Paese, l’Italia ha avuto la necessità di importare
manodopera. Entrare a far parte della rosa dei luoghi di destinazione dei movimenti
migratori in corrispondenza con la chiusura delle frontiere di altri Paesi, non è un evento
privo di conseguenze. Per questo molti sostengono che non sia stato tanto il bisogno di
manodopera straniera e, quindi, l’accresciuta offerta lavorativa, ad attirare i flussi
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migratori verso l’Italia, quanto piuttosto la chiusura delle frontiere degli Stati
storicamente interessati all’immigrazione. Proprio il fatto che questo cambiamento di
direzione dei flussi migratori si sia avuto nelle suddette circostanze ha fatto sì che le
politiche italiane per l’immigrazione siano nate, conformandosi a quelle prodotte nello
stesso periodo dagli altri Stati, sotto il segno della repressione. Fino agli anni Settanta
l’atteggiamento nei confronti degli immigrati era stato di sostanziale indifferenza; essi
erano circa 300.000 e provenivano, nella maggioranza dei casi, da altri Paesi Europei. È
negli anni Ottanta che si ha una maggiore presa di coscienza del “fenomeno” ed è nel
1981 che l’Italia ratifica la convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui
lavoratori migranti, che risale al 1975, focalizzando l’attenzione solo sulle questioni
lavorative e tralasciando di creare una regolamentazione circa il soggiorno e la
permanenza degli immigrati sul territorio italiano. Dai primi anni ’80 l’Italia diventa
quindi, uno dei poli preferenziali d’immigrazione sia per la mancanza di un’adeguata
politica di controllo e di pianificazione dei flussi, sia perché comincia ad esserci in una
domanda di lavoro per occupazioni umili più o
meno rifiutate dagli autoctoni; tutto ciò va connesso al fatto che un numero sempre
maggiore di datori di lavoro hanno avuto ed hanno possibilità ed interesse ad impiegare a
basso costo e senza alcun intervento previdenziale, forza lavoro non tutelata né tutelabile
in quanto clandestina. I trafficanti di manodopera canalizzano per vie illegali il bisogno di
emigrare; questo tipo di traffici coinvolge varie associazioni illegali a livello mondiale.
All’interno dei traffici di manodopera vi sono anche quelli di sfruttamento per fini
sessuali. La situazione cambia nel decennio che va dalla metà degli anni Ottanta alla metà
degli anni Novanta, quando si comincia a parlare di emergenza immigrazione, con un
discorso che anticipa ed in qualche modo prepara i provvedimenti restrittivi voluti nel
1995 dal governo di centro-destra, allora alla guida del Paese, che prevedevano un
inasprimento della normativa in materia di espulsioni. Soltanto con molta gradualità
l’assetto normativo riesce a superare la logica dell’emergenza, quando, nel 1998 il
Parlamento approva la cosiddetta “legge Turco-Napolitano” (L. 6 marzo 1998, n. 286)
per affrontare le diverse questioni poste dall’immigrazione con un’impostazione organica
che consenta di superare i limiti dei provvedimenti precedenti. Le linee generali della
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politica migratoria vengono successivamente consolidate nel “Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero”, sempre del 1998. Questo decreto, che detta i principi generali della materia
resta in vigore fino all’approvazione della “legge Bossi-Fini” nel 2002 (L. 30 Luglio
2002, n. 189). Tale legge, di modifica del testo unico, apporta notevoli innovazioni
caratterizzate da un generale inasprimento delle disposizioni riguardanti il fenomeno
migratorio. Successivamente la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta in tale
materia (con le sentenze 222 e 223 del luglio 2004), abbattendo due pilastri della Bossi-
Fini e costringendo il legislatore ad intervenire (con il decreto legge 14 settembre 2004,
n. 241) per adeguare l’ordinamento giuridico e scongiurare il pericolo di vuoto
normativo.
Il disegno di legge elaborato nei primi mesi del 2007 da Giuliano Amato e Paolo Ferrero
andrà a riformare l'attuale normativa sull'immigrazione intervenendo in particolar modo
sui Centri di permanenza temporanei per stranieri e sul diritto di voto agli immigrati.
Inoltre la programmazione dei flussi di ingresso sarà triennale: dal momento che in Italia
transitano circa un milione di lavoratori ogni tre anni, occorre prevedere un decreto flussi
di pari dimensioni. L’emergenza con cui il fenomeno immigrazione è stato inizialmente
affrontato ha provocato un abbassamento dei limiti di tolleranza sociale nei confronti
della popolazione straniera immigrata, in conseguenza dei notevoli problemi di ordine
pubblico e di sicurezza interna che inevitabilmente essa ha comportato. In realtà, le
fattispecie di reato ascrivibili agli immigrati, spesso illegali, presenti nel territorio
italiano sono espressione di una microcriminalità specialistica, giovanile e metropolitana,
spesso rapportata ai bisogni di una particolare condizione di vita, caratterizzata da
situazioni di marginalità e non inserimento nell’economia legale. L’impressione che gli
immigrati delinquano più degli italiani, avvalorata da esasperazioni giornalistiche e da
utilitarismi elettorali di alcuni schieramenti politici, non è reale dato che i reati di
maggiore gravità e con più gravi conseguenze sociali, come quelli tipici della criminalità
organizzata, restano appannaggio di gruppi nazionali; lo stesso traffico di stupefacenti
vede gli extracomunitari inseriti ai livelli inferiori della “catena”. In generale, si può
affermare che l’Italia è stata caratterizzata da interventi di prima accoglienza e non da
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politiche integrative nel tempo. Attualmente, si è entrati in un periodo in cui le migrazioni
sono al centro delle riflessioni politiche internazionali e si è diffusa la consapevolezza che
l’immigrazione è un fenomeno che continuerà a svilupparsi anche se contrastato con il
rischio che possa degenerare nell’illegalità e possa essere inglobato nei sistemi della
criminalità organizzata, per cui non si può che tendere ad un’integrazione definitiva in
tutti gli aspetti, da quelli riguardanti la dignità degli immigrati a quelli sociali e
demografici.
.L’obiettivo che l’Europa deve prefiggersi è quello di costituire società aperte e
multiculturali per la costruzione della cosiddetta “Europa dei popoli”, in grado di
soppiantare la “Fortezza Europa” operando, allo stesso tempo, un’intensa lotta
all’immigrazione clandestina. In Italia, nazione molto esposta per la sua posizione
geografica, i flussi arrivano principalmente dal Nord-Africa, dai Balcani, dal
Subcontinente Indiano e dall’Estremo oriente e l’anello più debole e più difficilmente
controllabile è costituito dall’Albania. Si sente spesso dire che la presenza degli
immigrati in Italia equivale ad una vera e propria invasione, ma si tratta di una
esagerazione, che i dati statistici non confermano. Si può invece dire che i flussi hanno
acquisito un maggior peso rispetto al passato. L’Italia è oggi al quarto posto in Europa,
dopo Germania, Francia e Gran Bretagna, per la consistenza degli immigrati. Rispetto a
questi paesi il numero di immigrati in Italia rimane comunque ampiamente inferiore, sia
come dato complessivo che come incidenza sulla popolazione residente. Secondo la
Commissione delle Nazioni Unite sulla popolazione e lo sviluppo l’Italia si situa, a livello
mondiale, al sedicesimo posto mentre nei dati Onu precedentemente disponibili l'Italia
non figurava tra i primi 20 Paesi per numero di immigrati.
1.3. La situazione attuale italiana Al 1° gennaio 2007 gli stranieri residenti in Italia sono 2.938.922 (1.473.073 maschi e
1.465.849 femmine). Rispetto all'anno precedente gli iscritti all'anagrafe sono aumentati
di 268.408 unità (+10.1%) incremento è inferiore a quello registrato nei due anni
precedenti, quando l'aumento dei residenti stranieri era stato determinato in larga misura
dagli ultimi provvedimenti di regolarizzazione (Legge n. 189 del 30 luglio 2002, art. 33 e
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Legge n. 222 del 9 ottobre 2002), grazie ai quali numerosi immigrati, già irregolarmente
presenti in Italia, avevano potuto sanare la propria posizione e iscriversi successivamente
all'anagrafe. È del 5,2% l’incidenza degli immigrati sulla popolazione italiana, con 1
immigrato ogni 19 residenti (1 ogni 14 nel Centro e nel Nord Est, 1 ogni 16 nel Nord, 1
ogni 15 nel Centro).
Tra dieci anni si prospetta che l’incidenza sarà raddoppiata e verranno superati i valori
che oggi si riscontrano in Germania e in Austria. Gli immigrati sono diffusi in tutto il
territorio italiano, seppure in maniera differenziata: Nord 59,5%, Centro 27% e
Meridione 13,5%. Le province con il più alto tasso di incidenza della popolazione
straniera sono: Prato 12,6%, Brescia 10,2%, Roma 9,5%, Pordenone 9,4%, Reggio
Emilia 9,3%, Treviso 8,9%, Firenze 8,7%, Modena 8,6%, Macerata e Trieste 8,1%.La
crescita della popolazione straniera residente in Italia è dovuta anche all'aumento dei nati
di cittadinanza straniera (figli di genitori entrambi stranieri residenti in Italia) che nel
2006si traduce in un saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) in attivo di 54.318
unità. Il saldo, pur essendo nettamente inferiore rispetto a quello determinato dai flussi
migratori, è particolarmente significativo soprattutto se contrapposto al bilancio naturale
della popolazione residente di cittadinanza italiana, che risulta invece negativo (-6.912
unità) nel 2006. Dall’esame della struttura per età degli stranieri residenti, emerge una
popolazione piuttosto giovane (con un’età media di soli 30,9 anni) se confrontata con la
popolazione residente nel complesso, composta cioè da cittadini italiani e stranieri (42,5
anni). Oltre un cittadino residente straniero su due ha un’età compresa tra i 18 ed i 39
anni (52,6%); oltre uno su cinque è minorenne (20,9%). Per il resto si registra una
significativa percentuale di adulti di età compresa tra i 40 ed i 64 anni (24,4%), mentre la
percentuale di 65enni e più è relativamente modesta, appena il 2,1% (la popolazione
complessiva al 1° gennaio 2006 è invece così composta: il 17,1% nella classe dei
minorenni; il 30,4% nella classe dei 18-39enni; il 33,1% nella classe dei 40-64enni; il
19,5% 65enni e più). La prima nazionalità per residenza anagrafica dei migranti in Italia è
l'Albania (con 348.813 persone), seguita dal Marocco (con 319.537 persone), la Romania
(con 297.570), l'Ucraina (con 107.118) e la Cina (con 127.822) .Tra le motivazioni della
presenza in Italia, il 29,3% dichiara motivi familiari, mentre il 62,6% parla di lavoro. A
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