1 1. Introduzione
1 Introduzione
La storia moderna offre numerosi esempi
1
di come, sempre più frequentemente,
i fallimenti degli intermediari finanziari siano dovuti ad eccessive ed
incontrollate esposizioni nei confronti di creditori che versano in situazioni di
straordinaria difficoltà. Le complicate vicende che negli anni più recenti
2
hanno
colpito i mercati finanziari, provocando dapprima la caduta dei “colossi”
americani nel campo dell’intermediazione finanziaria ed in seguito uno
strascico di gravi conseguenze che hanno travolto l’intera economia mondiale,
infatti, dimostrano come il rischio di credito occupi senza dubbio un ruolo di
primo piano tra le varie cause scatenanti della crisi.
In effetti, gli episodi che si sono susseguiti dal 2007 ad oggi, hanno
profondamente inciso sulle economie dei diversi Paesi ed in particolare sul loro
sistema finanziario. Per quanto riguarda le banche, infatti, la maggiore
attenzione al rischio di credito delle controparti ed il credit crunch, ovvero
l’improvviso inasprimento dei criteri relativi all’offerta di credito, ha provocato
notevoli cambiamenti nella composizione stessa dei bilanci degli intermediari
1
Basti pensare ai fallimenti di Enron e Worldcom nel 2002 in America ma anche ai casi Cirio e Parmalat
in Italia tra il 2003 ed il 2004, per poi arrivare alla recente crisi del 2007.
2
Si fa riferimento alla crisi finanziaria che si è sviluppata a partire dal 2007 negli Stati Uniti ed ha
condotto a fallimenti eccellenti, quali il crollo di Lehman Brothers nel settembre 2008, nonché a
pericolose conseguenze per le principali economie globali.
2 1. Introduzione
finanziari. In particolare in Italia, l’attività di finanziamento al settore privato da
parte delle banche (Figura 1-1), per i motivi appena esposti, si è fortemente
ridotta negli anni immediatamente successivi allo scoppio della crisi.
Figura 1-1: Evoluzione del credito al settore privato da parte delle banche (2006-2011)
Fonte: Banca d’Italia (2011)
A partire dal 2010 si è assistito comunque ad un miglioramento della
situazione, con un aumento di tale attività sia per i grandi gruppi bancari che
per le banche minori (Figura 1-2).
Figura 1-2: Prestiti bancari per gruppo dimensionale di banca (2005-2011)
Fonte: Banca d’Italia (2011)
Oltre ad un netto rallentamento nell’attività di finanziamento, negli ultimi anni
si è assistito ad un pesante deterioramento della qualità del credito, dovuto
3 1. Introduzione
principalmente ad un aumento delle sofferenze nei bilanci degli intermediari
(Tabella 1-1).
Tabella 1-1: Qualità del credito erogato dai 5 maggiori gruppi bancari italiani
Fonte: Banca d’Italia (2011)
La Figura 1-3, a tal proposito mostra l’andamento del “tasso di ingresso in
sofferenza”, calcolato come rapporto tra i prestiti in sofferenza e gli impieghi
complessivi
3
, dell’intero sistema bancario italiano.
Figura 1-3: Andamento tasso di ingresso in sofferenza per le banche italiane (1990-2011)
Fonte: Banca d’Italia (2011)
Per i motivi appena esposti, oggi è sempre maggiore la richiesta di strumenti e
modelli atti a valutare in maniera efficace il rischio di credito delle controparti
3
Banca d’Italia, (2011), Rapporto sulla stabilità finanziaria, Novembre 2011, n. 2, p. 38.
4 1. Introduzione
con cui le banche e gli altri intermediari finanziari si trovano a concludere
molteplici e sempre più complesse operazioni.
Attualmente il ventaglio di modelli per la stima del rischio di credito, dunque
della probabilità di default, dei creditori è abbastanza ampio, tuttavia,
nonostante la varietà, frequentemente tali modelli non risultano
sufficientemente adeguati a fronteggiare le complicate circostanze che
caratterizzano numerose economie, in primo luogo quella italiana, in questo
difficile momento. Infatti, oltre a notevoli vantaggi, essi presentano spesso
considerevoli difetti, che in alcuni casi possono andare ad inficiare il risultato
stesso al quale si è giunti e quindi generare stime distorte con ripercussioni più
o meno gravi sull’economia.
Lo scopo di questa trattazione è quello di fornire un quadro dettagliato di due
delle tipologie più utilizzate, nell’ambito dei modelli di valutazione del rischio
di credito, sottolineandone la metodologia adottata e gli aspetti positivi e
negativi.
In particolare, dopo una prima parte teorica, nella quale si andranno a chiarire i
concetti fondamentali relativi alla definizione, alle componenti e alle principali
tipologie di rischio di credito (nel Capitolo 2) nonché ai principali aspetti
regolamentari ad esso inerenti (nel Capitolo 3), verranno presi in esame:
i modelli di scoring (nel Capitolo 4), i più diffusi per la valutazione del
rischio di credito, che utilizzano un metodo statistico per stimare la
probabilità di default. In maniera specifica nell’elaborato verranno
trattati il modello dell’analisi discriminante lineare, il modello basato
sullo Z-score di Altman ed i modelli di regressione per i quali, in seguito
ad un’esposizione puramente teorica della tecnica adottata, verrà
condotta un’applicazione pratica relativa ad un campione scelto di
5 1. Introduzione
imprese, quindi una successiva valutazione dei risultati ottenuti e dei
pregi e difetti legati al modello;
i modelli basati sul mercato dei capitali (nel Capitolo 5), i quali hanno
trovato applicazione soprattutto negli anni più recenti, con particolare
attenzione al modello di Merton e a quello di KMV, per i quali verrà
portata avanti una trattazione simile a quella precedentemente enunciata
per l’altra classe di modelli.
Infine verranno rivalutati gli approcci esposti alla luce del drammatico
contesto economico in cui attualmente si trovano la maggior parte delle
economie mondiali ed inoltre saranno elencati i principali interventi
normativi che mirano ad evidenziare l’importanza del rischio di credito nei
mercati finanziari ed in particolare la sua corretta valutazione.
6 2. Il rischio di credito
2 Il rischio di credito
2.1 Definizione
Il rischio di credito può essere definito come “la possibilità che una variazione
inattesa del merito creditizio di una controparte generi una corrispondente variazione
inattesa del valore corrente della relativa esposizione creditizia”
4
.
In questa definizione sono impliciti alcuni concetti di fondamentale importanza
che è interessante chiarire:
la variazione inattesa del merito creditizio può manifestarsi in seguito
all’insolvenza del debitore, in questo caso si parlerà di default-made
paradigm e di vero e proprio rischio di insolvenza, oppure in seguito al
deterioramento del merito creditizio della controparte (downgrading),
trattando l’insolvenza come evento estremo, in tal caso si farà riferimento
al mark-to-market paradigm e al rischio di downgrading (o di migrazione);
affinché si possa configurare un rischio, la variazione della posizione
creditizia deve essere inattesa. In effetti, la banca monitora costantemente
l’evoluzione attesa delle condizioni economico-finanziarie dell’affidato,
in maniera da stimare, nel modo più corretto possibile, le probabilità
4
Resti A. & Sironi A., (2008), Rischio e valore nelle banche, Milano, Egea, p.351.
7 2. Il rischio di credito
d’insolvenza e il tasso attivo da applicare al prestito. La vera parte di
rischio, dunque, deriva da un deterioramento non previsto del merito
creditizio e per questo inatteso;
il concetto di rischio di credito non si limita agli impieghi “classici” di
una banca, quali i titoli di Stato, in particolare quelli emessi dai Paesi
Emergenti, i titoli di debito emessi da Enti pubblici, le obbligazioni
emesse da società private, i finanziamenti alle aziende, i mutui e in
generale il credito al consumo; ma deve essere esteso anche alle posizioni
fuori bilancio, ossia strumenti derivati trattati nei mercati Over The
Counter (per i quali si parla di rischio di controparte) e regolamentati
(sebbene in questo caso il rischio di credito sia molto meno rilevante), i
titoli derivati la cui attività sottostante comporta rischio di credito (come
opzioni emesse su obbligazioni) e i derivati creditizi (contratti che
consentono di trasferire il rischio di una determinata attività dal soggetto
che acquista la protezione, a quello che la vende).
il problema delle posizioni off-balance deriva dal fatto che queste spesso
sono iscritte in bilancio al valore storico e non al valore corrente (o fair
value, definito come “il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere
scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione tra parti
consapevoli e disponibili"
5
) ed inoltre, sovente tali esposizioni riguardano
attività illiquide, che non hanno un mercato secondario sviluppato, il cui
valore corrente può essere solo stimato approssimativamente in base a
modelli interni di asset pricing
6
.
5
Regolamento (CE) N. 2237/2004 (2004), Principio Contabile Internazionale IAS n. 16, par. 6.
6
Cfr. Resti A. & Sironi A., Op. Cit., pp. 351-353.
8 2. Il rischio di credito
2.2 Componenti
Avendo definito il rischio di credito come la possibilità che una variazione
inattesa del merito creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste
un'esposizione, generi una corrispondente variazione inattesa del valore del
credito, è naturale pensare che il prestatore di fondi sia tenuto a monitorare
costantemente la situazione economico-finanziaria della controparte, in modo
da stimare l’eventuale perdita attesa, che non costituisce rischio, e distinguerla
dalla perdita inattesa, la vera e propria fonte di rischio.
2.2.1 Perdita attesa (EL, expected loss)
Per perdita attesa (expected loss, EL) si intende “il valore medio della distribuzione
delle perdite che un’istituzione creditizia si attende di subire su un portafoglio
prestiti”
7
; sostanzialmente essa rappresenta la perdita, dunque il costo, che
l’istituzione si attende (ex-ante) di dover sostenere a fronte dell’esposizione
creditizia.
In particolare per ogni posizione in portafoglio vengono quantificate tre
grandezze:
la probabilità di insolvenza (default probability – PD);
il tasso di perdita in caso di insolvenza (loss given default – LGD), cioè la
percentuale dell’esposizione che si prevede di non riuscire a recuperare
(equivale al complemento a uno del tasso di recupero atteso, RR, recovery
rate);
7
www. portalino.it, Rossi Mariano, (2003), Perdita attesa, perdita inattesa e diversificazione.
9 2. Il rischio di credito
l’esposizione in caso di insolvenza (exposure at default – EAD), data
dall’esposizione corrente più la variazione attesa della dimensione del
prestito da oggi fino al momento del possibile default.
Combinando questi tre elementi si ottiene la perdita attesa riferita alla singola
posizione:
[2.1]
La perdita attesa è dunque una componente conosciuta, da non considerare
come rischio, poiché è già incorporata nelle aspettative della banca.
2.2.1.1 PD (default probability)
La probabilità di default (PD) può essere definita come la rischiosità della
controparte destinataria dell’esposizione. In generale si possono seguire due
approcci differenti per stimare le PD: nel primo le probabilità di default
vengono calibrate sui dati di mercato (come ad esempio le expected default
frequencies, EDF, nel modello di KMV, che sarà oggetto di analisi nelle pagine
successive); nel secondo invece esse vengono calibrate sulla base dei rating
creditizi, formulati da agenzie specializzate, quali Moody’s, S&P e Fitch, oppure
dalla banca stessa (mediante rating interni), assegnando ad ogni classe di rating
una corrispondente PD
8
.
8
Cfr. Nardon M., (2004), Un’introduzione al rischio di credito, Venezia, Università Ca’ Foscari, pp. 5-6.
10 2. Il rischio di credito
2.2.1.2 LGD (loss given default)
La LGD rappresenta la perdita che la banca subisce a fronte dell’esposizione
quando la controparte diventa insolvente, essa non è mai nota ex ante, ma si
manifesta solo quando l’operazione è conclusa.
In formule è possibile identificare la LGD come:
[2.2]
dove indica il cosiddetto recovery rate (tasso di recupero).
Tabella 2-1: Principali determinanti del tasso di recupero
Tipologia di fattori Fattore Impatto su...
Caratteristiche
dell’esposizione
Garanzie reali
Garanzie di
subordinazione
Garanzie personali
Ammontare recuperato
Caratteristiche del
debitore
Settore
Paese
Ratios di bilancio
Possibilità di trovare
un compratore per
l’impresa insolvente
Durata del processo di
recupero
Ammontare recuperato
Fattori interni alla
banca
Velocità ed efficienza
del processo di
recupero
Cessione di crediti in
contenzioso e utilizzo
di procedure
stragiudiziali
Importo recuperato e
durata del processo
Fattori esterni di tipo
macroeconomico
Stato del ciclo
economico
Livello dei tassi
d’interesse
Ammontare recuperato
Valore attuale dei
recuperi
Fonte: Resti A. & Sironi A., (2008)
Il tasso di recupero è influenzato (come mostrato nella Tabella 2-1) dalle
caratteristiche dell’esposizione (le garanzie reali, il grado di priorità
dell’esposizione, eventuali garanzie personali), dalle caratteristiche della
11 2. Il rischio di credito
controparte (il settore ed il Paese in cui la società opera, alcuni indici finanziari,
tra cui la leva), dalle caratteristiche della banca (l’efficienza dell’ufficio che si
occupa del processo di recupero, la frequenza degli accordi stragiudiziali con i
debitori, la tendenza a cedere a terzi pacchetti di crediti in contenzioso) e da
fattori esterni (lo stato del ciclo economico, il livello dei tassi d’interesse).
I due modelli principali per calcolare i tassi di recupero, dunque le LGD sono:
l’approccio Market LGD, che utilizza i prezzi delle esposizioni in default
per stimare il recovery rate. Se un’obbligazione emessa da una società
insolvente viene scambiata sul mercato a 30 centesimi per ogni euro di
capitale nominale, ciò vuol dire che si sta stimando un tasso di recupero
pari circa al 30%, per cui una LGD pari al 70%. Uno dei problemi di
questo modello è costituito dal fatto che può essere utilizzato solo per le
esposizioni dotate di un mercato secondario. Per ovviare a questa
mancanza sono state create due varianti del modello: la prima (emergence
LGD) stima il tasso di recupero sulla base dei nuovi strumenti finanziari
offerti agli investitori in sostituzione dei loro crediti divenuti inesigibili;
la seconda (implied market LGD) utilizza le stime delle PD per ricavare la
LGD implicita negli spread di mercato;
il modello Workout LGD, che si basa sugli effettivi flussi di recupero
realizzati nei mesi (o negli anni) successivi al default, suddividendo i
dati in base al tipo di esposizione, di debitore, di procedura seguita ecc.,
con il fine di creare delle famiglie (clusters) con caratteristiche affini e
analoghe LGD, per poi stimare la LGD attesa sui default futuri. In questo
modo, tenendo conto degli opportuni fattori, quali l’effetto finanziario
del tempo che trascorre tra il default e i recuperi e tutti i costi diretti e
indiretti che la banca sostiene nell’attività di recupero del credito, si può
esplicitare la workout LGD come:
12 2. Il rischio di credito
[
]
[2.3]
dove:
, è il recupero lordo, cioè il valore nominale degli importi recuperati,
tratto dalle scritture contabili della banca;
, è l’esposizione al momento del default;
, sono i costi amministrativi connessi con la procedura di recupero;
, è un tasso di sconto;
, è la durata del processo di recupero.
E’ interessante analizzare il legame tra PD e LGD, per dimostrare come queste
due variabili siano fortemente correlate tra loro. Si possono individuare, infatti,
fattori sistematici di rischio che incidono contemporaneamente sui tassi di
default e su quelli di recupero, come:
effetti a catena, come il ciclo economico, per cui ad esempio in presenza
di una crisi i tassi di default aumentano e conseguentemente i tassi di
recupero diminuiscono;
tassi d’interesse e attività finanziarie che possono costituire oggetto di
garanzie reali alla base delle esposizioni; infatti, un eventuale aumento
dei tassi d’interesse può portare ad un innalzamento dei tassi di default,
a una riduzione del valore delle garanzie e quindi ad una diminuzione
dei tassi di recupero;
tassi d’interesse e proprietà immobiliari, ancora una volta per il
problema legato alle garanzie;
effetti settoriali, infatti, se il tasso di default aumenta in uno specifico
settore, ad esempio per una riduzione nel fatturato dovuta
13 2. Il rischio di credito
all’obsolescenza del prodotto, allora questo influirà negativamente sul
valore degli impianti e delle scorte, nonché sui tassi di recupero.
In generale l’evidenza dimostra una relazione inversa tra tassi di default e tassi
di recupero, dunque diretta tra PD e LGD, esistono però delle eccezioni dovute
al fatto che a volte l’attività finanziaria o l’immobile oggetto di garanzia può
appartenere ad un settore che risulta inversamente correlato a quello del
garante e ciò fa sì che un aumento della PD si traduca in una diminuzione della
LGD, al contrario di quanto accade solitamente
9
.
2.2.1.3 EAD (exposure at default)
La EAD indica l’esposizione attesa al momento del default ed è una variabile la
cui aleatorietà cambia al variare della forma tecnica del finanziamento. Si
distinguono due tipologie di esposizioni: quelle a valore certo, per le quali è
noto alla banca l’ammontare esatto del finanziamento concesso, e quelle a
valore incerto, il cui importo non è quantificabile immediatamente, ma solo al
manifestarsi dell’insolvenza, come ad esempio l’apertura di un credito in conto
corrente.
Per stimare la EAD attesa si può applicare analiticamente la seguente formula:
[2.4]
dove:
(drawn portion), indica la quota di fido utilizzata;
(undrawn portion), è la quota non utilizzata;
9
Cfr. Resti A. & Sironi A., Op. Cit., p. 444.