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INTRODUZIONE
Se si volessero delineare alcune caratteristiche del secolo appena trascorso, non si
potrebbe fare a meno di citarne la tensione al cambiamento come peculiarità
fondamentale in ogni campo, da quello letterario a quello filosofico a quello
antropologico. Naturalmente anche in campo artistico prendono corpo importanti
novità. La pittura non si accontenta più di pennelli e colori, ma ricorre al collage per
inglobare la vita quotidiana; la fotografia cessa di essere considerata solo documento e
comincia ad assumere una nuova valenza semantica, che le permetterà di essere
considerata nuova forma d’arte.
Chi si volterà, dunque, a guardare questo secolo, come un’epoca conclusa, resterà
sorpreso dal suo monolitismo. La coerenza del Novecento risiede proprio nella sua
diversità e anche l’arte ha giocato il ruolo che le competeva. Da un lato essa ha cercato
di tenere il passo col mutamento, di adeguarsi alla visione del mondo che si andava
definendo di pari passo con le conquiste scientifiche e tecnologiche che cercavano di
dominare la natura e di caricare sulla macchina i compiti esecutivi finora assegnati agli
uomini. Dall’altro ha insistito sulla necessità di adeguarsi psicologicamente e
socialmente a condizioni di vita che andavano mutando molto più rapidamente delle
abitudini delle persone e della loro capacità di concepire e di prendere atto delle
conseguenze e degli effetti di quanto stava accadendo. Il ritmo incalzante degli
avvenimenti ha consentito finora ben pochi ripensamenti, e ha portato a esaltare anche
nell’arte, attraverso le avanguardie storiche, di cui gli artisti trattati sono stati alcuni
dei principali protagonisti, soprattutto quelle componenti che, inventando nuovi
modelli visivi e nuovi linguaggi, hanno saputo esprimere sotto forma di immagine le
sensazioni e i pensieri relativi al cambiamento che la maggior parte viveva
confusamente.
Tema centrale di gran parte del loro lavoro, è la “donna”, intesa come ispirazione,
erotismo o come mannequin ai fini della pubblicità nel campo della moda; ma il corpo,
e in particolare il corpo femminile, vede nel Novecento la trasformazione della
geografia del pudore. Non è un semplice fatto quantitativo della concessione di una
superficie maggiore allo sguardo altrui, ma è proprio un modo diverso di vivere e di
intendere il corpo, connotato dalla sua identità di genere femminile nell’ambito
sociale, personale, culturale ed estetico. I cambiamenti si avvertono già verso la fine
dell’Ottocento, quando, con la Belle-Époque cambiano i rapporti uomo-donna e
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quest’ultima acquista maggiore libertà. In questo secolo, però, anche moda e costume
cambiano: si abbandonano le stecche dei corsetti che “imprigionavano” la figura
femminile; le vesti diventano più morbide e fluenti, le gonne diventano aderenti,
lasciando così intuire le forme femminili; nel 1964 Mary Quant inventa la minigonna,
imponendo così la moda delle gambe scoperte. È quindi di conseguenza che il corpo
della donna si scopre anche nella fotografia.
Nel Novecento il trovarsi travolti da stravolgimenti epocali sul piano tecnologico,
scientifico, sociale, esistenziale ha fatto entrare nella raffigurazione artistica un corpo
altrettanto sfaldato e dilaniato quanto lo è stata la stessa arte che lo ha raffigurato. Il
Dadaismo, il Surrealismo, il Futurismo, il Costruttivismo ma soprattutto la Nuova
Oggettività, trovano nella fotografia un loro mezzo d’espressione congeniale. Il corpo
in generale e il nudo in particolare, diventano nel corso del Novecento temi centrali
grazie ai quali gli artisti riescono ad esprimere la diversità nella visione della vita,
negli ideali oscillanti dei canoni di bellezza e nelle varie aspettative dell’immaginario
erotico. In questo contesto anche la fotografia glamour gioca un ruolo importante,
dando origine a una tradizione che, anche se con diversa funzionalità, diventa quanto
mai rilevante per la fotografia contemporanea. Dopo la cesura provocata dalla Seconda
Guerra Mondiale, il nudo retrocede nella fotografia soggettiva in un periodo di
conservatorismo e ritrosia. Soltanto grazie a quel movimento di apertura che nasce nel
’68 e che combatte per la liberazione dai tabù e dalle norme, si manifesta una nuova e
rafforzata coscienza del corpo umano. A partire dalla seconda metà del Novecento,
all’utilizzo sempre più forte del corpo e del nudo nelle strategie di mercato, nella
pubblicità e nell’ambito della vita pubblica in generale, gli artisti che lavorano con il
mezzo fotografico, contrappongono posizioni concettuali. I fotografi cercano, sempre
più intensamente, di trovare nuove strategie: dalla ricerca e creazione dell’immagine
stessa, all’ingrandimento che ricorda la pittura, alla combinazione di immagine e testo,
strategie queste che conducono ad un intreccio sempre più forte e indissolubile della
fotografia con la pittura e viceversa.
Dopo questa premessa, voglio porre la mia attenzione su alcuni fotografi protagonisti
dell’arte del Novecento, a partire da Alfred Stieglitz con il quale, soltanto dal periodo
della Photo-Secession, con le sue immagini impressioniste che ricordano l’arte grafica
di un’epoca passata, il nudo fotografico diventa “artistico”, seguito da Adolf De
Meyer che contribuisce ad affidare un atteggiamento teatrale ed erotico a quelle che,
fino ad allora, più che donne “vere” e desiderabili erano semplici mannequin; per
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passare poi a Edward Steichen, il quale propone l’immagine di una donna dinamica,
attiva, che vuole essere protagonista in tutti i campi precedentemente appannaggio del
solo uomo. Segue poi l’analisi delle immagini di donne realizzate dal fotografo
italiano Arturo Ghergo, promotore più efficace ed evoluto della Glamour e Fashion
Photography, concentrato nel definire nuovi modelli femminili decisamente evoluti
rispetto al cliché matronale e familiare dell’Italia più conservatrice. Man Ray che con
il Surrealismo celebra l’incontro tra psicanalisi e arte e nelle cui foto il corpo diventa
un manichino muto e nudo, ma è nel rapporto con il contesto che emergono le
contraddizioni dell’anima, come lo scontro tra Eros e Thanatos. Non a caso la
componente erotica e simbolica è il tratto distintivo dell’arte surrealista; per poi
passare ad Helmut Newton le cui opere sono una fusione di erotismo, eleganza e
sensuale decadenza che riflettono le ossessioni della vanità umana, Newton infatti,
dirige l’eterno psicodramma del fascino e della lotta per essere ammirati. Si giunge
così alla fotografia del secondo dopoguerra in cui incontriamo Irving Penn, il quale
vede il soggetto come un’entità non da seguire nelle sue particolarità psicologiche ma
come individualità che deve adattarsi al sistema dell’autore; Richard Avedon che ci
fa credere con le sue foto di essere testimoni di un istante emozionale del soggetto e
per il quale, più importante del corpo di una donna ben vestita è uno sguardo rivelatore
dell’animo femminile; ancora, Herb Ritts che è orientato verso un’esaltazione della
plasticità del corpo, evidenziandone la carica erotica per via simbolica. Infine, la mia
attenzione si è posata sulla personalità di Cindy Shermann che fotografa sempre se
stessa, rivisitata da diversi indumenti e accessori quasi a voler indicare, riprendendo
una frase di Man Ray, che una donna non ha mai un solo volto. La femminilità ritratta
dalla Shermann, a differenza dei precedenti colleghi, è una femminilità depressa,
insicura e vittima di un vissuto difficile e doloroso.
Le motivazioni che mi hanno spinto alla scelta e all’analisi di questo argomento vanno
collegate ad un personale interesse verso la fotografia e il mistero che l’accompagna.
Le fotografie, infatti, quasi mai sono corredate di un testo che ne riveli il significato
recondito o la motivazione che ha spinto l’autore a immortalare proprio quel
determinato istante o quel determinato soggetto. Ciò che, però, mi ha condotto ad
analizzare artisti che hanno trattato la “donna” e il suo “corpo” in maniera particolare,
è stata la personale visita ad una mostra tenutasi a Milano e ospitata presso Palazzo
Borromeo nello spazio Hettabretz, importante atelier di moda nel Novecento, intitolata
“(Un)Dressed”, in cui erano esposte le opere di alcuni degli artisti trattati nel mio
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elaborato. Questa raffinata mostra, mi ha offerto l’occasione di scoprire come sia
cambiato il modo di ritrarre la donna e ri-scoprirne il fascino, l’eleganza, il mistero e,
dove, al di là delle mode e del (cattivo) gusto, a dispetto della volgarità imperante e
della mercificazione del corpo femminile, il messaggio risiede nel valore artistico del
nudo. La vista di queste fotografie mi ha fatto riflettere su, quanto e come, il corpo
femminile abbia funzionato, nel corso del Novecento, da espressione dei diversi ideali
di bellezza, ma soprattutto, da espressione, attraverso il volto o l’atteggiamento del
corpo, delle conquiste e delle sconfitte che il secolo scorso ha attenuto o subito.
Soggetto tra i più problematici e stimolanti di tutta la tradizione artistica, il corpo e
quindi anche il nudo, non ha perso il suo fascino neppure nel periodo in cui l’arte ha
iniziato, con le sue avanguardie di inizio Novecento, a instradarsi su percorsi
decisamente alternativi alla mimesis, mostrando una versatilità inattesa e un potere di
suggestione inalterato perfino nei momenti di maggiore conflitto con qualsiasi ipotesi
tradizionale di figurazione. Se, infatti, il corpo nudo possiede da un lato un enorme
potenziale di significati simbolici, esso rappresenta anche, in periodi di tramonto delle
certezze religiose e di angosce esistenziali, l’unico dato invariabile nell’esperienza
umana, il terreno primario della costruzione dell’identità e il mezzo ineludibile di ogni
relazione con il mondo.
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CAPITOLO PRIMO
Alfred Stieglitz, la Galleria 291 e Camera Work.
Alfred Stieglitz, per la sua straordinaria versatilità e per le molteplici abilità di cui era
in possesso, poteva essere considerato come un uomo del Rinascimento. Era un
visionario dotato di un punto di vista incredibilmente aperto e capace di una dedizione
degna di tutto il rispetto, che lo condusse a risultati assolutamente notevoli; per oltre
trent’anni, fu un fotografo di genio, un editore ispirato, uno scrittore esperto, un
proprietario di galleria e organizzatore di mostre sia di fotografia sia d’arte moderna,
un catalizzatore e un leader carismatico tanto nel campo fotografico quanto in quello
artistico. Il suo carattere era, inevitabilmente, appassionato, complesso, impulsivo e
fortemente contraddittorio, tanto che era da molti apprezzato come un profeta e un
martire al tempo stesso. Indipendente fino alle estreme conseguenze, suscitò nelle
persone che lo conobbero tanto un grande affetto quanto un intenso odio, in egual
misura.
Grazie alle sue immagini giunse ad ottenere un posto d’onore nella storia della
fotografia ed è stato unicamente per questo, più che per le sue molteplici attività, che
lui stesso alla fine volle essere giudicato; ma la sua energia, la sua dedizione e il suo
impegno nel fondare il Photo-Secession negli Stati Uniti e nel fare in modo che la
fotografia venisse accettata come una forma d’arte a pieno titolo, senza essere solo
considerata alla stregua di un mezzo mimetico, furono possibili solo a scapito del suo
lavoro personale, cui non dedicò il tempo che avrebbe voluto. Riuscì a cambiare per
sempre la fotografia nonché a farla accettare come una forma d’arte di primo piano del
Novecento. Alla fine del XIX secolo, afferrò saldamente la fotografia e la obbligò ad
entrare nel XX secolo, inducendola a passare, dalla posizione marginale in cui si
trovava, al centro della ribalta, un posto che in seguito non abbandonò mai.
Le onde d’urto prodotte dalla vulcanica personalità di Stieglitz, la cui energia era
canalizzata nella fotografia americana, si notarono fino in Inghilterra. Una
testimonianza della portata della sua attività ci viene offerta da Alfred Horsley Hinton,
il redattore di The Amateur Photographer, che nel 1904 scrisse: “La fotografia
americana assumerà una posizione di predominio, se altri non decidono di muoversi
per impedirlo; di fatto le immagini del Photo-Secession hanno già conquistato una
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posizione elevata nella stima del mondo civilizzato […]. È Stieglitz che stabilisce i
termini, combina le immagini e si occupa della loro qualità. Quale influenza deve
ancora esercitare quest’uomo dal temperamento molto nervoso, dall’ energia
inesauribile e determinato nel perseguire i suoi obbiettivi […]”.
1
Stieglitz fondò il Photo-Secession con la collaborazione di un gruppo di fotografi
amatoriali americani che avevano iniziato seguendo gli ideali e l’estetica del
pittorialismo europeo, pur con il sentimento d’inferiorità caratteristico di chi segue un
sentiero già battuto, ma furono capaci di elaborare rapidamente un proprio linguaggio
fotografico originale, che fu in grado, alla fine, di divenire la lingua veicolare della
fotografia tout court.
In corrispondenza con il passaggio di secolo, per il periodo di una ventina d’anni, dal
momento che un maggio numero di persone ebbe la possibilità di accedere alla
fotografia grazie alla diffusione dei prodotti Kodak, di facile utilizzo, e all’intensa
crescita del mercato della fotografia commerciale, l’arte fotografica esplose in diverse
direzioni. I fotografi pittorialisti amatoriali europei iniziarono a ricorrere a tecniche di
manipolazione sempre più elaborate, come la stampa al platino, la gomma bicromata,
il procedimento al carbone, ecc. che sfociarono in un risultato il più possibile lontano
dal lavoro dei disprezzati “realizzatori di istantanee”, e più simili a bozzetti tratteggiati
a pastello o a un disegno a carboncino che a una fotografia. Sebbene Stieglitz avesse in
un principio abbracciato e persino incoraggiato questa forma irreale e complicata di
produzione fotografica pittorialista, riuscì tuttavia a assimilare e assorbire altre
possibilità meno tortuose e più immediate offerte dal mezzo fotografico; in tal modo
raggiunse una purezza e una semplicità nella visione e nella tecnica che furono
conosciute come “fotografia diretta”, la fotografia del futuro.
I gruppi pittorealisti, alla fine, si divisero, a causa di lotte intestine occasionate spesso
da motivi futili e per un’adesione troppo rigorosa alla ricerca degli effetti pittorici:il
fatto di dedicarsi eccessivamente alle minuzie della tecnica portò a perdere la visione
fotografica dell’insieme. Si erano infilati in un vicolo cieco dell’ispirazione; la loro
concezione fotografica era ridotta a una prospettiva così ridotta che era come se
guardassero il mondo attraverso un telescopio impugnato dalla parte sbagliata.
1
A. Horsley Hinton, “The Work and Attitude of the Photo-Secession of America” , in: The Amateur
Photographer, vol. XXXIX, no.1026, June 2, 1904, pp. 426-428.
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La visione di Stieglitz, invece, non cessò mai di crescere, senza dubbio grazie alla
complessità dei suoi interessi e all’interazione tra molteplici attività diverse, da lui
approfondite, nonché alla felicità con cui abbracciava le nuove idee.
Nato a Hoboken , nel New Jersey , il giorno 1 gennaio 1864, Stieglitz si trasferì con la
sua famiglia a New York nel 1871 dove abitò in una grande casa con la facciata di
arenaria rossastra sulla East 60th Street. Suo padre era un ricco commerciante di lana e
sebbene il figlio, negli anni successivi, si lamentasse spesso che in quel periodo non
aveva molti soldi in tasca, sembra che la famiglia fosse comunque piuttosto agiata.
Dal 1882 al 1890 fu mandato a Berlino, dove frequentò lezioni di ingegneria
meccanica presso la Technische Hochschule , una materia per la quale dimostrò un
profondo disinteresse. Nel 1883 apprese le basi della fotografia seguendo i corsi di
Hermann Wilhelm Vogel e fu subito ossessionato dal desiderio di padroneggiare le
possibilità tecniche del mezzo,cosciente che solo un perfetto controllo della tecnica gli
avrebbe permesso di mettere pienamente a frutto il potenziale insito nella fotografia
per dare forma alla sua visione.
All’inizio, fu influenzato dal pittorialismo europeo, un movimento fotografico
caratterizzato allora per un uso massiccio di sfocature e di effetti flou,e lo fu in
particolare dalle immagini naturalistiche che ritraevano gli ampi spazi del Norfolk,
realizzate dal dottor Peter Henry Emerson, il quale usava il processo della
fotoincisione per stampare i suoi album .Stieglitz vinse nel 1887 il primo premio del
concorso organizzato in quell’anno tra i lettori della rivista The Amateur Photographer
, presentato dal dottor Emerson. Non è possibile ravvisare molte rassomiglianze tra le
fotografie eseguite in questo periodo e quelle di vent’anni dopo, giacché le sue prime
opere erano realizzate completamente in stile europeo, ed erano prive di qualsiasi
traccia della chiarezza e del modernismo che sarebbero poi divenuti il suo marcio
d’autore.
Il cambiamento, in tal senso, si verificò al suo ritorno a New York nel 1890, quando
Stieglitz dovette avere a che fare con soggetti assolutamente più puri, più crudi e più
realistici. L’aggressività, la vita e il movimento frenetico che caratterizzavano già
allora le strade di New York e la drammaticità della sua svettante architettura non
offrivano al fotografo le dolcezze visive dei dolci pendii e dei pittoreschi paesaggi
europei, abitati da contadini dai fotogenici costumi. Tuttavia, dopo alcuni rapidi
aggiustamenti, Stieglitz trovò il soggetto eccitante e stimolante e per tutto il resto della
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sua vita non cessò mai di fotografare New York, divenendo uno dei primi fotografi a
rendersi conto dell’enorme potenziale fotogenico insito nell’energia e nel rapido
sviluppo di una grande metropoli. Di conseguenza, dovette affrontare un mondo più
ampio, dai confini più netti, più conflittuale e realistico, formato da forme grafiche e
da motivi geometrici, rispetto a quello fotografato dai suoi contemporanei, molti dei
quali non abbandonarono mai il microcosmo di paesaggi morbidi, di velate scene
domestiche e di belle donne profumate,che guardano in sfere di cristallo e si struggono
infelici come eroine di qualche mitico passato. Se il pittorialismo si dedicò a cogliere
momenti soggettivi, spesso creati ad hoc, la fotografia diretta catturava la realtà con la
più assoluta obbiettività.
Grazie ai finanziamenti di suo padre, Stieglitz riuscì a fondare la Heliochrome
Company, poi ribattezzata Photochrome Engraving Company, in società con i suoi
vecchi compagni di studi di Berlino Louis Schubart e Joseph Obermeyer, che
successivamente sarebbero divenuti suoi cognati.
All’inizio gli affari non andavano molto bene, ma ciò permise a Stieglitz di dedicare
un po’ di tempo di tempo ad apprendere il complicato processo delle fotoincisione,
grazie agli insegnamenti della mano d’opera qualificata della ditta, e ne divenne un
eccellente maestro. Sebbene la compagnia alla fine riuscisse ad ottenere successi
commerciali, Stieglitz non si interessò al lato affaristico di questa o di altre imprese, e
mantenne questo atteggiamento per tutta la vita. Difatti, a cinque anni dalla fondazione
della ditta, dopo aver acquisito un profondo dominio del processo della fotoincisione e
le abilità tecniche necessarie per produrre belle opere, abbandonò la società. Ancora
una volta, era stato influenzato dai portfolio di fotoincisioni di elevata qualità che
venivano prodotti a Vienna , a Parigi e a Londra negli anni novanta del XIX secolo,
ma in breve tempo fu in grado di superare tale livello.
Le perdite nel campo degli affari rappresentarono, in realtà, un vantaggio per causa
della fotografia amatoriale americana, giacché Stieglitz, utilizzando tute le sue
competenze fotografiche e i contatti che aveva acquisito in Europa,decise di farla
rivivere e la indusse a uscire dalla fase di ristagno in cui era caduta, , per proiettarla
direttamente nel ventesimo secolo. Al principio, prese spunto dai gruppi secessionisti,
fioriti un po’ in tutta l’Europa anche nell’ambito fotografico, e inizialmente ispirati
alla rottura con il passato, avvenuta nel campo artistico in Austria e in Germania. Per
tali gruppi, i termini “amatore” e “artista” erano sinonimi. Solo un amatore, infatti,
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sciolto dalle esigenze commerciali che limitano invece i fotografi professionisti,
possedeva la libertà di realizzare opere veritiere e dense di significato.
Durante l’ultimo decennio del diciannovesimo secolo, il mondo della fotografia subì
un cambiamento radicale. Nel 1891, i secessionisti fotografici austriaci esposero le
loro opere nel Salone Viennese, scatenando feroci polemiche. Nel 1982, si formò un
sodalizio denominato Linked Ring, come gruppo scissionistico costituito da quindici
antichi membri della Photographic Society (divenuta nel 1894 la Royal Photographic
Society) che iniziarono a organizzare i propri incontri e le esposizioni, stanchi delle
rigidità tecniche e dell’enfasi commerciale che la Society imponeva loro. Nel 1894,
Robert Demachy e Constant Puyo, entrambi usciti dalla Société Francaise de
Photographie, fondarono il Photo-Club de Paris. Tutti questi gruppi perseguivano un
unico obbiettivo: liberare la fotografia dalle sue strettoie documentarie e tecniche e
utilizzarla come uno strumento maggiormente impressionistico e flessibile, per dare
vita a una forma d’espressione artistica valida in se stessa, esattamente come un pittore
usava un colore, i pennelli e la tela e lo scultore il marmo, la pietra e gli scalpelli.
Secondo l’opinione dei pittorialisti, la fotografia non doveva limitarsi alla
registrazione documentaria dei fatti e non doveva neppure essere ridotta a un mero
veicolo per provare a riprodurre le opere d’arte (un compito che molti fotografi
vittoriani cercarono di realizzare); la sua missione era,invece, quella di divenire un
mezzo per creare una nuova realtà, puramente fotografica, ossia una realtà la cui
esistenza poteva darsi unicamente in una fotografia, concepita attraverso la visione
personale del fotografo, quindi sublimata e portata alla luce mediante la padronanza di
una precisa tecnica. La tecnologia doveva servire al fotografo e non il contrario. La
macchina fotografica era considerata come lo strumento utilizzato per dare forma
concreta alla visione del fotografo, e doveva essere un mezzo fondamentale non un
fine. Per catturare e fissare su una lastra le proprie impressioni del reale, il fotografo
poteva usare un’ampia gamma di lenti, negativi e tecniche di manipolazione, come il
disegno, l’acquaforte, la pittura e i ritocchi tanto sui negativi quanto sulle stampe.
Stieglitz partecipò all’esposizione di tutti i gruppi secessionisti citati sopra, molti dei
quali lo nominarono membro onorario, e vinse più di centocinquanta tra premi e
riconoscimenti.
Durante gli anni successivi, Stieglitz, si vide impegnato nella rivoluzione della
fotografia americana e sembrò moltiplicare per dieci le sue energie. Dal 1892, iniziò a
pubblicare The American Amateur Photographer,
vero appassionato della fotografia possedeva la libertà artistica necessaria per seguire
la propria visione della verità, senza essere intralciato da vili questioni economiche. La
più importante sfida che dovette affrontare in quel periodo fu quando l’
Photographers di New York e il
vita al Camera Club.
direttore della rivista trimestrale del Club,
finestra sul mondo dell’associazione, per registrarne gli sviluppi e rispecchiare il
Robert Demachy, Contrasts,1904
Photogravure
16.7 x 11.8 cm
Durante gli anni successivi, Stieglitz, si vide impegnato nella rivoluzione della
fotografia americana e sembrò moltiplicare per dieci le sue energie. Dal 1892, iniziò a
The American Amateur Photographer, nella ferma convinzione che solo il
vero appassionato della fotografia possedeva la libertà artistica necessaria per seguire
la propria visione della verità, senza essere intralciato da vili questioni economiche. La
più importante sfida che dovette affrontare in quel periodo fu quando l’
di New York e il New York Camera Club, nel 1897, si fusero per dar
Camera Club. Nello stesso anno, Stieglitz fu nominato vicepresidente e
direttore della rivista trimestrale del Club, Camera Notes, concepito per divenire la
finestra sul mondo dell’associazione, per registrarne gli sviluppi e rispecchiare il
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Durante gli anni successivi, Stieglitz, si vide impegnato nella rivoluzione della
fotografia americana e sembrò moltiplicare per dieci le sue energie. Dal 1892, iniziò a
nella ferma convinzione che solo il
vero appassionato della fotografia possedeva la libertà artistica necessaria per seguire
la propria visione della verità, senza essere intralciato da vili questioni economiche. La
più importante sfida che dovette affrontare in quel periodo fu quando l’ Amateur
nel 1897, si fusero per dar
Nello stesso anno, Stieglitz fu nominato vicepresidente e
, concepito per divenire la
finestra sul mondo dell’associazione, per registrarne gli sviluppi e rispecchiare il
13
nuovo entusiasmo e la fiducia nella fotografia americana. Per lo svolgimento di queste
due funzioni, Stieglitz non riceveva alcun compenso.
Nei cinque anni seguenti il Camera Club gli corrispose solo 1850 dollari per le spese
di gestione di Camera Notes. Questa somma, in realtà, non copriva neppure il costo
delle copie della rivista che il Club distribuiva ai propri membri e rappresentava solo
una decima parte delle spese complessive, che ammontavano a 18000 dollari, e
venivano coperte grazie agli introiti della pubblicità o ai fondi personali di Stieglitz.
Sotto la sua direzione, tuttavia, che durò dal 1897 al 1902, Camera Notes divenne la
rivista di fotografia più influente del paese e riunì un pubblico di lettori ben più ampio,
se comparato con il carattere piuttosto chiuso del Camera Club. Su queste pagine
furono pubblicati articoli, saggi critici e rassegne di mostre che erano apparsi
precedentemente in pubblicazioni europee e fu chiesto ad artisti e critici della
fotografia nazionali di scrivere articoli provocatori e controversi. Alcuni scrittori
americani come Sadakichi Hartmann (Sidney Allan)
2
e Charles H. Caffin avviarono
sulla fotografia, alcuni dibattiti di un livello tale che non era mai stato visto prima.
Ciononostante, il successo di Camera Notes fu determinato soprattutto dalla magnifica
qualità delle sue illustrazioni: si trattava di fotoincisioni realizzate secondo precise
istruzioni di Stieglitz. Per le opere americane si serviva della sua vecchia compagnia la
Photochrome Engraving Company di New York, per le opere europee si rivolgeva a
Walter L. Colls, il fotografo delle Sun Artists di Londra.
Da un punto di vista artistico, la rivista Camera Notes, non cessò mai di progredire e
proponeva al pubblico le opere scelte da Stieglitz in persona, di alcuni fotografi
pittorialisti come George Seeley, Gertrude Kasebier, Edward Steichen
3
e Clarence
White, figure che in seguito sarebbero tutti divenuti membri del Photo-Secession,
avrebbero esposto i loro lavori nelle gallerie di Stieglitz e pubblicato su Camera Work.
Fu presentato anche il lavoro di Fred Holland Day, che rivaleggiava con Stieglitz per il
controllo del movimento di rinascita della fotografia americana.
2
Sadakichi Hartmann è il nome reale, Sidney Allan lo pseudonimo usato solo negli scritti fotografici.
3
Steichen successivamente cambiò lo spelling del suo nome dal francese Eduard Gean al l’inglese Edward John.
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Gertrude Kasebier, Portrait (Miss N.), 1903 (Camera Work 1)
Photogravure
19.7 x 14.7 cm
Nel mese di marzo del 1902, Stieglitz organizzò una mostra presso il National Art
Club di New York, al di fuori dell’ambito di influenza del Camera Club, intitolata
“American Pictorial Photography Arranged by The Photo-Secession”. era la prima
volta che utilizzava pubblicamente queste parole per indicare un gruppo di fotografi
dalle idee affini che mutuavano dai gruppi secessionisti europei molti dei loro principi
riguardanti il soggetto, la presentazione e il modo di pensare. In effetti, Stieglitz aveva
con tale operazione dichiarato una scissione dal Camera Club, esattamente come
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aveva fatto il Linked Ring rispetto alla Royal Photographic Society, rendendo la sua
posizione insostenibile. Dopo aver stilato una recensione della mostra e aver scritto un
lungo editoriale sul gruppo Photo-Secession nel numero di luglio del 1902 di Camera
Notes, come un gesto d’addio, Stieglitz presentò le sue dimissioni dal posto di
direttore.
Gertrude Kasebier, The Red Man, 1903
Photogravure
18.4 x 13.6 cm