65
4- SOGNO AMERICANO E RAPPORTO CON LE ORIGINI:
«Dreamers, we were a house full of dreamers»
107
. (BY 36)
Così il diciassettenne Arturo descrive la sua famiglia in Wait until Spring,
Bandini, come un gruppo di sognatori. Ed effettivamente Fante faceva parte di
una stirpe che si era sempre lasciata spingere dai sogni, a cominciare dal nonno
Giovanni, l‟arrotino che all‟età di quarant‟anni aveva deciso di lasciare
l‟Abruzzo per andare negli Stati Uniti dove il figlio Nick, in seguito, l‟avrebbe
raggiunto. Il motivo che spinse Giovanni e Nick verso l‟America era lo stesso
che nel 1930 avrebbe portato John Fante in California: il sogno americano.
Per capire che cosa fosse il sogno americano per Fante è necessario
addentrarsi nel concetto di American Dream, dei suoi significati e delle sue
origini.
Jim Cullen ha condotto un‟interessante indagine a questo proposito
108
. Egli
sottolinea innanzitutto che si tratta di un‟idea complessa che non può essere
racchiusa in una definizione univoca. Il sogno americano, infatti, ha come
principale caratteristica quella dell‟ambiguità, contiene, cioè, svariate
implicazioni e può essere considerato sotto diversi punti di vista. Si può dire
che esistano molte forme di American Dream, ma vi è una tratto che accomuna
ognuna di queste: la fiducia nella possibilità di migliorare la propria
condizione. Obiettivo che può essere raggiunto attraverso modalità differenti,
ad esempio l‟arricchimento economico, o la cultura, o le riforme politiche, e
via dicendo.
Il sogno americano, come spiega Cullen, ha origini molto lontane, non facili
da rintracciare. Ma un particolare evento, che prende il nome di Declaration of
Indipendence, può essere sicuramente visto come il momento storico in cui
vennero fissati per la prima volta alcuni punti cardine dell‟American Dream.
Nel documento siglato il 4 luglio del 1776, che sanciva l‟indipendenza delle
tredici colonie britanniche, si parlava di alcuni diritti inalienabili dell‟uomo.
107
J. Fante, Un anno terribile, (cit.), p. 44: «Sognatori, eravamo una casa piena di sognatori.»
108
Cfr J. Cullen, The American Dream: a Short History of an Idea that Shaped a Nation,
Oxford University Press, New York 2004.
66
Tra questi: «Life, Liberty, and the Pursuit of Happiness»
109
. Si tratta di concetti
che ancora oggi vengono ritenuti fondamentali, in particolare la cosiddetta
ricerca della felicità è un‟espressione che definisce perfettamente il sogno
americano, costituendone l‟obiettivo primario.
Questo tipo di American Dream si basava principalmente sull‟idea di
libertà, ma per i padri fondatori rimaneva un concetto elitario, destinato alle
persone di razza bianca. Da tale privilegio erano escluse le donne e gli afro-
americani; su questi ultimi veniva esercitato un diritto di proprietà: la schiavitù
era ancora lontana dall‟essere abolita. Freedom, dunque, semplicemente come
emancipazione dal giogo della Gran Bretagna.
Nonostante la libertà fosse vista ancora in termini ristretti, le parole della
Dichiarazione d‟indipendenza esprimevano un sogno che sarebbe stato
perseguito anche dalle persone che ne erano state inizialmente escluse. Furono
infatti alla base delle battaglie degli afro-americani e delle donne che, nei
secoli a venire, avrebbero fatto dell‟American Dream soprattutto un sogno di
uguaglianza.
Il sogno americano, però, non è solo quello appena descritto, ma può essere
visto anche come il desiderio di migliorare la propria posizione attraverso la
mobilità sociale. Si tratta dell‟“upward mobility”, una sorta di scalata verso
l‟alto, di una good life ottenuta attraverso il duro lavoro e i sacrifici. Colui che
per primo incarnò questo tipo di ideale fu Benjamin Franklin. Dal momento
che il padre non poteva permettersi di spendere molto per l‟educazione
scolastica del figlio, il dodicenne Benjamin iniziò un apprendistato presso la
tipografia del fratello. Questi, qualche anno dopo, fondò il primo quotidiano
indipendente d‟America, The New England Courant, sulle cui pagine Franklin
cominciò a scrivere con il falso nome di Silence Dogood. Quando il fratello
venne incarcerato a causa delle tematiche che affrontava, egli continuò a
lavorare per il giornale, acquisendo sempre più esperienza. Infine lasciò la città
natale, Boston, e si recò prima a New York e poi a Filadelfia dove iniziò la sua
grande ascesa. Aprì una nuova tipografia, rilanciò diversi giornali e acquistò tra
gli altri “La gazzetta della Pennsylvania” che sarebbe diventato il quotidiano
più venduto delle tredici colonie. Per molti Benjamin Franklin è considerato il
profeta del capitalismo americano.
109
Ivi, p. 38. (Trad. mia): «Vita, Libertà e la Ricerca della Felicità».
67
Lui e gli altri padri fondatori, però, avevano ancora una visione del
successo come un privilegio di pochi. Con Andrew Jackson, invece, il sogno
americano prese una forma più democratica, secondo l‟idea che ogni individuo
sia in grado di realizzare i propri desideri, al di là della condizione di partenza.
Con lui il concetto di American Dream subì un‟evoluzione: si presentò come la
possibilità di crescere e raggiungere i propri obiettivi con la sola tenacia, forza
di volontà, fiducia e duro lavoro. In quest‟ottica la povertà o le umili origini
non costituivano un ostacolo, bensì un mezzo per distinguersi e trovare dentro
di sé la determinazione a raggiungere il successo. La chiave, dunque,
consisteva nella forza del proprio desiderio di riuscire. Non a caso proprio in
quegli anni si cominciò a parlare per la prima volta di self-made man. A
utilizzare quest‟espressione fu proprio un rivale di Jackson, Henry Clay che, in
un discorso del 1832 disse: «We are a nation of self-made man»
110
.
Pur partendo dal basso l‟uomo era ritenuto in grado di dare forma al proprio
destino: questo è il tratto fondamentale del sogno americano, in qualsiasi veste
esso si presenti. Ma nel caso dell‟ “Upward Mobility” l‟affermazione non è del
tutto vera: di nuovo, infatti, le categorie più deboli avevano scarse, se non
nulle, possibilità di riuscire. Ciò nonostante molto spesso erano proprio gli
outsiders ad inseguire con più forza quel desiderio. Le loro speranze presero
forma attraverso il personaggio di Abraham Lincoln che pose l‟abolizione della
schiavitù al centro della sua campagna politica per le elezioni del 1860. Egli
rappresentava l‟esempio perfetto della realizzazione del sogno della mobilità
sociale: nato in una fattoria, che era poco più di una capanna, era diventato il
Presidente degli Stati Uniti. Le battaglie di Lincoln avevano come obiettivo
principale quello di salvare il sogno americano in cui tanto credeva. Egli
riteneva che la schiavitù fosse dannosa in primis per i bianchi (coloro che
aveva effettivamente a cuore) e che essa potesse inquinare e corrodere
l‟American Dream. Lincoln si rendeva conto che il problema era soprattutto di
natura economica, come spiega Cullen: «The presence of slavery impeded
upward mobility not only of African Americans but also of European
Americans, because the slave economy narrowed the prospects of men without
the ever-greater amounts of capital necessary to invest in slaves»
111
.
110
Ivi, p. 69. (Trad. mia): «Siamo una nazione di self-made man».
111
Ivi, p. 84. (Trad. mia): «L‟esistenza della schiavitù impediva la mobilità sociale non solo
agli afro-americani ma anche agli euro-americani, perché il mercato degli schiavi limitava le
68
Nei suoi discorsi si richiamava sovente alla Dichiarazione d‟indipendenza e
alla Costituzione, che definiva come la religione politica della nazione e unica
arma per salvare l‟American Dream. La distanza tra il sogno americano
espresso dai padri fondatori e quello di cui parlava Lincoln, era costituita dal
tema degli afro-americani. Egli, per conciliare le due posizioni, diede una
nuova interpretazione alle parole siglate un secolo prima. Era consapevole del
fatto che i firmatari della dichiarazione non avessero mai messo in discussione
la sottomissione e lo sfruttamento della popolazione nera, pur parlando di
libertà e di uguaglianza di tutti gli uomini. Lincoln li giustificò dicendo: «They
did not make it so, but they left it so because they knew no way to get rid of it
at that time»
112
. Ma riteneva che i tempi fossero cambiati e si batté affinché si
trovassero delle soluzioni, prima con la Proclamazione dell‟Emancipazione
(1863) che liberò gli schiavi negli stati ribelli e poi, due anni dopo, con
l‟abolizione della schiavitù in tutti gli Stati Uniti.
Lincoln aveva liberato gli schiavi, tuttavia non gli aveva resi equal. Vale a
dire che per gli afro-americani il sogno risultava tuttora irrealizzabile. Il
principio di uguaglianza, infatti, è al centro dell‟American Dream, il cui grande
potere attrattivo si esercita proprio in virtù dell‟idea che ogni individuo sia in
grado di conseguire il sogno. Tutti, cioè, devono avere eguali opportunità di
concorrervi. Bisogna aspettare il ventesimo secolo per vedere una svolta in
questa direzione. Negli anni Cinquanta, infatti, nacque il movimento per i
diritti civili, contro le discriminazioni verso gli afro-americani; non a caso, esso
venne anche definito “the black equality movement”.
Il protagonista di questa lotta fu Martin Luther King Jr. Nonostante le sue
posizioni riguardassero principalmente la questione razziale, egli ebbe sempre
come obiettivo quello di ottenere uguaglianza per tutti gli americani, a
prescindere dal colore, dal sesso o dalla posizione sociale. Quello di King era
l‟“American Dream of Equality”, il sogno di una società basata sulla libertà di
tutti e sulla parità, dove nessuno avesse dei benefici a spese di altri. In
numerosi discorsi egli evocava il sogno americano, associandolo sempre al
concetto di uguaglianza. Per lui l‟America era l‟incarnazione di un sogno,
possibilità di uomini privi del grande numero di capitali necessari per investire nella
schiavitù».
112
Ivi, p. 87. (Trad. mia): «Non sono stati loro a creare questa situazione, ma l‟hanno lasciata
invariata perché all‟epoca non conoscevano alcun modo per liberarsene».
69
sebbene non ancora del tutto compiuto: «For in a sense, America is essentially
a dream, a dream as yet unfulfilled. It is a dream of a land where men of all
races, of all nationalities and creeds can live toghether as brothers.»
113
Ed è un
sogno che in parte King riuscì a realizzare.
Ma l‟American Dream è anche altro. È, ad esempio, il desiderio del
possesso. Per molti coloni, soprattutto inglesi, l‟America veniva vista come una
terra di sogno, dove stanziarsi e rimanere. Poteva divenire una nuova “casa” e
rappresentare un‟opportunità di crescita. E così avvenne. Con l‟indipendenza i
territori liberi cominciarono ad espandersi e il possesso della terra divenne
sempre più sinonimo di un sogno americano di crescita. Significativa è una
frase di George Washington pronunciata alla fine della rivoluzione e relativa
alle terre dell‟Ohio: «Anyone therefore who is heavy laden or who wants land
to cultivate, may repair thither & abound as in the Land of promise, with milk
and honey.»
114
L‟Homestead Act firmato da Lincoln nel 1862 era l‟espressione di questo
sogno: il provvedimento stabiliva che ogni capo famiglia o maschio adulto che
fosse cittadino americano, potesse fare richiesta e ottenere centosessanta acri di
terra al di fuori dei confini delle tredici colonie. Nella realtà dei fatti non era
così semplice entrare in possesso di una terra da gestire, ciò nonostante il sogno
non finì mai di avere una forte presa e divenne il cuore dell‟identità americana.
Con il tempo esso si sposta dalle campagne alle città e poi ai sobborghi ma la
sostanza non cambia: l‟uomo continua a coltivare il desiderio di
un‟indipendenza economica che gli permetta di essere proprietario dei suoi
beni, di una casa e di un terreno. Scrive Cullen: «[…]Americans seemed united
by an exceptional penchant for home ownership»
115
. Ed è interessante notare
che si tratta di un‟inclinazione mostrata soprattutto dagli immigrati, come se il
possesso fosse il requisito fondamentale per potersi sentire americani al cento
per cento.
Esiste poi un altro particolare tipo di American Dream, che Cullen definisce
come “Dream of the Coast” in quanto fenomeno che si sviluppa principalmente
113
Ivi, p. 126. (Trad. mia): «In un certo senso l‟America è essenzialmente un sogno, un sogno
non ancora avverato. È il sogno di una terra dove uomini di tutte le razze, nazionalità e
religione possano vivere insieme come fratelli».
114
Ivi, p. 139. (Trad. mia): «Perciò chiunque sia triste o voglia una terra da coltivare, può
riparare colà e abbondare come nella Terra promessa, con latte e miele».
115
Ivi, p. 148. (Trad. mia): «[…] gli americani sembravano unti da un‟eccezionale propensione
al possesso della casa.»
70
in California. Dopo essere stato scarsamente considerato per secoli, il territorio
californiano venne improvvisamente rivalutato a partire dal 1848, anno in cui si
scoprirono le sue riserve d‟oro. Il gold rush portò migliaia di persone verso la
California e rappresentò la più pura espressione del “Sogno della Costa”. Con
la corsa all‟oro l‟American Dream prende una nuova connotazione: se fino ad
allora il suo raggiungimento era stato visto come il risultato di anni di lavoro e
sacrifici, per la prima volta si prospettava la possibilità di una ricchezza che
non richiedesse particolari sforzi.
Nonostante questo tipo di sogno per molti si sia rivelato fallimentare,
continuò comunque ad esercitare un grande potere nell‟immaginario delle
generazioni successive. La California era ormai diventata “the Golden State” e
simboleggiava una possibilità di ricchezza, da qualunque fonte essa provenisse.
Così nel tempo le speranze di moltissime persone vennero riposte prima
nell‟oro, poi nell‟industria ferroviaria, con i grandi collegamenti in costruzione
in California, nell‟agricoltura e, infine, nel cinema. Ognuno di questi incarnava
il “California Dream”, il sogno di una terra che regalava la prospettiva di una
bella vita. Con il ventesimo secolo la California divenne un luogo semi-mitico,
sorta di paradiso mediterraneo americano, con il suo oceano, le palme, il sole e
le succose arance raffigurate nelle pubblicità. Un Paese ricco di risorse, in cui
la vita sembrava essere più semplice che altrove e dove non bisognava lottare
contro il freddo. Fu proprio il suo clima a portare per la prima volta un‟intera
troupe cinematografica in California, nel 1907. Fino a quel momento
l‟industria del cinema aveva gravitato sempre intorno a New York e al suo
fondatore Thomas Edison. Nell‟inverno di quell‟anno però, il regista di The
Count of Monte Cristo necessitava di bel tempo per poter girare alcune scene
del film, così si spostò a Los Angeles. L‟evento non rimase un caso isolato e
nel 1910 David Wark Griffith si recò spesso in California per il suo film The
Birth of a Nation. In particolare le riprese avvennero ad Hollywood, piccola
città che era stata appena assorbita da Los Angeles.
Presto nacquero anche i primi divi del cinema con le loro ville da sogno. La
prima fu quella che venne chiamata “Pickfair” in onore dei suoi residenti, Mary
Pickford e Douglas Fairbanks. Pickfair divenne il simbolo di un sogno
collettivo, di una vita sfarzosa e di piaceri e il pubblico seguì con sempre
maggiore interesse le vicende delle due star, desiderando di poter condurre a
71
loro volta una vita simile. Con questi personaggi emerse una nuova espressione
del sogno americano, in cui al duro lavoro si sostituiva il talento. Quest‟ultimo
viene visto come qualcosa di naturale che, dunque, non necessita di grandi
sacrifici: è l‟idea del successo facile. La chiave era semplicemente il lifestyle
(termine che entrò nell‟uso comune proprio in quegli anni), in cui tutto ciò che
veniva richiesto era essere belli, aggraziati e divertenti.
Nonostante il mondo di Hollywood fosse costruito sulla pura apparenza (lo
stesso matrimonio tra Pickford e Fairbanks divenne in breve tempo una
finzione), il pubblico ha continuato ad immedesimarvisi facilmente. La
rappresentazione cinematografica ha contribuito, e lo fa tutt‟oggi, ad
alimentare il sogno americano che, forse, ha trovato una sua piena
realizzazione proprio in questa forma artistica.
John Fante conobbe molto bene quell‟ambiente e vi lavorò come
sceneggiatore per più di quarant‟anni, attirato dai soldi facili e,
contemporaneamente, disgustato dalle ipocrisie che lo governavano e dal ruolo
di mercenario che egli sentiva di interpretare.
Nell‟immaginario fantiano si combinano tutte le forme di American Dream
appena descritte: quella della libertà, dell‟uguaglianza, della mobilità sociale e
del facile arricchimento. In particolare, come si vedrà, la sua partenza per la
California si nutriva di aspettative che trovano la loro giustificazione proprio
nel cosiddetto “Dream of the Coast”.
Ma come Fante dovette constatare a proprie spese, il sogno americano era
un traguardo piuttosto difficile da raggiungere. Egli cominciò ad averne
coscienza sin da bambino, quando si rese conto che i concetti di uguaglianza e
di pari opportunità non venivano facilmente estesi a tutti.
Essere italiani negli Stati Uniti della prima metà del Novecento non era
affatto semplice, c‟era molta ostilità, dovuta in particolare alla religione
cattolica che essi professavano. Stephen Cooper
116
spiega che nel 1890 era nata
a Denver un‟associazione che boicottava le attività economiche e le
candidature cattoliche a cariche pubbliche e cercava di promuovere una legge
sul controllo dei conventi. La situazione peggiorò quando, negli anni Venti del
Novecento, confluirono nel Ku Klux Klan i reazionari del Colorado, luogo in
cui la congrega «non se la prese tanto contro le minoranze nere ed ebree,
116
S. Cooper, Una vita piena: biografia di John Fante, pp. 33-34.
72
numericamente irrilevanti e per lo più concentrate a Denver, quanto contro i
duecentocinquantamila cattolici sparsi nelle sessantatre contee»
117
.
Fante provò sulla propria pelle il razzismo nei confronti dei cattolici mentre
frequentava la Regis High School: la notte del dieci novembre 1923 alcune
persone incappucciate si introdussero all‟interno della scuola gesuita, eressero
una croce di legno e le dettero fuoco (quella notte altre undici croci vennero
bruciate a Denver).
Sin da bambino John Fante si sentì un diverso, si raffrontava continuamente
con l‟ambiente circostante nel quale avrebbe voluto essere pienamente inserito
e crebbe nutrendosi quotidianamente del mito americano. Ma in che cosa
consisteva esattamente questo mito per Fante?
L‟American Dream per lui, molto prima di sviluppare una coscienza di
scrittore, ha coinciso a lungo con la speranza di diventare un giocatore di
baseball; è quello che si legge in Wait until Spring, Bandini ma, soprattutto, in
1933 Was a Bad Year. In quest‟ultimo il diciassette Dominic Molise sogna di
andarsene dalla fredda cittadina di Roper (presumibilmente Boulder, Colorado)
diventando un giocatore di baseball degno della Hall of Fame. Dominic
condivide quest‟ambizione con l‟amico Ken il quale, non a caso, rappresenta
tutto ciò che Dominic vorrebbe essere, incarna, cioè, il suo sogno di ricchezza.
Egli appartiene alla famiglia più facoltosa di Roper, i Parrish, possessori di un
campo da tennis e una piscina, «[…] three cars, a cook, a housekeeper and a
fulltime gardener.»
118
(BY 46). Non è un caso nemmeno il fatto che Dominic si
innamori della sorella di Ken, attraente studentessa universitaria, anche lei
parte di quel mito americano che Dominic insegue. Come si vedrà, Fante
inserisce spesso il tema dell‟unione fisica con un‟americana come metafora del
possesso dell‟America stessa. La conquista della donna viene vista come una
tappa fondamentale per compiere un processo di americanizzazione.
Un dialogo tra Dominic e Dorothy rivela il predominio del baseball sulla
letteratura nell‟adolescenza di Fante: quando la ragazza dice di amare molto
James Joyce, Dominic risponde: «“You mean Jim Joyce, short stop for the St.
117
Ivi, p. 34.
118
J. Fante, Un anno terribile, (cit.), pp. 52-53: «[…] tre macchine, un cuoco, una governante e
un giardiniere che lavorava per loro a tempo pieno.»
73
Louis Browns?”»
119
(BY 74). E quando Ken gli spiega che in realtà la sorella si
riferiva allo scrittore, Dominic ammette di non averlo mai sentito nominare.
Ma 1933 Was a Bad Year è anche il romanzo in cui viene mostrata l‟altra
faccia del mito e le conseguenze negative a cui può portare l‟American Dream
se perseguito solamente nei suoi aspetti più superficiali. Nel romanzo sono tre i
personaggi che danno voce al contro-mito: Peter, Maria e la nonna Bettina;
indirettamente interviene anche un‟altra figura, quella del defunto nonno
Giovanni. La madre di Dominic viene definita « … inexpressibly alien, not
Italian and far less American, a fragile misfit»
120
(BY 19); il padre Peter è
sicuramente più integrato della moglie ma sempre “irrimediabilmente” italiano.
Per quanto concerne il tema del sogno americano, in questo romanzo i nonni
ricoprono una funzione ancora più importante di quella dei genitori, in
particolare essi svolgono il compito di risvegliare la coscienza di Dominic.
Nonna Bettina appare, sin dalla sua prima descrizione, come un personaggio al
di fuori della storia, completamente avulso dalla realtà circostante; la voce
narrante, quella del giovane protagonista, la presenta come una creatura
antichissima, nell‟aspetto come nel pensiero. Bettina, giunta in America in età
avanzata, non è mai riuscita ad abituarsi al nuovo ambiente e vive in un
costante rimpianto della terra che ha dovuto lasciare e che ai suoi occhi diventa
il simbolo di un paradiso perduto. Al contrario gli Stati Uniti vengono visti
come un mondo marcio, di perdizione. La sua visione contrasta nettamente con
quella del nipote che parla dell‟America come «land of opportunity»
121
(BY
98). L‟immagine che ne ha Bettina emerge chiaramente dal tono sarcastico con
cui si rivolge a Dominic, intento a svolgere i compiti di scuola:
«“And what are you studying, O wise and clever grandson? It is a book about
hunger and men walking the streets seeking work? Is it a book telling of your father
without a job for seven months, or is it the rich promise of golden America, land of
equality and brotherhood, beautiful America, sticking like a plague?”»
122
. (BY 16)
119
Ivi, p. 77: «Vuoi dire Jim Joyce, l‟interbase dei St Louis Browns? »
120
Ivi, p. 29: «[…] straniera in un modo che non era possibile descrivere, non era italiana e
ancora meno americana, una fragile disadattata.»
121
Ivi, p. 97: «paese delle opportunità»
122
Ivi, p. 27: ««E che studi, o saggio e intelligente nipote? È un libro che parla della fame e
degli uomini che camminano per le strade in cerca di lavoro? È un libro che racconta di tuo
padre che è disoccupato da sette mesi, o della promessa di ricchezza dell‟America dorata, terra
di uguaglianza e fratellanza, la bellissima America che puzza come una ferita marcia?»»
74
Altre volte parla dell‟America come di una terra di barbari e pronostica la
fine della società dell‟energia elettrica.
Tutti i discorsi della nonna, però, non sembrano impressionare Dominic,
egli compatisce quell‟anziana signora sradicata ma vuole andare avanti per la
sua strada, con il suo sogno americano. Desidera andare in California per
giocare a baseball e per farlo decide di vendere la betoniera del padre in modo
da procurarsi del denaro. Uscendo dal vialetto di casa come un ladro si imbatte
nella nonna, che inveisce dicendo:«“So this is the American way”, […] “To
kill the soul of a man, and them chop off his hands.”»
123
(BY 112); le sue
parole non bastano a fermare Dominic, ma laddove non è riuscita Bettina
riuscirà il suo defunto marito. Il ragazzo, infatti, è costretto a passare davanti al
cimitero dov‟è sepolto suo nonno, Giovanni Molise, ed è lì che gli viene a
mancare il coraggio di proseguire. La forza del nonno sta proprio nel suo non
esserci: Dominic avrebbe potuto affrontare chiunque, ma di fronte alla morte è
assalito dal senso di colpa, dalla paura e dalla vergogna:
«Had he stood there alive, I could have defied him as easily as I had his wife in our
alley. But he was dead, terribly dead, and I was afraid of his helplessness. I
remembered how he used to be when he was on the earth, … not a learned man but a
scholar who smiled all the time, pleased to be just a human being in the world»
124
.
(BY 114-115)
Al ricordo di Giovanni come una persona felice di vivere, nonostante la
povertà e le difficoltà, la sicurezza di Dominic crolla e all‟improvviso è
costretto a riconsiderare i suoi progetti; si domanda: «How low had I sunk? The
lure of fame and fortune had turned me into a madman»
125
(BY 115). Come
scrive Richard Collins, «In pursuit of the American dream, Dominic had
123
Ivi, p. 109: ««Ecco come fanno in America. […] Uccidono l‟anima di un uomo, poi gli
tagliano le mani.»»
124
Ivi, p. 111: «Fosse stato lì, vivo, avrei potuto resistergli facilmente come avevo resistito a
sua moglie nel vialetto. Ma era morto, terribilmente morto, e io avevo paura della sua totale
impossibilità a reagire. Mi tornava in mente com‟era da vivo, […] non era un uomo istruito,
sembrava piuttosto uno scolaro sempre sorridente, contento di esistere, un essere umano nel
mondo.»
125
Ibidem: «Quanto ero caduto in basso? L‟ambizione di fama e fortuna mi aveva trasformato
in un pazzo.»
75
almost stooped to “blight” the dream that his grandfather pursued by
immigrating to America in the first place»
126
.
Dominic torna sui propri passi, sarà poi il padre a vendere la betoniera per
permettergli di realizzare il suo sogno, a quel punto sarà troppo tardi per i
ripensamenti e Dominic dovrà partire per non rendere vano quel sacrificio.
Come fa notare Melissa Ryan
127
, il sogno americano ha molto a che vedere
con l‟immaginazione: quando i primi coloni sbarcarono in America, si
trovarono di fronte ad un paesaggio che lasciava ampio spazio alla fantasia e
che permise di identificare il Nuovo Mondo in una sorta di Terra Promessa.
Nell‟infanzia di Fante rêverie ed immaginazione, le stesse componenti che poi,
nella sua vita di scrittore, non l‟avrebbero mai abbandonato e delle quali si
sono nutriti anche molti suoi personaggi, svolsero un ruolo fondamentale. Il
giovane Fante, prima ancora di scoprire la letteratura, deve aver alimentato il
suo sogno americano proprio nel luogo in cui la fantasia si esprime per
eccellenza, il cinematografo.
È interessante a questo proposito una scena di Wait until Spring, Bandini, in
cui Arturo va al cinema a vedere “Love on the River”. Poco conta che quel film
non sia mai esistito realmente, è importante invece quel che accade durante la
proiezione: Arturo si identifica con il protagonista maschile ed immagina la sua
amata compagna di classe, Rosa Pinelli, nel ruolo femminile. Così, sullo
schermo, attraverso la finzione cinematografica, Arturo e Rosa, entrambi di
origini italiane, realizzano finalmente il loro sogno americano e Arturo
dimentica la propria diversità e inadeguatezza. Fante scrive:
«At once he was under the spell of that celluloid drug. He was positive that his own
face bore a striking resemblance to that of Robert Powell, and he was equally sure that
the face of Gloria Borden bore an amazing resemblance to his wonderful Rosa
… »
128
. (WUS 78)
126
R. Collins, John Fante: a Literary Portrait, p. 203. (Trad. mia): «Seguendo il sogno
americano Dominic aveva quasi finito per compromettere il sogno che suo nonno aveva
inseguito immigrando per primo in America.»
127
M. Ryan, At Home in America: John Fante and the Imaginative American Self, in “Studies
in American Fiction”, (anno) 2004.
128
J. Fante, Aspetta primavera, Bandini, (cit.), p. 16: «In un attimo si trovò sotto l‟incantesimo
di quella droga di celluloide. S‟era messo in testa che il suo viso assomigliasse
straordinariamente a quello di Robert Powell, ma era altrettanto certo che il volto di Gloria
Borden somigliasse in modo incredibile alla sua meravigliosa Rosa […]».