4
Con tale attributo, infatti, ci si può riferire, da un lato, alla 
natura del soggetto titolare del servizio, dall’altro, evidenziare, invece, 
la destinazione al pubblico del servizio stesso. 
Ma, il limite della prima interpretazione è evidente, infatti, 
quando si parla di servizio pubblico, non necessariamente ci si deve 
riferire a quella sfera di attività poste in essere da soggetti pubblici, 
ma, la concreta gestione del servizio pubblico può essere anche 
affidata a terzi, cioè ad organismi privati, purchè rimangano collegati 
alla pubblica amministrazione. 
Quindi, forse, è proprio dalla seconda interpretazione di tale 
aggettivo,  inteso nel senso di servizio destinato al pubblico nella sua 
collettività, che si può attingere per delineare ulteriormente i tratti di 
tale categoria. 
In definitiva, è servizio pubblico quell’attività economica che 
mira a soddisfare quei bisogni così largamente avvertiti, da essere 
considerati propri di una collettività. 
Si può quindi affermare che “i pubblici servizi hanno come 
presupposto funzionale il conseguimento di fini sociali.” 1 
Peraltro, il servizio diventa pubblico, solo in quanto le 
pubbliche istituzioni lo riconoscono come tale. 
Infatti, è la legge l’unico strumento per far assurgere un’attività 
economica al rango di vero e proprio servizio pubblico. 
In effetti, il riconoscimento di una certa funzione sociale, 
nell’ambito di una qualsiasi attività economica posta in essere, viene a 
dipendere dalla sensibilità culturale del momento e dalla volontà 
politica di chi rappresenta lo Stato: fattori entrambi estremamente 
variabili nel tempo e nello spazio. 
                                                                 
1
 ANTONIO PICARELLI, Sulla gestione delle imprese di pubblici servizi, in “Rassegna 
economica”, n.1/1975,  pag. 122. 
 5
Visto allora il continuo proliferare di nuovi bisogni individuali 
e/o collettivi e considerata la prerogativa della legge di dichiarare le 
relative attività servizi pubblici, è evidente l’impossibilità di 
delimitare una volta per tutte la categoria. 
E’ da queste considerazioni che si è ormai consolidata 
l’opinione secondo la quale, i servizi pubblici rappresenterebbero una 
categoria “aperta”. 
Altro aspetto da non tralasciare è il fatto che, lo Stato, nel 
momento in cui riconosce la finalità sociale di una certa attività, deve 
proporre anche quei “programmi” e “controlli” opportuni al fine di 
consentirne l’attuazione. 
Si riconosce, cioè, l’esis tenza di una vera  e propria disciplina 
speciale che presiede alle attività economiche con finalità sociali, 
disciplina che trova la sua concreta realizzazione nell’utilizzo di 
strumenti  ad hoc, quali appunto i “programmi” e i “controlli”. 
In questo senso dispone il terzo comma dell’art. 412 della 
Costituzione, che potrebbe così rappresentare un’ulteriore contributo 
nell’elaborazione della nozione di servizio pubblico. 
 
1.2 Diverse proposte di classificazione 
 
Viste le incertezze definitorie e l’impossibilità di delimitare 
inequivocabilmente i servizi pubblici, sarebbe poco significativo 
proporne un’elencazione. 
 
 
                                                                 
2
 Vedi UMBERTO POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova, Cedam, 1964. Secondo tale 
autore, gli articoli 41 e 43 della Costituzione, potrebbero rappresentare “lo stimolo ad una 
rinnovata elaborazione della nozione giuridica di pubblico servizio” . 
 
 6
E’ invece molto più utile provare a delimitare delle classi di 
servizi, tenendo conto di diversi criteri di classificazione. 
Un primo possibile criterio, potrebbe essere quello basato sulle 
categorie di bisogni che i servizi stessi mirano a soddisfare. 
In effetti, si presentano bisogni sempre più eterogenei e le 
rispettive classi, elaborate adattando uno schema proposto 
dall’Arcangeli3, sono le seguenti: 
a- bisogni di mobilità, cui corrispondono servizi di 
trasporto, quali, ad esempio,  ferrovie, tramvie, navi ed aerei; 
b- bisogni di comunicazione, per cui si rendono disponibili, 
da un lato, servizi come quello postale o telefonico e dall’altro, i 
servizi rappresentati da radio e televisione; 
c- bisogni energetici, fronteggiati con servizi quali, ad 
esempio,  l’elettricità, il gas naturale o artificiale; 
d- bisogni di acqua per uso domestico o industriale, cui 
corrisponde il servizio offerto dall’acquedotto; 
e- bisogni sanitari, per cui si realizzano servizi rappresentati 
da: fognature, nettezza urbana, farmacie. 
Altro criterio, potrebbe essere quello consistente nel distinguere 
i servizi pubblici a seconda della divisibilità o meno dei beni offerti.  
Infatti, esistono, sia  servizi la cui fruizione è individualizzata, si 
pensi all’utilizzo di mezzi di trasporto, sia servizi il cui godimento è 
indirizzato a tutta la collettività indistintamente e per i quali è 
impossibile riconoscere il singolo fruitore. 
 
                                                                                                                                                                                  
 
3
 ROSALIA ARCANGELI, Economia e gestione delle imprese di servizi pubblici, Padova, 
Cedam, 1995,  pag. 10. 
 
 
 
 7
Altra possib ilità di classificazione la si può intravedere, se si 
considera la natura dei processi produttivi impiegati nelle attività che 
caratterizzano  i diversi servizi.  
In certi casi, infatti, è possibile riscontrare processi di natura 
industriale: si pensi, ad esempio, ai servizi che si sostanziano nella 
produzione dell’energia elettrica o del gas, o ai sevizi offerti dagli 
acquedotti.  
In altri casi, invece, i processi produttivi impiegati sono di 
natura non industriale: si considerino, ad esempio, i servizi di 
assistenza alle persone. 
Come ultimo criterio classificatorio, ultimo peraltro in 
quest’analisi, viste le possibilità di individuarne anche altri, vorrei 
rifarmi alla diversa natura dei soggetti giuridici titolari 
dell’organizzazione produttrice del servizio. 
In effetti, per offrire sul mercato delle utenze un servizio 
pubblico, è inevitabile la costituzione di un’organizzazione che si 
occupi appositamente della produzione e distribuzione del servizio. 
Serve, cioè, un’azienda ad hoc. 
Tale azienda si occuperà, sia dell’approvvigionamento dei 
fattori produttivi necessari a consentire l’ottenimento del servizio, sia 
della produzione del servizio medesimo, concretando un’attività di 
trasformazione, sia, infine, della distribuzione di tale prodotto sul 
mercato delle utenze. 
 Quest’azienda potrà essere gestita4 dalla pubblica 
amministrazione,  con    varie   possibili   configurazioni  gestionali,  o  
 
                                                                 
4
 Circa i possibili  regimi  di gestione delle imprese produttrici di servizi, per un’analisi più 
accurata, vedi il successivo sottoparagrafo 2.2. 
 8
essere affidata a soggetti privati, ovviamente, ponendo determinati 
condizioni alla loro attività. 
Quest’ultima classificazione offre, quindi, spunti di grande 
interesse: si pensi al diverso ruolo e quindi ai diversi impegni, di 
natura operativa e finanziaria, che si potrebbero presentare per la 
pubblica amministrazione. 
 
 
2. L'interventismo pubblico: in particolare l'esercizio 
indiretto attraverso il vincolo della concessione 
 
 
2.1 I caratteri tipici dei servizi pubblici e l’esigenza di 
una riserva a favore dei pubblici poteri 
 
 
Tra i caratteri tipici dei servizi pubblici, non si può certo non 
evidenziare la loro pubblica utilità, o addirittura indispensabilità: 
qualità che comportano un interesse generalizzato, a che, tali servizi 
siano offerti in ogni momento, in maniera adeguata e a prezzi 
ragionevoli.  
Quale migliore garanzia, allora, per soddisfare quest’interesse 
generale, potrebbe esservi, se non quella derivante dal riservare, 
addirittura già in via originaria, tali servizi e le rispettive imprese allo 
Stato? 
Così sembra disporre, ed è ormai opinione ampiamente 
consolidata, lo stesso art. 43 della Costituzione. 
In effetti, tale articolo prevede espressamente  che determinate 
imprese,  o  categorie  di  imprese,  operanti  nei  settori  delle  fonti di  
 
 9
energia, o per l’erogazione di servizi pubblici essenziali, o in 
situazioni di monopolio, possano essere riservate originariamente, o 
trasferite mediante espropriazione, allo Stato, ad enti pubblici, o a 
comunità di lavoratori.  
Ma, riservare allo Stato non significa necessariamente che lo 
Stato debba assumere in proprio la gestione di tali imprese. 
Infatti, il concetto di riserva è da intendersi, in questo contesto, 
in senso negativo: ossia, come esclusione di privati dalla titolarità di 
imprese di servizi pubblici e come conseguente riconoscimento di una 
posizione sovraordinata dei pubblici poteri.  
In realtà, poi, questa riserva può portare, come nella pratica si è 
visto, a situazioni molto diverse. 
In effetti, lo Stato ha assunto, in certi casi, il ruolo di vero e 
proprio imprenditore, di produttore, accollandosi direttamente la 
gestione di queste imprese in via originaria, o riservandosene l’attività 
successivamente, con nazionalizzazioni e municipalizzazioni.  
In altri casi, invece, ha rivestito il ruolo di semplice regolatore, 
concedendo la gestione a soggetti privati, comunque inscindibilmente 
legati con vincolo di concessione.5 
In realtà, l’art. 43 della Costituzione sembra non prevedere 
questa seconda ipotesi di riserva-concessione, infatti, la si deve 
ritenere implicita. 
Comunque, al di là dell’interesse generale e dell’elevata 
indispensabilità di questi servizi,  sono anche altre le caratteristiche di 
tale settore che contribuiscono a giustificare l’intervento dei pubblici 
poteri.  
                                                                 
5
 Per quanto riguarda la natura e le caratteristiche di questo tipo di vincolo, vedi il paragrafo 3. 
 10 
Si pensi, anche semplicemente, all’elevato volume di mezzi 
finanziari necessari, soprattutto in fase di costituzione di queste 
imprese di servizi.  
Si pensi, ancora, alla vastità delle dimensioni di queste aziende 
e all’ampiezza dei mercati serviti.  
Da ultimo, occorre sottolineare una caratteristica propria di tali 
imprese, che è tra le più tradizionali per motivare scelte di 
interventismo pubblico: mi riferisco alla posizione di monopolio 
naturale nella quale, frequentemente, si trovano ad operare tali 
aziende. 
E’ ovvia, quindi, in questi casi, l’esigenza di contrastare 
eventuali abusi, che potrebbero essere perpetrati a danno dei 
consumatori.  
 
 
2.2 I diversi possibili regimi di gestione dei servizi 
pubblici. Il caso italiano 
 
 
L’esistenza di una riserva a favore dei pubblici poteri dà luogo a 
diversi possibili regimi di gestione dei servizi pubblici.  
In realtà, nella semplice schematizzazione che vede 
contrapposte due sole situazioni: Stato produttore, o Stato regolatore, 
possono presentarsi varie altre sfumature. 
E’ possibile individuare, infatti, quattro diversi regimi.  
Un primo regime, ormai pressoché scomparso, è quello della 
gestione pubblica diretta, rappresentato dal modello organizzativo 
dell’azienda organo (o azienda autonoma). 
 
 
 11 
La crisi di questo modello può essere simbolicamente 
rappresentata dalla trasformazione dell’azienda autonoma delle 
Ferrovie dello Stato in ente pubblico economico, operata dalla L. 
17/5/1985, n. 210. 
In tempi più recenti, può essere significativo l’esempio della 
trasformazione dell’amministrazione delle Poste e telecomunicazioni 
in ente pubblico economico, ad opera del D.L. 30/9/1993, n. 390, 
reiterato e poi convertito in L. 29/1/1994, n.71. 
Anche a livello locale, la L. 8/6/1990, n. 241, di riforma delle 
autonomie locali, ha ridisegnato il modello organizzativo dell’azienda 
speciale,6 superando, in particolare, la sua mancanza di personalità 
giuridica. 
Altro possibile regime di gestione potrebbe essere quello della 
gestione pubblica indiretta , quando, cioè, per la gestione del servizio, 
viene istituito un ente pubblico ad hoc, controllato dallo Stato. 
Si pensi proprio al caso dell’ente Ferrovie dello Stato, o più in 
generale, ad altri enti pubblici economici italiani quali erano: IRI, 
ENI, ENEL ed  altri.  
Comunque, ormai, anche l’ente pubblico economico appare 
come una figura recessiva, vista la sua scomparsa a favore del modello 
organizzativo della società per azioni7: il D.L. 11/7/1992, n. 33, 
convertito in L. 8/8/1992, n. 359, ha operato una trasformazione 
istantanea, ex lege, in società per azioni , dei maggiori enti pubblici 
economici italiani (IRI, ENEL, ENI, INA). 
 
 
                                                                 
6
 Circa le forme di gestione dei servizi pubblici locali, vedi MASSIMO ABBAGNALE, Spa miste 
e gestione dei servizi pubblici locali, Pisa, Servizio editoriale universitario di Pisa, 1996, pag. 23 e 
ss.  
7
 Anche l’ente Ferrovie dello Stato  è stato trasformato in una società per azioni interamente 
posseduta dal Tesoro dello Stato, per effetto della delibera del CIPE del 12 agosto 1992.  
 12 
Terzo possibile regime è quello della concessione a privati, con 
tale atto discrezionale, infatti, i pubblici poteri non solo attribuiscono 
la facoltà di gestire l’impresa, ma regolano anche le linee essenziali 
dell’attività del concessionario. 
Un buon esempio potrebbe essere quello del servizio di 
trasporto pubblico di linea su strada. 
In certi casi, poi, può accadere che alla riserva-concessione si 
accompagni una necessaria partecipazione pubblica nell’impresa 
concessionaria, cioè, l’azienda concessionaria verrebbe ad essere, al 
contempo, società o ente a controllo pubblico diretto o indiretto. 
Questo è il quarto possibile regime. 
Quindi, in definitiva, il ruolo dello Stato nella gestione di questi 
servizi può consistere in un esercizio diretto o indiretto. 
Ciò che conta è che, nel caso di esercizio indiretto, lo Stato si 
avvalga di soggetti legati alla pubblica amministrazione da due 
possibili vincoli che possono anche coesistere. 
Il primo vincolo è quello partecipativo: si prendano, ad 
esempio, le partecipazioni detenute dal Tesoro dello Stato negli ex 
enti di gestione delle partecipazioni statali e negli ex enti pubblici, 
dopo la loro trasformazione in società per azioni.  
L’altro vincolo è quello della concessione, mediante il quale, la 
pubblica amministrazione consente a soggetti estranei di svolgere, a 
prestabilite condizioni, determinate attività d’impresa che in linea di 
principio sono loro escluse. 
Una delle caratteristiche del regime italiano delle public 
utilities, consiste proprio nella coesistenza di entrambi  i vincoli: ossia,  
 
 
 13 
lo Stato viene ad assumere, in contemporanea, i ruoli di regolatore e 
produttore. 
Perché, in Italia, si sono sommati questi due tipi di intervento ? 
In genere, si ritiene che, se un’impresa concessionaria è anche 
pubblica, sia più facile controllarne la gestione, essendo il vincolo 
d’unione più intenso. 
Questo è vero solo in parte, poiché, in questa situazione, viene a 
mancare l’utile contrapposizione tra chi regola e chi è regolato, 
contrasto fonte di stimoli e di responsabilità. 
Inoltre, il management dell’impresa concessionaria, se privata, è 
sicuramente più attento all’efficienza, visto che i conseguenti benefici 
ricadranno in buona parte nella sua sfera. 
Comunque, tra le ragioni storiche che hanno portato nel nostro 
Paese al sommarsi dei due interventi, giocano sicuramente un ruolo 
fondamentale quelle operazioni di “salvataggio” che condussero, nel 
1933, all’istituzione dell’IRI. 
Infatti, in seguito a queste operazioni, passarono nelle mani 
dell’IRI i pacchetti azionari di controllo di molte imprese private 
concessionarie, che vennero così ad essere controllate con duplice 
vincolo. 
C’è poi chi spiega la prevalenza di questo regime rifacendosi 
alla debolezza delle amministrazioni di controllo, visto che, in Italia, 
per le funzioni di controllo delle public utilities non si è ricorsi ad 
amministrazioni ad  hoc, come le Commission statunitensi.  
Concludendo, si può dire che, in Italia, questo particolare 
regime di gestione dei servizi pubblici, caratterizzato “dalla somma di 
 14 
riserva, concessione e partecipazione necessaria di controllo, produce 
un effetto simile alla nazionalizzazione.”8 
 
 
3.  L'istituto della concessione e le sue problematiche 
 
3.1 La concessione: natura giuridica e presupposti 
 
 
La concessione è un atto amministrativo di diritto pubblico, con 
il quale i pubblici poteri attribuiscono al privato un particolare diritto. 
Questo diritto può essere di nuova costituzione, o può essere 
appartenuto originariamente allo Stato e quindi essere stato trasferito 
al privato, con l'atto di concessione. 
Con le autorizzazioni, invece, anch'esse negozi di diritto 
pubblico volti ad aumentare le facoltà dei privati, la pubblica 
amministrazione non crea, né trasferisce diritti, si limita a rimuovere 
un ostacolo che impedisce l'esercizio di un diritto che già apparteneva 
al privato. 
Nel campo dei servizi pubblici, è possibile riscontrare entrambe 
le tipologie di negozi, ma, sono senza dubbio più diffuse le 
concessioni, visto che le aziende, per poter esercitare questi tipi di 
attività, devono poter sfruttare forze naturali, usare aree pubbliche  e 
beni del demanio, espropriare ed imporre servitù; è evidente che la 
titolarità di tutte queste facoltà è riservata in via originaria alle 
pubbliche istituzioni.  
                                                                 
8
 SABINO CASSESE, La regolamentazione dei servizi di pubblica utilità in Italia, in 
“L’industria”, anno XIII, n.2, aprile-giugno, 1992, pag. 173. 
 15 
In definitiva, i pubblici poteri, con le concessioni, danno la 
possibilità ai privati di esercitare una determinata attività d'impresa, 
consistente nella produzione e distribuzione di servizi pubblici9. 
I rapporti tra ente concedente ed azienda concessionaria 
possono non essere regolati nello stesso atto di concessione, ma in un 
documento a sé stante: il "capitolato". 
Oppure, si possono avere le "convenzioni di concessione"10, con 
le quali in un unico atto si istituiscono le concessioni e si definiscono i 
rapporti tra le controparti, attraverso diverse ed articolate clausole. 
Proprio la presenza di questi documenti, volti a regolare i 
rapporti dei contraenti, ha sollevato opinioni contrastanti circa la 
natura giuridica delle concessioni.  
In effetti, per molto tempo,  ha prevalso la tesi secondo la quale, 
il momento fondamentale nel procedimento relativo alla concessione 
di beni e servizi era rappresentato dalla fase deliberativa, che 
terminava con un atto unilaterale della pubblica amministrazione: 
l'atto di concessione. 
Ormai questa tesi risulta superata; prevale la tesi 
contrattualistica, secondo la quale, il rapporto di concessione tra 
privato e pubblica amministrazione è un rapporto di natura 
prettamente contrattuale, dove il contratto di servizio, nel quale sono 
stabilite le clausole della concessione, assume una posizione 
sovraordinata rispetto al provvedimento amministrativo vero e 
proprio. 
                                                                 
9
 E' importante non confondere le concessioni di attività d'impresa con quelle di beni pubblici: è 
quest'ultimo il caso, ad esempio, delle concessioni per l'uso dei beni del demanio, si pensi, ad 
esempio, agli stabilimenti balneari che utilizzano in regime di concessione le spiagge. 
10
 Per un esempio di "convenzione di concessione", vedi l'allegato A, dove è riportato un estratto 
della convenzione per l'affidamento, in esclusiva, della distribuzione, nel comune di Fosdinovo, 
del gas metano. Ente concedente è il Comune di Fosdinovo e concessionario è il  consorzio per la 
gestione  e l'assunzione dei servizi di distribuzione di gas e acqua nella provincia di La Spezia. 
Tale consorzio agisce a mezzo propria azienda consortile denominata ACAM. 
 16 
La stessa normativa comunitaria11 ha confermato la natura 
contrattuale delle concessioni, suffragando la prima tesi.  
 Può essere interessante, inoltre, osservare come, quando si 
parla dei rapporti tra azienda concessionaria ed ente concedente, con 
questa espressione  "ente concedente",  ci si possa riferire a realtà 
molto diverse tra loro. 
Infatti, una "convenzione di concessione" può legare l'azienda, 
sia all'amministrazione diretta dello Stato, sia ad aziende autonome, 
sia ad enti locali territoriali o ad enti pubblici creati ad hoc, essendo 
diverse le possibili configurazioni dei pubblici poteri.  
Ad esempio, nel caso della distribuzione di acqua e gas, le 
"convenzioni di concessione" saranno stipulate con gli enti territoriali; 
mentre invece, nel caso dei servizi di telecomunicazione, i pubblici 
poteri saranno rappresentati dall'amministrazione diretta dello Stato, 
cioè, in questo caso,  dal Ministero delle Comunicazioni12. 
Quello che è certo è che, qualunque sia l'organismo pubblico 
che l'azienda concessionaria si trova davanti, il rapporto tra i due 
contraenti non sarà mai sullo stesso piano, infatti, l'ente concedente si 
troverà sempre in una posizione sovraordinata, offrendo l'opportunità 
ad altri soggetti di esercitare attività delle quali si trova ad essere 
titolare esclusivo. 
Ed è proprio questa titolarità esclusiva che funge da presupposto 
della concessione. 
 
                                                                 
11
 Vedi  l'art. 1, comma 2, della Direttiva CEE  n. 89/440 e l'art. 1, comma 3, della Direttiva CEE 
n.37/93. 
12
 Per quanto riguarda poi le Ferrovie, in virtù del processo di decentramento dei servizi locali su 
rotaia, avviato col "decreto Burlando" (d.lgs. 442/1997),  si arriverà all'acquisizione da parte delle 
Regioni delle funzioni amministrative di "regolatore" rispetto alle Ferrovie private affidate in 
concessione. 
 
 
 
 17 
Come potrebbero, infatti, i pubblici poteri attribuire ai privati il 
diritto di produrre e distribuire servizi, senza essere i titolari di questa 
attività che concedono? 
Del resto, è evidente il perché di questa titolarità esclusiva: basti 
pensare alle caratteristiche dell'attività che si va a concedere13, come 
anche alle non indifferenti facoltà che si rendono possibili per 
l'azienda concessionaria14. 
 
 
3.2 Le principali clausole delle "convenzioni di 
concessione" 
 
Tra le varie possibili clausole che possono essere comprese 
all'interno delle "convenzioni di concessione", mentre alcune sono 
solo eventuali, perché magari legate alla tipologia del servizio offerto, 
o ad un particolare accordo tra ente concedente ed azienda 
concessionaria, altre sono quasi sempre presenti.  
 Appartengono a questa seconda categoria, ad esempio, le 
clausole volte a definire l'oggetto della concessione stessa, le zone di 
diffusione del servizio, e  i termini temporali, ossia la durata della 
concessione. 
Definire l'oggetto di una concessione non significa altro che 
specificare, nella convenzione, quello che sarà il tipo di attività 
economica affidata all'azienda concessionaria. 
Ad esempio, la convenzione stipulata nel 1991 tra l'Ente 
pubblico delle Ferrovie dello Stato (non ancora s.p.a., ma non più 
                                                                 
13
 Circa il carattere di indispensabilità e l'utilità sociale dei servizi pubblici che ne giustificano la 
riserva a favore dei pubblici poteri, vedi il sottoparagrafo 2.1. 
14
 Si pensi, ad esempio,  alla possibilità di espropriare o di  costituire servitù coattive.