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INTRODUZIONE
Dalla mia esperienza di tirocinio, effettuata all’ interno del
Dipartimento di Salute Mentale (AUSL di Pescara), con la
supervisione del coordinatore di psicologia clinica, il Prof.
Giorgio Mistioni, relatore del lavoro; nasce l’ idea di questo
scritto.
Durante la mia pratica professionale, all’ interno del
Centro, mi sono resa conto di quanto sia importante il
transfert durante il colloquio. Ho potuto osservare, inoltre,
che il transfert, si impianta da subito anche nei colloqui non
strutturati e preliminari. Ho rilevato e provato in prima
persona, come nel colloquio con il paziente, interagisce
avvolte una notevole mole di aggressività.
Da subito mi sono interessata al fenomeno, ed ho voluto
studiarlo con attenzione, attingendo alla cultura
psicanalitica.
L’ elaborato, per tanto, si propone di mostrare quanto sia
centrale nel colloquio, con il paziente, prendere in
considerazione il transfert.
E’ stata rivista in prospettiva storica la scoperta del transfert
come elemento centrale dell’analisi, in particolare questo è
stato fatto rivisitando il caso Dora, caso in cui il fallimento
parziale dell’ analisi di Freud fu messo in relazione da egli
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stesso con la mancata elaborazione del transfert negativo
della paziente.
In particolare, l’oggetto della tesi è stato il prendere in
considerazione, da Dora in poi, il transfert negativo, come
elemento essenziale dell’ analisi, ed anche, come aspetto
fondamentale della psicopatologia in generale.
Si è voluto per tanto dimostrare come un approfondimento
del negativo abbia non solo affinato la possibilità di
colloquio e trattamento dei soggetti nevrotici ma soprattutto
abbia aperto le porte alla comprensione e al trattamento
degli stati borderline e psicotici. Ciò è stato possibile a
partire dalla scoperta kleiniana dell’invidia primaria che
giustifica la così detta “ Reazione Terapeutica Negativa”
(RTN) che è l’ elemento essenziale da dover elaborare nei
suddetti casi borderline e psicotici.
Lo scopo del lavoro, dunque, è quello di vedere e dimostrare
come la negatività sia l’ elemento essenziale da
comprendere ed analizzare in tutti i quadri clinici dalla
nevrosi alla psicosi.
Fatta salva dunque la necessità di poter diagnosticare e
comprendere nel paziente il positivo residuo, come
elemento essenziale, per l’inizio di quella alleanza
terapeutica, necessaria al proseguimento del lavoro
terapeutico.
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L’ elaborato, inizia, ripercorrendo, a ritroso, la vita e le
scoperte del padre della psicanalisi, S. Freud (capitolo 1).
Nel secondo capitolo l’ attenzione si è soffermata sul
concetto di transfert positivo e negativo, in particolare
quest’ ultimo è stato studiato prendendo in considerazione il
caso Dora. Il caso Dora è di un’ importanza straordinaria,
poiché pone a Freud il problema dell’ interruzione di un’
analisi, che apparentemente stava procedendo bene. Dopo
successive riflessioni, Freud, capisce che il conflitto
emotivo, che è alla base delle nevrosi, non deve essere solo
capito attraverso una spiegazione intellettuale, ma deve
essere risolto, elaborato, attraverso l’ attivazione dei conflitti
emotivi che si riproducono nel transfert.
Il lavoro continua mostrando l’ idea freudiana dell’
impossibilità di cura dei pazienti psicotici (capitolo 3).
Poiché Freud riteneva che il trattamento delle psicosi non
portano risultati terapeutici significativi, in quanto il
paziente è impossibilitato a stabilire il transfert con il
medico, poichè vi è la chiusura in se stesso e il distacco con
la realtà.
Nel quarto capitolo, l’ attenzione è stata rivolta alla
psicanalista infantile Melanine Klein, descrivendo le nuove
scoperte apportate, sia nel campo infantile che adulto.
Nelle pagine dedicate alla Klein, si è voluto mettere in luce
la rivoluzione che l’ autrice ha compiuto nel campo
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scientifico, spostando l’interesse dall’ intrapsichico all’ asse
relazione (all’ oggetto). E’ stata descritta la tecnica del
gioco (utilizzata per l’ analisi dei bambini) il concetto di
fantasia inconscia e lo sviluppo psichico (del bambino) con
attenzione particolare alle due posizioni: Posizione Schizo-
Paranoide e Posizione Depressva.
Con maggiore diligenza è stato trattato il fenomeno del
Transfert; il quale non viene considerato solo in maniera
freudiana, ovvero come la manifestazione di componenti
edipiche e come situazione analitica in cui il paziente
trasferisce sull’analista i propri desideri e conflitti infantili.
Per la Klein le radici del transfert affondano nelle primitive
relazioni oggettuali fantasmatiche, che il paziente non può
ricordare, ma che possono essere ricostruite proprio a partire
dalle relazioni di transfert e questo permette di ricostruire la
successione genetica delle fasi attraverso cui il paziente è
passato nel corso del suo sviluppo. Con la scoperta della
fantasia incoscia, la Klein ha modificato anche la tecnica
classica, dove importante è l’ interpretazione del transfert.
Con la scoperta dell’ invidia primaria, l’autrice, ha reso
possibile allargare la fascia di pazienti che possono essere
sottoposti all’ analisi, come gli stati borderline tra nevrosi e
psicosi, tendenze criminali, malattie psicosomatiche,
disturbi caratteriali.
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Nel quinto capitolo è stato preso in considerazione il
concetto di Reazione Terapeutica Negativa. Qui l’
attenzione è stata rivolta, dapprima, alla descrizione delle
origini del concetto per arrivare ad illustrare i meccanismi
che si insinuano nella cura di un paziente psicotico.
Nel sesto capitolo è stata presa in considerazione l’ area
psicotica, per sottolineare quanto la negatività espressa (sia
nel transfert che nella Reazione Terapeutica Negativa)
rappresenti un grande problema tecnico e teorico della
psicanalisi degli stati psicotici. Nelle pagine sono stati
affrontati gli attuali problemi teorici e diagnostici per la cura
dei pazienti psicotici. Il capitolo si conclude accennando le
tecniche adoperate da parte degli psicanalisti per la terapia
di questa categoria di pazienti.
L’ elaborato parte da una mia esperienza di osservazione di
un colloquio clinico condotto dal Prof. G. Mistioni, durante
l’ espletamento della mia attività di tirocinio con lui.
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CAPITOLO 1
UN’ ESPERIENZA PERSONALE
1.1 Premessa
Dalla mia esperienza di tirocinio, svolta all’ interno del
Dipartimento di Salute Mentale (AUSL di Pescara), con la
supervisione del Prof. Giorgio Mistioni, riporto, un
colloquio clinico da me osservato.
Premetto che all’ interno del Dipartimento ho fatto
esperienza clinica, osservando numerosi colloqui
preliminari a cui seguivano la stesura di protocolli
osservativi e la Supervisione del Prof. G. Mistioni.
Come ho già asserito nell’ introduzione, da questa
esperienza ho osservato e compreso l’ importanza del
fenomeno del transfert all’interno del colloquio e come in
questo interagisca, spesso, l’ aggressività del paziente.
Per tanto ho voluto studiare con più attenzione tale
fenomeno dal punto di vista teorico, e, da qui è nata l’idea
di realizzare il presente lavoro.
1.2 Caso clinico
Un giorno si presenta nello studio del Dott. G. Mistioni un
paziente; un uomo di circa 40 anni, brizzolato,vestito in
maniera sportiva.
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Alla soglia della porta chiede conferma se quello che ha
davanti è il Dott. Misticoni, ricevuta tale conferma si
accomada e si siede.
La cosa che più mi colpisce è il suo modo di parlare, di
gesticolare, di muovere gli occhi, il tutto messo in atto con
molta agitazione. Inizia a parlare di sé, dicendo che il suo
psichiatra gli ha consigliato di svolgere una psicoterapia,
alla quale vuole partecipare ma solo se a questa, seguirà una
certificazione. Il paziente racconta in maniera convinta di
conoscere il focus del suo problema “psichico” (come egli
stesso afferma), il quale si trova nel lavoro che svolge.
Egli è un impiegato postale, descrive il suo lavoro come
alienante, disumano, dice di incontrare centinaia di persone
e di avere la responsabilità di maneggiare molti soldi, che
avvolte, per piccole distrazioni, vanno perduti e pertanto,
lui, deve rimborsarli. Continua ad affermare che il suo
lavoro è distruttivo per la sua persona, non riesce più a
gestirlo e a tollerarlo, ed è per questo che ha deciso di
presentarsi dal Dott. Misticoni, con l’ obiettivo di effettuare
una psicoterapia (certificata) in modo tale da potersi
assentare dal lavoro per circa due mesi e richiedere la
monetizzazione dei danni psicologici. Dopo queste
affermazioni molto forti e dopo aver illustrato il suo
programma, il Dott. chiede come trascorre le sue giornate,
oltre al tempo impiegato per il lavoro, il paziente risponde
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con queste testuali parole: “mi alzo il mattino, mi preparo e
vado a lavoro, e lì in quell’ inferno inizia la negatività di
tutta la giornata, poiché quando rientro a casa mi sente
nervoso, infastidito da tutto quello che mi circonda. A causa
di questo mio stato d’ animo non riesco a vivere una vita
normale, non riesco a socializzare, non ho rapporti con le
donne da mesi e anche quando li avevo li ho sempre vissuti
male, tutto ho vissuto male, l’ amore, gli affetti la
sessualità”.
Continua raccontando di star male anche di notte, non riesce
più a dormire, si sente assalito da una forte ansia, descrive
che avvolte gli è capitato di avere delle convulsioni
(precisamente e tecnicamente sono delle contratture
muscolari). A causa di questo suo malessere notturno si è
dovuto trasferire a casa dei genitori, i quali abitano vicino l’
ospedale, in modo tale da sentirsi protetto se di notte gli
dovesse accadere qualcosa.
Io continuo ad osservare e a prestare attenzione alle parole
del paziente, il quale continua con toni sempre più convinti
e accesi, ad incolpare il suo lavoro, aggiungendo di tanto in
tanto dei particolari. Racconta di non voler essere
comandato da altre persone, ed è per questo che litiga
quotidianamente con il direttore (in passato questi litigi sono
stati molto accesi); desidera un lavoro autonomo dove può
essere libero di gestirsi. Il paziente continua ad aggiungere
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particolari al suo racconto. Racconta che dopo le ore passate
al lavoro ogni volta che rientra a casa dai suoi genitori sta
male, descrive il rapporto con quest’ ultimi come disastroso,
soprattutto con il padre. Racconta di essere incompreso, che
entrambi i genitori quotidianamente gli ripetono di non
lasciare quel lavoro. Una frase mi colpisce in particolar
modo, ed è la seguente: “i miei genitori non mi capiscono,
sono vecchi ed appartengono ad un’altra generazione”.
Il Dott. interviene chiedendo se il rapporto con entrambi i
genitori è stato sempre di incomprensioni anche nel passato,
il paziente risponde affermativamente.
Il Dott. gli chiede che rapporto ha con le donne, il paziente
gli risponde con un tono un po’ infastidito, con le seguenti
parole: “non ho rapporti perché non riesco ad averli, un po’
perchè ho conosciuto sempre donne che non andavano bene
e un po’ perché non riesco a dare quello che loro cercano
in un uomo, ma questo è normale, non trova? Se non sto
bene io come posso far star bene la persona che ho
accanto? Io desidero una donna come tutte le persone
normali, avere una sessualità normale, ma tutto questo mi
impossibile a causa del mio problema, il lavoro”.
Il Dott. a questo punto (fase della restituzione) interviene
dicendogli che bisogna riflettere sul perché sia importante,
per lui il certificato, per il lavoro, piuttosto che l’ aiuto che è
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venuto a chiedere e che bisognerà fare dei colloqui per
chiarire questo, prima di iniziare il trattamento.
Il paziente all’ ascolto di quelle parole cambia espressione,
assume una postura più rigida, composta. Risponde
ripetendo che è il lavoro a farlo star male, ad averlo ridotto
in questo stato.
Il Dott. risponde nuovamente cercando di fargli capire che il
problema non è nel lavoro ma in lui stesso, gli spiega che
quello che ha è una nevrosi dalla quale si difende spostando
i suoi conflitti sul lavoro.
Il paziente risponde con queste parole: “quindi mi faccia
capire, lei mi sta dicendo che il problema non è il lavoro ma
il grande problema è dentro di me? Giusto?”.
Il Dott. risponde affermativamente, spiegando che è proprio
dall’osservazione interiore che bisogna iniziare per
effettuare una psicoterapia.
Osservo il volto del paziente, questo mi sembra un po’ più
convinto, ma la mia osservazione cade nel momento in cui
egli pronuncia queste parole: “ma quando devo venire
adesso? Ma poi non ho capito, lei mi certificherà le sedute
che dovrò fare?”. Il Dott. gli risponde di richiamare, che
occorrono dei colloqui e che la terapia potrà iniziare quando
lui avrà più chiaro il senso e l’ utilità del trattamento.
Il colloquio è giunto alla fine, il dott. accompagna il
paziente alla porta, questo prima di varcare la soglia si volta
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e mi saluta con un gran sorriso. Io penso dentro di me, ma il
paziente avrà capito quello che il dott. ha cercato di
spiegargli?
1.3 Conclusioni.
Discutendo, in supervisione, ho potuto percepire la forte
resistenza del paziente ad esplicitare il suo bisogno di aiuto
e l’ aggressività con la quale egli ha attaccato questa
possibilità presente nella psicoterapia svuotandola e
strumentalizzandola al fine di ottenere certificati utili alla
sua battaglia legale.
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CAPITOLO 2
BIOGRAFIA DI UNA SCOPERTA
2.1 Il romanzo familiare di Freud.
Solo ripercorrendo a ritroso la biografia di Sigmund Freud è
possibile individuare il procedere delle sue ricerche.
Freud stesso, ebbe una profonda consapevolezza del suo
ruolo culturale, la sua biografia è ricostruita proiettando, a
ritroso, la luce delle sue scoperte.
Scrive, al termine dell’ “Autobiografia”, (1924) : “Cosi’
dunque, se mi volto indietro e guardo al lavoro svolto fin
qui, posso dire di aver iniziato molte cose e di aver fornito
lo spunto per molte altre che certo in futuro verranno
elaborate e sviluppate […]. Mia sia consentito però
esprimere la speranza di aver aperto la strada a un
importante progresso delle nostre conoscenze”.
S. Freud nacque il 6 maggio 1856 a Freiberg, in Moravia da
una famiglia di ebrei commercianti di lana.
Il padre Jacob si sposò tre volte, dal primo matrimonio ebbe
tre figli, Emmanuel e Philipp; dal terzo, contratto a
quarantuno anni, con Amalia Nathanson , ebbe come primo
genito Sigmund, seguito da altri sette fratelli.
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Nel corso della sua autoanalisi , all’ epoca della morte del
padre, Freud ritrovò in sé sentimenti inconsci fortemente
aggressivi, rivolti al padre tanto amato.
Quando Freud ebbe quattro anni, a causa di una grave crisi
del commercio della lana, la famiglia fu costretta a
trasferirsi a Vienna. A nove anni superò l’ esame per l’
ammissione allo “Sperl Gimnasium”. Compi’ brillantemente
il ginnasio, a diciassette anni si diplomò ottenendo la
menzione di summa cum laude.
Successivamente intraprese gli studi di medicina, ciò che lo
convinse a scegliere e a intraprendere questo tipo di studio
fu, a suo dire, l’ entusiasmo per le teorie di Darwin che
“affermano la speranza di straordinari progressi nella
comprensione del mondo” e l’ ascolto dei saggi di Goethe
sulla natura.
Negli ultimi anni della sua vita tendeva a dire che egli non è
mai stato un medico nel senso tradizionale della parola.
Effettivamente durante i suoi studi universitari, tendeva a
comportarsi come uno scienziato, avviato a una carriera
scientifica, e non come uno studente di medicina che
volesse diventare un buon medico.
Il suo maestro, il fisiologo Ernest W. Von Brucke, gli fece
comprendere che date le sue condizioni economiche era
necessario che egli si avviasse ad una carriera pratica, Freud
si sottopose ad un accurato tirocinio per questo; ma egli finì
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per trovare il modo per non fare il medico nel senso comune
della parola, e per diventare qualcosa di diverso.
Freud, fin da quando si iscrisse come studente alla facoltà di
medicina, non si è mai pienamente identificato con l’ ideale
della professione.
Freud entrò all’ università, nel 1873; fin dal secondo anno
seguì, oltre ai corsi prescritti, vari corsi di biologia generale,
di zoologia, e un seminario di filosofia di Brentano sulla
logica Aristotelica.
Nella primavera del 1876, il professore di zoologia, Carl
Claus, gli affidò una ricerca sulla struttura delle gonadi dell’
anguille, il lavoro fu pubblicato l’ anno successivo.
Fin dai primi studi universitari, Freud, frequentando le
lezioni di fisiologia, entrò in contatto con la personalità di
Ernest W. Von Brucke (1819-92). Quest’ ultimo di origine
germanica, rappresentava a Vienna, la prestigiosa scuola di
H. von Helmholtz, un vero e proprio movimento che si
proponeva di realizzare un netto distacco della scienza
romantica contrapponendo al vitalismo (dottrina filosofica e
scientifica diffusasi tra il XVIII e il XIX che, sulla scia delle
idee derivate dalla Naturphilosofie romantica, per spiegare i
processi della vita, biologici e fisiologici, ribadiva la
presenza di una forza vitale) un nuovo programma
meccanicistico, rigorosamente deterministico, che
perseguiva la generalizzazione del metodo sperimentale e
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dei principi teorici della fisica. Nel 1845, Ernest Brucke
insieme a Emil Du Bois-Reymond, Carl Lubwig, coniarono
la Berliner Physikalischer Gessellschaft (società fisica
tedesca), il loro orientamento teorico era accentrato sul
principio della conservazione di energia (energetismo) e
nella necessità di spiegare tutti i fenomeni, psichici
compresi, su basi fisico-fisiologica (principio che Freud
utilizzerà nell’ organizzazione del suo modello di apparato
psichico). La Fisiologia di Brucke si fondava sulla
concentrazione meccanicistica ed energetistica. Per questa
concezione, tutte le funzioni nervose e, quindi tutti i
fenomeni psichici erano costituiti da un eccitamento che si
originava, mediante stimolazione alle terminazioni dei nervi
afferenti. Attraverso i centri nervosi, l’ eccitamento veniva
trasmesso ai nervi afferenti, tali stimolazioni potevano
essere originati non solo da forze esterne all’ organismo ma
anche da parti dell’ organismo non appartenenti al sistema
nervoso, ad esempio fonti di carattere vegetativo, questa
duplice provenienza della stimolazione, modificava
sostanzialmente il tradizionale concetto di riflesso; (il
discorso sulle stimolazioni all’ interno dell’ organismo
porterà, Freud, al concetto di pulsione, “trieb”, inteso come
stimolo costante e continuo).
Nel 1876, Freud, fu ammesso nell’ istituto di fisiologia di
Brucke come famulus, allievo ricercatore. Brucke affidò a