____________INTRODUZIONE
7
I fatti di cronaca degli ultimi anni non fanno altro che riportare casi di violenza
all’infanzia; sia per radio sia per televisione vengono continuamente trasmesse notizie
riguardanti bambini seviziati, maltrattati, abusati e picchiati non soltanto in luoghi pubblici e
da persone a loro sconosciute, ma anche in ambienti scolastici e familiari da chi dovrebbe
essere solo fonte di educazione ed amore.
Sono molti “i mostri” che vengono alla luce dai casi di maltrattamento minorili:
pedofili, genitori violenti e abusanti, madri depresse e padri assenti, insegnanti inadeguati e
scarsamente motivati a svolgere una delicata professione come quella dell’insegnamento.
La violenza all’infanzia può assumere forme diverse, come le cause dalle quali deriva
e le conseguenze che ne scaturiscono e che possono manifestarsi, col trascorrere del tempo,
nel bambino in crescita.
La constatazione di queste circostanze ha suscitato in me molte domande alle quali
non ho mai saputo dare una risposta dettagliata, ma sempre fittizia e superficiale, fino al
momento in cui ho deciso di intraprendere questo studio, sollecitata anche dalla
partecipazione ad un Corso dal titolo “Uscire dai labirinti della violenza”, tenutosi lo scorso
anno presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium».
Il corso si è svolto in quattro incontri, ai quali hanno preso parte il Dottor Andrea
Bollini (direttore del Centro Studi Sociali sull’Infanzia e l’Adolescenza Don Silvio De
Annuntiis), la Dottoressa Paola Di Blasio (professoressa ordinaria di “Psicologia dello
Sviluppo” all’Università Cattolica di Milano), il Dottor Francesco Montecchi (primario di
neuropsichiatria all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma) ed il Dottor Claudio Foti
(psicoterapeuta e direttore del Centro studi Hänsel e Gretel di Torino).
Principalmente sono rimasta colpita dall’intervento del Professor Francesco Montecchi
che ha saputo catturare l’attenzione di ogni persona presente al corso riportando le proprie
esperienze nel campo dell’abuso infantile. Così, in qualche modo, ho deciso di seguire la sua
strada, in altre parole di prendere in esame il maltrattamento all’infanzia considerando il gioco
come uno strumento utile per il suo rilevamento.
Affascinata dalla proprietà proiettiva del gioco, particolarmente espressa dalla Sand
Play Therapy (tecnica diagnostica e terapeutica utilizzata dal Dottor Montecchi nella sua
onlus La Cura del Girasole), e dai diversi studi condotti sul suo sviluppo e sulla sua funzione
di rilevamento del trauma infantile, ho scelto di completare la focalizzazione delle procedure
diagnostiche, in questo ambito, con la trattazione del disegno come ulteriore tecnica
proiettiva. Gioco e disegno, infatti, sono espressioni tipiche del periodo infantile attraverso i
8
quali viene facilitata la comprensione delle dinamiche interne del bambino, dei suoi bisogni,
delle sue fantasie e delle sue paure.
Nel mio lavoro ho voluto dare un taglio diverso al tema delle violenze infantili, poiché
non mi focalizzo prevalentemente sui maltrattamenti che possono invadere il mondo del
bambino, ma pongo attenzione a come egli, non ancora pronto ad esprimersi con un
linguaggio verbale, possa manifestare e “raccontare” le sue esperienze e i suoi vissuti
attraverso l’atto ludico-grafico.
La tesi è articolata in due capitoli. Nel primo capitolo, allo scopo di entrare
nell’ambito del maltrattamento infantile, affronto le sue diversificate forme che lo
caratterizzano; descrivo, poi, le conseguenze, a breve, medio e a lungo termine che questi atti
possono determinare sul piccolo.
Nel secondo capitolo mi concentro sul gioco e sul disegno, intesi come possibili
strumenti di diagnosi e di intervento nei casi di maltrattamento infantile. La prima parte del
presente capitolo è dedicata al gioco ed è suddivisa in due grandi paragrafi: nel primo espongo
l’evoluzione dell’attività ludica in concomitanza con la crescita individuale; nel secondo
paragrafo tratto della possibile valutazione della violenza all’infanzia attraverso
l’osservazione del gioco del bambino e di alcune tecniche ludiche (la Sand Play Therapy e lo
Story Stem Technique) riconosciute nella loro validità diagnostica.
Nella seconda parte del capitolo prendo in esame l’utilizzo del disegno nell’infanzia,
anch’esso possibile strumento di diagnosi e di intervento nei casi di maltrattamento infantile.
Seguo, anche per questo strumento, le medesime tappe utilizzate per il gioco: nel primo
grande paragrafo parlo dello sviluppo del disegno infantile, a partire dallo scarabocchio fino
ad arrivare al disegno della figura umana e di ciò che con esso il bambino manifesta; nella
seconda parte tratto dell’utilizzo di alcune tecniche del disegno, con valenza proiettiva, utili
sia per rilevare il trauma sia per effettuare strategie d’intervento.
Completo la trattazione sulle procedure di rilevazione del maltrattamento infantile, con
la descrizione di alcuni casi emblematici, reperiti dai diversi testi citati nella bibliografia allo
scopo di chiarire il contenuto teorico precedentemente affrontato.
____________CAPITOLO I
IL MALTRATTAMENTO INFANTILE E LE
SUE CONSEGUENZE PSICO-FISICHE
10
Prima di entrare nell’area tematica delle procedure e delle tecniche della rilevazione
del maltrattamento infantile, in questo primo capitolo mi propongo di trattare alcuni contenuti
generali della violenza all’infanzia e delle sue conseguenze. Si tratta di una realtà da sempre
esistita, ma che, nella società contemporanea, sembra aver avuto un notevole incremento,
tant’è che nella cronaca odierna si parla continuamente di bambini abusati, maltrattati,
trascurati, dimenticati e/o abbandonati a se stessi.
Intendo suddividere il presente capitolo in due parti: nella prima parte inizio col
prendere in esame le varie visioni che, nelle diverse epoche, hanno caratterizzato il fenomeno
del maltrattamento all’infanzia; continuo poi con un excursus storico dei primi studi sul tema
considerando anche la concezione dell’infanzia che è stata, a sua volta, “vittima” di
cambiamenti nel corso del tempo. Infine, tratto delle varie forme di maltrattamento esistenti
sotto la denominazione di child abuse (abuso all’infanzia) and neglect (e trascuratezza).
In generale, come sottolineano diversi autori, si può dire che un bambino non viene
abusato soltanto a livello sessuale ma, l’atto traumatico, si verifica in tutti i campi della sua
vita. Per questa ragione è opportuno pensare a questo fenomeno guardando al significato più
ampio del termine: nel momento in cui al bambino, nel corso del suo sviluppo psicofisico,
non è concesso di godere del proprio diritto di essere rispettato nella sua integrità e dignità
personale, questo è da definirsi abuso. Il tradimento che subisce, in ogni tipo di
maltrattamento che egli vive, è forte, invasivo, brutale e si intromette nella sua crescita
procurandogli gravi danni a livello psicofisico. Ė in quel preciso istante che sul piccolo
«cadono le stigmate dell’abuso».
1
Nella seconda parte del capitolo prendo in esame le conseguenze psico-fisiche che la
violenza può causare alla piccola vittima e cerco di evidenziare i sintomi, provocati dal
trauma subito, riconoscibili nella vita dell’adulto abusato.
Inizio con l’evidenziare i meccanismi difensivi che possono essere assunti dal
bambino traumatizzato e dai quali possono scaturire diverse interferenze sullo sviluppo e
disagi emotivi a carico del bambino stesso. Nel secondo punto del capitolo mi soffermo sulla
compromissione delle capacità cognitive, sociali ed emozionali a cui la piccola vittima può
essere soggetta; nel terzo punto tratto dei diversi disturbi di personalità che il piccolo, con
problemi di violenza alle spalle, può sviluppare. Di seguito affronto l’influenza del
maltrattamento sul legame d’attaccamento, i Disturbi del Comportamento Alimentare ed il
Disturbo Post-traumatico da stress e, infine, nell’ultimo punto del capitolo, analizzo le
1
D’AMBROSIO Cleopatra, L’abuso infantile. Tutela del minore in ambito terapeutico, giuridico e sociale, Trento,
Erickson 2010, 15-16.
11
possibili conseguenze post-traumatiche a lungo termine.
1. La violenza all’infanzia
In questa prima parte del mio lavoro focalizzo l’attenzione sulla violenza all’infanzia,
2
intendendo, con tale termine, ogni tipo di maltrattamento fisico e psichico: trascuratezza,
ingiurie, deprivazione affettiva e violenze sessuali perpetrate da un adulto (sia egli familiare
sia extrafamiliare) nei confronti di un bambino.
Tratto principalmente di abusi perpetrati in famiglia, in quanto prendo in esame una
fascia di età che va dai zero ai sei anni, periodo nel quale la vita del piccolo si svolge,
principalmente, in casa. Henry e Ruth Kempe, due pionieri nello studio del tema della
violenza sui bambini, affermano che il maltrattamento infantile non è un atto razionale, né
premeditato, ma avviene in un momento di crisi all’interno dell’ambiente familiare ed è,
solitamente, seguito da angoscia e sensi di colpa nutriti sia da colui che perpetra l’abuso sia da
chi lo subisce.
3
Sono state date diverse definizioni di abuso all’infanzia; Henry e Ruth Kempe
sostengono che si può parlare di «abuso al bambino ogni qualvolta il bambino è oggetto di
violenza, ma il rapporto di causa-effetto non risulta chiaro»;
4
l’Organizzazione Mondiale della
Sanità definisce l’abuso come
«tutte le forme di cattivo trattamento fisico e/o affettivo, abuso sessuale, incuria o trattamento
negligente nonché sfruttamento sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o
potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di
una relazione di responsabilità, fiducia o potere»;
5
il Consiglio d’Europa lo definisce come
«gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentando alla sua integrità corporea, al
suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono le trascuratezze e/o lesioni di
ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del
bambino».
6
In generale le definizioni di abuso all’infanzia appaiono molto diverse fra loro,
2
Infanzia: termine che etimologicamente rinvia al periodo in cui il bambino non sa ancora parlare, si riferisce ai
primi anni di vita e si distingue in: prima infanzia (dalla nascita ai due anni); seconda infanzia (dai tre ai sei
anni) (cf GALIMBERTI Umberto, Enciclopedia di Psicologia, Torino, Garzanti 2007, 525).
3
Cf KEMPE Ruth S. – KEMPE Henry C., Le violenze sul bambino [Child Abuse, London, Open Books and Open
Books 1978], Roma, Sovera 1989, 38-39.
4
Ivi 18.
5
GIUSTI Edoardo – FRANDINA Maria, Terapia della vergogna. I turbamenti dell’arrossire e dell’imbarazzo,
Roma, Sovera 2010, 128-129.
6
MARCHESCHI Mora – FLORIANI Chiara – TANCREDI Raffaella, Diagnosi e trattamento delle condotte di abuso
nella prima infanzia, in NIZZOLI Umberto – PISSACROIA Mario (a cura di), Trattato completo degli abusi e delle
dipendenze, Volume II, Padova, Piccin 2004, 1466.
12
alcune enfatizzano il comportamento e/o le azioni dell’adulto, mentre altre considerano
attuato l’abuso solo se questo procura danni reali o potenziali alla piccola vittima.
Prima di addentrarmi nella spiegazione delle diverse tipologie della violenza
all’infanzia intendo proporre un excursus storico nel quale mettere a fuoco, come dicevo in
precedenza, la visione dell’infanzia nei vari periodi storici ed i primi studi che furono
effettuati per indagare sul tema del maltrattamento infantile.
1.1. Percorso storico e primi studi sul tema del maltrattamento all’infanzia
Nel trattare il tema della violenza nei confronti dell’infanzia credo sia opportuno
definire i vari modi in cui la violenza è stata vista e/o giustificata nelle diverse epoche e nei
diversi contesti culturali.
Il bambino, nella storia dell’umanità, è sempre stato vittima di maltrattamenti, sia
all’interno del nucleo familiare sia al suo esterno, ma ciò non significa che non vi fosse una
cura dell’infanzia, solo che, determinati valori, che erano profondamente radicati nelle civiltà
passate, reputavano leciti comportamenti che oggi verrebbero considerati tipologie di abuso.
7
Ad esempio, nell’età classica, il bambino era considerato come un essere in potenza, poiché
privato delle doti appartenenti ad un uomo adulto. Egli, essere imperfetto, perché appartenente
ad un’età imperfetta, era oggetto di autoritarismo vessatorio e di discipline oppressive.
8
Nel periodo medievale era uso comune allontanare precocemente il bambino
dall’ambiente familiare affidando la sua educazione alle istituzioni che, come strumento
pedagogico, utilizzavano le punizioni corporali. Tali punizioni venivano utilizzate anche nel
XVII secolo al fine di correggere determinati comportamenti del fanciullo visti come una
manifestazione della depravazione propria del piccolo. In quel periodo era comune pensare
che «solo spezzando totalmente la volontà del bambino, questo può essere salvato dallo
spirito innato del male insito in lui».
9
Nel XVIII secolo si diffuse l’affidamento delle cure del bimbo alle balie. Ciò, da un
lato danneggiava i processi di attaccamento tra figlio e genitori e, dall’altro lato, significava
che se un bambino veniva affidato a balie povere era spesso vittima di denutrizione, carenza
di cure e abbandono. Nel XIX secolo, con la creazione di alcuni istituti di accoglienza per
bambini abbandonati, ha avuto inizio la prevenzione agli infanticidi e agli abbandoni (di cui
7
Cf KEMPE – KEMPE, Le violenze 14.
8
Cf ANONIMO, Storia dell’abuso all’infanzia in http://web.tiscali.it/childabuse/cap.1.htm, 09.09.2011, 1-2.
9
MARTONE Gabriella, Storia dell’abuso all’infanzia, in MONTECCHI Francesco, Gli abusi all’infanzia. Dalla
ricerca all’intervento clinico, Roma, Carocci 2000, 24.
13
tratto nel paragrafo successivo); ed oggi, nel XXI secolo, si cerca di prevenire il disagio del
bambino, riconoscendolo come bisognoso d’amore, di cure, di carezze e di empatia.
Attualmente si può dire che la visione del bambino e la coscienza dell’infanzia sia
notevolmente cambiata. Tale cambiamento è spiegabile nel percorso storico dell’umanità e
nel contesto sociale a cui l’umanità stessa appartiene.
«Da Sparta in cui i neonati handicappati venivano gettati dalla rupe che circondava la città, alla
Rivoluzione francese che proclama, nella Costituzione del 1793 che il bambino non possiede che
diritti, la coscienza dell’Infanzia, in quanto tale, emerge molto lentamente e con grandi difficoltà.
[…] Dopo la Rivoluzione francese, che determina una trasformazione fondamentale, ma
unicamente a livello ideale, del ruolo dell’Infanzia nella Società, l’epoca napoleonica rappresenta
un ritorno all’onnipotenza paterna tradizionale».
10
Con l’avvento della Rivoluzione industriale non migliorano le condizioni infantili, al
contrario essa ha prodotto uno sfruttamento, in ambito lavorativo, dei minori che, trattati
come schiavi, venivano privati di ogni tipo di bene ma, paradossalmente, è proprio grazie a
questa gravissima condizione di disagio che si riesce a sensibilizzare l’opinione pubblica e si
comincia a dare peso al maltrattamento minorile e a considerarlo un problema sociale.
11
Secondo Labbé Jean, professore del dipartimento di pediatra dell’Università canadese
“Laval”, la consapevolezza sociale dei maltrattamenti sui minori si ha nel momento in cui
Ambroise Tardieu, un medico legale di Parigi, descrive, in un suo lavoro denominato Etude
medico-legale des blessures la Battered Child Syndrome
12
constatando la grandezza e la
gravità del fenomeno della violenza all’infanzia tramite trentadue casi di bambini maltrattati,
picchiati e ustionati a morte. Egli ha sottolineato che il problema del maltrattamento tocca,
principalmente, i bambini più piccoli e che gli aggressori sono spesso parenti molto stretti,
spesso i genitori. L’Autore ha evidenziato dei “tratti comuni” nelle vittime: pallore, magrezza,
tristezza, timidezza, timore e sguardo spento.
13
È nel secolo appena passato (XX secolo) che si cominciano a riconoscere i diritti del
bambino e si capisce che questi devono essere tutelati, non soltanto dalla famiglia d’origine
del piccolo, ma dall’intera società.
Nel 1925, a Ginevra, viene approvata la Dichiarazione dei diritti del fanciullo dove si
afferma il diritto dei bambini di essere nutriti, curati e protetti da ogni forma di sfruttamento.
10
GUARALDI Gian Paolo – CAFFO Ernesto, Maltrattamenti ai bambini, in BATTACCHI Marco W. (a cura di),
Trattato di psicologia dell’età evolutiva, Tomo II, Ricerche, Padova, Piccin 1989, 791.
11
Cf Loc.cit.
12
Battered Child Syndrome è un termine usato per descrivere lo stato di un bambino che ha subito violenza, ed è
una delle cause principali di disabilità o morte (cf KEMPE Henry, The Battered Child Syndrome in
http:/childabuse.de/mediapool/32/328527/data/Kempe-BatteredChild1962, 09.09.2011, 1).
13
Cf LABBE Jean, La maltraitance des enfants en Occident. Deuxième partie in
http://www.stacommunications.com/journals/leclinicien/images/clinicienpdf/november01/labbe.pdf, 15.03.2011,
4.
14
Nel 1959 l’Assemblea Generale dell’ONU proclama la Carta dei diritti del fanciullo
dove vengono sottolineati il diritto del bambino di ricevere cure adeguate, istruzione, tempo
per il gioco e un clima familiare di protezione e tolleranza.
Nel 1989 l’Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione
internazionale dei diritti dell’infanzia che definisce la condizione giuridica del fanciullo.
14
Sempre in questo secolo si attuano i primi studi sul maltrattamento all’infanzia
quando, nel 1946, John Caffey, medico del Dipartimento di Pediatria della Columbia
University di New York, descrive un quadro clinico caratterizzato dall’associazione fra
ematoma subdurale
15
e fratture multiple delle ossa lunghe nei bambini maltrattati.
16
Nel 1962 Henry Kempe, descrive la Battered Child Syndrome nella quale afferma che
la maggior parte degli aggressori non sono criminali o psicopatici, ma persone che, molto
spesso, hanno subito, nella loro particolare storia infantile, maltrattamenti. Secondo tale
Autore l’abuso all’interno del nucleo familiare avviene per la presenza di quattro fattori: il
primo è che genitori abusanti sono stati bambini abusati; il secondo è la particolare visione
che i genitori hanno del proprio figlio, ovvero un bambino spiacevole, ostinato, cattivo, non
voluto; il terzo è che deve sussistere una crisi (di natura economica, relazionale, sociale, ecc.)
affinché si verifichi un abuso; il quarto fattore denota la mancanza di una life-line, di
qualcuno che possa aiutare, su cui fare affidamento nel momento di crisi.
17
Grazie all’articolo di Henry Kempe si ha una grande svolta, in quanto, a partire dalla
sua pubblicazione milioni di medici si interesseranno in una maniera particolare al problema
dell’infanzia maltrattata.
1.2. Il rifiuto del bambino: l’aborto, l’infanticidio e l’abbandono
Negli ultimi periodi sembrano in aumento i casi in cui la violenza inflitta ai propri figli
arrivi a configurarsi nella forma di un omicidio denominata figlicidio o infanticidio se ci si
14
Cf D’AMBROSIO, L’abuso 17.
15
L’ematoma è uno stravaso sanguino indotto da gravi contusioni e causato dal lacerarsi di vasi arteriosi e
venosi. Il sangue, che si versa rapidamente nei tessuti dissociandoli e scollandoli, si raccoglie in una cavità
preformata dai tessuti lesi. L’ematoma subdurale è formato dal raccoglimento del sangue tra la dura madre e le
leptomeningi. Esso si forma a causa di una lesione della corteccia celebrale o per uno strappamento delle vene
tra la corteccia celebrale e i seni venosi durali (cf CAPRA Raul (a cura di), Enciclopedia Universale V, Milano,
Fabbri Editori 1971, 72-73).
16
Cf DEL LONGO NEVIO – GIUBILATO Francesco – RAENGO Francesco, Il dolore innocente. Guida per operatori
ed educatori nei casi di maltrattamento infantile, Roma, Città nuova 2002, 19.
17
Cf KEMPE – KEMPE, Le violenze 42.
15
trova di fronte ad un caso di uccisione di un neonato.
18
Il fenomeno dell’infanticidio, in altre parole l’uccisione di chi non è ancora in
possesso dell’uso della parola, è sempre esistito come quello dell’aborto e dell’abbandono.
Dando uno sguardo ai tempi passati è possibile trovare diverse testimonianze
dell’ambivalenza dell’omicidio del neonato, fenomeno che veniva proibito o giustificato a
seconda degli usi e costumi della popolazione presa in esame. Tale fenomeno, ad esempio
veniva proibito a Tebe, nella quale era molto più comune l’abbandono, ma era ammesso sia
nell’antica Grecia, sia nella Roma Imperiale.
Una delle prime leggi stabilite al fine di salvaguardare la vita dei bambini risale al 374
d. C. Questa legge poneva l’obbligo di allevare e nutrire tutti i figli e sottolineava che la pena
per l’infanticidio era la condanna a morte.
19
Malgrado ciò, il fenomeno dell’infanticidio non si
arrestò e perdurò nei secoli fino a quando, nell’età di mezzo, venne considerato omicidio
volontario. Tale visione ebbe fine in Europa nel momento in cui, con la legge del 2 novembre
1901 promulgata in Francia, si ammetteva l’esistenza dell’omicidio “honoris causa” come
una forma attenuata d’omicidio se commesso dalla madre.
20
È con l’interdizione del fenomeno dell’infanticidio che aumentano i casi di abbandono
infantile.
Nell’epoca greco-romana l’abbandono, come l’aborto, era decisione del pater familias.
Egli poteva accettare o rifiutare l’infante e nel momento in cui lo rifiutava avveniva
l’expositio: se il padre, alla nascita del bambino, lo sollevava per guardarlo significava che lo
riconosceva e rifiutava di esporlo, ma se questo gesto veniva a mancare la sorte del bambino
era quella di essere esposto alla porta di casa o in una discarica. Il bambino esposto poteva
essere preso da estranei e allevato, ma ciò che l’attendeva nel futuro era la condizione di
schiavitù o, nel caso migliore, di liberto.
21
Fu nel periodo medievale, con il diffondersi della religione cristiana che, nell’Europa
Occidentale, venne equiparato ad un omicidio sia l’uccisione del feto (considerato dotato di
anima fin dal momento del concepimento), sia del neonato.
È da sottolineare che, fino alla metà del XVIII sec. l’aborto era normalmente praticato.
18
Cf STRANO Marco – GOTTI Valentina, Gli omicidi in famiglia, in STRANO Marco (a cura di), Manuale di
criminologia clinica, Firenze, SEE 2003, 360.
19
Cf CARLONI Glauco – NOBILI Daniela, La mamma cattiva. Fenomenologia, antropologia e clinica del
figlicidio, Rimini, Guaraldi 1975, 27.
20
Cf Loc.cit.
21
Cf CABANES Pierre, Introduzione alla storia del mondo antico, [Introduction à l’histoire de l’Antiquité, Paris,
Colin 2001], Roma, Donzelli 2002, 28.
16
Questo avveniva perché vi era la concezione che l’anima “entrasse” nel feto solo nel
momento in cui questo cominciava a muoversi (quarto/quinto mese di gravidanza).
22
«I metodi di aborto erano vari: i mezzi fisici, come quello di stringersi il più possibile la vita o di
trasportare oggetti pesanti, oppure l’utilizzo di erbe. Ma poche donne riuscivano a raggiungere il
proprio scopo e, se ci riuscivano, il rischio di morire era grande. […] Le donne condannate erano
denunciate per l’uccisione del neonato anziché per aver compiuto l’aborto. In sostanza,
nell’Europa medievale non esisteva una distinzione concettuale tra aborto e infanticidio».
23
Fatto sta che, col finire del XVI secolo, in tutta l’Europa si fece più forte, a livello
sociale, il fastidio provocato dal fenomeno dell’infanticidio e da quello abortivo e ciò provocò
un maggiore controllo, di queste pratiche, a livello legale. Diversamente da questi “omicidi”,
l’abbandono, pur potendo provocare la morte dell’infante, non era condannabile a livello
giuridico, in quanto non veniva visto come un delitto e, per tale motivo, diventò il metodo più
utilizzato per disfarsi di quei piccoli indesiderati.
Oggi, almeno per quanto riguardo il nostro Paese, il fenomeno dell’infanticidio sembra
essere un fenomeno in aumento. Stando al rapporto dell’Eurispes, si calcola che nel 2010 è
stato ucciso un neonato ogni venti giorni. Si tratta di un elemento molto allarmante se lo si
paragona al calcolo effettuato nel 2009, anno in cui veniva ucciso un neonato ogni 33 giorni e,
ancora più allarmante paragonato al 2008 dove la statistica era di un neonato ogni 91 giorni.
24
1.3. Il maltrattamento fisico e la sua prima manifestazione: lo Shaken Baby Syndrome
Si definisce maltrattamento fisico la situazione in cui i genitori, o coloro che si
prendono cura di un bambino, procurano, o permettono che si procurino, lesioni fisiche sul
piccolo.
25
Henry Kempe sostiene che «qualsiasi lesione, tranne quella da incidente
automobilistico, in un bambino al di sotto dei due anni può essere considerata manifestazione
di una sindrome da maltrattamento».
26
In base alla gravità delle lesioni che il bambino presenta si può classificare il
maltrattamento in:
22
Cf TAKAHASHI Tomoko, Il rinascimento dei trovatelli: il brefotrofio, la città e le campagne nella Toscana del
XV secolo [The Renaissance of Foundlings. The Orphanage, City and Countrysides in Tuscany of the Fifteenth
Century, Nagoya, University Press 2000], Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 2003, 28.
23
Loc.cit.
24
Cf ANONIMO, Eurispes: rapporto Italia, nel 2010 un infanticidio ogni 20 giorni in
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Eurispes-rapporto-Italia-nel-2010-un-infanticidio-ogni-20-
giorni_311856329798.html 09.05.2011.
25
Cf MONTECCHI Francesco, Abuso sui bambini: l’intervento a scuola. Linee-guida ed indicazioni
operative ad uso di insegnanti, dirigenti scolastici e professionisti dell’infanzia, Roma, Franco Angeli 2002, 69.
26
DEL LONGO – GIUBILATO – RAENGO, Il dolore 27.
17
di grado lieve: il ricovero non è necessario;
di grado moderato: il ricovero è necessario;
di grado severo: il bambino viene ricoverato nel reparto “rianimazione”.
Nel momento in cui si rileva un maltrattamento fisico è possibile distinguere, nel
bambino, segni fisici, segnali comportamentali e segnali emotivi.
I segni fisici, che determinano la Sindrome del bambino battuto,
27
termine coniato al
fine di indicare le manifestazioni cliniche del maltrattamento fisico su bambini piccoli, sono
costituiti da lesioni cutanee (ecchimosi, abrasioni, ematomi, ferite da taglio, morsicature,
ustioni e cicatrici), da traumi cranici, da lesioni scheletriche (fratture delle ossa lunghe,
fratture costali e fratture multiple) e da lesioni agli organi interni.
È importante saper distinguere le lesioni accidentali da quelle intenzionali perché se
una lesione intenzionale non venisse scoperta, la piccola vittima di maltrattamento rimarrebbe
sotto le cure del genitore abusante. Bisogna, inoltre, tener presente che i bambini piccoli
hanno l’abitudine di esaminare le cose che si trovano di fronte e, generalmente, tendono ad
orientare il proprio corpo in avanti. È per questo che la maggior parte delle ferite accidentali
coinvolgono la parte anteriore del corpo (fronte, naso, mento, gomiti, ecc). Differentemente le
ferite ai palmi delle mani possono essere accidentali, in quanto può avvenire che un bambino
se le procuri per ripararsi da una caduta, ma con esse bisogna stare attenti, perché le mani
sono spesso oggetto di punizioni, mentre le ferite a natiche, genitali, addome, schiena e parti
laterali del corpo sono frequentemente indici di maltrattamento.
28
Per quanto riguarda alcuni segnali comportamentali, che denotano prevalentemente la
paura del bambino, possono configurarsi come importanti indicatori della probabilità del
maltrattamento. Il piccolo può ripararsi all’avvicinamento di un adulto anche se quest’ultimo
non vuole danneggiarlo, ciò avviene perché il bambino, “cronicamente picchiato”,
29
guarda
all’adulto come colui che picchia; possedere un’attenzione gelata,
30
uno sguardo attento ed
allarmato perché avendo subito punizioni corporali in modo incongruo è sempre in uno stato
27
Per Sindrome del bambino battuto è da intendere l’insieme dei comportamenti di violenza familiare, sociale o
istituzionale, subiti da un bambino (cf LEGGIERO Antonio, La sindrome del bambino maltrattato, in
http://salutare.info, 01.12.2010).
28
Cf GIUSTI Edoardo – IACONO Maria, Abusi e maltrattamenti. Psicologia della cura minorile, Roma, Sovera
2010, 169-170.
29
MONTECCHI Francesco, Dal bambino minaccioso al bambino minacciato. Gli abusi sui bambini e la violenza
in famiglia: prevenzione, rilevamento e trattamento, Milano, Franco Angeli 2005,64.
30
Il termine attenzione gelata, usato per la prima volta da Christopher Ounsted, vuole indicare il modo di
osservare di un bambino abusato. Egli osserva costantemente, impassibile, senza sorrisi, le cose e le persone che
gli sono intorno temendo un pericolo (cf KEMPE – KEMPE, Le violenze 53).
18
di allerta; mostrarsi pauroso negli ambienti a lui estranei ed arrogante in quelli a lui familiari;
può manifestare un’ira improvvisa o un’instabilità reattiva; rifiutare il contatto fisico o
ricercarlo in una maniera aggressiva e/o erotizzata; mostrare difficoltà di apprendimento;
manifestare uno stato depressivo ed una tendenza alla solitudine o essere iperattivo ed
aggressivo; avere un atteggiamento inappropriato nei confronti delle figure di riferimento.
I segnali emotivi possono essere espressi da una scarsa attenzione in base alla quale il
bambino, pur manifestando interesse per diversi tipi di giochi ed attività, non ne porta a
termine nessuno; dalla difficoltà di apprendimento e di ascolto; dalle difficoltà relazionali
causate dalle emozioni congelate; dallo scarso coinvolgimento e voglia di fare; da
un’immagine di sé negativa in quanto si percepisce come un bambino cattivo e stupido, non
voluto che non ha il diritto di amare e di essere amato. Ciò riflette sia il modo in cui si sente
considerato dall’adulto, sia la sua convinzione di essere la causa delle aggressioni di cui è
stato vittima.
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Una sindrome tipica del maltrattamento fisico inflitta su bambini molto piccoli che
dipendono totalmente dalla figura genitoriale è la Shaken Baby Syndrome, o Sindrome del
bambino scosso, che è stata descritta, per la prima volta, da Gutkelch nel 1971;
successivamente, nel 1972, Caffey ne migliorò la definizione del quadro clinico mediante la
descrizione di diversi casi.
Si tratta di una sindrome specifica per neonati e bambini molto piccoli che non sono in
grado di stabilizzare sufficientemente, con la forza muscolare, la testa. É un tipo di violenza
all’infanzia che può indurre prima il coma e poi la morte dell’infante; si verifica nel momento
in cui un bambino viene sbattuto violentemente, afferrato per il torace o per la parte superiore
delle braccia e scosso con violenza e rabbia.
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Bastano solamente cinque secondi per
provocare «una ferita endocrina e fratture delle ossa lunghe. [...] I colpi agli arti provocano
lesioni metafisarie; lo scuotere la testa provoca emorragia subdurale e della retina».
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Tali
lesioni possono essere anche di tipo permanente e procurare diverse disabilità a livello
celebro-fisico. Inoltre, mediante lo scuotimento del neonato, è possibile che si creino ematomi
celebrali dovute alle forze rotatorie che, da una parte, spingono gli strati celebrali l’uno contro
l’altro e, dall’altra parte, strappano le vene tra la calotta cranica ed il cervello.
I principali sintomi che mostra un bambino vittima di scuotimento sono: convulsioni
31
Cf ivi 64-66.
32
Cf MONTECCHI, Dal bambino 66.
33
ACCARDO Pasquale – WHITMAN Barbara, Dizionario terminologico delle disabilità dello sviluppo, Roma,
Armando 2007, 332.