2
Introduzione
Tradizionalmente, nella storia della filosofia, la gnoseologia secentesca viene suddivisa in due
principali indirizzi di pensiero, antitetici tra loro: il razionalismo – che “nega all‟esperienza
sensibile la capacità di fornire certezza alla mente” ed “assegna la priorità […] conoscitiva alla
ragione del soggetto”
1
– e l‟empirismo – che esclude che “la ragione abbia per se stessa la capacità
di giungere a conoscenze necessariamente vere”, giacché “solo l‟esperienza fornisce le idee”
2
. Ora,
a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo, “da un angoletto morto della storia”
3
qual era il Regno di
Napoli a livello culturale rispetto ad altri regni d‟Europa, Giambattista Vico elabora una propria
teoria della conoscenza che non sembra rientrare né nei canoni del razionalismo né in quelli
dell‟empirismo.
Il razionalismo è rigettato esplicitamente e criticato apertamente da Vico già a partire dal De
nostri temporis studiorum ratione (1708), “assieme al De Antiquissima (1710), una delle prime
grandi opere filosofiche” del pensatore partenopeo
4
. In questi due testi, infatti, viene formulato quel
“principio gnoseologico universale, che la condizione per conoscere una cosa è il farla e il vero è il
fatto stesso: verum ipsum factum”
5
. Una volta chiarito il significato di tale concezione nei suoi vari
aspetti e “stabilito nella connessione del vero e del fatto l‟ideale della scienza”, le risposte negative
ad interrogativi quali “forse che l‟uomo ha esso creato il mondo? ha esso creato la propria anima?”
portano a concludere che “all‟uomo non è data la scienza ma la sola coscienza”, che egli è, in
quanto pensa, pur non sapendo che cosa è, poiché non è facitore di se stesso; che egli è
verosimilmente in un mondo, pur non potendo attingere al vero “in sé” della natura, in quanto non
1
P. Rossi, Dizionario di filosofia, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 391. Questa forma del razionalismo è riferita
principalmente a Cartesio (1596 – 1650), che in più passi la rivendica, come quando sostiene che “né la nostra
immaginazione né i nostri sensi potrebbero mai assicurarci nulla senza l‟intervento del nostro intelletto” (Discorso sul
metodo, Bari, Laterza, 2006, p. 51).
2
Ibid., p. 127. Il maggior esponente dell‟empirismo è considerato il filosofo inglese John Locke (1632 – 1704), dal cui
Saggio sull‟intelletto umano (1690) citiamo questo luogo emblematico: “Supponiamo dunque che la mente sia quel che
si chiama un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. […] Donde ha tratto tutti questi materiali della
ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall‟esperienza. È questo il fondamento di tutte le nostre
conoscenze” (II. Delle idee, 1, 2 – tr. it. di C. Pellizzi, in Locke, Milano, Mondadori (“I classici del pensiero”), 2008, p.
95).
3
G. Patella, Senso, corpo, poesia. Giambattista Vico e l‟origine dell‟estetica moderna, Milano, Guerini, 1995, p. 10. Va
precisato che il Regno di Napoli, tra il XVII e XVIII secolo, può esser considerato solo apparentemente un “angoletto
morto” dato che fu investito da un moto di rinnovamento vivace e vasto già sotto il dominio di Carlo II, come viene
attestato nell‟Istoria civile del Regno di Napoli (1723) di Pietro Giannone e come ci ricorda Paolo Rossi nel suo Il
pensiero di Giambattista Vico, Torino, Loescher Editore, 1959, pp. X-XVI.
4
M. Sanna, Introduzione a G. B. Vico, De nostri temporis studiorum ratione, a cura di A. Suggi, Pisa, ETS, 2010, p. 6.
5
B. Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Bari, Laterza, 1922, p. 5.
3
ne è l‟autore
6
. Così le solide fondamenta sulle quali si regge l‟intero edificio del razionalismo
cartesiano cedono, nella misura in cui “le superbe verità della filosofia condotta con metodo
geometrico si riducono anch‟esse a nient‟altro che probabilità”
7
. La priorità conoscitiva accordata
alla ragione e la capacità d‟intervento del nostro intelletto, rivisitati attraverso la dottrina del verum-
factum, risultano non essere in grado di superare l‟esperienza sensibile nella capacità di fornire
certezza alla mente, ossia d‟offrire conoscenza scientifica all‟uomo. Considerata l‟importanza della
tematica, il principio gnoseologico vichiano, coi suoi penetranti rilievi critici nei confronti del
cartesianesimo, è quanto in prima battuta verrà approfondito nei vari capitoli del presente lavoro.
Una volta compreso il perché “con la chiarezza e con la distinzione” del conoscere cartesiano “non
si muove un sol passo” alla scoperta della “forma” che la verità deve avere perché possa esser
riconosciuta come “verità scientifica”
8
, diventa pienamente comprensibile il recupero vichiano di
“forme di sapere che Cartesio aveva abbassate: la storia, l‟osservazione naturalistica, la cognizione
empirica circa l‟uomo e la società, l‟eloquenza e la poesia”
9
. Una serie di discipline, dunque,
caratterizzate da tratti empiristici estremamente evidenti. Messa a tacere la convinzione che la
ragione abbia, di per se stessa, la capacità di giungere a conoscenze necessariamente vere, è lecito
sostenere che Vico abbracci il secondo indirizzo gnoseologico di pensiero, presentato nell‟incipit
del presente lavoro – cioè l‟empirismo?
La questione è quanto mai delicata. Il facere sotteso alla dottrina del verum-factum fa risaltare
di primo acchito quell‟“empiricità, che è […] una componente essenziale della produzione di
conoscenza”
10
. Per di più, nonostante nelle opere vichiane non siano assenti degli ammonimenti
rivolti all‟empirismo, uno tra i maggiori esponenti di questo orientamento di pensiero, cioè Bacone,
è stimato dal filosofo partenopeo come uno dei suoi “quattro auttori”, che egli si propone “da
sempre avergli avanti gli occhi nel meditare e nello scrivere”
11
. Se Platone (il primo di questi suoi
“auttori”) è il teorico della “sapienza eterna” e Tacito (il secondo) il teorico della “sapienza
volgare”, con la mediazione di Bacone, i due vengono richiamati ad unità: l‟idea baconiana della
“universal repubblica delle lettere” è elogiata da Vico, affinché “tutto il sapere umano e divino
reggesse dapertutto con uno [ed un solo] spirito e costasse in tutte le parti sue, sì che si dassero le
scienze l‟un all‟altra la mano, né alcuna fusse d‟impedimento a nessuna”
12
. In altri termini, il sapere
6
M. Sanna, Introduzione a G. B. Vico, De nostri temporis studiorum ratione, cit., p. 7.
7
B. Croce, op. cit., p. 7.
8
Ibid., p. 3.
9
Ibid., p. 7.
10
M. Sanna, Introduzione all‟edizione, da lei curata, di G. B. Vico, De Antiquissima italorum sapientia, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura, 2005, p. XXIV.
11
G. B. Vico, Vita scritta da se medesimo in Id., Opere, 2 voll., a cura di A. Battistini, Milano, Mondadori, 1990, vol. I,
p. 30.
12
Ibid., p. 37.
4
pratico-operativo in grado di far luce sulla “forma” dei fenomeni, che Bacone tiene fermo con il suo
metodo induttivo
13
, “rappresenta […], per Vico, il congiungimento della filosofia o conoscenza del
vero (rappresentata da Platone) con la filologia o conoscenza del certo (rappresentata da Tacito)”
14
.
È tuttavia ben noto che lo stesso esordio del De Ratione nel nome di Bacone “risponde ad una
precisa strategia di politica culturale: quella di opporre al mentalismo e al deduttivismo del metodo
cartesiano l‟empirismo e l‟induzione dell‟inglese”
15
. Vico fa un uso strumentale di questa corrente
di pensiero per recuperare al razionalismo l‟empiria; quindi, in questo senso, il facere alla base della
dottrina del verum-factum porta senza dubbio “la verità umana” nella dimensione “storica e
contingente”, nella “sfera del senso”
16
. Eppure è necessario fare estrema attenzione: Vico non può
essere considerato neppure un empirista tout court, per il quale solo l‟esperienza fornisce le idee
della realtà: “le cose fisiche sono opache e attraverso queste scorgiamo la luce delle cose
metafisiche [/del vero metafisico]”
17
. “Il factum, in quanto prodotto è vero metafisico condotto
innanzi, portato alla luce secondo i modi all‟uomo possibili; […] il vero per noi sempre eccedente e
indefinito si manifesta nel controluce delle cose finite”
18
. La teoria vichiana della conoscenza (cioè
il verum e il factum che si convertono reciprocamente
19
) rifugge tanto le riduzioni intellettualistiche
quanto quelle sensistiche del suo tempo: “il vero gnoseologico è tale anzitutto in quanto
virtualmente contenuto in una forma metafisica […]”, in “ideae insieme immanenti e trascendenti la
realtà empirica”. Ecco la “perfezione, dunque, che la conoscenza umana è in grado di attingere”,
solo “trascendendo l‟imperfezione empirica delle cose”, “e che è segno della apertura metafisica
della mente, cioè della sua disposizione trascendentale al mondo intelligibile trascendente”
20
.
Considerata nuovamente la centralità della tematica, il principio gnoseologico vichiano, con le sue
sottili e fondamentali differenze rispetto all‟empirismo, è quanto in seconda battuta verrà
approfondito nei vari capitoli del presente lavoro.
13
Citiamo un passo particolarmente significativo in merito, l‟aforisma I del Secondo Libro del Novum Organum (1620):
“Compito e scopo dell‟umana potenza è generare e introdurre una nuova natura o nuove nature in un corpo dato.
Compito e scopo dell‟umana scienza è trovare la forma di una natura data, ossia la differenza vera, o natura naturante o
fonte di emanazione”. Il passo continua rintracciando la valenza pratica del primo scopo e quella più speculativa del
secondo: “a questi due compiti principali sono subordinati altri due compiti secondari e di qualità inferiore: al primo la
trasformazione dei corpi concreti l‟uno nell‟altro […]; al secondo la scoperta, in ogni generazione e movimento, del
processo latente reso ininterrotto dal processo efficiente manifesto […]; e allo stesso modo la scoperta della
schematismo latente dei corpi che sono in quiete e non in movimento” (tr. it. di P. Rossi, in Bacone, Milano, Mondadori
(“I classici del pensiero”), 2009, pp. 639-40).
14
P. Rossi, Il pensiero di Giambattista Vico, cit., p. 33.
15
A. Battistini, Commento e note a G. B. Vico, De nostri temporis studiorum ratione, in Id., Opere, cit., vol. II, nota 1
(p. 92), p. 1325.
16
G. Patella, Senso, corpo, poesia. Giambattista Vico e l‟origine dell‟estetica moderna, Milano, Guerini, 1995, p. 40.
17
G. B. Vico, De Antiquissima italorum sapientia, ed. cit., pp. 79 e 57.
18
F. Botturi, La sapienza della storia. Giambattista Vico e la filosofia pratica, Milano, Vita e Pensiero, 1991, pp. 94-5.
19
G. B. Vico, De Antiquissima italorum sapientia, ed. cit., p. 16.
20
F. Botturi, op. cit., p. 471.