3
INTRODUZIONE
Questo lavoro si inserisce in un ventaglio di ricerche molto ampio
che ruotano intorno al concetto di benessere, tema che nel corso degli anni
ha coinvolto numerosissimi studiosi di diverse discipline, portando alla
produzione di una grande quantità di documenti con analisi e risultati
assai differenti.
In questa ampia varietà di contributi, spesso si è tentato di dare al
concetto di benessere una collocazione all‟interno di una disciplina,
accostandolo ora ad aspetti monetari, ora ad aspetti sociologici;
indagandone le determinanti sia a livello aggregato che a livello
individuale; studiandone i contenuti da un punto di vista oggettivo e/o
soggettivo; offrendone spesso definizioni che, seppur appropriate, sono
quasi sempre risultate essere incomplete.
Lo studio presentato in questa tesi di laurea non è ovviamente
scevro da difetti o mancanze, specialmente perché basato su una
indagine di campo che, almeno in Italia, non ha precedenti, sia per
l‟oggetto di studio che per la metodologia adottata.
Questo lavoro, che non ha la presunzione di voler dare una
definizione assoluta del benessere e degli strumenti più idonei per una
4
sua valutazione, ha comunque il pregio di inserirsi in quel filone di studi
che, da Amartya Sen in poi, ha assunto e metabolizzato gli aspetti
interdisciplinari e multidimensionali del benessere, ponendo al centro
dell‟analisi l‟essere umano considerato nella sua individualità.
Nel primo capitolo, attraverso il pensiero di filosofi, sociologi ed
economisti, verrà presentata una sintetica panoramica delle diverse
accezioni che il concetto di benessere individuale ha assunto nel corso
degli anni. Da una concezione puramente materiale, legata all‟utilità
personale anche a scapito del bene morale, passando per una concezione
prettamente economica e monetaria, si è arrivati, proprio con il lavoro
dell‟economista indiano premio Nobel Amartya Sen, al riconoscimento
dell‟importanza che rivestono le opportunità offerte agli esseri umani,
strettamente connesse al concetto di libertà, nel determinare il benessere
dell‟individuo.
Nel secondo capitolo, sulla scorta di quanto proposto e teorizzato
da Sen e dal suo approccio delle capacità, si tenterà di dare una definizione
più esatta del concetto di benessere individuale. Tale approccio al
concetto di benessere ha indirizzato l‟obiettivo della tesi che si è
concretizzato nell‟individuare una metodologia d‟indagine che
5
permettesse di rilevare e misurare adeguatamente tale benessere in una
realtà locale, nel caso specifico identificata con la provincia di Viterbo.
Nel terzo capitolo sarà presentato il caso di studio, descrivendone
nello specifico la metodologia adottata per procedere nella rilevazione e
nell‟analisi del benessere individuale nel territorio suddetto. Questo verrà
presentato descrivendo le tre fasi di svolgimento dell‟indagine, che hanno
riguardato in particolare; in primo luogo la progettazione della stessa, la
definizione degli strumenti più appropriati allo scopo e l‟acquisizione
concreta dei dati; in secondo luogo, la misurazione del benessere
individuale rilevato attraverso la costruzione di un indice sintetico; infine,
la preparazione dei dati raccolti e il relativo inserimento su supporto
informatico ai fini di una elaborazione statistica.
Tale elaborazione sarà oggetto del quarto e ultimo capitolo del
presente lavoro, nel quale saranno descritti: il territorio d‟indagine, il
campione d‟intervistati, gli strumenti statistici e informatici utilizzati per
l‟analisi dei dati e i principali risultati ottenuti.
A conclusione del lavoro saranno proposti alcuni commenti e
considerazioni in merito ai risultati dell‟applicazione empirica,
interpretando tali osservazioni alla luce degli argomenti trattati nei
6
precedenti capitoli e dei possibili sviluppi riguardo alla valutazione del
benessere che la metodologia proposta è in grado di offrire.
7
CAPITOLO 1
IL BENESSERE INDIVIDUALE:
DALLE UTILITÀ ALLE LIBERTÀ
1.1 Il benessere come utilità
Jeremy Bentham
1
afferma che la felicità «è il possesso del piacere con
l’esclusione del dolore. Essa è proporzionale alla somma dei piaceri goduti, e dei dolori
evitati»
2
. Realizzare la maggiore felicità possibile per il maggior numero
possibile di individui: è questo il principio, già enunciato da Beccaria, cui
si ispira l‟utilitarismo e, in particolare, Bentham.
Il bene della società, concepita da quest‟ultimo come un insieme di
individui, è dato dalla somma del benessere dei singoli, e determina la
felicità sociale in quanto è la massima felicità per il maggior numero di
persone. Secondo Bentham, individualista convinto, non esiste altro
benessere se non quello del singolo, perciò «è vano parlare degli interessi della
comunità senza comprendere l’interesse dell’individuo»
3
.
Quella che è sentita come una “obbligazione morale” non si spiega
altrimenti che come necessità di compiere o non compiere un‟azione
1
Filosofo e giurista inglese (1748-1832)
2
Deontologia, in Grande antologia filosofica, Sciacca, M., F. (a cura di), Marzorati, Milano
1954, vol. XXIII, pp. 919-20
3
Cfr. Bentham, J., Introduzione ai principi morali e della legislazione, Lecaldano, E. (a cura
di), UTET, Torino 1998.
8
perché ciò serve al bene dell‟individuo, e di conseguenza della società. La
morale diventa, così, una specie di “calcolo” del dolore e del piacere e si
trasforma nello studio concreto e realistico dei vantaggi che i singoli
individui possono realizzare seguendo, o non seguendo, determinate
regole. La moralità di un comportamento, inoltre, non è determinata o
qualificata dalle intenzioni o dagli ideali, ma dalle sue conseguenze:
cattiva è solo l‟azione che impedisce o limita l‟acquisizione di un
maggiore piacere. Si identifica così il bene etico con l‟utile, e il male con
quello che nuoce a tale utilità.
“Utile” è tutto ciò che produce felicità e vantaggi, massimizzando
il piacere e minimizzando il dolore. In particolare, scrive Bentham, «per
utilità si intende quella proprietà di ogni oggetto per mezzo della quale esso tende a
produrre beneficio, vantaggio, piacere, bene o felicità (in questo contesto tutte queste
cose si equivalgono) oppure ad evitare che si verifichi quel danno, dolore, male o
infelicità (di nuovo tutte cose che si equivalgono) per quella parte il cui interesse si
prende in considerazione: se quella parte è la comunità in generale, allora l’interesse
della comunità, se è un individuo in particolare, allora l’interesse di quell’individuo»
4
.
Da qui il suo famoso “principio di utilità”, che costituisce
l‟elemento in grado d‟identificare la decisione giusta: «per principio di utilità
si intende quel principio che approva o disapprova qualunque azione a seconda della
4
Cfr. ibidem Bentham, J., Torino 1998.
9
tendenza che essa sembra avere ad aumentare o diminuire la felicità della parte il cui
interesse è coinvolto, o […] a seconda della tendenza a promuovere quella felicità o a
contrastarla». In definitiva, quindi, «un’azione si può definire conforme al principio
di utilità […] quando la sua tendenza ad aumentare la felicità della comunità è
maggiore di ogni sua tendenza a diminuirla»
5
.
Egli si addentra poi in una sottile descrizione dei motivi delle
azioni individuali e in un‟analisi minuziosa delle varie classi di piaceri,
tentando in tal modo di determinare il loro rispettivo apporto, mediato e
immediato, alla somma finale della felicità. In generale, a suo parere, il
piacere va considerato:
- oggettivamente, riguardo cioè alla sua intensità, durata, certezza,
accessibilità, fecondità
6
, purezza
7
ed estensione a un maggiore o
minore numero di individui;
- soggettivamente, perché il piacere è relativo: nel suo computo
entrano in gioco fattori di decisione e di scelta legati a variabili
contestuali ma soprattutto individuali;
- socialmente, poiché l‟interesse privato è intimamente connesso a
quello collettivo.
5
Cfr. ibidem Bentham, J., Torino 1998.
6
Capacità di produrre altri piaceri.
7
Presenza o assenza di dolore.
10
In rapporto a questo calcolo del valore quantitativo dei piaceri,
Bentham enuncia quella che per lui è la norma concreta e universale
dell‟azione: se, e solo se, prevale la somma dell‟utile l‟azione va compiuta.
Inoltre, egli afferma che «la natura ha posto l’umanità sotto il governo di
due sovrani, la pena e il piacere»
8
. Dunque l‟uomo agisce “naturalmente” in
vista del piacere, e tende ad eliminare il dolore a tutti i livelli del suo
comportamento: privato, sociale, economico, politico.
In questo quadro, i “diritti naturali” sono concetti ritenuti vuoti; lo
stesso diritto alla libertà, se assoluto, annullerebbe di per sé il valore della
norma, perché questa comporta sempre una limitazione della libertà
stessa. Lo scopo dell‟azione politica, dunque, non è garantire la libertà,
ma piuttosto l‟utilità individuale e, di conseguenza, collettiva.
1.2 Il benessere come reddito
Nel 1920, con la pubblicazione del libro “The economics of welfare”,
Arthur Cecil Pigou
9
assegna alla disciplina della “Economia del
benessere” la sua denominazione ufficiale.
Pur richiamandosi alla teoria utilitaristica di Bentham, Pigou non
analizza il benessere generale (definito la somma delle utilità individuali),
8
Cfr. ibidem Bentham, J., Torino 1998.
9
Economista inglese (1877-1959).
11
ma solo quella parte di esso che deriva dalla soddisfazione misurabile in
termini monetari, ovvero «quella parte del benessere sociale che può essere portato
[…] in rapporto col metro misuratore della moneta. Chiameremo questa parte del
benessere sociale, benessere economico»
10
. E per far questo, sceglie come
indicatore il reddito nazionale
11
. Suppone, innanzitutto, una correlazione
diretta tra quest‟ultimo e il benessere generale; e poiché l‟utilità di
ognuno è ritenuta funzione crescente del suo reddito, a parità di altre
condizioni il benessere economico aumenta al crescere della somma dei
redditi degli individui, cioè del reddito, o prodotto, nazionale.
Qualora al variare di tale reddito si accompagnassero mutamenti
anche nella sua distribuzione, la correlazione diretta non sarebbe più
garantita. Per tenere conto di eventuali variazioni, quindi, Pigou
introduce il principio della “decrescenza dell‟utilità marginale del
reddito”, affermando che l‟utilità dell‟ultima sterlina per un ricco è
minore dell‟utilità dell‟ultima sterlina per un povero
12
.
Miglioramenti del benessere generale possono perciò avvenire
quando a un aumento del reddito nazionale si associa un‟invarianza della
10
Cfr. Pigou, A., C., The economics of welfare, Mcmillian, London 1920, p. 16. Ed. it.
Economia del benessere, UTET, Torino 1968.
11
Il termine usato da Pigou è “dividendo nazionale”.
12
La possibilità di confrontare variazioni di utilità di due persone diverse è permessa
dal fatto che Pigou e gli utilitaristi ammettono la possibilità di eseguire confronti
interpersonali tra le diverse soddisfazioni.
12
distribuzione o un suo miglioramento
13
.
Nel caso in cui la distribuzione del reddito dovesse peggiorare, il
risultato sarebbe incerto, a meno di non poter misurare in concreto, e
non solo in linea di principio come supposto da Pigou, l‟utilità cardinale
14
degli individui coinvolti. Analogamente, se una redistribuzione dai più ai
meno abbienti non si dovesse accompagnare a un aumento del reddito
nazionale, un risultato netto si potrebbe ottenere solo essendo in grado
di misurare concretamente le utilità dei vari soggetti.
Risultati certi, dunque, sono garantiti soltanto nei casi previsti dalle
due proposizioni seguenti, ritenute da Pigou condizioni sufficienti per un
incremento del benessere economico:
- il benessere economico cresce se aumenta il reddito nazionale senza
che peggiori la distribuzione (condizione di efficienza);
- il benessere economico cresce se migliora la distribuzione e non
diminuisce il volume del reddito nazionale (condizione di equità).
All‟interno dell‟ottica utilitarista, perciò, Pigou pone l‟attenzione su
un aspetto particolare del benessere individuale, quello economico,
13
Data l‟ipotesi di utilità marginale decrescente, tale miglioramento va inteso come
un aumento di reddito per i meno abbienti. Un peggioramento, al contrario, equivale
a una diminuzione di tale reddito.
14
A differenza della misurazione ordinale, che stila semplici graduatorie di preferenza
tra le diverse situazioni che si presentano all‟individuo, la misurazione cardinale
quantifica le utilità ottenute. Solo così, infatti, è poi possibile sommarle secondo la
concezione utilitarista.