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INTRODUZIONE
L‟errare, in moltissime tradizioni e culture, è paradigma per eccellenza della condizione
umana, dove la parabola della vita è spesso associata ad un cammino incerto o
incomprensibile in vista di un traguardo altrettanto inconoscibile, per alcuni, o, per altri,
verso un destino certo che dà senso al precedente percorso
1
. Tale concetto è legato
all‟idea di un viaggio, un cammino verso una destinazione sconosciuta, una finalità non
immediata e esteriore
2
, opposto al fuggire o al semplice muoversi.
Dall‟Ulisse omerico, ai pellegrini cristiani, dal Wanderer dallo Sturm und Drang al
Flâneur di Baudelaire, sino alle esperienze contemporanee, l‟errare è sempre stato tema
fortemente trattato e discusso, nella letteratura come nell‟arte.
Sin dalle origini della videoarte, embrione nelle avanguardie storiche, auspicata già nel
1946 da Fontana nel Manifesto Blanco
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e dovuta alle sperimentazioni di Nam June Paik
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alla fine degli anni ‟60, numerosi sono gli artisti che hanno trattato questo tema per
mezzo del video. Già nel 1976 Charlemagne Palestine elegge la telecamera ad unico
testimone della ricerca di una via di fuga da un‟isola, luogo delimitato per antonomasia,
in sella ad una motocicletta alle Hawaii. Nel 1997 Pipilotti Rist con Ever is Over All
compie un viaggio dissacrante e liberatorio. A man of the Crowd, realizzato nel 2003 da
Mattew Buckingham ed ispirato a L’uomo della folla di Edgar Allan Poe, è centrato su
un‟assurda camminata lunga ventiquattro ore svolta da un individuo che, incapace di
affrontare la solitudine, è costretto ad errare alla ricerca della propria strada. Dello stesso
anno è l‟opera di Martijn Veldhoen, Momentum, alla base del quale vi è un
inseguimento, attraverso una sequenza continua di stanze, cortili, terrazze e strade di una
città vuota, di un qualcosa definitivamente perduto e richiamato dalla voce fuori campo.
All‟anno precedente risale Going Forth by Day di Bill Viola, video dominato
dall‟estrema nitidezza di ogni piano visivo, in cui un flusso ininterrotto di persone che
1
L. Quattrocchi, Percorsi erratici: dallo Sturm und Drag alla videoarte, in O. Mileti e L. Quattrocchi
(a cura di), Erranti / Wanderers nella videoarte contemporanea / in contemporary video art, catalogo della
mostra, Palazzo Pubblico Magazzini del Sale, Siena, 17 febbraio – 30 marzo 2008, p. 11.
2
Ibidem.
3
Fontana teorizza una radicale evoluzione dell‟arte fondata su una nuova sintesi fra scienza (come
dimensione teorica del moderno), creatività (come dimensione spirituale e subconscia dell‟arte) e
applicazioni tecnologiche (come mezzo della trasformazione materiale della vita).
4
Si rimanda ai testi V. Fagone, L'immagine video, Feltrinelli, Milano, 1990 e S. Bordini, Videoarte &
Arte. Tracce per una storia, Lithos Editrice, Roma, 1995.
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camminano lungo un sentiero nel bosco, simbolo della transitorietà dell‟essere umano.
Sono questi solo alcuni esempi di una ricerca non esaurita nella quale si inserisce a pieno
titolo Shirin Neshat, per la quale l‟errare è strettamente legato alla perdita e alla ricerca
spasmodica di equilibrio nella propria condizione di esule.
Scopo del presente elaborato è analizzare come Neshat utilizzi nei suoi lavori la
simbologia del giardino, cara alla cultura e alla religione islamica, ma non solo.
Nel primo capitolo si è cercato di delineare un quadro generale inerente la poetica
adottata da quest‟artista già a partire dai primi lavori. Mediante l‟uso di diversi mezzi e
linguaggi espressivi, come la fotografia, che l‟ha fatta conoscere al mondo della critica e
del pubblico internazionale, al video, che ne ha sancito il suo riconoscimento grazie al
Leone d‟oro alla Biennale di Venezia del 1999, dalla performance e al film, che l‟ha
fatta scoprire ad un audience più vasta, Neshat attinge dal proprio vissuto per toccare
valori simbolici e universali e soprattutto per opporsi alle odierne e facili
semplificazioni
5
circa le tradizioni e la storia del suo paese d‟origine. In Soliloquy, ad
esempio, ella non sceglie fra l‟Oriente e l‟Occidente preferendo rimanere esule in
entrambi i luoghi, così come in altri lavori solleva domande ma non fornisce risposte
nella volontaria ambiguità del finale aperto di molte sue opere. Ella utilizza un registro
poetico radicato nella cultura iraniana finalizzato ad un lavoro concettuale figlio dell‟arte
occidentale tramite l‟utilizzo di immagini, simboli, concetti tra loro contrastanti come
maschile/femminile, occidente/oriente, pubblico/privato. Per produrre questi scarti lo
spazio, sia fisico che virtuale, gioca un ruolo fondamentale. Architetture cariche di
significato, come in Soliloquy o Rapture, a cui si aggiunge lo spazio fra gli schermi in
cui lo spettatore non è chiamato a vedere ma a partecipare, come in Turbulent.
In quest‟ottica Neshat introduce la simbologia del giardino a partire dal 2002. Nel
secondo capitolo, quindi, grazie ad un excursus centrato sul significato dell‟immagine e
della simbologia del giardino nelle culture persiana, da cui il concetto di pairidaeza trae
origine, islamica, che ne ha fatto uno dei motivi fondamentali, ma anche ebraica e
cattolica, si pensi al giardino di Eden nel libro della Genesi, l‟attenzione è focalizzata
sull‟analisi di Tooba e dei cinque video che compongono la serie denominata Women
Without Men, ispirata all‟omonimo libro di Shahrnush Parsipur. In Mahdokht, Zarin,
Munis, Faezeh e Farokh Legha il giardino diviene infatti trait d'union tra le cinque
vicende nonché chiave di lettura principale ed univoca.
5
L. Quattrocchi, Percorsi… cit., pp. 20-21.
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CAPITOLO 1
SHIRIN NESHAT: UN’ARTISTA “NEL MEZZO”
1.1 Cenni biografici e nascita della “poetica dei contrasti”
Neshat nasce nel 1957 a Qazvin, cittadina dell‟Iran nord occidentale, quarta di cinque
figli di una agiata famiglia vicina alle idee modernizzatrici dello Scià Mohammad Reza
Pahlavi. Il padre è uno stimato e colto medico e la madre una casalinga, entrambi
idealizzano l‟occidente e ne fanno propri alcuni ideali. Come lei stessa racconta in
un‟intervista rilasciata nel 2000
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, apprende i dettami della tradizione sunnita attraverso i
nonni materni i quali non apprezzavano le idee troppo occidentali pahlavite. A tal
proposito, significativo rimane nell‟autrice il ricordo della nonna che indossava il velo
per propria orgogliosa scelta e che si dedicava ogni sera alla preghiera. Compie i primi
studi presso un collegio cattolico di Teheran terminato il quale, spinta dal padre
desideroso di istruire al meglio i propri figli e al contempo allontanarli dalle idee
dissidenti ormai diffuse, nel 1974 raggiunge la sorella maggiore negli Stati Uniti dove in
seguito frequenta l‟università di Berkeley. Subito dopo aver conseguito il Master of Fine
Arts, attorno al 1983 Neshat si trasferisce a New York dove incontra Kyong Park,
architetto e artista concettuale sud-coreano, che diverrà suo marito. Dirigono assieme lo
Storefront for Art and Architecture a Manhattan
7
, un vero e proprio laboratorio culturale
multidisciplinare che la pone a contatto con varie personalità del mondo artistico
newyorkese. Per oltre dodici anni non realizza nulla, considerando le sue idee confuse e
prive di forza, nonché intimidita dall‟altrui creatività assaporata nell‟organizzazione
delle attività del centro
8
.
Si trova a Los Angeles quando in Iran la rivoluzione del 1979 pone fine alla monarchia
dello Scià e instaura il regime islamico di Ruhollah Khomeyni e degli Ayatollah. Il
cambiamento politico, oltre a colpire duramente le finanze della famiglia, impedisce
6
S. Mackenzie, An Unveiling, in “The Guardian Weekend”, Londra, 22 luglio 2000, p.18.
7
A. C. Danto, Shirin Neshat, “Bomb Magazine”, inverno 2000
[http://bombsite.com/issues/73/articles/2332].
8
S. MacDonald, Between Two Worlds: An Interview with Shirin Neshat, in “Feminist Studies”, n. 30,
vol. 3, University of Maryland, College Park, inverno 2004, p. 627.
8
all'artista di tornare in patria e ricongiungersi con i propri cari fino al 1990, anno del suo
primo viaggio nella terra natia.
9
Quello che trova è un Iran totalmente differente dai suoi ricordi di ragazza, un paese
provato dalla lunga guerra, da poco conclusa, contro l‟Iraq, durante la quale larga parte
della popolazione maschile è stata decimata, un paese in cui ogni aspetto della vita del
cittadino è determinato, guidato, controllato secondo i dettami della rivoluzione di
stampo sciita perpetrata dall‟ayatollah Khomeyni, da poco deceduto
10
. Più di ogni altra
cosa, a colpire fortemente l‟attenzione di Neshat sono le immagini, collezionate dai
giornali durante la guerra del Golfo, di donne bellissime avvolte nei chador con fucili
enormi tra le mani, le stesse donne che ora ritrova raccolte in gruppi nelle strade che si
muovono con passo veloce rasentando i muri. Immagini forti e scioccanti che la
spingono a dedicarsi alla riflessione sulle profonde differenze che separano la cultura
occidentale, a cui è ormai assimilata, e quella islamico-orientale da cui proviene.
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Tornata a New York, supera l‟insoddisfazione verso il proprio essere artista trovando
ispirazione nelle riflessioni maturate durante questo primo viaggio in Iran e nelle forti
emozioni provate. Nascono così i cicli Unveiling e Women of Allah, in seguito unificati
in quest‟ultimo, dove Neshat, attraverso i tre elementi del velo nero, delle armi e dei
testi, cerca di riconnettersi con la sua cultura d‟origine. Sono principalmente fotografie
in bianco e nero dove pochi elementi si ritrovano costantemente: il corpo femminile, a
suggerire spesso peccato, vergogna, sensualità; le armi moderne, un ovvio richiamo alla
violenza; il velo, considerato simultaneamente sia simbolo di repressione (dato
dall‟obbligo imposto dal regime komeynista) che di libertà (resistenza contro l‟influenza
occidentale dell‟uso del corpo della donna); l‟elegante scrittura fārsi che riporta versi
d'amore di poeti persiani.
Per quel che riguarda quest‟ultimo punto, ciò che ha ispirato maggiormente Neshat,
lettrice onnivora per sua stessa ammissione, sono le opere di poetesse iraniane tra le
quali Forough Farrokhzad, Tahereh Saffarzadeh, Simin Behbahani, Monirou Ravanipur,
9
Per queste notizie cfr. l‟intervista all‟artista di D. A. Ross, A conversation with guest host David Ross
and iranian artist Shirin Neshat, in “Charlie Rose”, 2006
[http://www.charlierose.com/shows/2006/06/09/2/a-conversation-with-guest-host-david-ross-and-iranian-
artist-shirin-neshat].
10
Si veda il compendio dedicato alla storia recente dell‟Iran R. Redaelli, L’Iran Contemporaneo, Carocci
Editore, Roma, 2011 (I edizione 2009), pp. 49-65.
11
Shirin Neshat: Art in exile, in “Ted Ideas worth spreading”, dicembre 2010
[http://www.ted.com/talks/lang/eng/shirin_neshat_art_in_exile.html].