INTRODUZIONE
Durante il mio primo anno a Roma Tre, quando ero ancora iscritta al
DAMS e meditavo di emigrare in qualche universo parallelo,
scappavo dalle piatte lezioni su qualche oscuro cineasta russo per
sbirciare un mondo misterioso e numinoso di tuberi e radici, di aspra
musicalità anglosassone che veniva dissezionata con cura davanti a
future assistenti di volo annoiate.
Fu un’epifania, simile a quella vissuta da Auden durante la lettura del
Beowulf da parte di un Tolkien in veste scaldica.
Neanche un grave incidente poté tenermi lontana da quelle aule per
più di una settimana: senza denti e debolissima me ne andavo felice a
via Napoli pregustando pentametri giambici.
Dopo tanti anni di assenza dall’università, avendo finalmente deciso
di provare ad affrontare i miei fantasmi e laurearmi, ho deciso di
tornare in qualche modo alle origini accettando il suggerimento del
mio professore-scaldo di tradurre uno dei lunghi poemi di Auden. In
particolare The Age of Anxiety (pubblicato nel 1947), mi sembrò un
candidato ideale essendo scritto per la maggior parte in un verso
allitterativo molto simile a quello del Beowulf e dunque affine ai miei
gusti barbarici (non credo siano in molti a Roma Tre ad aver
1
biennalizzato Filologia Germanica). Inoltre questo poema fu scritto
dopo la fuga dall’opprimente Inghilterra e appartiene dunque alla
produzione “americana” di Auden. Mi sembrava dunque di trovarmi
in una posizione privilegiata per capire il suo stato d’animo e il suo
tentativo di americanizzare la sua lingua essendo anch’io fuggita negli
Stati Uniti, luogo in cui ho interamente scritto questa tesi.
Eppure subentrò presto un certo disagio: dopo una prima lettura del
poema e una ricerca iniziale sulla sua produzione degli anni ’40 mi
convinsi di avere una forte allergia per la natura iper-intellettuale di
questi versi. L’impressione era che Auden avesse opinioni su tutto lo
scibile umano e inondasse i suoi lettori con barocchi getti logorroici
pieni zeppi di concetti filosofici provenienti da un migliaio di libri.
Dov’era la vita, il dolore, la magia? Rimpiangevo la voce profetica di
Eliot e Yeats. E temevo di non non essere in grado di affrontare un
autore tanto “mentale” dopo anni passati a deintellettualizzare la mia
mente coltivando la mia creatività.
Malgrado ciò, piano piano, feci pace con Wystan. Andando avanti
nello studio compresi che siamo dalla stessa parte della barricata, lui
ed io, anche se le nostre nature differiscono.
~ ~ ~
L’ignaro lettore che si avventuri nella lettura di The Age of Anxiety
senza una guida rischia di finire fuori strada a causa di un colpo di
sonno o di un passeggero ma fatale istinto suicida.
D’altra parte, se Philip Larkin non ha mai finito di leggerlo e afferma
di non aver mai conosciuto nessuno che l’abbia fatto, perché mai una
persona sana di mente dovrebbe mettersi in testa di dimostrare che tale
impresa sia possibile o addirittura necessaria?
La mia risposta è che benché la produzione del “periodo inglese”, di
cui Auden nel corso degli anni divenne sempre più insofferente, sia
ciò che, in particolare in Italia, tendiamo ad identificare come la sua
2
produzione più tipica e interessante, l’Auden “maturo” dal punto di
vista filosofico e poetico è invece quello che egli divenne dopo aver
deciso di mettere un oceano fra sé e l’Inghilterra. L’America
rappresentò per lui, parafrasando The Age of Anxiety, “an unprejudiced
space” che gli permise di liberarsi di molta zavorra e di percorrere la
strada del cambiamento. Non si fece mai illusioni sulla reale natura di
quel paese: probabilmente l’autore esprime un parere personale
quando fa dire a Rosetta:
Yes, America was the best place on earth to come to if you had
to earn your living, but did it have to be so big and empty and
noisy and messy?
1
Eppure proprio queste caratteristiche, l’isolamento, il rumore, e in
generale il senso di alienazione che talvolta provava vivendo a New
York ebbero una funzione precisa nella sua crescita umana e poetica,
incoraggiando un atteggiamento introspettivo e meditativo che
sarebbe stato difficile esplorare nel suo paese natale:
He left England partly to sever his involuntary, inherited
relations with his family and country and his oratorical relations
with an audience that admired him for his politics. After he
arrived in the United States, which he saw as the loneliest and
most isolating society on earth, he began experimenting with
styles and metres that allowed him a new inwardness and depth
of emotion while avoiding much of what he now regarded as
preaching and heartiness in his earlier work.
2
Credo dunque sia opportuno dedicare tempo ed energie a riscoprire
l’Auden maturo, e tale riscoperta deve necessariamente passare
attraverso nuove traduzioni che tengano conto sia dell’aspetto sonoro
che della complessità filosofica della sua produzione americana.
In un primo tempo, dopo aver introdotto l’Auden “americano”
cercherò dunque di guidare il lettore attraverso gli aspetti filosofici e
tecnici del poema. Infine proporrò un’ipotesi di traduzione che tenga
conto dell’unità di manner e matter e che dunque non sacrifichi il
3
1
W. H. Auden and Edward Mendelson, Collected Poems, 1st Vintage
International ed. (New York: Vintage International, Vintage Books, 1991)
450.
2
Edward Mendelson, Later Auden (New York: Farrar, Strauss and Giroux,
1999) XVIII.
suono e il ritmo del verso originale in nome di una fedeltà semantica
che senza il suo corrispettivo formale non ha ragione di esistere. Nella
traduzione esistente, scritta da Dessì e Rinaldi (pubblicata nel 1964)
sono presenti sporadici fraintendimenti di significato e un numero di
note non adeguato
1
. Il mio è dunque un lavoro preliminare che
potrebbe forse un giorno trasformarsi in un’edizione critica e in una
nuova traduzione di The Age of Anxiety.
PRIMO CAPITOLO : QUALE AUDEN?
1. 1 “The greatest mind of the twentieth century”
Non c’è niente di polveroso in Auden, ma è vero che la sua
poesia è dominata dall’intelletto. Per nostra fortuna però
quell’intelletto si rivela sempre essere giocoso, le sue affermazioni
sembrano autorevoli e incontrovertibili ma se sovrapposte una
sull’altra se ne nota la provvisorietà, la natura non aggressiva. Auden
non è un filosofo travestito da poeta ma un alchimista che verifica le
sue intuizioni trasformando in poesia i contenuti disparati presenti in
un dato momento nel suo paesaggio mentale: il mondo esperito dai
sensi e le sue emozioni passano sempre attraverso un filtro
intellettuale, e questo rende la sua voce diversa da quella di poeti a lui
contemporanei che fanno dell’istinto la forza trainante del proprio
lavoro. Ma proprio questa caratteristica lo rende gentile, pensoso, mai
arrogante, sempre lucido. E per certi versi sovversivo.
Ma chi si avvicina ad Auden per la prima volta rischia di prendere
troppo sul serio quella voce che sembra tanto sicura di sé, e potrebbe
4
1
sono solo sette, e almeno una di esse dà informazioni sbagliate.
cercare di ricondurre le sue frasi sibilline a un’univoca volontà
comunicatrice che abbia le idee ben chiare su tutto. Eppure questo
centro di comando è piuttosto precario per sua stessa ammissione:
To be useful to an artist a general idea must be capable of
including the most contradictory experiences, and of the most
subtle variations and ironic interpretations. The politician also
finds a general idea useful, but for his purpose, which is to
secure unanimity in action, subtlety and irony are drawbacks.
The political virtues of an idea are simplicity and infallibility.
1
Non è mia intenzione sostenere una tesi generale riguardo alla pratica
della critica letteraria. Tutti i testi da me consultati con l’eccezione
forse del libro di Rainer Emig
2
fanno abbondante uso della parola
extra-poetica di Auden e di quello che sappiamo della sua vita per
supportare le proprie tesi. Emig invece si rifiuta di ricorrere a elementi
extra-testuali, dimostrando quanto sia limitato un approccio di questo
tipo se portato alle sue estreme conseguenze: ad esempio, parlando
della produzione poetica del giovane Auden, Emig non tiene conto
dell’universo privato di Mortmere e dei riferimenti anglosassoni, e
dunque interpreta come volutamente oscure e decostruzioniste delle
poesie che in realtà sono concepite per essere lette all’interno di un
circolo ristretto che era perfettamente in grado di coglierne i
riferimenti.
Credo dunque, senza voler entrare nel merito del dibattito
sull’intentional fallacy, che non si possa prescindere dalle idee e dalla
vita di un autore che si distingue nel panorama letterario per
l’autocoscienza e la lucidità che dimostra nel suo lavoro.
Naturalmente questi elementi forniscono solo degli indizi che
vanno poi verificati nel testo vero e proprio, che è libero di esibire
comportamenti ribelli nei confronti del volere del proprio demiurgo.
D’altra parte Auden era ben consapevole del ruolo giocato
dall’inconscio e dalla materialità del proprio medium (lingua o argilla,
5
1
citato in John R. Boly, Reading Auden : The Returns of Caliban (Ithaca:
Cornell University Press, 1991) 55.
2
Rainer Emig, W.H. Auden : Towards a Postmodern Poetics (Basingstoke:
Macmillan, 2000).
cambia poco), che può essere forzato solo fino a un attimo prima del
punto di rottura e che dunque porta necessariamente a modificare
l’originaria traiettoria del pensiero, ma invece di affidarsi direttamente
al flusso di coscienza egli credeva fosse necessario darsi dei limiti,
delle regole di partenza, che definissero in anticipo forma e contenuto.
I quali possono essere scissi solo per comodità teorica. Che manner e
matter siano in realtà indivisibili è l’assioma principale di ogni artista.
1. 2 Umanesimo liberale e la strada verso la conversione
Dopo la laurea a Oxford nel 1928 Auden aveva passato un anno a
Berlino, in cui poté sperimentare uno stile di vita molto stimolante e
libero sia dal punto di vista intellettuale che sessuale. Fino a quel
momento, leggendo Freud, aveva creduto che la sua omosessualità
potesse essere una fase passeggera, da superare con l’aiuto della
psicanalisi, ma ormai tale speranza cominciava a sembrargli infondata.
A Berlino Auden aveva conosciuto John Layard, un discepolo
dell’americano Homer Lane, le cui teorie psicologiche portavano alle
estreme conseguenze l’insegnamento di Freud. Lane vedeva la radice
delle malattie mentali e fisiche nella repressione dei propri istinti vitali
e creativi. A ogni disfunzione o caratteristica fisica poteva essere
trovata una causa psicologica, e la società stessa sembrava dunque
essere malata a causa della generale repressione degli istinti dei
singoli individui.
L’ampio spettro delle teorie che lo interessavano in quegli anni e che
andavano dal pensiero di Lane (fondato su Freud) a Marx avevano in
comune una sostanziale fede nell’essere umano, ereditata
dall’umanesimo liberale in cui era cresciuta la sua generazione.
Per chi era cresciuto in quegli anni la religione sembrava irrilevante
perché non necessaria a fondare valori che erano sentiti come
universali. C’era una fede di base nella perfettibilità della società, in
cui l’errore che non aveva ancora permesso l’avvento della felicità
terrena era visto di volta in volta in un difetto di conoscenza: Freud
6
aveva illustrato i rischi che la società correva ignorando l’inconscio e
Marx aveva puntato il dito contro l’alienazione del lavoratore da sé
stesso compiuta dal capitalismo.
Persino sistemi politici ingiusti come quello sovietico sostenevano
l’uso della forza ma solo in vista di di un futuro di pace e fratellanza.
Ma il nazismo apparteneva a una specie diversa, e lo shock provato
davanti a una così totale messa in discussione dei suoi valori era stato
il primo passo che lo avrebbe condotto alla riconversione religiosa
(Auden era cresciuto in una famiglia devotamente anglo-cattolica, ma
aveva perso la fede nella prima adolescenza). In un saggio contenuto
in un raccolta di testimonianze di anglicani famosi Auden scrive:
The novelty and shock of the Nazis was that they made no
pretense of believing in justice and liberty for all, and attacked
Christianity on the grounds that to love one’s neighbor as
oneself was a command fit only for effeminate weaklings, not
for the “healthy blood of the master race”. Moreover, this utter
denial of everything liberalism had ever stood for was arousing
wild enthusiasm, not in some remote barbaric land outside the
pale, but in one of the most highly educated countries in
Europe, a country one knew well and where one had many
friends.
1
Lo scoppio della guerra e l’esperienza di vedere immigrati tedeschi
inneggiare alla violenza di fronte alla proiezione di un cinegiornale
tedesco in un cinema di Yorkville fanno scattare qualcosa nella mente
di Auden.
So, presently, I started to read some theological works,
Kierkegaard in particular, and began going, in a tentative and
experimental sort of way, to church. And then, providentially -
for the occupational disease of poets is frivolity - I was forced
to know in person what it is like to feel oneself the prey of
demonic powers, in both the Greek and Christian sense,
stripped of self-control and self-respect, behaving like a ham
actor in a Strindberg play.
2
Auden si riferisce qui al tradimento di Chester Kallman, suo amante
dal 1939. Auden considerava la relazione come un vero e proprio
7
1
James Albert Bishop of California Pike, Modern Canterbury Pilgrims. The
Story of Twenty-Three Converts, and Why They Chose the Anglican
Communion. Edited by the Dean of New York, Etc (pp. 317. A. R. Mowbray
& Co.: London, 1956) 40.
2
Ibid. 41.
matrimonio. La prima volta nella sua vita in cui una relazione
amorosa lo faceva sentire totalmente appagato.
Ma nel 1941 Chester Kallman lo aveva tradito con un marinaio
inglese. L’evento aveva scardinato le illusioni di Auden sul suo
“matrimonio” (e sulle possibilità salvifiche di Eros). Gli aveva anche
fatto sperimentare una parte oscura di sé stesso che non pensava di
possedere:
When Chester did tell him, Auden, in a state bordering on
insanity, seriously contemplated committing murder - wishing
to kill either Chester, or perhaps the sailor [...]. ‘On account of
you,’ he afterwards told Chester, ‘I have been, in intention and
almost in act, a murderer.’
1
In The Prolific and the Devourer Auden sembra già molto attratto dal
Cristianesimo in senso filosofico ma decisamente lontano dal credere
alla lettera dei suoi insegnamenti.
Ma la lettura di Kierkegaard e di teologi protestanti come Niebhur e
Tillich gli sembrano fornire un raccordo fra il suo empirismo e il
contemporaneo bisogno di fondare quei valori che erano stati messi in
discussione dal fallimento del liberalismo e dalla scoperta di
un’oscurità interna che lo aveva terrorizzato:
Hatred was not the doomed preliminary stage of an irreversible
ascent to love; it was an end in itself. The instinctual powers -
described in his elegy for Freud as eager for enlightenment -
were content with a future of murder. And, to the extent that
Auden’s poems were, as he imagined, the works of his
daemonic gift, they too were driven by uncontrollable furies.
2
1. 3 Governare la lingua
La poetica di Auden evolve insieme alle sue idee. Le sue prime poesie
riflettono un mondo privato popolato da macchine industriali
abbandonate e vecchie miniere, una mitologia di faide tribali e
paesaggi nordici in cui Auden esercita la propria immaginazione
“islandese” e trova conforto alle prime frustrazioni affettive in una
8
1
Humphrey Carpenter, W.H. Auden, a Biography, 1st American ed. (Boston:
Houghton Mifflin Co., 1981) 312.
2
Mendelson, Later Auden 89.
teoria che riguarda “forze misteriose” che in seguito si reincarneranno
nella teoria del “gift” o daimon.
Già da bambino quando immaginava mondi popolati da macchine
industriali e miniere limiti Auden decideva in anticipo quali leggi
governassero i suoi universi, come avrebbe fatto successivamente in
poesia. E comincia a fare delle scelte “morali” che avrebbero
influenzato il suo modo di intendere la poesia:
I had to choose between two types of a certain machine for
separating the slimes. One I found more “beautiful” but the
other was, I knew from my reading, the more efficient. My
feeling at the time, I remember very clearly, was that I was
confronted by a moral choice and that it was my duty to choose
the second.
1
Ma nei primi anni ‘30 col crescere della sua coscienza sociale e
politica Auden ripudia questo mondo eccessivamente privato e cerca
di stabilire un contatto con il lettore. Ritiene che dovere del poeta sia
occuparsi di entrambe le possibili funzioni dell’arte, cioè dare piacere
(come fa il poeta dominato da Ariel) e contribuire alla creazione di
una società più giusta (come fa il poeta dominato da Prospero), in
quegli anni identificata in vago senso socialista. Ma il suo naturale
antiromanticismo, che lo aveva portato da sempre a diffidare di chi
identificava l’immaginazione con l’elemento spirituale e oracolare
dell’uomo, si rafforza alla fine degli anni ’30, quando comincia a
vedere un vero e proprio pericolo in questa concezione:
In Auden’s view, the Romantics failed to understand the
neutrality of the imaginative faculty in relation to the true or the
good; and their acceptance of the imagination as the divine
element in man led them to confound “the identity of the
romantic hero with the consciousness of the poet”.
2
Negli anni ’40 Auden non crede più nell’avvento di una giustizia
terrena né nel ruolo eroico del poeta. Mendelson vede in “In memory
of W. B. Yeats” lo spartiacque fra queste due concezioni:
9
1
W. H. Auden, The Dyer's Hand and Other Essays, 1st Vintage International
ed., Vintage International (New York: Vintage Books, 1989) 102.
2
Edward Callan, Auden, a Carnival of Intellect (New York: Oxford
University Press, 1983) 198.
Arrayed on one side were his conscious wish for social justice,
his didactic ethos, and all the deliberate choices of a poet’s
reflective will. On the other side were the irrational apolitical
powers in every psyche, and the power special to those with a
vocation - their gift. Auden’s argument with himself is generally
interpreted as a political one, a dispute over whether poetry
ought to serve public causes. But he recognized that this inner
political debate was a special case of a deeper and more
sustained argument between the logic of day and the impulse of
the night. In a later poem, “Under Which Lyre,” he named these
antagonists Apollo and Hermes.[...] His poems succeeded when
they took their energy from the struggle between these inner
antagonists, each with its allies in the world outside.
1
Auden aveva sempre visto la poesia come poiesis, ben distinta dunque
dalla praxis. In questo senso “poetry makes nothing happen”. Perché
la poesia è un fare, un fine in se stessa, non un segno che sta per
qualcosa che si trova nel mondo extra-verbale e che quindi induce a
un certo tipo d’azione nella “vita vera”. Quella è propaganda o
pornografia, entrambi generi con cui Auden aveva una certa
familiarità sia come lettore che come autore.
Nel 1935 nell’introduzione all’antologia The Poet’ s Tongue Auden
aveva scritto:
Poetry is not concerned with telling people what to do, but with
extending our knowledge of good and evil, perhaps making the
necessity for action more urgent and its nature more clear, but
only leading us to the point where it is possible for us to make a
rational and moral choice... one must disabuse people of the
idea that poetry is primarily an escape from reality. We all need
escape at times, just as we need food and sleep, and some
escape poetry there must always be... one must show those who
come to poetry for a message, for calendar thoughts, that they
came to the wrong door, that poetry may illuminate but it will
not dictate.
2
La poesia non ha dunque un fine extra-poetico diretto. Ma in essa
confluisce la visione morale di chi l’ha scritta, che ha anche il dovere
di sorvegliare le sue creature poetiche, in modo da evitare che
l’elemento magico e incantatorio della lingua prevalga sul controllo
esercitato dall’autore e finisca per sabotare l’intento rivelatorio della
poesia. Questa è una costante del pensiero di Auden, e difatti ne
10
1
Mendelson, Later Auden 14.
2
W. H. Auden and Edward Mendelson, The English Auden : Poems, Essays
and Dramatic Writings, 1927-1939 (London: Faber, 1977) 329-30.
troviamo traccia a partire dagli anni ’30 e fino alla fine della sua vita.
La citazione che segue è tratta da un discorso tenuto a Philadelphia
davanti a una platea di psicanalisti freudiani nel 1971 :
The two great dangers against which a poet has constantly to
guard against, are what I would call autoeroticism and
narcissism.
A poet must never make a statement simply because he thinks it
sounds poetically exciting or effective: he must also believe it to
be true. [...]
The second danger lies in the poet [’s] imagination that an
experience is of any poetic importance simply because he
personally has had it. A valid experience is some perception of a
reality common to all men: it is only mine in that it is perceived
from a unique perspective which nobody but myself can
occupy, so that it’s my pleasure and duty to share it with others
[.].
1
Si tratta dunque di un dono che va maneggiato con cura e onestà
intellettuale. Dal matrimonio del poeta con la lingua e dall’interplay di
manner e matter è auspicabile che emerga qualcosa che non sia
semplicemente attraente per la mente e l’orecchio, ma anche onesto.
In “Ode to Terminus” (scritta nel 1968) ringrazia il dio del Limite che
permette l’esistenza di un genuino gesto poetico e che può salvare
dalle belle bugie dei poeti:
Venus and Mars are powers too natural
to temper our outlandish extravagance:
You alone, Terminus the Mentor
Can teach us how to alter our gestures.
God of Walls, doors and reticence, nemesis
overtakes the sacrilegious technocrat,
but blessed is the City that thanks you
for giving us games and grammar and metres.
By whose grace, also, every gathering
of two or three in confident amity
repeats the pentecostal marvel,
as each in each finds his right translator.
In this world our colossal immodesty
has plundered and poisoned, it is possible
You still might save us, who by now have
learned this: that scientists, to be truthful,
11
1
W. H. Auden, Katherine Bucknell, and Nicholas Jenkins, In Solitude, for
Company : W. H. Auden after 1940 : Unpublished Prose and Recent
Criticism (Oxford: Clarendon Press, 1995) 194-95.
must remind us to take all they say as a
tall story, that abhorred in the Heav’ns are all
self-proclaimed poets who, to wow an
audience, utter some resonant lie.
1
A volte un’intera poesia dev’essere sacrificata perché non c’è modo di
amputarne il solo arto malato: fu questo il destino di “1 September
1939”, da cui aveva già espunto un’intera stanza e il cui famoso verso
“We must love one another or die” aveva alienato Auden da questa sua
opera per decenni, finché non decise di eliminarla del tutto dopo l’uso
strumentale che ne fece Lyndon Johnson nel ’64 durante la sua
campagna elettorale
2
. A proposito di quel verso Mendelson, esecutore
letterario ed editore di Auden, afferma:
Taken by itself, the statement was unexceptionable, and had
biblical authority to commend it: “He that loveth not his brother
abideth in death” (First Epistle to John 3:14). But Auden knew
he had written it in the context of a poem in which he argued
that love was not a moral choice but a determined, impersonal
drive like hunger, and “Hunger allows no choice / To the citizen
or the police.” This reduction of love to instinct had seemed
hateful to him for more than twenty years, and he was left with
the guilty feeling that he had unintentionally deceived readers
into praising him for a vaguely inspiring sentiment he had never
wanted to express. “Between you and me,” he told a critic in
1957, “I loathe that poem.”
3
Già pochi mesi dopo averla scritta Auden aveva infatti totalmente
cambiato idea sugli assunti principali che avevano portato alla
composizione di quella poesia, e cioè la teoria che l’amore, visto come
un “impersonal drive like hunger” avrebbe infine portato l’umanità a
uno stadio di armonia e assenza di conflitti e inoltre che “the artist as
maker had the historical power to hasten the education of man”
4
.
I principali assiomi necessari per comprendere l’Auden degli anni ’40
sono infatti da una parte il concetto di amore come scelta volontaria
12
1
Auden and Mendelson, Collected Poems 811.
2
Mendelson, Later Auden 478.
3
Ibid. 477-78.
4
Ibid. 75.