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CAPITOLO I
POLITICA ECONOMICA E ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA FERROVIARIO ITALIANO
DAL 1839 ALLA COSTITUZIONE DELLA FS SPA.
1.1 Introduzione.
In questo 1° capitolo mi propongo di raggiungere due obiettivi:
a) quello di analizzare le cause politiche, economiche, sociali, geografiche e gestionali che
hanno determinato l’attuale dissesto finanziario della più grande impresa di pubblici servizi
italiana: in particolare sono state la progressiva politica di marginalizzazione, la gestione
lontana dai principi di economicità e l’evoluzione della domanda di mobilità le determinanti
del disastro attuale;
b) inoltre di analizzare i diversi modelli di organizzazione che si sono succeduti nei 160 anni di
storia; da un modello in cui la gestione e la proprietà della rete erano in mano ai privati si è
passati alla gestione privata del servizio di trasporto con proprietà pubblica della rete. Poi
nel 1905 si è arrivati alla completa statizzazione del servizio. Oggi si torna verso una nuova
fase di privatizzazione e liberalizzazione, già cominciata con la trasformazione giuridica
dell’Ente F.S. in F.S. spa nel 1992.
3
1.2 Le ferrovie preunitarie (1839-1865).
1.2.1 Situazione negli stati preunitari.
La storia delle ferrovie in Italia comincia a Napoli il 03/10/1839 con l’inaugurazione della Napoli-
Portici nel Regno delle Due Sicilie.
Le finalità erano quelle di fornire, alle popolazioni e all’economia gravitanti sulla capitale, un
moderno mezzo di trasporto che stava dando nelle più evolute potenze europee, ottimi risultati. A
questi motivi puramente economici, si aggiunsero opportunità collegate ad una migliore difesa
militare del paese. Dopo 20 anni, nel 1859, il regno contava appena 100 km di ferrovie: fu la
geografia a condannare il meridione alla stasi ferroviaria; privo di estese pianure, lontano dai centri
economici e commerciali europei, carente di materie prime non potè eguagliare il fervore
ferroviario estesosi di lì a poco nel Piemonte e nel Nord Italia.1
Il 2° Stato preunitario a dotarsi della ferrovia fu il Lombardo-Veneto con l’apertura il 18/08/1840
della Milano-Monza concessa ad una società privata. Tale società faceva capo a un gruppo di
commercianti veneziani e milanesi ai quali si aggiungevano alcune banche austriache e tedesche fra
le quali i Rothschild. La rete ferroviaria si sviluppò e dopo il 1846, a seguito di difficoltà
finanziarie, intervenne lo Stato con numerose sovvenzioni fino ad acquisire l’intero capitale sociale.
Sulla suddetta rete ferroviaria, la Ferdinandea, si concentrò la politica dei trasporti austro-ungarica
in Italia con un grandioso progetto di linee tendenti ad accentrare i traffici tirrenici e adriatici
rispettivamente verso il porto di Livorno e Trieste, con sbocchi sulla linea per il Tirolo e la Baviera
e in direzione di Vienna e con successivi sviluppi verso il resto d’Italia, al fine di monopolizzare i
traffici. La convenzione firmata a Roma il 01/05/1851 per la costruzione di una ferrovia da Piacenza
a Parma, Modena, Bologna, Pistoia, Prato, sanzionava le mire imperiali in funzione antifrancese. La
1
Guadagno, 1999.
4
suddetta ferrovia completerà la Ferdinandea andando a costituire quel colosso denominato Società I.
e R. delle Strade Ferrate Lombardo-Venete e dell’Italia centrale controllata dai Rothschild. A tutto
il 1860 la rete Lombardo-Veneta superò i 750 km.
Il Lombardo-Veneto, in quanto provincia dell’impero austriaco, orientava le scelte a scapito degli
interessi economici sottesi al legame con la nascente rete sabauda: il sistema si orientò sulla
preminenza di traffici e dei mercati locali.
La competizione tra la rete anglo-francese e quella austriaca per i collegamenti di lunga distanza
influenza la fisionomia della rete ferroviaria italiana.
Il Granducato di Toscana inaugurò la Livorno-Pisa nel Marzo del 1844. Anche qui l’impianto delle
prime ferrovie fu ad opera del capitale di rischio. Seguendo il modello di sviluppo inglese, fiorirono
le concessioni ai privati per la costruzione di nuove linee. I concessionari furono autorizzati ad
emettere certificati per la raccolta del risparmio (come già avveniva in mercati sviluppati come
Francia e Gran Bretagna). Le realizzazioni effettive saranno inferiori alle aspettative, mentre
emergeranno gli aspetti speculativi legati alla nascita di questi nuovi strumenti finanziari in mercati
meno solidi ed economicamente maturi di quelli europei.
Lo Stato, invece, intervenne in maniera fondamentale nel caso del Regno di Sardegna: la classe
politica e finanziaria valutò come preminente interesse dello Stato la costruzione di una estesa rete
ferroviaria che collegasse la capitale col suo sbocco naturale sul mar Ligure. In questo progetto vi
era, però, la preminenza delle considerazioni strategico-militari e geopolitiche. La rete si sviluppò
fino a 870 km nel 1860.
Lo Stato Pontificio era un paese economicamente arretrato, relativamente spopolato, scarso di
regioni pianeggianti e poco dotato di capitali per grandi investimenti. Dunque anche in questo caso
lo sviluppo della rete non è sostenuto da interessi economici prevalenti ed organizzati. Nel 1859 si
contano appena 101 km di ferrovie.
5
1.2.2 L’arretratezza infrastrutturale italiana.
Possiamo osservare tre caretteristiche del nascente sistema ferroviario italiano.
Innanzitutto notiamo che al generalizzato sviluppo economico si fece da freno l’esistente
suddivisione del Paese in piccoli stati che, o per malgoverno o per contrasti politici e di confine,
non contribuirono a rendere efficiente la nascente rete, costruita senza un orientamento unitario, ma
secondo ristretti interessi locali non inseriti in un più vasto disegno nazionale.
Inoltre notiamo una profonda diversità di posizionamento dei diversi stati italiani in termini di
dotazione per abitante e per estensione territoriale. Da un lato Regno di Sardegna e Lombardo-
Veneto sono già in possesso di un sistema ferroviario che si avvicina a quello degli stati europei più
avanzati, dall’altro la dotazione ferroviaria del resto d’Italia è decisamente arretrata, con l’eccezione
del Granducato di Toscana. In sostanza l’Italia è spaccata in due.
Tabella 1: la struttura della rete ferroviaria italiana al momento dell’unificazione. (Fonte: Le
ferrovie italiane tra Stato e Mercato)
Stati Km di linee
Stati Sardi 1.060
Lombardo-Veneto 669
Stato Pontificio 101
Toscana 305
Due Sicilie 187
Infine vi era un gap infrastrutturale non soltanto per gli squilibri tra le diverse regioni del paese ma
anche per il divario esistente tra le regioni del centro-nord rispetto agli altri Stati Europei, dove era
già stata costruita una ampia infrastruttura ferroviaria che rappresentava uno strumento per lo
sviluppo della industrializzazione e un fattore di integrazione di mercati nazionali.
6
Tabella 2: Struttura delle reti ferroviarie nei principali Paesi europei al momento della
unificazione italiana (km di linee in esercizio). (Fonte: Le ferrovie italiane tra Stato e mercato)
Stati Km di linee in esercizio
Gran Bretagna 14.600
Germania 11.000
Francia 9.000
Austria 3.000
Italia 2.330
L’Italia giungeva alla unificazione politica quando le altre nazioni avevano già compiuto progressi
determinanti nella dotazione infrastrutturale. Occorreva costruire un sistema di rete partendo da una
debolezza strutturale e dalla mancanza di connessioni tra le diverse reti di carattere regionale.2
1.3 Le grandi reti: ruolo di unificazione politica (1865-1885).
1.3.1 Quadro generale al momento dell’unità d’Italia
Con la proclamazione dell’unità d’Italia (1861) comincia una effettiva politica ferroviaria italiana.
Lo sviluppo complessivo della rete ferroviaria si presentava, in tale anno, con una estensione di
2.330 km.
Essa, però, non rappresentava un sistema organico: infatti accanto a linee di proprietà e di esercizio
statale vi erano linee di proprietà ed esercizio privato ed anche di proprietà privata ma con esercizio
affidato allo Stato;3 inoltre ciascuna concessionaria aveva contratto con i diversi stati preunitari
concedenti patti molto differenti basati principalmente sulle garanzie di un reddito minimo
chilometrico (per invogliare i risparmiatori a sottoscrivere i titoli senza correre rischi).4 “La prima
preoccupazione del nuovo Parlamento unitario fu di raccogliere non solo le successioni delle
società concessionarie preesistenti al 1859, ma anche di quelle che si erano create fra il 1859 e il
1861 le quali, essendo tutte più o meno improvvisate, gestivano in modo caotico le linee e si
2
Spirito-De Lazzari, Le Ferrovie italiane tra Stato e Mercato, Quaderni 3, 1996, p. 10.
3
Coletti, Storia di una Riforma, 1985, p. 22.
4
Basti pensare che per andare da Bologna a Roma si dovevano attraversare linee di 4 società diverse. Buratta pag. 10.
7
apprestavano a costruirne di nuove, la maggior parte delle quali approvate senza progetti accurati
e senza aver prestato molta attenzione agli aspetti tecnici, per non parlare dei futuri assetti di
traffico e di bilancio. Si trattava, insomma, di dover prendere in mano un gran numero di società
sull’orlo di una crisi economica; il fallimento di società ferroviarie non era una peculiarietà
italiana. Nel caso italiano è peculiare lo squilibrio tra desideri e l’ampiezza dei disegni, da una
parte, e le prospettive della domanda e i mezzi finanziari di cui si disponeva dall’altra: in questo
fatto va ravvisata la caratteristica fondamentale dell’originario sistema ferroviario nazionale
nonché una fra le principali cause del tracollo del sistema concessionale dell’esercizio e delle gravi
difficoltà tecniche che hanno sempre caratterizzato le nostre ferrovie”.5
Solo nel 1865 i lavori di allacciamento fra i tronchi esistenti e la costruzione di nuove linee fecero
in modo che i vari tronchi ferroviari assumessero la caratteristica di una rete sufficientemente
organica, il cui sviluppo complessivo si presentava di 10.510 km6. In questa situazione, però,
rimaneva il problema della presenza di una miriade di società.
1.3.2 Gli obiettivi della politica ferroviaria.
Gli obiettivi della politica di riordino della struttura ferroviaria erano di varia natura.
Lo Stato si proponeva di effettuare una “cucitura” geografica e sociale tra nord e sud; gli italiani si
conoscevano poco e le ferrovie costituivano la grande novità tecnologica del secolo, il progresso,
che dava l’occasione per estendere la reciproca conoscenza di uomini e paesi divenuti ormai
cittadini e parti di uno stesso Stato.7
Inoltre si proponeva di eliminare il fenomeno del brigantaggio nel meridione.
Poi vi erano ragioni di difesa nazionale.
5
Del Viscovo ,pag. 32, 1990.
6
Coletti, p. 22, 1985.
7
Del Viscovo, pag 32, 1990.
8
Inoltre, per un paese agricolo come l’Italia, si voleva creare un mercato nazionale agricolo
integrandolo in un più esteso mercato di sbocco europeo.
Infine, e soprattutto, si voleva dotare la nascente industria di una infrastruttura fondamentale come
quella ferroviaria che avrebbe spinto e sostenuto la produzione industriale attraverso due canali:
quello delle commesse pubbliche, determinando lo sviluppo e la crescita della filiera tecnologica, e
quello di un abbassamento dei costi di trasporto.
1.3.3 Strumenti e provvedimenti
Per realizzare questi obiettivi il nuovo Stato doveva procedere: ad un riassetto dell’intero sistema
ferroviario che armonizzasse i vecchi modelli organizzativi, proprietari e gestionali; a porre le basi
per un piano di sviluppo che, attraverso un programma di nuove costruzioni, trasformasse un
insieme di spezzoni costruiti in epoca pre-unitaria in una vera rete ferroviaria nazionale.
Quindi nel 1865 vi fu l’adozione di due provvedimenti legislativi che riordinavano l’intera materia e
si proponevano il duplice obiettivo di: semplificare la gestione dell’esercizio riducendo la pletora
delle società concessionarie; dare attuazione al programma delle nuove costruzioni da affidare alle
stesse società esercenti.
Il primo provvedimento fu la legge 20/03/1865 n° 2248 “Per l’unificazione amministrativa del
Regno d’Italia”, con l’obiettivo di dare un primo definitivo assetto generale al sistema di trasporto
su ferro. Essa disciplinava il rapporto tra lo Stato e i concessionari. Tale legge preparava il terreno
giuridico sul quale nei successivi anni si sarebbe edificata la riforma dell’industria ferroviaria
improntata ad un rapporto sinergico tra lo Stato “regolatore e tutore dell’interesse pubblico” e
l’iniziativa privata che, adeguatamente incentivata, avrebbe dovuto contribuire allo sviluppo
dell’intero settore secondo i criteri di efficienza ed economicità.8
8
Buratta, pag. 15, 1996.
9
Il secondo provvedimento fu la legge 14/05/1865 n° 2279 “Pel riordinamento ed ampliazione delle
strade ferrate del regno con la cessione di quelle governative”, detta anche “Legge dei grandi
gruppi”, con la quale si decise per la cessione delle ferrovie all’industria privata, includendo nei
contratti anche l’affidamento agli stessi soggetti della costruzione di nuove linee.
Le società concessionarie, attraverso una serie di fusioni si ridussero da 22 a 4,9 ma di dimensioni e
capacità finanziarie di gran lunga più consistenti. Tali società, oltre che esercenti del servizio di
trasporto, sarebbero state anche proprietarie delle reti rispettivamente esercitate.
1.3.4 Le società ferroviarie.
Analizziamo, quindi, le suddette 4 società.
La Compagnia delle Strade Ferrate Romane. La legge approvava la precedente Convenzione del
22/06/1864 con cui erano state regolate sia la fusione con le altre Società, che le nuove linee da
concedere. A capitale essenzialmente francese essa era controllata da un gruppo finanziario parigino
facente capo alla ”societè du credit industriel”. Tale società nasceva dalla fusione di alcune imprese
toscane e romane e ad essa furono affidate le linee toscane, quelle dello Stato pontificio ed altre
linee in Liguria in Umbria e in Abruzzo, con l’obbligo di esercitare su richiesta del governo alcune
linee piemontesi. La Convenzione prevedeva un regime di sovvenzioni annue chilometriche e legate
al mancato raggiungimento di determinati target in termini di prodotto chilometrico. Ma la società
nacque già asfittica perché i quattro organismi che la costituirono già erano in cattive acque a causa
della mancanza di capitali per proseguire le costruzioni e degli altri oneri da stanziare per gli
interessi sui titoli e le quote di ammortamento. Vi furono gravi carenze industriali, tanto che già nel
1873 l’assemblea degli azionisti chiese il riscatto delle linee da parte del Governo. Lo Stato,
dunque, riprendeva la proprietà ed il possesso della rete ed indennizzava gli azionisti con cartelle di
9
Si aveva una quinta società di minore importanza: La Compagnia Reale delle ferrovie sarde. Ferrarese, 1996.
10
rendita consolidata al 5%.10I motivi per cui le S.F.R. si trovarono in gravi difficoltà vanno anche
ascritti al fatto che l’azienda non era italiana e pertanto non godeva della stessa protezione concessa
alle Meridionali.
La Società Ferroviaria dell’Alta Italia, del banchiere Rothscild; in essa venivano riunite le linee
italiane della compagnia del Lombardo-Veneto e dell’Italia centrale, con giurisdizione sulle linee
piemontesi e liguri, e su quelle Venete e dell’Italia centrale. Inoltre lo Stato aveva ceduto a questa
società le linee di sua proprietà in Piemonte per un esborso di 200 milioni di lire, sui quali garantiva
un interesse annuo del 5%.
La gestione della rete fu abbastanza buona. Le azioni davano un rendimento dell’8%; essa fu inoltre
in grado di assorbire alcune linee già concesse alle Romane e alle Meridionali. Tuttavia non le
mancarono i problemi dovuti in primo luogo al reperimento di sempre nuovi capitali per far fronte
alle continue successive costruzioni onde non lasciare nuove linee ad imprese concorrenti oppure
per le pressanti richieste governative. Inoltre a causa del corso forzoso (1866) comparve la piaga
dell’aggio nei pagamenti verso l’estero sia per il servizio dei titoli che per gli acquisti di
combustibili; inoltre vi fu l’imposta sulla ricchezza mobile. Comunque anch’essa era in mani
straniere; essa fu riscattata con la stipula della convenzione di Basilea del 1875.
La Società Italiana delle Ferrovie Meridionali, del conte Bastogi alla guida di un gruppo di azionisti
italiani. Ad essa fu concessa la costruzione e l’esercizio di linee principali nel meridione e centro-
nord esclusa la Calabria. Fu stabilita, per il quadriennio 1865-68, una sovvenzione chilometrica
annua di £ 22.000 che andava ad aggiungersi al prodotto chilometrico; dal 1869 la sovvenzione
sarebbe stata di £ 20.000 lasciando il prodotto alla società, purchè non eccedente £ 7.000 a km. Nel
caso di aumento del prodotto la metà sarebbe andata allo Stato fino, però, a quando il prodotto
stesso non avesse raggiunto £15.000 a km. Un ulteriore aumento del prodotto chilometrico avrebbe
corrispondentemente decurtato la sovvenzione. Questa norma fu posta per incentivare gli incrementi
nei traffici ed il miglioramento della gestione; ma è evidente che tale meccanismo fosse
10
Spirito-De Lazzari, p. 21, 1996.
11
controproducente per il raggiungimento della efficienza. Anche in questo caso vi fu il riscatto nel
1876 della proprietà delle linee da parte dello Stato dando in cambio una rendita consolidata.
La Società Anonima Vittorio Emanuele: era a capitale francese della banca Lafitte e la sua
costituzione risaliva ad alcuni anni prima. Alla fine del 1864 la società esercitava in concessione le
calabro-sicule per 32 km di linee e ne aveva in costruzione e in progetto 1.127 km. Proprio l’onere
di costruire ferrovie in un territorio isolato, sottosviluppato e non a contatto con le zone europee più
progredite economicamente determinò per la società l’incapacità a coprire le spese di esercizio,
tanto che nel 1871 esse furono affidate alle Meridionali con gestione a parte.11
Dunque la legge 2279 del 1865 sanciva la sostanziale completa privatizzazione della gestione
ferroviaria, distribuendo in modo abbastanza omogeneo le reti tra le diverse società e disponendo in
loro favore delle sovvenzioni fisse e quelle che prevedevano la compartecipazione dello Stato
secondo il sistema “a scala mobile”: cioè con compensi che per lo Stato sarebbero stati decrescenti
con i profitti crescenti delle concessionarie.
1.3.5 Cause dell’insuccesso del modello integralmente privato.
Passiamo alle considerazioni conclusive
A) La scelta del suddetto modello organizzativo privatistico garantito dalle risorse pubbliche fu
dettata dalle precarie condizioni della finanza pubblica degli anni subito successivi alla
unificazione: infatti vi furono effetti a breve termine per l’erario pubblico molto positivi,
non solo per gli introiti da dismissione ma anche per i mancati flussi negativi per il
finanziamento diretto degli investimenti.
Purtroppo questo modello parzialmente fallì. Lo Stato aveva cercato di finanziare la
costruzione di una estesa rete infrastrutturale mediante il capitale privato (nazionale e
straniero) remunerato tramite i ricavi da traffico e sussidi chilometrici. Purtroppo il traffico
11
Guadagno, pag. 12, 1999.
12
non fu quello sperato anche perché furono effettuati investimenti infrastrutturali senza
preventiva analisi di redditività;12 quindi i proventi statali non furono né annuhlati e né
restituiti. Inoltre il meccanismo delle sovvenzioni sortì effetti negativi facendo bloccare,
anziché migliorare le rese chilometriche.
B) Questo modello faceva, inoltre, gravare nel lungo periodo il forte onere pubblico della
gestione ferroviaria a causa delle sovvenzioni che assicuravano un reddito minimo e delle
garanzie dell’interesse sul capitale anticipato dalle società private13.
C) Anche la III Guerra d’Indipendenza, con la relativa crisi economico-finanziaria contribuisce
ad indebolire le concessionarie.
D) Inoltre vi era l’agguerrita concorrenza delle linee di navigazione interna e di quelle costiere
che contrapponevano vantaggi di sicurezza ed economicità tali da annullare i vantaggi di
celerità che le ferrovie offrivano.
In particolare, tre sono stati i fattori fondamentali che hanno causato l’insuccesso delle imprese
concessionarie e, di conseguenza, il forte ritardo dell’Italia nello sviluppo del sistema ferroviario
rispetto a quello raggiunto dagli altri paesi europei:
I) La domanda di mobilità era troppo scarsa per assicurare i ricavi e i vantaggi economici. In
paesi come la Gran Bretagna la creazione delle infrastrutture ferroviarie aveva seguito lo
scoppio della rivoluzione industriale; di conseguenza le ferrovie furono costruite lì dove vi
era già una fortissima domanda di mobilità, il che ha determinato il raggiungimento
dell’equilibrio economico delle imprese. In Italia, invece, le ferrovie furono create prima che
si formasse un tessuto industriale quando ancora la mobilità era bassissima; anzi, abbiamo
visto che le ferrovie sono state considerate uno strumento di unificazione politica della
penisola, quindi col compito di creare esse stessa l’inesistente mobilità.
II) L’assetto orografico del paese che determina consistenti aggravi dei costi di costruzione e
dei tempi di collegamento tra due punti.14
12
Guadagno, p. 20, 1999.
13
Spirito-De Lazzari, p. 15, 1996.
13
III) Infine le condizioni generali dell’economia stavano volgendo da anni al peggio; e il corso
forzoso aveva bloccato le tariffe ma non la crescita dei costi di produzione, e inoltre aveva
reso più oneroso anche il pagamento dei debiti che molte società avevano sottoscritto con la
clausola di estinzione del debito in oro.15
Ma i motivi principali che spingevano lo Stato italiano ad effettuare i riscatti delle linee
ferroviarie ed a varare una riforma del regime ferroviario sono due:
a) L’azionariato delle società era in gran parte in mani straniere; questo significava: 1) che le
imprese ferroviarie facevano i propri acquisti di materie prime, prodotti intermedi e prodotti
finiti all’estero, venendo meno lo sviluppo della filiera tecnologica interna all’Italia (che era una
delle motivazioni dello Stato per cui si sono volute sviluppare le ferrovie). Quindi le costruzioni
ferroviarie non ebbero quella funzione immediatamente propulsiva e rivoluzionaria nei riguardi
dell’industria siderurgica e meccanica che avevano avuto negli altri paesi europei. Le
Compagnie ferroviarie italiane infatti importarono dall’estero la totalità del materiale metallico
necessario agli impianti fissi. Questo fu dovuto anche alla deficienza di carbon fossile, lo stato
troppo arretrato degli impianti siderurgici, il sistema doganale liberistico; inoltre le stesse
società appaltatrici, costituite in origine con capitali francesi o italiani, subappaltavano ad
imprese inglesi gran parte del lavori di costruzione.16 2) Inoltre il peso del capitale straniero
nelle imprese ferroviarie poteva implicare dei problemi di carattere militare in caso di conflitti
sul territorio nazionale.
b) La mancanza di coincidenza tra fini pubblici e interessi privati nelle nuove linee da costruire,
in quanto le società perseguivano fini esclusivamente economici e trascuravano integralmente
quelli sociali, lasciando completamente sprovviste di comunicazioni le zone più depresse.17
14
Buratta, p.37, 1996
15
Del Viscovo p. 35, 1990.
16
Spirito-De Lazzari, p. 44, 1996.
17
Coletti, 1985, p. 24.
14
1.4 Le Convenzioni (1885-1905)
1.4.1 Suddivisione geografica della rete ferroviaria
L’esigenza di dare una nuova fisionomia al modello di gestione delle ferrovie si concretizza con la
stipula di tre Convenzioni tra lo Stato e le tre più grandi società concessionarie in data 23 aprile
1884. Esse avevano una durata di 60 anni divisibili in tre periodi di 20 anni, alla fine dei quali
ciascuno dei contraenti poteva richiedere di recedere dal contratto mediante preavviso di due anni;
furono promulgate con legge 27 aprile 1885, n° 3048 “per l’esercizio delle reti mediterranea,
adriatica e sicula, e per la costruzione delle strade ferrate complementari”.
18
Con tale legge le linee del continente furono ripartite seguendo la divisione longitudinale della
penisola, secondo lo spartiacque appenninico, in due reti: 1) La rete Adriatica, concessa alla Società
delle Strade Ferrate Meridionali (che fu autorizzata ad aumentare il suo capitale azionario da 150 a
180 milioni); 2) La Rete Mediterranea, concessa alla Società Italiana per le Strade Ferrate del
Mediterraneo (con capitale di 135 milioni), di nuova costituzione e finanziata da una cordata di
banche italiane.
Con questa suddivisione si voleva creare una concorrenza più equa tra le imprese ferroviarie le
quali potevano gestire linee sia nel settentrione che nel meridione con allacciamenti alle reti
transalpine.
19
Infine una terza convenzione prevedeva l’affidamento della rete sicula alla Società Italiana per le
Strade ferrate della Sicilia (con capitale di 15 milioni), appositamente costituita e sostenuta da
capitali locali.
18
Buratta p. 50, 1996.
19
Guadagno, p. 16, 1999.