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INTRODUZIONE
La teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969, 1973, 1980) costituisce una della più
importanti e produttive teorie psicologiche degli ultimi 40 anni.
Nonostante le prime applicazioni della teoria fossero rivolte principalmente all’infanzia
e al rapporto madre bambino, le sue basi e i suoi concetti sono risultati utili strumenti di
comprensione di un’ampia gamma di comportamenti relazionali nel ciclo di vita e della
trasmissione intergenerazionale dei fattori di rischio di sviluppo di relazioni
problematiche.
Negli anni la mole di ricerche volte ad ampliare la teoria dell’attaccamento come
concetto Lifespan ha interessato ambiti trai quali l’evoluzione dei legami di
attaccamento durante i cambiamenti dell’adolescenza, le relazioni amorose etero e
omosessuali come legami di attaccamento e la trasmissione intergenerazionale dei
pattern. Secondo Crowell, Fraley e Shaver (2003) soltanto tra il 1987 e il 1997 sono
stati pubblicati più di 800 articoli che trattano l’argomento e di grande rilevanza e
argomento di discussione si é dimostrata la questione della misurazione dello stile di
attaccamento.
Nonostante la condivisione della medesima base teorica, la tradizione di ricerca di
misurazione dell’attaccamento adulto così sviluppata può essere nettamente divisa in
due: da una parte si trova l’approccio psicodinamico-evolutivo a cui fa capo uno dei più
conosciuti strumenti di valutazione, l’Adult Attachment interview (AAI; George,
Kaplan e Main, 1985), dall’altra la tradizione psicosociale che trova le sue origini nei
lavori di Hazan e Shaver (1987) sull’amore romantico.
Le due tradizioni differiscono principalmente per il focus: laddove la tradizione
psicodinamica si basa sullo stato della mente relativo all’attaccamento ed ha come
centro dell’analisi la coerenza del discorso e i meccanismi di difesa, la ricerca
psicosociale pone l’enfasi sul comportamento manifesto ed attuale del soggetto nelle
relazioni e al contenuto di ciò che egli riporta. Come conseguenza, anche gli strumenti
utilizzati sono diversi nei due filoni di ricerca.
La ricchezza che la teoria dell’attaccamento offre come campi di applicazione e come
comprensione a diversi livelli dei meccanismi relazionali, se da una parte é evidenziata
dal fiorire di strumenti nuovi in diversi ambiti e dall’interesse dei ricercatori di diverse
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impostazioni, rischia di essere perduta nel momento in cui la ricerca si polarizza e le due
parti rifiutano l’integrazione. Sempre di più negli ultimi anni molte ricerche si sono
occupate del confronto tra i vari strumenti di misurazione dell’attaccamento e si é di
conseguenza diffusa la convinzione tra gli studiosi della necessità di un incontro tra le
due tradizioni per rendere ragione della complessità del costrutto teorico e dei vari
livelli, consapevoli o meno, a cui esso agisce.
A questa ultima posizione che auspica un approccio multimetodo allo studio
dell’attaccamento adulto fa riferimento anche la presente ricerca, parte di un progetto
più ampio, che si propone di confrontare 5 strumenti di diverso background: due
questionari self report sull’attaccamento di stampo psicosociale, ASQ (Feeney, Noller e
Hanrahan, 1994), ECR (Brennan, Clark & Shaver, 1998), un questionario sulla
sintomatologia, Scl-90 (Derogatis L.R., 1977), l’intervista AAI di stampo
psicodinamico e infine l’intervista ASI (Bifulco, Moran, Ball, Bernazzani, 2002)
anch’essa di origine psicosociale.
Di particolare interesse risulta il confronto esplorativo e qualitativo tra le due interviste
di tradizione differente, nonostante sia stato purtroppo effettuato su un piccolo
campione, poiché non esistono studi all’attuale pubblicati sull’argomento e può perciò
rappresentare uno spunto per riflessioni successive sui diversi aspetti che queste due
interviste di diversa impostazione possono portare alla luce.
La parte teorica si suddivide in un primo capitolo dedicato ai concetti principali e
fondanti la teoria dell’attaccamento nelle sue origini e ad alcuni cenni sull’evoluzione
teorica e metodologica del costrutto, mentre nel secondo capitolo viene affrontata la
problematica della misurazione dell’attaccamento adulto e la difficile integrazione delle
due tradizioni di ricerca. In capitolo 2 vengono perciò in primo luogo descritte entrambe
le posizioni e i relativi strumenti con alcuni cenni alle ricerche svolte, successivamente
vengono analizzate somiglianze e differenze, riassunti alcuni contributi volti a
confrontare questionari e interviste di diversa origine, e vengono infine riportate alcune
posizioni teoriche e metodologiche di vari autori all’interno di questo panorama.
Successivamente, il capitolo 3 é dedicato alla ricerca e vengono qui individuati gli
obiettivi, descritta la procedura, il campione iniziale di 98 studenti e quello finale dei 18
che hanno completato tutte le misure e nel capitolo 4 vengono presentati i 5 strumenti.
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Il capitolo 5 relativo ai risultati é stato suddiviso in tre parti: la prima parte riporta
quanto trovato dal confronto tra i 3 questionari nel campione più ampio di 98 soggetti,
la seconda riguarda la comparazione nel campione ridotto tra le due interviste
considerate separatamente e i questionari, e infine nella terza viene preso in esame il
confronto tra le due interviste.
E’ stato successivamente scelto un caso, riportato in capitolo 6, per illustrare un
esempio di discordanza tra le due interviste che può però evidenziare come le diverse
misure si integrano tra di loro per fornire un quadro più completo e un’analisi più
dettagliata, tenendo anche in considerazione gli eventi di vita trascorsi e valutati in
itinere.
Le conclusioni e i limiti dello studio sono infine riportate nel capitolo 7, a cui segue una
parte di appendice in cui possono essere ritrovate alcune tavole di riferimento.
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CAPITOLO 1
L’ATTACCAMENTO COME CONCETTO LIFESPAN
La teoria dell’attaccamento nasce dagli studi di John Bowlby prima e di Mary
Ainsworth poi sulle relazioni dei bambini con le loro madri. Nonostante l’iniziale focus
sull’infanzia, il costrutto di attaccamento ha assunto, fin dalle sue origini come parte del
comportamento umano “dalla culla alla tomba”, un significato estendibile ed esteso a
tutto l’arco della vita dell’individuo.
In questa prima parte teorica, verranno brevemente riassunte le basi della teoria e gli
strumenti che sono stati utilizzati negli anni per la valutazione dell’attaccamento.
1.1 Le origini della teoria
“Si ritiene essenziale per la salute mentale che l’infante e il bambino sperimentino un rapporto
caldo, intimo e ininterrotto con la madre (o con un sostituto materno permanente), nel quale
entrambi possano trovare soddisfazione e godimento” (Bowlby, 1951)
Il pensiero di John Bowlby trova le sue origini in questi primissimi principi formulati
nei rapporti che Bowlby si trovò a scrivere nel 1950-51, quando la WHO chiese la sua
consulenza sulla salute mentale dei bambini senza famiglia presso la Tavistock Clinic di
Londra, in seguito alla seconda guerra mondiale.
Il compito assegnatogli, come egli stesso scrive, gli permise di approfondire e studiare il
campo della psichiatria infantile, attraverso la conoscenza di personalità di spicco e i
rapporti da lui redatti in seguito portarono l’attenzione sull’importanza del rapporto che
il bambino instaura con la madre (o un suo sostituto) per la sua salute mentale
stimolando dibattiti e ricerche.
In un lavoro ancora precedente, subito dopo la sua laurea a Cambridge, presso un
istituto per ragazzi disadattati, Bowlby rimase colpito in particolare dalla storia
relazionale negativa di due giovani ladri e le riflessioni successive lo indussero a
ritenere che gravi scompensi nelle relazioni madre-bambino nell’infanzia,
predisponessero a successive manifestazioni psicopatologiche.
Da queste prime osservazioni il pensiero di Bowlby si snoda e si arricchisce.
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Le indagini sistematiche compiute insieme a Robertson nel ’48 sugli effetti che la
separazione dalla madre produce nella prima infanzia, portarono Bowlby e colleghi ad
affermare che “Nel bambino piccolo la fame dell’amore e la presenza materna non è
meno grande della fame di cibo”, e ad osservare che le reazioni concomitanti alla
perdita della figura materna potessero essere di grande interesse per la psicopatologia.
Nel rispondere alla domanda sul perché la relazione con la madre sembrava così
importante per il bambino, Bowlby dovette confrontarsi con le due teorie che al tempo
fornivano le spiegazioni più accreditate sul legame madre-bambino, l’una di origine
psicanalitica e l’altra che faceva riferimento alla teoria dell’apprendimento sociale. La
teoria della pulsione secondaria era in entrambi i casi chiamata in causa nella
spiegazione: tra madre e bambino si instaura una relazione perché la madre nutre il
proprio figlio e il piacere che il bambino associa al soddisfacimento della pulsione della
fame viene associato positivamente alla presenza materna.
Alcuni studi etologici tuttavia, come i lavori di Konrad Lorenz e dei coniugi Harlow, di
cui Bowlby era a conoscenza, contraddicevano questa prospettiva: i piccoli di oca di
Lorenz si attaccavano ai genitori che non li nutrivano e i cuccioli di macaco reso
preferivano aver a che fare, in molte situazioni, con madri di pezza che non fornivano
cibo piuttosto che madri di fil di ferro dotate di dispensatore. Sembrava perciò evidente
l’esigenza di una spiegazione alternativa alla pulsione secondaria che tenesse conto dei
nuovi studi e di nuovi ambiti di ricerca.
In questo panorama Bowlby fu spinto a formulare la teoria innovativa che sosteneva che
il legame così forte tra madre e bambino si fosse originato in seguito a una pressione
dell’evoluzione e che non fosse determinato da processi di apprendimento associativo
(pulsione secondaria) bensì da un desiderio di vicinanza basato biologicamente che si
presenta attraverso i processi di selezione naturale.
La teoria di Bowlby combina e integra i contributi delle contemporanee teorie delle
relazioni oggettuali , dell’etologia post-darwiniana, le prospettive moderne cognitive di
psicologia dello sviluppo, della teoria dei sistemi di controllo e della psichiatria di
comunità.
Nonostante siano confluite in essa spunti e idee dalle diverse prospettive moderne
psicologiche ed etologiche, Bowlby sottolinea come si sia sempre servito della
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psicanalisi come schema di riferimento, anche se successivamente ne prenderà le
distanze e metterà ben in luce le differenze del suo metodo e dei suoi presupposti teorici
da un’impostazione puramente psicanalitica.
Dallo sviluppo di alcuni fondamentali articoli del 1960 di cui il primo fu “The Nature of
the Child’s Tie to His Mother” e successivamente “Separation Anxiety” e “Grief and
Mourning in Infancy and Early Childhood” nasce la trilogia scritta da Bowlby:
“Attachment and Loss” volumi 1,2 e 3, che viene oggi considerata il maggior contributo
nel campo della psicologia moderna, della psichiatria e delle scienze sociali.
Di importanza fondamentale infine all’origine della teoria, nelle sue formulazioni
teoriche e applicazioni pratiche, fu la collaborazione di Mary Ainsworth, psicologa
dello sviluppo canadese che condusse le sue prime indagini osservative di bambini e
delle loro madri, applicando il metodo etologico di Bowlby, in Uganda nel 1950 e a
Baltimora dieci anni più tardi. Dopo questi importanti contributi creò lo strumento di
valutazione più famoso nella teoria dell’attaccamento, la Strange Situation, e si dedicò
in particolare alle differenze individuali nella qualità dell’attaccamento.
1.2 Definizioni e concetti fondamentali
Trai concetti teorici fondamentali introdotti da Bowlby tre definizioni sono da
considerarsi separate ma interrelate tra loro: il comportamento di attaccamento, il
sistema comportamentale di attaccamento e il legame o la relazione di attaccamento.
Fanno parte dei comportamenti di attaccamento il pianto, il sorriso, le vocalizzazioni e i
comportamenti motori di avvicinamento innescati da una minaccia o dalla separazione
della figura di attaccamento. In generale quindi, il comportamento di attaccamento è
definito come ogni forma di comportamento che tende a ottenere o mantenere la
vicinanza con qualche altro individuo differenziato e preferito.
I comportamenti di attaccamento, secondo Bowlby, sono stati favoriti dalla selezione
genetica, all’interno di quello che lui chiamò “ambiente di adattamento evolutivo”
(AAE), proprio perché favorendo la vicinanza alla figura di accudimento, aumentavano
la probabilità di protezione e quindi di sopravvivenza. Il comportamento di
attaccamento svolge in quest’ottica una chiara ”funzione biologica”: protegge il piccolo
dai predatori, o meglio aumenta la probabilità di protezione da parte del genitore, e
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permette così lo svolgersi delle funzioni di nutrimento e apprendimento. Dal punto di
vista darwiniano si può quindi considerare la ricerca di vicinanza attraverso
comportamenti di attaccamento altamente adattiva e l’attaccamento naturale e salutare
caratteristica dell’essere umano.
Il comportamento del bambino in generale e i comportamenti di attaccamento in
particolare vengono regolati e motivati da quello che Bowlby ha chiamato il sistema di
attaccamento.
Anche in questo caso, il concetto di “sistema di attaccamento” è stato preso in prestito
dal concetto etologico di “sistema comportamentale” per designare un sistema specie-
specifico di comportamenti che porta a risultati prevedibili.
Il concetto di sistema comportamentale stesso implica l’esistenza di una causa
intrinseca. L’osservazione che i bambini si attaccavano ai proprio genitori che essi
andassero o meno incontro alle loro esigenze fisiologiche, e a maggior ragione l’aver
visto che i neonati si attaccavano anche a madri respingenti, avvalorava l’ipotesi che
anche il sistema d’attaccamento fosse basato biologicamente al pari degli altri sistemi,
piuttosto che dar ragione a una spiegazione del sistema dell’attaccamento basata sulla
pulsione secondaria.
Centrale rispetto al concetto di sistema comportamentale di attaccamento è riconoscere
la varietà dei comportamenti di attaccamento all’interno dell’individuo, in risposta a
stimoli interni ed esterni. Attraverso lo sviluppo, il bambino accede a una grande
varietà di modi per ottenere la vicinanza con la figura di accudimento. “L’equivalenza
funzionale” (Sroufe e Waters, 1977) dei comportamenti di attaccamento permette al
bambino la possibilità di scelta, in base al suo grado di sviluppo, tra comportamenti
specifici diversi, mantenendo stabile l’organizzazione all’interno del suo sistema
comportamentale.
La metafora del missile adottata da Bowlby, ben spiega questa flessibilità del sistema di
attaccamento ai cambiamenti ambientali: una volta lanciato il missile non rimane
nell’attuale rotta, ma modifica la traiettoria in conformità ai cambiamenti di posizione
dell’obiettivo. Allo stesso modo il bambino, a seconda dell’età, può protendersi o
cercare di raggiungere la madre camminando o, se questa non sembra raggiungibile,
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piangere o gridare per attirare la sua attenzione, adattando i mezzi (comportamenti di
attaccamento specifici) all’ambiente o alle circostanze.
Bowlby spiega l’organizzazione del comportamento di attaccamento facendo
riferimento alla teoria dei sistemi di controllo e distingue in particolare quattro sistemi
di controllo del comportamento del bambino: il sistema di attaccamento appunto, quello
di esplorazione, affiliativo e di paura-attenzione.
Il sistema di attaccamento nello specifico coordina a partire dal sesto mese di vita i
comportamenti di attaccamento in modo organizzato e goal-correct, cioè diretti allo
scopo (set-goal) di regolare la vicinanza con la figura di attaccamento in relazione alle
varie situazioni ambientali, ha come obiettivo interno la ricerca della sicurezza ed agisce
in modo antitetico e complementare rispetto al sistema esplorativo che ha invece come
set-goal la padronanza e l’esplorazione dell’ambiente, fondamentale per la crescita. La
libertà della scoperta di ciò che lo circonda, è garantita al bambino da un buon equilibrio
trai sistemi e dalla percezione della presenza di una “base sicura” (Ainsworth, 1973), e
cioè la certezza della disponibilità della figura adulta di riferimento.
In generale, facendo riferimento alla teoria dei sistemi di controllo, Bowlby ne descrisse
il funzionamento paragonandolo a un termostato, che attiva il calore quando la stanza è
troppo fredda e lo disattiva quando la temperatura desiderata è raggiunta. Così anche il
sistema di attaccamento si attiva quando la separazione dalla figura è troppo grande, in
termini fisici o temporali, e si disattiva quando una vicinanza sufficiente è raggiunta.
Il contesto, le emozioni, la conoscenza e le differenze individuali giocano un ruolo
fondamentale in relazione al sistema dell’attaccamento e alla sua attivazione-
disattivazione.
Due classi relative al contesto possono essere chiamate in causa nell’attivazione del
sistema dell’attaccamento: una relativa alle condizioni del bambino (come malattia,
dolore, stanchezza ecc..) e una relativa alle condizioni ambientali (ad es. la presenza di
stimoli minacciosi). La ricerca della vicinanza è attivata quindi, quando il bambino
riceve informazioni, sia interne che esterne, che uno scopo, la distanza desiderata della
madre, deve essere raggiunta. Rimane attiva finché lo scopo non viene raggiunto e poi si
ferma. E’ evidente in questo caso come la teoria di Bowlby sia molto distante
dall’approccio psicanalitico energetico all’azione: la ricerca di vicinanza non cessa
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perché si esaurisce la riserva di energia ma perché è presente uno stimolo inibente che
nel caso di un bambino angosciato è il contatto con la madre.
Le emozioni sono particolarmente associate con l’attaccamento, Bowlby paragona
infatti la formazione dell’attaccamento con l’innamoramento includendovi quindi
emozioni come l’ansia per la separazione, il dolore per la perdita e la gioia del
mantenimento del contatto.
Dalle contemporanee teorie cognitive Bowlby trae l’importanza del ruolo della
conoscenza, e quindi delle componenti cognitive nel sistema dell’attaccamento e delinea
il concetto di “modelli operativi interni”, rappresentazioni mentali di sé, della figura di
attaccamento e dell’ambiente, che permettono all’individuo di anticipare il futuro e fare
piani per operare più efficacemente in relazione al contesto. In questo senso la
conoscenza che il bambino ha di sé, della sua figura di riferimento e dell’ambiente,
quindi i suoi modelli operativi interni, gioca un ruolo fondamentale nel dirigere e nel
prendere decisioni sui comportamenti di attaccamento da adottare nelle diverse
situazioni.
L’interesse infine per le differenze individuali nell’attaccamento ha stimolato numerose
ricerche, e continua a farlo. Main propose (1990) che la tendenza biologica umana
all’attaccarsi, fosse parallela all’abilità biologica nell’essere flessibili e perciò a sapersi
adeguare a un’ampia gamma di probabili ambienti di accudimento. La flessibilità
contribuisce ad alcune variazioni associate alla qualità dell’attaccamento. Sebbene
quindi tutti i bambini si attacchino, non tutti lo fanno in modo sicuro.
Il terzo concetto base della teoria di Bowlby è infine proprio il legame, o la relazione, di
attaccamento e quindi l’aspetto specifico della relazione tra adulto e bambino connesso
al mantenimento e la regolazione della sicurezza e della protezione.
Se il comportamento di attaccamento è un comportamento che promuove la vicinanza
alla figura di attaccamento, e il “sistema comportamentale di attaccamento” è
l’organizzazione dei comportamenti di attaccamento all’interno dell’individuo, il
“legame di attaccamento” è un legame affettivo.
Pur rientrando nella classe più grande di legami che Bowlby e Ainsworth hanno
descritto come “legami affettivi”, il legame di attaccamento si distingue dalle altre
relazioni che un individuo può instaurare principalmente per tre caratteristiche:
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La ricerca della vicinanza della figura è la condizione perché il bambino si
senta a suo agio.
La figura rappresenta ciò che Ainsworth per prima ha chiamato la “base
sicura”, e cioè il bambino deve avere la certezza interna di poter trovare in essa
un punto di riferimento stabile.
E’ presente protesta per la separazione dalla figura, e proprio l’aspetto di
protesta è considerato la prova migliore per valutare la presenza di un legame
di attaccamento.
L’esistenza di un legame di attaccamento non può essere desunta dalla presenza o
dall’assenza di comportamenti di attaccamento. Non tutti gli avvicinamenti, ad esempio,
appartengono al sistema di attaccamento, e così molti comportamenti possono servire a
più di un sistema comportamentale. Inoltre, anche quando non rivolge comportamenti di
attaccamento verso i genitori, il bambino è ugualmente attaccato.
Bowlby considerava innata la tendenza del bambino a sviluppare un legame
privilegiato, di attaccamento, con una sola figura preferita, solitamente la madre
biologica. Il concetto di monotropismo è stato al centro di numerosi dibattiti e ha
stimolato la ricerca sulle capacità del bambino di sviluppare più rapporti significativi
durante l’infanzia (rapporti multipli) , ipotesi effettivamente dimostrata e sostenuta dai
risultati di molti lavori empirici. Bretherton (1980) ha decritto il bambino come colui
che ha “una piccola gerarchia delle figure di attaccamento di maggior rilievo” e molte
domande, tra le altre, sono nate circa le possibili spiegazioni sulla scelta dei gradi della
gerarchia delle figure, sul significato evolutivo degli attaccamenti multipli e sul loro
sviluppo durante il ciclo di vita.
1.3 Cenni sull’ontogenesi dell’ attaccamento
I primi studi degli anni ’40 e ’50 che misero in luce la forza degli effetti della
separazione dalla madre in bambini molto piccoli, portò Bowlby e colleghi a
interrogarsi su quale fosse lo sviluppo normale del legame tra madre e bambino, e
proprio l’interesse per l’ontogenesi dell’attaccamento stimolò gli studi di Ainsworth in
Uganda e a Baltimora.
Nel tracciare le basi dell’ontogenesi dell’attaccamento, Bowlby propose l’esistenza di
tre processi, ritenuti fondamentali per lo sviluppo in generale. Primo, i comportamenti
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nelle loro forme primitive e non mature, a volte sono diretti verso diversi oggetti
dell’ambiente, e la gamma di stimoli si riduce con lo sviluppo.
Secondo, nelle prime tappe dello sviluppo i sistemi comportamentali che sono
funzionali sono di tipo molto semplice e vengono successivamente sostituiti con sistemi
più complessi. Terzo, mentre sistemi di comportamento semplici risultano funzionali
nelle prime tappe di sviluppo, alcuni schemi comportamentali possono presentarsi in
modo inizialmente non adeguato e l’integrazione sarà il processo evolutivo
fondamentale che li renderà funzionali. Questo terzo principio suggerisce che possono
esserci dei periodi sensibili nel corso dello sviluppo.
L’idea generale, infine, che nel neonato esista un periodo sensibile per lo sviluppo del
legame è stata anch’essa tratta dall’etologia, il periodo viene considerato il primo anno e
la strutturazione del legame avviene in 4 fasi, le prime tre hanno luogo nel primo anno
di vita, l’ultima più o meno intorno al terzo anno.
Le prime due fasi coprono il periodo dalla nascita ai 6-8 mesi di vita, sono definite
come fasi di preattaccamento e di formazione, rispettivamente di orientamento e
segnali senza discriminazione della persona e orientamento e segnali verso una o più
persone discriminate durante le quali il bambino passa appunto da una scarsa
discriminazione degli adulti che si prendono cura di lui, alla focalizzazione di una o più
persone specifiche. La capacità di holding e lo sguardo reciproco sono i due aspetti
fondamentali per la costruzione del legame in questo periodo.
Durante la prima fase, il bambino e il caregiver si impegnano in una notevole
interazione. Molte di queste interazioni vengono modificate da parte del caregiver in
base allo scopo prestabilito, il bambino agisce invece secondo comportamenti
prevedibili piuttosto che obiettivi stabiliti.
Il neonato in questa fase si comporta nello stesso modo nei confronti di due o più
persone che possono interagire con lui alla stessa maniera e si suppone che sia incapace
di distinguere se stesso dagli altri e i suoi modelli operativi interni sono molto primitivi.
Trai sistemi sensoriali, quello acustico e quello visivo sono particolarmente importanti
allo sviluppo del sistema di attaccamento. Non c’è ancora connessione interna trai
sistemi, per cui ad esempio, l’ascolto della voce umana non attiva un comportamento di
ricerca visiva.
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In questa fase iniziale quindi, è soprattutto il caregiver a mantenere la vicinanza e a
proteggere il neonato e se i comportamenti del caregiver sono in sintonia con quelli del
neonato, per cui ad esempio i comportamenti di attaccamento del bambino vengono fatti
cessare dalla vicinanza responsiva del caregiver, si formeranno schemi di interazione
stabile.
La transizione dalla prima alla seconda fase avviene gradualmente è può essere definita
da 3 passaggi. In primo luogo nella seconda fase avviene una elaborazione dei sistemi
comportamentali semplici in sistemi più complessi e grazie ai progressi senso-motori, il
bambino è in grado di acquisire un grado di controllo maggiore sui singoli sistemi di
comportamento. Il secondo passaggio importante è la restrizione della gamma di
efficaci condizioni attivanti o inibenti e più specificamente, avviene una
differenziazione da parte del neonato nel dirigere il suo comportamento di attaccamento
tra caregiver più familiari e altri. La terza componente importante che definisce la
seconda fase è infine la crescente tendenza attiva del bambino a intraprendere
interazioni sociali di attaccamento con il-i caregiver principali. Queste caratteristiche
della seconda fase sono importanti per iniziare a delineare distinti processi evolutivi
verso le differenze individuali e hanno delle implicazioni nel descrivere la natura dei
modelli operativi interni del neonato.
La terza fase inizia verso il sesto-ottavo mese ed è definita come mantenimento della
vicinanza a una persona discriminata mediante la locomozione e mediante i segnali.
Durante questo periodo si presume che il neonato consolidi l’attaccamento al-ai
caregiver ed è una fase caratterizzata da cambiamenti motori, cognitivi e comunicativi
importanti e da cambiamenti nell’organizzazione trai sistemi comportamentali. E’ in
questa fase che molti esperti considerano il bambino realmente attaccato. Le due
manifestazioni principali sono la comparsa della protesta per la separazione dalla figura
e la paura degli estranei. Adulto e bambino in questo periodo riescono a sincronizzarsi
all’interno di una struttura di attaccamento, il legame è stato instaurato e il bambino è in
grado di utilizzare la figura di riferimento principale come base sicura da cui partire e a
cui tornare nel corso della sua scoperta del mondo che va via via arricchendosi.
Le abilità del bambino, specialmente sul piano cognitivo, aumentano anche e soprattutto
nella quarta fase definita di rapporto reciproco diretto secondo lo scopo in cui si
costruisce una relazione reciproca. In questo periodo il bambino è in grado di