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Introduzione
“All of life is the management of risk, not its elimination”.
Walter Wriston.
Il termine rischio può essere talvolta difficile da spiegare con precisione. Esso
evoca le nozioni di incertezza, casualità e probabilità. E in effetti la nozione di
rischio, nella sua più ampia accezione, può avere tante sfaccettature tanto che
non vi è una definizione univoca che può essere completamente soddisfacente in
ogni situazione.
Il rischio è la diretta conseguenza dei cambiamenti. Ogni individuo deve far fronte
a dei rischi nella vita di ogni giorno; eliminare il rischio dalle nostre vite è
impossibile. Nel mondo finanziario esso si traduce nell‟aspettativa di guadagni o
di perdite. Le persone assumono deliberatamente dei rischi quando scelgono di
giocare alla lotteria o quando decidono di investire i propri risparmi nel mercato
azionario.
Ogni evento futuro è per sua natura incerto. Tuttavia il rischio finanziario che
deriva dall‟incertezza può essere gestito. Ciò che distingue le moderne economie
da quelle del passato è proprio l‟abilità di identificare il rischio, di misurarlo, di
prezzare le sue conseguenze e quindi di agire in modo appropriato, trasferendo o
mitigando il rischio stesso.
Non solo gli individui assumono dei rischi, ma anche le aziende fanno lo stesso.
Esse sono esposte a diversi tipi di rischio e al fine di poterli gestire in modo
adeguato, il Risk Management è diventato il compito principale di ogni azienda di
successo.
Si potrebbe erroneamente pensare che il Risk Management è un processo
attraverso il quale le aziende sono portate a ridurre i rischi assunti, ma in realtà,
attraverso la gestione del rischio le aziende selezionano accuratamente il tipo e il
livello di rischio che le stesse sono in grado di sopportare, arrivando in molti casi a
sacrificare risorse correnti per rendimenti futuri e incerti. In questo senso la
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gestione del rischio e l‟assunzione del rischio non sono due processi opposti ma
sono anzi le due facce della stessa medaglia.
Il Risk Management ha subito una rivoluzione nel corso degli ultimi anni. Essa ha
avuto inizio con il Value at Risk, un nuovo metodo per misurare i rischi finanziari
che è stato sviluppato in risposta ai disastri finanziari dei primi anni ‟90
1
.
La rivoluzione è stata causata da una serie di fattori convergenti quali: la
pressione delle autorità regolamentari di controllare meglio i rischi finanziari; la
globalizzazione dei mercati che ha portato all‟esposizione di molte fonti di rischio e
il progresso tecnologico.
In questo contesto compito del risk manager è quello di misurare il rischio per
mantenerlo sotto controllo espletando quella che è la sua funzione principale di
strumento gestionale. Il rischio può manifestarsi sotto diverse forme e in diverse
tipologie di realtà finanziarie: presso le banche, presso le istituzioni finanziarie in
genere e presso imprese industriali e commerciali.
Secondo la classificazione che si evince dalla normativa di Basilea II, possiamo
suddividere il rischio in tre grandi categorie
2
:
Rischio di mercato;
Rischio di credito;
Rischio operativo.
Allo scopo di quantificare e prezzare i rischi assunti i risk managers si servono di
alcune misure di rischio. Le stesse sono state oggetto nel corso degli anni di
continue revisioni e di accurati approfondimenti. Una misura di rischio che è oggi
adottata a livello internazionale per misurare i rischi di mercato ma anche il rischio
di credito e il rischio operativo è il Value at Risk.
Il VaR è una misura del potenziale rischio che può subire un portafoglio di attività
finanziarie. L‟idea che sta alla base del modello di calcolo è un concetto molto
semplice che ha dato spazio a molte rielaborazioni da parte di molti autori.
1
Si fa riferimento al disastro economico che colpì numerosi paesi come Orange County, Daiwa ed altri, dove
andarono perduti miliardi di dollari a causa di una povera previsione e una cattiva gestione dei rischi finanziari.
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Ognuna di queste categorie verrà ampliamente discussa nel corso del primo capitolo.
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Sono, infatti, oggi disponibili numerose varianti del modello base che
rappresentano il risultato di diverse combinazioni di tecniche numeriche e ipotesi
sul comportamento delle variabili finanziarie.
Tuttavia, come vedremo meglio nel corso del presente elaborato, il VaR non
possiede tutte quelle caratteristiche che una misura di rischio dovrebbe avere. In
particolare il Value at Risk non è una misura di rischio coerente.
Nello specifico il presente lavoro di tesi si divide in 3 capitoli.
Nel corso del primo capitolo si ha una descrizione dettagliata delle diverse
tipologie di rischio riconosciute in finanza nonchè una rassegna sul lungo iter della
regolamentazione di Basilea che ha avuto inizio nel 1988 con Basilea I e che è
tuttora in corso con la futura adozione di Basilea III.
Nel secondo capitolo si entra nel vivo delle misure di rischio; si inizia con un focus
sul Value at Risk e si analizzano i vari modelli che sono stati ideati nonchè i pregi
e i difetti che fanno capo a questa misura di rischio e che ci hanno portato alla
ricerca di altre e nuove misure di rischio definite appunto “coerenti”. Si arriva
quindi all‟analisi dell‟ Expected Shortfall e infine a quelle che vengono definite
come “misure di rischio spettrali”. Vedremo come queste utlime a differenza
dell‟Expected Shortfall, che viene definita come la media aritmetica semplice degli
α risultati peggiori, sono rappresentate da una media ponderata delle perdite
peggiori e dove la funzione dei pesi utilizzata viene definita come “spettro di
rischio”. È ovvio che assegnando opportuni pesi alla misura di rischio spettrale
possiamo tornare ad ottenere l‟Expected Shortfall. Tale spettro di rischio, nel
rispetto di alcune condizioni che elencheremo nello specifico nel corso del
secondo capitolo, può assumere delle forme molto diverse e la scelta dello spettro
riflette proprio un elemento nuovo e soggettivo che non era mai stato preso in
considerazione da nessun‟altra misura di rischio e cioè il grado di avversione al
rischio dell‟investitore.
Nel terzo e ultimo capitolo, a conclusione del presente elaborato, vi è un‟analisi
empirica concentrata sulle misure di rischio spettrali. In particolare è stata stimata
la misura spettrale per l‟indice FTSE MIB e dopo averla analizzata è stata messa a
confronto con la misura di rischio spettrale che è derivata invece dall‟analisi di un
portafoglio azionario appositamente creato. Detto portafoglio è composto, come
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meglio specificato nel corso del terzo capitolo, dai sei titoli prevalenti appartenenti
all‟indice azionario. Lo stesso copre più del 50% della capitalizzazione dell‟intero
indice e risulta essere sufficientemente diversificato in quanto i sei titoli scelti
appartengono a settori di attività differenti.
Nella fattispecie sono state stimate due diverse misure spettrali ognuna attraverso
l‟utilizzo di uno spettro di rischio differente. Sia per l‟indice azionario che per il
portafoglio, infatti, abbiamo voluto mettere a confronto i risultati che si ottengono
attraverso l‟utilizzo di uno spettro di rischio di tipo potenza, con quelli ottenuti
attraverso l‟impiego dello spettro di rischio esponenziale.
Entrambi gli spettri sono stati descritti in via teorica nel corso del secondo capitolo
e assumono la seguente forma:
Spettro di rischio di tipo potenza ϕ (p) = (1 – p)
1/k -1
Spettro di rischio esponenziale ϕ (p) =
Valuteremo quindi il confronto tra la rischiosità dell‟indice e del nostro portafoglio
in base alle due diverse misure di rischio spettrali, verificando quale delle due
misure risulta essere più “conservativa”, ma si avrà anche un confronto tra i
risultati ottenuti con l‟utilizzo del Value at Risk e quelli ottenuti con l‟uso
dell‟Expected Shortfall, mettendo in risalto ancora una volta i motivi per cui il Value
at Risk non rappresenta una misura di rischio coerente.
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CAPITOLO I
I rischi finanziari: riconoscerli e gestirli.
1.1 Il rischio finanziario
Esistono molte definizioni di “rischio”, aventi differenze terminologiche e di
significato notevoli, e ognuna connessa a un diverso contesto. In finanza, per
rischio si intende la possibilità di ottenere, a termine, un rendimento diverso da
quello che ci si attende al momento in cui si effettua l‟investimento.
In particolare, il rischio finanziario non è classificato tra i downside risks
3
: esso,
infatti, non implica necessariamente una perdita nel valore futuro di un‟attività
finanziaria, di uno strumento finanziario o, più in generale, di un qualsiasi
investimento.
La rischiosità di una attività finanziaria non rappresenta, perciò, l'attitudine a
perdere valore nel tempo ma a subire oscillazioni di valori. Si parla esattamente di
variabilità dei risultati intorno ad un valore atteso, in quanto la manifestazione del
rischio potrà essere sia negativa che positiva, generando in quest‟ultimo caso un
maggior guadagno rispetto a quello auspicato.
In particolare, per la valutazione della rischiosità di un‟attività finanziaria sono state
introdotte delle misure di dispersione quali ad esempio la varianza e la deviazione
standard.
Le misure di dispersione servono per descrivere sinteticamente una distribuzione
statistica quantitativa e in modo particolare per capire se c‟è alta o bassa
variabilità delle osservazioni intorno al valore medio della distribuzione
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.
3
“Il downside risk riguarda la parte negativa della volatilità manifestata dall'investimento. A differenza della
deviazione standard, il valore di riferimento non è la Media dei Rendimenti, bensì il rendimento minimo
accettabile rappresentato dal BOT, cioè l'investimento privo di rischio (risk free). In pratica, il Downside Risk
misura gli scostamenti verso il basso del rendimento del titolo considerato dal valore risk free, esprimendo
quindi quella parte di volatilità non gradita dall'investitore perché inferiore a ciò che ci si può ragionevolmente
attendere da un investimento”. Banca Sella Holding Spa, glossario online.
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Si veda “Statistica seconda edizione”, D.M. Levine, T.C. Krehbiel, M.L. Berenson, Milano: Apogeo, 2006.
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La deviazione standard, indicata con σ
X
è un indice che deriva direttamente dalla
varianza in quanto è dato dalla sua radice quadrata:
σ
X
=
dove X è la variabile casuale considerata e E[X] è il suo valore atteso. La
deviazione standard ci informa sull‟ampiezza dell‟intervallo in cui si concentrano la
maggior parte dei possibili valori assunti dalla variabile casuale X. L‟intervallo è
proprio dato da:
{ E[X] - σ
X
; E[X] + σ
X
}
La varianza così come la deviazione standard sono state ampiamente usate come
misure di rischio, ad esempio da Markowitz
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nella teoria del portafoglio nel 1952.
Tuttavia, si scoprì più tardi che la varianza non è una misura di rischio coerente in
quanto non possiede alcune specifici requisiti che una buona misura di rischio
dovrebbe avere.
La volatilità
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dei mercati finanziari negli ultimi anni ha contribuito ad incrementare
l'interesse verso la gestione del rischio portando alla conclusione che i rischi sono
impliciti in ogni forma di investimento.
I mercati fortemente volatili offrono, in linea teorica, profitti potenzialmente più alti
a fronte di maggiori rischi. I traders che operano nel breve termine sfruttano tale
caratteristica al fine di compiere operazioni speculative di successo. Gli investitori
che operano nel lungo termine, invece, preferiscono agire su mercati
caratterizzati da una minore volatilità.
5
Markowitz è stato il primo a riconoscere la relazione tra rischio e ricompensa e ad introdurre la deviazione
standard come misura di rischio. Tuttavia, essendo essa una misura di rischio simmetrica, penalizza non solo
le deviazioni negative dalla media ma anche quelle positive. Se, infatti, una maggiore varianza implica un
maggior rischio, il pericolo di avere risultati non desiderati aumenta allo stesso modo in cui aumenta la
possibilità di avere risultati migliori di quelli attesi.
6
La volatilità è la rapidità con cui i prezzi di un titolo variano nel tempo e matematicamente rappresenta lo
scarto quadratico medio del prezzo rispetto alla media mobile dello stesso, ed è espresso in punti percentuali /
anno.
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Il rischio di un titolo azionario è la variabilità del suo rendimento atteso attorno al
proprio valor medio. È possibile scomporre la variabilità del rendimento di un titolo
in due componenti: una legata alle condizioni specifiche dell' emittente del titolo
che può essere eliminata diversificando
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il proprio portafoglio, l‟altra che riguarda
le condizioni generali del mercato in cui il titolo viene negoziato.
Un comune investitore è consapevole del fatto che investendo 100 euro in
un‟attività rischiosa che rende α%, si assume il rischio che, ex post, il suo
rendimento potrà essere inferiore se non persino negativo. Quello che gran parte
degli investitori comuni ignorano è, invece, che le cause sottostanti a tali perdite
sono molteplici e ognuna di queste dà origine ad una tipologia di rischio ben
precisa.
1.2 Diverse tipologie di rischio in finanza
Diversi fattori quali una maggiore integrazione finanziaria, la convergenza tra i
diversi modelli di intermediazione, gli schemi di vigilanza basati sull‟adeguatezza
patrimoniale e un‟accresciuta consapevolezza degli investitori, hanno reso più
significativa, per le banche, la rilevanza del rischio e uno stile di gestione capace
di remunerare gli azionisti.
Il management bancario ha avvertito la necessità di ottimizzare la redditività
corretta per il rischio delle diverse aree di attività della banca. A tal fine, risulta
necessario che la banca:
venga munita di un efficace sistema di misurazione e gestione dei rischi
la banca deve essere in grado di identificare, misurare, controllare e
prezzare tutti i rischi assunti in modo consapevole nonchè tutte le attività
che possono generare incertezza e potenziale instabilità;
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Per diversificazione si intende la possibilità di investire in più strumenti finanziari tra loro non correlati, in
diverse aree geografiche e soggette a differenti fasi del ciclo economico. In questo modo il rischio dell‟ intero
portafoglio risulterà minore della somma dei singoli rischi dei titoli che lo compongono. La diversificazione del
portafoglio apporta grandi vantaggi all‟investitore in quanto la presenza di attività finanziarie aventi
caratteristiche diverse riduce la probabilità che l‟intero portafoglio subisca delle perdite rilevanti.
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possa effettuare una efficace allocazione del capitale il patrimonio deve
essere assegnato alle diverse unità operative in modo proporzionale al
volume di rischi assunto dalle stesse.
Gestire il rischio significa mettere in atto tutti gli accorgimenti necessari a
controllare i fattori di incertezza legati a un‟attività e a limitare gli effetti di potenziali
eventi negativi. Poichè ogni investitore si pone come obiettivo quello di ottenere il
massimo rendimento possibile, la gestione del rischio di un portafoglio finanziario
dovrà limitare il più possibile il verificarsi degli eventi negativi nonchè minimizzarne
il relativo impatto, cercando comunque di non costituire intralcio al verificarsi di
eventuali eventi positivi. In altre parole, nella gestione del rischio finanziario
occorre minimizzare il downside risk, senza limitare troppo l‟upside risk.
Nell‟ambito del processo di gestione del rischio, la banca ha a disposizione tre
possibili alternative:
1. To keep the risk mantenere il rischio se il profilo di rischio è coerente con
il risk appetite
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della banca. Si tratta, in questo caso, di rischi associati ad
attività da cui la banca trae profitto e redditività. L‟obiettivo è quello di
evitare i costi connessi al trasferimento o alla copertura.
2. To insure the risk assicurare il rischio attraverso la possibilità di
acquistare coperture assicurative su specifici eventi. Questo è utile a fronte
di eventi che una volta manifestati hanno un elevato impatto sulle perdite
della banca.
3. To hedge the risk coprire il rischio attraverso investimenti in risorse
umane, processi o tecnologie al fine di ridurlo. Questa alternativa è
utilizzata, in particolare, per quei rischi che sono incompatibili con la
capacità di assorbimento delle perdite di una banca.
Occorre, dunque, poter effettuare una distinzione tra i diversi rischi impliciti
nell‟operatività normale e straordinaria degli intermediari.
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Il risk appetite è l’attitudine (capacità) di una banca ad assumere (di sostenere) il rischio.