9
Capitolo 1. Dal ’46 fino al ’63: la svolta del dopoguerra
1.1 La fondazione della Honda Motor Co.
All’indomani del secondo conflitto mondiale, di fronte al desolante spettacolo offerto
dalle macerie di quella che era stata una fiorente industria, convertita alla produzione
bellica prima, bombardata e abbandonata a se stessa dopo, la necessità impellente di
ricostruire ciò che era andato perduto, il desiderio di voltare pagina e di lasciarsi la guerra
alle spalle spinsero uomini intraprendenti e geniali a creare, dal nulla e con scarsissimi
mezzi a disposizione, oggetti che hanno lasciato un segno indelebile nel nostro passato.
Oggetti che non solo esprimevano tutta la genialità dei loro ideatori nella loro funzionalità,
ma che altresì mostravano, nel design, nelle forme e nei materiali tutta la creatività, capaci
di emergere ed esprimersi anche nei momenti più bui. Uno di questi oggetti, ad esempio,
vedeva la luce nel 1946 grazie all’intraprendenza di Enrico Piaggio: la Vespa.
Gli stabilimenti Piaggio, convertiti durante la guerra alla produzione di motori e
accessori per l’aeronautica, alla fine del conflitto utilizzarono i motori d’avviamento di loro
produzione, e di cui avevano pieni i magazzini, per motorizzare uno scooter in lamiera dal
design ricercato e piacevole. La robustezza del mezzo, unitamente al prezzo contenuto e ai
consumi modesti, doti indispensabili in un Paese che a stento cercava di rialzarsi, in cui il
carburante scarseggiava e le strade erano a dir poco dissestate, ne decretarono il successo.
Oggi, a più di mezzo secolo di distanza, la Vespa resta in produzione, con il suo
caratteristico motore a due tempi e la scocca in lamiera, migliorata ed evoluta, certo, ma
sempre fedele al disegno originale. Grazie alla Vespa e alla sua diffusione (si dice
giustamente che motorizzò l’Italia intera) gli italiani scoprirono un modo nuovo di
viaggiare, di lavorare, di vivere, e Piaggio divenne (e rimane), la prima industria italiana nel
settore delle due ruote.
10
L’idea di un veicolo a motore a due ruote è in realtà ben più vecchia, potendosi collocare
verso la fine del XIX secolo
2
, e dai primi esprimenti alla realizzazione e
commercializzazione dei primi modelli il passo fu piuttosto breve: già all’inizio del XX
secolo erano molti i produttori, europei e americani, ad offrire mezzi veloci e relativamente
affidabili, destinati a temerari dal ricco portafoglio che si sfidavano in numerose gare di
durata. Il successo delle corse diede slancio alla produzione e alimentò l’industria europea e
americana delle due ruote fino al secondo conflitto mondiale, dal quale molte imprese
uscirono distrutte. L’industria italiana, in testa nelle competizioni come nella produzione e
nell’innovazione tecnologica grazie a marchi come Moto Guzzi, Gilera, Aermacchi, alla
fine del conflitto era in ginocchio, ma, come detto, grazie all’intraprendenza e alla
determinazione tutte italiane, la rinascita era solo una questione di tempo
3
.
Nella prima metà del XX secolo, la produzione mondiale di veicoli a due ruote a motore
era concentrata quasi interamente in Europa. Qui infatti, nacque la motocicletta grazie agli
esperimenti di Daimler nell’ultimo ventennio del XIX secolo. E qui aveva preso corpo
l’industria della moto quando geniali e intraprendenti ingegneri capirono le potenzialità di
questo veicolo e si cimentarono, con successo, nella costruzione e vendita dei primi modelli
destinati al grande pubblico. Ma, come sempre accade quando si parla di motori, sono le
competizioni e il desiderio di dimostrare la validità delle proprie scelte tecniche a spingere
il progresso verso nuovi traguardi. Tra gli anni ‘20 e ‘40 l’industria italiana, nata nei primi
del secolo grazie a uomini come i fratelli Benelli, Edoardo Bianchi, Giuseppe Gilera, Carlo
Guzzi, fondatori degli omonimi marchi, dominavano le competizioni e, di riflesso, il
mercato europeo. A contenderle il primato, sia sulle piste che nei concessionari, erano
marchi prestigiosi e da sempre rivali come BMW, DKW, NSU e Horex (Germania) e AJS,
BSA, Matchless, Norton e Triumph (Inghilterra).
Complessivamente la produzione europea, destinata ad un mercato piccolo e facoltoso,
ammontava a poche migliaia di unità e si affidava a metodi costruttivi artigianali.
Convertite alla produzione bellica durante il secondo conflitto mondiale, le fabbriche di
motociclette di tutta Europa dovettero interrompere la rincorsa delle prestazioni e la sfida
commerciale e dedicarsi alla fabbricazione di mezzi per i rispettivi eserciti, ma alcune di
2
Il primo prototipo di veicolo a due ruote a motore si deve a Daimler e risale al 1885.
3
Se nel 1946 vennero immatricolate in Italia solo 4.300 motociclette, soltanto 10 anni dopo, in pieno boom
economico, le immatricolazioni toccavano le 270.000 unità.
11
esse, terminato il conflitto, non trovarono le risorse economiche e tecniche per ritornare a
produrre motociclette per il mercato.
In Giappone, invece, la nazione riemerse dall’oscurità della guerra, distrutta dalla
sconfitta e privata della sua potenza industriale dai bombardamenti degli alleati. Ma ben
presto si cominciarono a vedere i primi segnali di rinascita economica. Sebbene l’industria
non fosse in grado di produrre automobili, che in ogni caso i consumatori non avrebbero
avuto la possibilità di acquistare per il loro costo; vi era una grande necessità di mezzi di
trasporto privato a basso costo, accessibili alla maggior parte della popolazione. Fu proprio
in questo periodo di sofferenza per la nazione che Honda Motor Co. ebbe origine.
La storia iniziò ufficialmente il 24 settembre 1948 grazie al suo fondatore: Soichiro
Honda, un abile meccanico che intraprese fin dalla giovane età i suoi primi passi nel campo
dell’ingegneria. Conclusi gli studi nel 1922, il quindicenne Soichiro Honda divenne
apprendista meccanico in un’officina di autoriparazione vicino a Tokio. Tuttavia, già nel
1928, il grande talento di Honda lo portò ad aprire una piccola succursale dell’officina nella
sua città d’origine, Hamamatsu. Stanco però di fare l’apprendista meccanico e sempre più
interessato alle fasce elastiche per pistoni, egli finì per fondare una ditta specializzata: la
Tokai Precision Machinery, che sarà poi distrutta sotto le bombe degli americani nella
seconda guerra mondiale [Yozo 2009].
L’idea che Honda nutriva ormai da tempo, constava nel produrre gli anelli per i pistoni
alla società giapponese Toyota Motor Co., affinché questi potessero ridurre l’usura dei
cilindri nel motore. Dopo un duro lavoro, Soichiro Honda presentò alla Toyota il suo
progetto, che fu tuttavia bocciato in quanto non rispettava gli standard qualitativi della casa
nipponica [Bird 2001]. Difatti, le limitate conoscenze di chimica metallurgica del giovane
meccanico impedirono allo stesso di produrre degli anelli abbastanza forti da resistere alle
sollecitazione del motore [Alexander 2009].
Nel 1940, a distanza di soli due anni dal rifiuto del progetto, Honda riuscì finalmente a
farsi commissionare dalla Toyota il lavoro a cui aveva dedicato tanto tempo. Nel frattempo,
però, una forte scossa di terremoto e la seconda guerra mondiale distrussero la fabbrica
dove egli aveva iniziato la produzione di pistoni per la Toyota. Ciononostante, Honda,
invece di disperarsi, radunò tutti i suoi collaboratori per recuperare i pezzi degli aerei
abbattuti ed i bidoni di carburante che i bombardieri americani gettarono durante il secondo
conflitto mondiale definendoli “i doni del presidente Truman“. Grazie alle materie prime
12
ritrovate dopo la guerra, e alla vendita del brevetto alla Toyota, il giovane meccanico
ricominciò quindi a lavorare in una semidistrutta officina.
Fu solo dopo qualche tempo che Honda mise le mani su un piccolo generatore elettrico
4
dell’esercito, un residuato bellico, per la precisione, ed ebbe l’idea di montarlo sul semplice
telaio di una bicicletta come fonte di potenza ausiliaria.
Considerando la pessima situazione nella quale si ritrovava il Giappone dopo il conflitto
mondiale, dove la penuria di benzina e la condizione disastrosa della rete stradale
rendevano difficile l’utilizzo delle automobili, la creatività del giovane Honda attraverso il
suo mezzo permise di spostarsi da un posto all’altro senza grandi problemi. Ben presto, il
successo ottenuto dal veicolo portò Soichiro Honda ad acquisire altri generatori, per
riadattarli e poi rivenderli come motori per biciclette.
Rendendosi conto di quello che stava facendo, Honda chiese al governo nipponico dei
fondi per costruire una nuova fabbrica che montasse questi “motorini” sulle biciclette, ma
nessuno fu in grado di fornirgli il capitale necessario per l’avvio del progetto. A quel punto,
l’ormai ex apprendista meccanico Honda scrisse una lettera personale ai 18.000 rivenditori
di biciclette di tutto il Giappone, in cui spiegò come la mobilità della sua invenzione
avrebbe potuto far rinascere la nazione, e convinse così oltre 5.000 rivenditori ad
anticipargli il capitale necessario per iniziare il suo progetto. Pertanto, Honda si mise
immediatamente al lavoro al fine di costruire un motore ex novo, che gli diede subito dopo
l’opportunità di realizzare il suo primo veicolo: la bicicletta a motore Modello A.
Fu così che un semplice ed economico mezzo di trasporto riorganizzò gli equilibri
dell’intera industria dei trasporti individuali.
Nell’ottobre del 1946, Honda creò ad Hamamatsu la sua società, in un primo momento
sotto il nome di Honda Technical Research Institute, per poi fondare definitivamente nel
1948 la Honda Motor Co. con un capitale iniziale pari ad un milione di yen.
Alla ricerca di un partner commerciale, nel 1949, Soichiro Honda incontrò Takeo
Fujisawa
5
, un esperto di finanza e marketing. Fujisawa prese subito a far parte della società
4
Si trattò di un motore a benzina che veniva usato come generatore elettrico durante la seconda guerra
mondiale: una versione monocilindrica a due tempi.
5
Fujisawa disse di Soichiro Honda: "Ci sarei rimasto male se avesse cominciato a parlare di profitti. Avrebbe
significato che si interessava all'arricchimento personale. Era un grande personaggio, destinato a un ruolo
13
con un aumento capitale di un milione di yen, e assumendo la carica di direttore di gestione
[Alexander 2009]. Di lì in poi, i due entrarono presto in sintonia. Ebbe così inizio un lungo
partenariato fra i due uomini: mentre l’uno costruiva, l’altro vendeva.
Già nel primo anno di attività, Honda Motor Co. fu in grado di produrre 1.000 campioni
al mese del Modello A grazie ad una piccola catena di montaggio ed una squadra di operai
[Long 2006].
1.2 “The Power of Dreams”
Nel periodo iniziale della produzione, la casa giapponese si concentrò inevitabilmente
sulla bicicletta Modello A, ma a distanza di un anno prese piede la progettazione di
ciclomotori e motocicli dal design sempre più ricercato
6
. In sostanza, si sviluppò sempre
più una strategia rivolta alla diversificazione dell’offerta.
Nel 1949, Honda Motor Co. iniziò un nuovo progetto attraverso degli investimenti
esterni per una somma pari a 3.800 milioni di dollari. Un progetto che portò alla nuova casa
motociclistica lo sviluppo di un motore a due tempi da 98 cc, che durante una festa di
celebrazione della società, fu ribattezzato "il sogno di tipo D", “Dream D” [Sakiya 1987].
Giunti a questo punto, Honda Motor Co. arrivò a produrre due tipi di motore: un 50 cc e
un 98 cc. Mentre il propulsore da 50 cc era semplicemente montato sulle biciclette prima di
essere venduto sul mercato, ciò non fu possibile per quello di maggior cilindrata, che aveva
bisogno di un telaio ben più robusto sul quale essere installato. Honda e Fujisawa decisero
pertanto di affidare la produzione dei telai alla società Kitagawa, un produttore che godeva
di grande popolarità presso l’opinione pubblica. Le due società, Honda e Kitagawa, si
accordarono quindi per la produzione ciascuna di 100 unità mensili da fornire ai
distributori, i quali avrebbero installato i motori nei telai solo prima delle vendite.
principale. Era come se noi tutti avessimo dei ruoli secondari e dovessimo costruire un teatro – una società –
perché l'attore protagonista andasse in scena".
6
Per una più semplice e chiara comprensione dei due termini, che saranno poi impiegati nel corso del testo, si
definiscono ciclomotori, i veicoli con una cilindrata non superiore a 50 cc; mentre motocicli, moto e scooter
quelli oltre i 50 cc.
14
Nonostante le ambiziose aspettative che Honda Motor Co. riponesse nel suo motore da
98 cc, di lì in poi, la società giapponese iniziò sempre più lentamente a ricevere i pagamenti
dai distributori derivanti dalla commercializzazione del suo stesso motore. Il problema che
si nascondeva dietro a questo ritardo era causato dalla sottoproduzione di telai della
Kitagawa, a sole 50-80 unità rispetto le 100 previste inizialmente. Di conseguenza,
l’eccessiva fornitura di motori da parte della Honda Motor Co. provocò inevitabilmente un
più lento flusso di cassa in entrata (per la mancanza di telai sui quali installare i propri
propulsori), finché un furibondo Fujisawa non promise di rimodernare l’intero sistema di
distribuzione [Shook 1988].
Nel settembre del 1950, intanto, Soichiro Honda trasferì la sede operativa della società a
Tokyo, dove fu realizzato un ufficio commerciale che la casa giapponese cominciò ad
impiegare come organo di controllo per i distributori del territorio, mentre la società
intraprese i primi rapporti con la Mitsubishi Bank. Di maggior rilievo, fu tuttavia l’acquisto
di un impianto tessile a Tokyo, subito ristrutturato in uno stabilimento motociclistico, e
dedicato alla produzione del modello Dream D.
Con la commercializzazione di questa motocicletta, Fujisawa pianificò la vendita del suo
nuovo modello solo a coloro che sarebbero diventati distributori esclusivi della Honda
Motor Co., altrimenti avrebbero continuato la loro relazione con la casa giapponese
ricevendo solamente il motore a nudo.
Seppure questa fosse una decisione estremamente dolorosa per la società del Sol
Levante, perché i motocicli con i telai della Kitagawa erano di gran lunga più popolari della
motocicletta Dream D, l’impostazione adottata fu una mossa necessaria per costruire una
nuova rete di vendita alla Honda Motor Co.. Con la sua dura presa di posizione, Fujisawa
portò inevitabilmente a perdere gran parte dei distributori alla società, nonostante se ne
facessero avanti di nuovi. Malgrado ciò, la vendita della Dream D raggiunse il suo livello
più alto in un primo momento, mentre a partire dal 1951, il volume d’affari conobbe una
notevole flessione al di sotto delle aspettative. Difatti, una fessura troppo stretta tra la ruota
e il parafango, che si intasava lungo le strade non pavimentate del Giappone con l’inizio
dell’inverno, rappresentò il principale problema della motocicletta Dream D. Di
conseguenza, il declino delle vendite convinse i distributori a sospendere fino alla
primavera dell’anno seguente qualsiasi relazione con la casa giapponese [Sakiya 1987].
15
L’incessante perdita di popolarità della motocicletta Dream D convinse alla fine
Fujisawa a puntare su un nuovo veicolo. Una decisione dettata dal fatto che le vendite
complessive di un prodotto non dipendevano soltanto dal contributo dell’attività di
marketing all’interno dell’organizzazione, ma anche, e soprattutto dal prodotto in sé. Honda
Motor Co. era infatti ancora alle prese con gli sgradevoli rumori del suo motore a due
tempi, quando invece nello stesso periodo, i propulsori a quattro tempi con valvole laterali
erano già una caratteristica comune nella maggioranza delle motociclette.
Alla fine del 1951, nonostante il declino della Dream D, Soichiro Honda aveva già
pronto un altro progetto, che cominciò a sviluppare con l’aiuto del neoassunto Kiyoshi
Kawashima, un giovanotto appena laureatosi in ingegneria. Si trattava di un progetto che
avrebbe dato vita ad un nuovo motore a quattro tempi con distribuzione a valvole in testa
(“OverHead Valve”, OHV) da 146 cc. In altre parole, un motore che rappresentava lo “stato
dell'arte” nel settore motociclistico grazie alla sua distribuzione a valvole in testa dato che
tutti i concorrenti offrivano motori a valvole laterali. Fu certamente un atto pionieristico,
ma che rese il motore OHV per oltre un decennio il più popolare nel campo delle due ruote.
Il 1952 rappresentò indubbiamente l’anno della ripresa per la Honda Motor Co. nel
corso del quale si susseguirono una dietro l’altra importanti iniziative. Il rilancio aziendale
cominciò con la realizzazione del modello “Dream E”. Un motociclo che guadagnò
inevitabilmente una gran popolarità dal suo motore a quattro tempi, che gli permetteva di
raggiungere le 45 mph (poco più di 70 km/h), all’epoca una velocità incredibile. La
produzione divenne quasi frenetica nel piccolo impianto a Tokyo per soddisfare una
domanda mensile di 900 unità. La società giapponese non ebbe ancora né una struttura
organizzativa né una sufficiente forza lavoro per sostenere lo sviluppo della domanda che
di lì in poi si sarebbe verificato.
Quando Soichiro Honda si presentò al Ministry of International Trade and Industry
7
(MITI) con la richiesta di costruzione di una fabbrica a Tokyo con una produzione di 300
unità al mese, i funzionari del ministero pensarono che la società giapponese avesse
aumentato la propria capacità per ottenere una maggior supporto di benzina da questo. Il
MITI era infatti il nodo centrale dell’economia nazionale, come si vedrà meglio nel
prossimo capitolo, che regolamentava qualsiasi aspetto dell’attività imprenditoriale, tra cui
7
Sul ruolo di motore di industrializzazione del MITI, l’opera di riferimento è l’eccellente saggio di C.
Johnson (1982)
16
la distribuzione delle quantità di carburante, un bene scarso in Giappone, e per di più,
estremamente costoso. Nonostante un primo rifiuto del MITI, Soichiro Honda riuscì, dopo
aver speso tempo e fatica in un lungo percorso burocratico, ad ottenere il permesso dal
ministero per la realizzazione del suo impianto a Tokyo.
Nel frattempo, l’inadeguatezza della struttura produttiva assieme alla crescente domanda
per la motocicletta Dream E portarono la Honda Motor Co. a continui acquisti di parti e
componenti da fornitori esterni. Acquisti che divennero parallelamente sempre più
consistenti con la crescita della produzione.
Tuttavia, Fujisawa fu abile ad contrattare una nuova politica con i distributori
convincendo loro a pagare in anticipo le vendite del modello Dream E
8
. Una impostazione
che permise di confluire nelle casse della società giapponese un forte flusso di contanti in
entrata. Così, i fondi ottenuti dai distributori nei primi anni ‘50 rappresentarono la garanzia
necessaria per Honda Motor Co. all'avviamento del suo programma di investimento in
nuovi impianti verso la fine del 1952.
A distanza di sei mesi dalla commercializzazione della Dream E, le vendite in Giappone
toccarono già i 500 veicoli mensili, per salire a 2.000 dopo un anno, e 2.600 in tre anni
[Shook 1988]. Era così iniziata ufficialmente l’avventura del signor Honda nella
produzione motociclistica.
Nel corso del 1952, Honda Motor Co. incrementava il suo capitale da 9 milioni di yen a
15 milioni di yen, mentre il vertice azionario, composto da Soichiro Honda e Takeo
Fujisawa, si estese anche ad altri amministratori della società.
Uno degli aspetti che maggiormente colpì all’epoca fu senza ombra di dubbio il tempo
trascorso dal signor Soichiro Honda tra le linee di montaggio dei suoi impianti. Il fondatore
della società sembrò comprendere fin da allora l’importanza che gli operai avrebbero
apportato nel miglioramento dei suoi prodotti. Seguendo questo approccio, dunque, prese
forma la filosofia Honda, incentrata sulla continua ricerca della qualità e sul
coinvolgimento di tutti i dipendenti.
8
Questa strategia prese vita nel corso di una negoziazione tra Fujisawa ed un distributore, con quest’ultimo
che offrì al dirigente giapponese del denaro in cambio di nuovi motocicli. Dal canto suo, Fujisawa rifiutò
l’offerta e invitò il distributore a recapitare la somma nella sede commerciale a Tokyo; soldi che tuttavia non
arrivarono mai.
17
A questo proposito, negli anni ’50 veniva alla luce il famoso Toyota Production System
(TPS, sistema di produzione Toyota)
9
, che divenne ben presto la guida per gran parte delle
aziende giapponesi di riemergere dalle rovine lasciate dopo la seconda guerra mondiale. Il
TPS portò un nuovo modo di concepire alcuni capisaldi della gestione risorse umane. Tra i
suoi caratteri fondamentali
10
, questo paradigma produttivo mirava ad aumentare il valore
di ogni singola attività aziendale attraverso lo sfruttamento delle conoscenze diffuse a tutti i
livelli nell’organizzazione, da quelli dirigenziali a quelli delle fasi operative. Una
impostazione quindi che puntava a velocizzare le decisioni e le procedure mediante la
riduzione del numero di livelli della gerarchia organizzativa e il decentramento decisionale
accompagnato da formazione, responsabilizzazione e sviluppo di competenze [Volpato
2006].
Chiusa questa parentesi, nel 1952, mentre la casa giapponese continuava ad
incrementare il suo volume d’affari con la Dream E, Soichiro Honda arrivò a progettare un
nuovo modello: il Cub F. Un ciclomotore che presentava un design assolutamente singolare
all’epoca, contraddistinto da un abbondante uso di lamiere, ma soprattutto da un candido
serbatoio ed un rosso telaio che nascondeva un piccolo motore di 50 cc a 2 tempi, a tre
marce e la frizione automatica.
Il nuovo Cub F seguì esattamente la stessa impostazione commerciale del precedente
modello Dream E, attraverso il pagamento anticipato delle vendite.
A sostegno di questo nuovo modello, si occupò in prima persona Fujisawa per realizzare
una massiccia campagna pubblicitaria. Una campagna pubblicitaria che si focalizzò sugli
oltre 50.000 rivenditori di biciclette dislocati in tutto il Giappone che attirarono l’attenzione
dell’ingegnere Fujisawa. Presto quindi, Fujisawa scrisse una lettera a tutti i rivenditori di
biciclette attraverso la quale realizzò una vera e propria promozione a favore del suo
ciclomotore Cub F. Poco dopo, Fujisawa fu subissato di 30.000 lettere, che permisero alla
9
Agli inizi degli anni ’90 un gruppo di studiosi del Massachussets Instute of Technology, Usa, teorizzò il TPS
battezzandolo “lean production” (produzione snella), ma il modello di riferimento rimase sempre il TPS. Per
una maggior approfondimento, si veda il testo di Womack et al. (1991).
10
Si trattava di un modello che integrava tecniche come le scorte just-in-time, la produzione a flusso continuo,
la rapida conversione delle linee di assemblaggio, il miglioramento continuo e la manutenzione preventiva con
un sistema gestionale che incoraggiava proprio il coinvolgimento dei dipendenti e il problem-solving [Daft
2004].
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Nel contempo, il biennio 1952-1953 dimostrò la definitiva consacrazione della casa
motociclistica (vedi Figura 1.1). Difatti, il fatturato netto raggiunse la quota di 330 milioni
di yen, con un progressivo aumento nel 1952 di 2.438 milioni di yen, e di 7.729 milioni di
yen nel 1953 [Sakiya 1987].
Come evidenziarono i risultati, quindi, Fujisawa vinse senza ombra di dubbio una
grande scommessa nella distribuzione del modello Cub F, se non altro per il rapporto di
fiducia che Honda Motor Co. aveva oramai stabilito con i concessionari attraverso i modelli
Dream, ancor prima della produzione del nuovo ciclomotore. In merito a questo proposito,
vale la pena di sottolineare la causa che portò il dirigente giapponese ad adottare una simile
iniziativa di marketing.
Come si è visto finora, il vero obiettivo di Fujisawa fu quello di creare una rete di
vendita separata per ciascun modello realizzato da Soichiro. Infatti, Honda Motor Co.
avrebbe incontrato diverse difficoltà a vendere i suoi nuovi prodotti ai rivenditori esistenti,
quando questi ultimi erano ancora impegnati a commercializzare le precedenti motociclette.
Di conseguenza, si sarebbe arrestato l’ingente flusso monetario in entrata dal pagamento
anticipato delle vendite. In questo modo, dunque, Fujisawa diede inizio ad una strategia
commerciale che sarà successivamente adottata dalle aziende automobilistiche giapponesi
quali Toyota e Nissan.
1.3 La crisi del 1954
Come si diceva nel precedente paragrafo, nel corso del 1952 Honda Motor Co.
intraprese una sostanziale riorganizzazione degli impianti, strettamente necessaria
all’aumento della capacità produttiva ed alla crescita aziendale cui stava vivendo la casa
motociclistica.
Il completamento dell’impianto di Shirako, nella città di Wako, permise alla Honda
Motor Co. la produzione su vasta scala di motocicli, abbandonando così la struttura di
Tokyo che fu impiegata poi come scuola di formazione per i veicoli a due ruote.
All’impianto di Shirako, seguirono presto gli impianti di Aoi nella città di Hamamatsu, e
di Yamato nei pressi di Wako, rispettivamente su un’area di 66.000 mq² e 100.000 mq². Gli
20
investimenti della Honda Motor Co. raggiunsero la cifra di poco superiore al miliardo di
yen tra il 1952 e il 1954 per la realizzazione di queste strutture
11
.
Durante questi anni, Honda Motor Co. aveva immesso sul mercato anche nuovi modelli
come la motocicletta Benly J e lo scooter Juno K. Nel 1953, la società presentò difatti il
modello Benly J, il cui nome derivava direttamente dal termine giapponese banri
(“conveniente”). Si trattava di una motocicletta piuttosto economica, che si caratterizzava
per la grande praticità d’uso del veicolo e ad un telaio in acciaio stampato, all’interno del
quale era installato un motore a quattro tempi da 90 cc. Entro la fine dell’anno, le vendite
della Benly J non superarono tuttavia la modestissima quota di 1.000 unità mensili.
Il Juno K fu invece il primo scooter ad essere prodotto dalla casa giapponese nel 1954.
Questo era equipaggiato di un motore a quattro tempi da 189 cc. Inoltre, lo stesso veicolo
aveva un parabrezza dotato di un pannello antiriflesso che si ritraeva all'indietro, le luci di
segnalazione integrate con la carrozzeria e l’avviamento elettrico. In merito alla
carrozzeria, essa era realizzata con pannelli Fiber Reinforced Polymers (FRPv)
12
, cioè
rinforzati da una fibra di poliestere e vetro, che in quel momento era un materiale
all’avanguardia per il Giappone, ma nonostante ciò, lo scooter non si rivelò un vero
successo commerciale
13
.
11
Al fine di ricavarne un significato più preciso di questo valore, basti pensare agli investimenti delle maggiori
case automobilistiche giapponesi come Toyota e Nissan. Secondo i rapporti ufficiali della Toyota, ad esempio,
tra il settembre del 1951 ed il novembre del 1953, l'aumento delle sue attività fu leggermente inferiore al
miliardo di yen; mentre nello stesso arco temporale, Nissan si aggirò attorno ai 300 milioni di yen. Da queste
grandezze, si può comprendere ora come la società fondata da Soichiro Honda, rappresentasse un esempio
aziendale di assoluto rilievo, soprattutto in considerazione dei maggiori investimenti richiesti da una casa
automobilistica rispetto una motociclistica.
12
Si trattava di materiali fibrorinforzati a matrice polimerica o semplicemente materiali fibrorinforzati si indica
una vasta gamma di materiali compositi;costituiti da una matrice polimerica di natura organica con la quale
viene impregnato un rinforzo in fibra continua con elevate proprietà meccaniche.
13
Infatti, questo modello si rivelò anzitutto costoso, soprattutto per via della sua carrozzeria che si dimostrò tra
le altre cose più pesante di quanto ipotizzato. Inoltre, la nuova sospensione creò diversi problemi, e gli
acquirenti non gradirono molto la disposizione del cambio di tipo motociclistico. In altre parole, il Juno K si
dimostrò un vero fallimento.
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In conclusione, mentre la Benly J era vista con ostilità a causa dei sgradevoli rumori
prodotti dagli ingranaggi e dalle punterie
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, lo scooter Juno K, scatenò numerose proteste
da parte degli acquirenti. Il telaio in poliestere e vetro che doveva rivestire un punto
cruciale nella commercializzazione dello scooter, si rivelò la sua più grande debolezza, in
quanto si verificarono parecchi casi di surriscaldamento del motore.
La prima generazione del modello Juno K uscì di produzione dopo solo un anno e
mezzo, con la realizzazione di soli 5.980 esemplari
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. Come se non bastasse, i clienti si
lamentarono anche della motocicletta Dream E, oramai un pilastro nella gamma di prodotti
della società giapponese. La cilindrata del modello Dream E era recentemente aumentata da
220 cc (già incrementata nel frattempo dagli iniziali 146 cc a 225 cc, nella speranza che le
vendite aumentassero. Una strategia che non fu poi confermata dal mercato.
Indubbiamente, la recessione in Giappone che seguì la fine della guerra di Corea nel
1953 non favorì lo sviluppo delle vendite, né tantomeno la politica di investimento
intrapresa in quegli anni. Ma il vero problema che costò una rilevante flessione delle
vendite si rivelò l’insoddisfazione dei consumatori rispetto i mezzi di trasporto della Honda
Motor Co. causata dai frequenti difetti di qualità e di produzione a partire dal 1953. Il
fatturato netto passò dai 7.729 milioni di yen del 1953 ai 5.979 milioni di yen del 1954,
mentre i profitti diminuirono invece da 514 milioni di yen a soli 68 milioni di yen.
Contemporaneamente, Honda Motor Co. dovette far fronte anche al pagamento di 450
milioni di yen per macchinari e attrezzature importate dai paesi più avanzati, in particolare
dall’America. Pagamenti che tuttavia non potevano aspettare. In questo quadro, con un
ampio inventario a disposizione, il primo passo della casa motociclistica fu di tagliare la
produzione, invertendo così il processo su vasta scala che aveva caratterizzato l’inizio
dell’impianto di Shirako.
Successivamente, Fujisawa incontrò più di trecento fornitori nell’impianto di Shirako
definendo chiaramente che Honda Motor Co. non sarebbe riuscita a mantenere il
pagamento delle loro consegne. Sempre Fujisawa chiese allora ai fornitori di pagare a loro
solo il 30% dei futuri ordini, estinguendo il rimanente debito solo in un secondo momento.
Con questa politica, il dirigente giapponese riuscì quindi a garantirsi la fornitura
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Insieme degli elementi meccanici che sono frapposti tra l'albero a camme e le valvole di un motore a
combustione interna.
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www.world.honda.com
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mantenendo così continuo il processo di produzione che rischiava di fermarsi, e allo stesso
tempo di rinviare gran parte dei pagamenti. Alla fine del 1954, la società fu a malapena in
grado di onorare i suoi debiti in sospeso
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, anche grazie ad un prestito di 200 milioni di yen
della Mitsubishi Bank [Sato 2006].
Come non bastasse, un altro importante aspetto alla fine del 1954 arrivò a complicare la
situazione già di per sé non facile. Nel corso dello stesso anno, i dipendenti lavorarono
molto duramente in quel momento di difficoltà aziendale per apportare le modifiche
necessarie a migliorare i veicoli con l’idea che i loro sforzi sarebbero stati premiati. Ma
tuttavia, una volta superata la situazione di maggior delicatezza, la società sembrò
dimenticarsi di loro. Infatti, Honda Motor Co. si sarebbe impegnata in un bonus di fine
anno ad ogni lavoratore pari a 5.000 yen, a dispetto della richiesta di 25.000 yen da parte
del sindacato costituito appena una anno prima. Fujisawa spiegò ai propri dipendenti che la
società fu costretta a ridurre i bonus di fine anno in modo da evitare la bancarotta, ma lo
stesso dirigente aggiunse che avrebbe ripreso la contrattazione collettiva l’anno successivo
con la Honda Motor Co. in piena salute finanziaria.
1.4 Le nuove sfide
Nella prima metà degli anni ‘50, Honda Motor Co. visse un periodo di sostanziale
crescita nel mercato nazionale dovuta sia alle strategie di Fujisawa, soprattutto alla politica
adottata con i distributori attraverso il pagamento anticipato delle vendite, sia alla qualità
dei modelli Dream e Cub F. Una crescita che fu arrestata nel 1954 da una serie di veicoli
che si rivelarono, almeno in parte un vero fallimento e dalle difficoltà finanziarie superate
solo grazie all’aiuto della Mitsubishi Bank.
Di lì in poi, Honda Motor Co. riprese subito a crescere con lo stesso ritmo dei primi anni
’50. Un cammino che la portò a guadagnare una rilevante quota nella domanda giapponese
dei Powered Two-Wheelers
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(PTW), fino a conquistare nel 1957 lo scettro di primo
produttore nazionale di motocicli. Giunta a tal punto, l’ambizione di Fujisawa e del suo
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Alla fine del 1954, la società aveva rilasciato titoli di debito per una somma di circa 2,1 miliardi di yen ai
diversi fornitori.
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Veicoli a due ruote motorizzati
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fondatore Honda divenne la conquista del mercato mondiale. Con questo pensiero, la
società iniziò così ad affacciarsi sul mercato estero. D’altra parte, il Giappone cominciava
oramai a rappresentare un mercato dalle dimensioni ridotte per il volume d’affari della
società fondata dall’ex apprendista meccanico. Di conseguenza, il futuro della Honda
Motor Co. fu caratterizzato da un crescente orientamento verso i mercati esteri dove, a
cavallo tra gli anni ’50 e ’60, vide la società stessa assumere un ruolo da protagonista. In
particolar modo, Soichiro Honda e Takeo Fujisawa si concentrarono sul mercato americano
e quello europeo.
Negli Stati Uniti, la società nipponica sconvolse ben presto lo status quo del mercato
motociclistico. Al di là delle difficoltà incontrate in un primo momento ed una sbagliata
strategia che stavano precludendo qualsiasi possibile sviluppo per la casa giapponese,
quest’ultima riuscì tuttavia in uno strepitoso successo a distanza di qualche anno. Fu una
scommessa senz’altro rischiosa, ma vinta.
In Europa, invece, l’esperienza della strategia vissuta nel mercato nord americano,
spinse la società ad adottare una politica completamente diversa per progredire in un
mercato maturo come quello occidentale. Del resto, Honda Motor Co. si ritrovò una
concorrenza, fatta di marchi storici, con aziende del calibro di BSA, Triumph e Norton nel
Regno Unito, MV Agusta e Moto Guzzi in Italia, e la tedesca BMW, per quanto
riguardavano le motociclette; mentre nel business degli scooter Innocenti e Piaggio.
1.4.1 La sfida americana
La decisione di entrare nel mercato statunitense fu una scelta intrapresa da Fujisawa,
nonostante Kawashima, che già aveva lavorato con lui nella distribuzione del modello Cub
F, considerasse a seguito di uno studio, il mercato del Sud-est asiatico molto più
promettente. Uno studio che rivelò ancora una volta, come gli Stati Uniti fossero il vero
paese dell’auto. Dopotutto, queste erano la necessità assoluta tra le vaste distese di territorio
rurale, considerati gli anni in cui la rete ferroviaria era gravemente deficitaria. In questo
quadro, le motociclette erano viste quindi il più delle volte come veicoli per il tempo libero,
o se si era audaci, per le corse. L’America era la roccaforte del capitalismo nonché il centro