4
Introduzione
Nel primo capitolo di Teoria e storia della fotografia
1
, Rosalind Krauss introduce il lettore nei
primi anni della comparsa della fotografia, quando questa era ancora un oggetto inafferrabile e
pieno di mistero. Viene raccontato il curioso incontro tra il grande romanziere Honoré de Balzac e
il famoso ritrattista Gaspard-Félix Tournachon, detto Nadar. Balzac si vantava di aver previsto, con
la sua scrittura capace di scollare la superficie di un soggetto e di trasferirlo sulla pagina di un
romanzo
2
, l‟invenzione del dagherrotipo. E, come ci spiega Nadar stesso, lo scrittore aveva una
teoria personale riguardo il nuovo mezzo, la cosiddetta teoria degli spettri, che rivelava quel “vago
terrore”
3
che in molti provavano in quegli anni:
Dunque, secondo Balzac, ogni corpo, in natura, è composto da varie serie di spettri, in strati
sovrapposti all‟infinito, stratificati in membrane infinitesimali, in tutti i sensi in cui si attua la
percezione ottica.
Non essendo consentito all‟uomo di creare, - cioè dar concretezza a una cosa solida a partire
da un‟apparizione e dall‟impalpabile, ossia dal nulla fare una cosa – ogni operazione
daguerriana interveniva a rivelare, distaccava e tratteneva, annettendoselo, uno degli strati del
corpo fotografato.
Ne derivava per detto corpo, e a ogni operazione ripetuta, l‟evidente perdita d‟uno dei suoi
spettri, ossia di una parte fondamentale della sua essenza costitutiva.
4
A prima vista gli argomenti sollevati da Balzac sembrano intrisi di superstizione e spiritismo,
ma, come poi spiega Krauss, è la coscienza dell‟intera società ottocentesca che porta il romanziere a
reagire in questo modo di fronte l‟oggetto fotografico. Non a caso è anche l‟epoca di una disciplina
para-scientifica come la fisiognomica, che influenza Balzac direttamente. Ma il testo è interessante
anche perché Nadar, di una generazione più giovane, affronta il nuovo mezzo con distacco e si
permette di raccontare questo ed altri aneddoti con un tono affettuosamente scherzoso
5
.
1
Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pp.7-27.
2
Cfr. Ivi, p.12.
3
Cfr. Susan Sontag, Sulla fotografia, Torino, Einaudi, 2004, p.136.
4
Nadar, Quando ero fotografo, contenuto in Rosalind Krauss, Ivi, p.10.
5
Cfr. Ibidem.
5
Da questo episodio capiamo quanto la percezione del fenomeno fotografico sia stata differente
in base al determinato periodo storico. Un altro episodio esemplare può essere l‟accoglienza gelida
riservata dai cinesi al documentario di Michelangelo Antonioni, Chung Kuo (1972). Al regista
viene rimproverato di aver ‹‹ripreso inquadrature con la forza, contro la volontà della gente›› come
‹‹un ladro››
6
. La cultura cinese non permette questo tipo di riprese, in quanto:
A differenza di quanto accade da noi, che ci mettiamo in posa quando possiamo e ci
rassegniamo quando dobbiamo, in Cina fare una fotografia è sempre un rituale: comporta
sempre di mettersi in posa e, necessariamente, il consenso. E uno che ha ‹‹deliberatamente e
furtivamente inseguito delle persone ignare della sua intenzione di filmarle›› ha privato
persone e cose del loro diritto di mettersi in posa in modo da apparire al meglio di se stesse.
7
Quella che agli occhi di un occidentale può sembrare un‟ingenuità clamorosa, per un cinese
significa il rispetto dei valori culturali che una ripresa rubata può mettere in crisi. Da questo
esempio, come dalla lettura spiritista di Balzac, ne deduciamo che per comprendere appieno la
specificità dei mezzi fotografico e cinematografico bisogna innanzitutto distinguerla
dall‟inquadramento storico e dalle dinamiche socio-culturali.
Purtroppo, non è sempre facile descrivere l‟essenza del mezzo, poiché tutti noi ne abbiamo
esperienza attraverso una sensibilità troppo legata al tipo di società in cui viviamo. Infatti, riuscire a
scremare tutti gli elementi esterni e non pertinenti per un‟analisi centrata sulle caratteristiche
essenziali di ciò che chiamiamo fotografia e cinema, risulta un‟impresa rischiosa e non sempre
portata a buon fine. Molte volte il pensiero critico viene imbrigliato in congetture di metodo rigide e
schematiche, come è il caso delle prime teorie semiotiche di Roland Barthes, oppure vengono
trasferite metodologie critiche originarie di altri campi e settori, come per esempio le teorie
linguistiche dei formalisti russi. Per quanto logicamente strutturate, queste teorie non riescono a
inquadrare il fenomeno con il dovuto distacco e senza pregiudizi critici ed estetici, tanto che
soprattutto la fotografia ha rappresentato la bestia nera degli studi di settore.
Fare uno studio comparato tra cinema e fotografia significa allora disfarsi di inutili preconcetti e
cercare di arrivare alla base essenziale dei due mezzi. Attraverso un‟analisi sistematica della
riflessione di grandi critici, registi e fotografi, riconsiderata secondo un inquadramento che ne renda
il giusto valore, si cercherà di presentare in modo succinto ed essenziale il rapporto dialettico tra i
due mezzi. Anche se quest‟operazione sembra abbastanza intuitiva e banale, dal momento che
cinema e fotografia sono due arti legate tra loro in maniera evidente, non è così facile ritrovare uno
6
Cfr. Susan Sontag, Sulla fotografia, cit., p.148.
7
Ibidem.
6
studio sistematico a riguardo. Quindi, il presente lavoro non solo si incarica di unire in un discorso
coerente le punte più alte dei rispettivi campi di studio, ma anche di render conto dei nuovi spunti
critici nati attorno all‟avvento delle nuove tecnologie digitali, in modo tale da rendere aggiornato il
confronto tra i due mezzi.
La prima delle due parti in cui viene divisa questa tesi cercherà di rendere tutto ciò attraverso un
metodo di analisi dalla triplice prospettiva. Il mezzo verrà prima indagato nelle sue qualità e
attributi tecnici, quelli che sono alla base del funzionamento meccanico vero e proprio. Da questo
punto di vista si passerà ad analizzare il particolare linguaggio che il mezzo riesce a esprimere e che
lo caratterizza in modo univoco. Per ultimo si cercherà di rendere conto del piano concettuale del
mezzo, quello immateriale che ha senso in quanto esiste uno spettatore. Ognuno di questi percorsi
di analisi verrà seguito in solitaria, cercando di isolarlo dagli altri, ma sempre con il presupposto
che costituiscono tutti e tre i piani sovrapposti di un unico edificio. Non verranno presentate
solamente teorie e poetiche, ma ci sarà anche lo spazio per qualche esempio significativo e
pertinente, ai fini di una maggiore comprensione dell‟argomento. A concludere, l‟ultimo paragrafo
dedicato al digitale correggerà il tiro delle proposte nate in regime analogico per aprire la
discussione verso nuove problematiche mediali.
La seconda parte della tesi invece verterà sull‟immaginario fotografico applicato al racconto del
film. La fotografia è sicuramente un aspetto importante nella realizzazione e fruizione
cinematografica, ma è anche interessante notare quanto le problematiche del mezzo fotografico
vengano inglobate nella rappresentazione filmica. Perciò, attraverso l‟analisi di quattro film
esemplari di questo scambio dialettico tra fotografia e cinema, si cercherà di ampliare il campo del
discorso, e di porre l‟attenzione su determinati interrogativi che riguardano il mezzo. In questo
senso, il nostro discorso risulterà concluso e allo stesso tempo aperto, nel tentativo di orientare il
lettore verso una consapevolezza critica nei confronti delle immagini. Operazione, questa,
interessante quanto urgente, dal momento che soprattutto in questo periodo storico le immagini
invadono la nostra vita e influenzano la nostra percezione del mondo.
7
Parte Prima
8
La Fotografia e il Cinema
La materialità del mezzo
Per poter cominciare un discorso sintetico ed esaustivo che descriva la relazione che intercorre
tra Fotografia e Cinema, bisognerà innanzi tutto riflettere sull‟identità ai minimi termini, e ridurre
all‟osso ciò che nella pratica avviene realmente. Insomma, sarà necessario distogliere l‟attenzione
dal piano dei contenuti, raccogliendo in questo modo l‟intuizione di Marshall McLuhan
8
, che
definisce il medium come messaggio di un altro medium
9
, e quindi orientare la nostra ricerca sul
mezzo stesso, inteso come mezzo di produzione meccanica di immagini.
In sostanza, ciò che comunemente chiamiamo Fotografia o Cinema non sono altro che il
“messaggio” o il “significato” derivato da un‟originale struttura materiale del mezzo tecnico
10
.
Quest‟operazione potrà sembrare inutile, in quanto interessati agli effetti del mezzo, che sono sotto
gli occhi di tutti ed esprimono già di per se stessi delle differenze sostanziali. Ma proprio lo
studioso canadese, nella sua brillante analisi dei media contemporanei, si affretta a metterci in
guardia dal prendere in considerazione il solo contenuto superficiale del medium, errore nel quale si
sono imbattuti in molti.
…“Il medium è il messaggio”, perché è il medium che controlla e plasma le proporzioni e la
forma dell‟associazione e dell‟azione umana. I contenuti, invece, cioè le utilizzazioni, di questi
media possono essere diversi, ma non hanno alcuna influenza sulle forme dell‟associazione
umana.
11
8
Il saggio di McLuhan rappresenta un riferimento obbligato per qualsiasi studio sui media contemporanei e sul loro
effetto psicologico (Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, il Saggiatore, 1995).
9
Cfr. Ibidem.
10
Cfr. Ibidem.
11
Ibidem.
9
Quindi, di fatto, alla base di ogni ricerca sugli effetti sensibili che il contenuto produce sugli
schemi e sul ritmo nei rapporti umani, occorre partire dal mezzo che lo ha prodotto, descrivendo i
suoi limiti e le sue potenzialità. Inoltre sarà indispensabile partire da questo punto per cercare di
cogliere la vera identità del mezzo, senza confonderla o ibridarla con altre forme di produzione di
immagini. E‟ chiaro qui il riferimento alla storia della Fotografia, che nel corso dell‟Ottocento e del
primo Novecento è stata definita in rapporto alla Pittura e all‟arte moderna, invece di essere
considerata nella propria specificità autonoma
12
.
Sulle prime il nuovo mezzo tecnico sembrò solamente un miglioramento tecnologico del quadro,
o meglio una facilitazione di un processo fino all‟ora complesso e non alla portata di tutti. Se poi
pensiamo che questa semplificazione nella produzione di immagini pesò come un macigno sul
valore dell‟arte fotografica, ci rendiamo conto che negli anni si è caduti in un vero e proprio
equivoco. E questo equivoco, che forse non è stato ancora superato, non ha permesso un
inquadramento serio del fenomeno “Fotografia”.
Se ci siamo dilungati in questa direzione non è per caso, dato che un critico come Claudio
Marra, rifacendosi a Rosalind Krauss
13
, riesce a cogliervi una sorprendente quanto a prima vista
immotivata analogia:
La fotografia assomiglia a un quadro ma di fatto funziona come un ready made.
14
Il riferimento all‟arte di Duchamp, utilizzato da Marra per spiegare quanto la Fotografia sia
lontana dalla Pittura, necessita di un chiarimento. Il ready made viene inteso come l‟emblema di
tutta l‟arte del Novecento
15
, almeno quella che si oppone alla vecchia idea di arte moderna e crea
un‟alternativa al quadro. Il grande merito di questa trovata rivoluzionaria sta nell‟aver espresso il
piano concettuale di un oggetto quotidiano che, posto al di fuori del suo contesto di origine, dà vita
a un nuovo oggetto d‟arte. Duchamp demolisce così l‟idea di arte fondata sulla techne, sull‟abile
realizzazione di un manufatto, e si avvia nella direzione della smaterializzazione concettuale.
Il concetto di ready made, in questo senso, viene preso in considerazione per spiegare quella che
Marra chiama la “schizofrenia del mezzo”
16
, una sorta di doppia identità che sposta la Fotografia
12
Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento, Milano, Bruno Mondadori, 2000.
13
‹‹Questo perché l‟opera di Duchamp redistribuisce le pratiche pittorica e scultorea secondo il modello dell‟indice,
proponendo una nuova interpretazione di ciò che costituisce l‟immagine estetica›› (Rosalind Krauss, Teoria e storia
della fotografia, Milano, Bruno Mondadori, 1996, p.2).
14
Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento, cit., p.15.
15
‹‹Il ready made come emblema di un‟arte non fondata sulla techne, sull‟abile realizzazione di un manufatto, di
un‟arte non finalizzata all‟oggetto inteso come sintesi di valori, certo attraversabili, ma comunque sempre
materialmente presenti e decisivi nel decretare l‟identità dell‟opera›› ( Ivi, p.17).
16
Ivi, p.13.
10
dai territori dell‟arte moderna a quelli dell‟arte contemporanea. Si tratta di ripensare all‟identità
fotografica in termini di materialità e concettualità. Per esprimere questi due piani vengono
utilizzati termini mutuati da una disciplina come l‟informatica, e cioè hardware e software
17
, che
indicano la parte “dura” del computer, cioè quella meccanica dello strumento, e la parte “morbida”
legata invece al programma immateriale. La vicinanza alle tesi di McLuhan è innegabile, tanto è
vero che Marra si definisce un grande sostenitore delle teorie dello studioso canadese. Il merito di
questa impostazione analitica è senza dubbio il fatto di porre l‟accento sulla materialità di una parte
del medium, imprescindibile alla comprensione della seconda
18
.
Partendo da questo presupposto, il confronto tra Fotografia e Cinema esalterà sì le differenze e
le analogie tra i due mezzi, indagati attraverso gli interventi dei critici più pertinenti in materia, ma
cercherà di tenere ben distinte le due identità, considerate uniche e assolute. Alla fine della
trattazione ci auguriamo proprio questo, che il lettore abbia colto senza equivoci l‟idea particolare
di ciascun mezzo.
Il primo intervento che prendiamo in esame è quello espresso alla fine degli anni venti dal
gruppo dei cosiddetti formalisti russi
19
. Nel 1927 analizzarono questi due media e posero le basi
della riflessione linguistica sul cinema. Le loro posizioni a riguardo esaltavano più le differenze che
le somiglianze tra i due mezzi, seguendo un criterio di giudizio che premiava il Cinema a scapito
della Fotografia. Il confronto negativo sul quale poggiava tutta la loro teoria era lo statuto analogico
della Fotografia, troppo preponderante per permetterle di divenire arte
20
:
Il cinema è nato dalla fotografia. Il cordone ombelicale che li univa è stato tagliato nel
momento in cui il cinema si è trasformato in arte. La fotografia, infatti, possiede certe qualità
estetiche inconsapevoli, per così dire illegittime. Il fondamento della fotografia è la
rassomiglianza, ma la rassomiglianza perfetta offende.
21
Con queste parole Yurij Tynjanov esprime per il Cinema la possibilità di fondarsi sulla finzione,
e quindi poter essere considerato arte, a patto però di doversi per forza allontanare radicalmente
17
Ivi, pp.13-14.
18
Nella nostra trattazione terremo conto di questa divisione tra parte meccanica e parte concettuale, ma ci soffermeremo
anche sulle capacità linguistiche dei due mezzi, dal momento che consideriamo il linguaggio come il raccordo tra le due
identità, materiale e psicologica, del medium.
19
Ogni buon libro di cinema o fotografia contiene un riferimento a questo periodo critico. Noi abbiamo utilizzato come
fonte il libro di Claudio Marra, Le idee della fotografia, Milano, Bruno Mondadori, 2001, pp.108-109.
20
‹‹La comune fotografia non poteva occupare un posto autonomo fra le varie arti, per il suo carattere statico e
semplicemente “raffigurativo”›› (Boris Ejchembaum, da I problemi dello stile cinematografico, contenuto in Claudio
Marra, Le idee della fotografia, cit., p.115).
21
Jurij Tynjanov, da Le basi del cinema, contenuto in Claudio Marra, Le idee della fotografia, cit., p.116.
11
dalla Fotografia. Il rapporto troppo stretto di quest‟ultima con l‟oggetto imbarazzava non poco i
formalisti al punto di giudicarla nient‟altro che una duplicazione totale della realtà, e quindi una non
arte.
Eppure il fatto che il cinema sia nato dalla Fotografia non viene messo in discussione. La
capacità da parte del Cinema di creare un mondo di finzione e di perdere i legami invadenti con
l‟oggetto è un fatto puramente linguistico, e che quindi analizzeremo in seguito. In questo momento
ci interessa spiegare i rapporti che intercorrono tra i due mezzi meccanici, che già dagli esperimenti
dei fratelli Lumiére apparve come quello tra padre e figlio.
Dire che il Cinema è figlio della Fotografia non significa solamente che l‟una è l‟antecedente
dell‟altro. C‟è un legame tecnico profondo tra una fotografia e l‟unità minima del fotogramma.
Entrambe sono:
…la traccia di qualcosa che è posto davanti all‟obiettivo.
22
e questa considerazione di Susan Sontag, espressa nei riguardi di ogni fotografia, può essere
estesa anche al fotogramma cinematografico. Potranno cambiare i materiali usati o le tecniche per
fissare l‟immagine, da quelle chimiche a quelle meccaniche, ma rimane il fatto che il risultato non
cambia
23
. Ci troviamo pur sempre di fronte a delle copie analogiche della realtà, che il mezzo riesce
a certificare e autenticare con folgorante capacità. La differenza sostanziale tra fotografia e
fotogramma, e di questo i formalisti russi ne erano ben consci, va quindi ricercata nel movimento,
caratteristica principale del cinema. E qui bisogna prestare attenzione, perché, visto che la nostra
trattazione a questo punto riguarda il mezzo, occorrerà distinguere il movimento che solo si crea
con esso.
Per prima cosa occorrerà riflettere sugli esperimenti che hanno preceduto l‟invenzione dei
Lumiére, e cioè il cosiddetto “fotocinema” di Marey e Muybridge
24
. Secondo Bruno di Marino,
autore di uno dei pochissimi studi comparatistici tra Cinema e Fotografia
25
, il periodo preso in
esame:
22
Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Milano, Mondadori, 2003, p.20.
23
Vedremo più avanti come questo concetto verrà messo in discussione dalla tecnologia digitale. Per ora, ci basta
impostare un discorso coerente sul mezzo tecnico, per poi sollevare i problemi e dare una conclusione solamente alla
fine di questo capitolo.
24
Newhall Beaumont, Storia della fotografia, Torino, Einaudi, 1984, pp.162-168.
25
Bruno di Marino, Pose in movimento. Fotografia e cinema, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.
12
…è come una sorta di limbo, di terrain vague tra la fotografia e il cinema, un momento di
transito in cui l‟immagine in movimento deve ancora trovare la sua forma (anche in senso di
formato) ancor prima di codificarsi in linguaggio.
26
Quindi per questo tipo di fotografia
27
, basata sull‟analisi delle varie fasi cinetiche di un corpo
che si muove nello spazio e nel tempo, si può già dire che ci sia in germe il principio del
cinematografo. Ciò che ancora manca perché nasca l‟immagine in movimento è un dispositivo di
proiezione di fotogrammi a una certa velocità al secondo
28
, tanto da rendere l‟impressione
psicologica di movimento
29
. In definitiva, la pellicola cinematografica può essere intesa come una
sequenza di fotografie, quindi immagini statiche, che attraverso la proiezione in successione
temporale acquistano senso. Solamente questo è da considerarsi come il movimento caratteristico
del mezzo tecnico
30
.
Ci teniamo a precisarlo in quanto esistono esperimenti successivi che possono creare non poca
ambiguità con la definizione di movimento del mezzo. Il “Fotodinamismo” di Anton Giulio
Bragaglia
31
, ad esempio, può sembrare a prima vista una fotografia di movimento. In effetti le
ricerche dell‟italiano vanno in questa direzione, e cioè verso il superamento dell‟immobilità
dell‟istantanea fotografica. Le sue fotodinamiche riescono a restituire in qualche modo il
movimento di un corpo nel tempo, di un gesto nella durata della sua traiettoria, ma rimangono in
tutto e per tutto delle istantanee. Il paradosso del movimento nell‟opera di Bragaglia è solamente
concettuale, non riconducibile alle proprietà del mezzo tecnico, tanto che lo stesso fotografo ci tiene
a precisare la differenza dal cinematografo, il quale:
…non segna la sagoma del movimento ma lo suddivide, senza alcuna legge, con meccanico
arbitrio, disintegrandolo e spezzettandolo, senza preoccupazioni estetiche di alcuna sorta di
ritmo.
32
26
Ivi, p.34.
27
E‟ curioso il fatto che in un primo momento nessuno abbia creduto all‟autenticità delle immagini di Muybridge di
cavalli in movimento. L‟intero Occidente infatti credeva fermamente all‟identità tra una certa idealizzazione dei
movimenti di un cavallo e il movimento reale. Era forse la prima volta che la fotografia rivelava non il carattere reale
della visione tradizionale ma, al contrario, il suo carattere sistematico (Cfr. Noël Burch, Il lucernario dell’infinito.
Nascita del linguaggio cinematografico, Parma, Nuove Pratiche Editrice, 1994, pp.19-20).
28
Nel cinema normalmente sono 24 fotogrammi al secondo.
29
‹‹Teoricamente le cronofotografie di Marey e Muybridge sono più affini al fotogramma che alla fotografia, ma
l‟unica ragione che ci impedisce di definirli fotogrammi è che una simile definizione ha senso solo con la nascita del
cinematografo›› (Bruno di Marino, Pose in movimento, cit., p.34).
30
Il cinema è ‹‹dinamizzazione dello spazio e spazializzazione del tempo›› (Erwin Panofsky, da Stile e mezzo del
cinema, contenuto in Paolo Bertetto, Metodologie di analisi del film, Roma-Bari, Laterza, 2006, p.153).
31
Claudio Marra, Fotografia e arte nel Novecento, cit., pp.20-39.
32
Anton Giulio Bragaglia, da Fotodinamismo futurista, contenuto in Bruno di Marino, Pose in movimento, cit., p.29.