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1.2 COS’È E COME LAVORA UN GIS
Intorno alla metà degli anni sessanta, iniziò a diffondersi sul mercato informatico
una categoria di software atti alla gestione ed alla manipolazione dei dati
geografici, noti come Sistemi Informativi Territoriali (SIT), o nella terminologia
anglosassone Geographical Information System (GIS). Quindi un GIS può essere
definito come un sistema per la gestione, l’analisi e la visualizzazione di
informazioni con contenuto grafico/spaziale.
La definizione probabilmente più completa che sia stata fornita di G.I.S. è
quella che è stata formulata da P.A. BORROUGH nel 1986. In base a tale
definizione un GIS è «un potente insieme di strumenti in grado di acquisire,
immagazzinare, recuperare, trasformare, analizzare e riprodurre dati spaziali
riferiti al territorio».
Caratteristica fondamentale di un GIS è quindi la capacità di
georeferenziare i dati, cioè di attribuire ad ogni elemento le sue coordinate
spaziali reali. Infatti, le coordinate di un oggetto non sono memorizzate
relativamente ad un sistema di riferimento arbitrario (di una mappa), tantomeno
al sistema di coordinate della periferica usata, come la tavoletta digitalizzatrice o
il video, ma sono memorizzate secondo le coordinate del sistema di riferimento
(UTM, etc.) in cui realmente è situato l’oggetto. Essendo le configurazioni
statiche ed isolate poco rappresentative, un sistema informatico territoriale deve
essere costituito da elementi interagenti in cui la comprensione della realtà
territoriale avviene attraverso approcci dinamici e relazionali.
Alle operazione standard effettuate sui database più comuni, quali ricerche
ed analisi statistiche, il GIS integra le sue funzionalità quali la memorizzazione e
l’immagazzinamento dei dati, la manipolazione e l’analisi degli stessi, la
creazione di rappresentazioni e copie di output (carte e tabelle). Lo strumento
informatico, dunque, consente di effettuare analisi spaziali su oggetti del mondo
reale attraverso l’esame del suo modello informatizzato.
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Un GIS è particolarmente adatto per condurre sessioni anche molto
approfondite di analisi dei dati geografici. Questo genere di sistema consente di
gestire ed analizzare ogni genere di relazione spaziale intercorrente fra tutti gli
elementi che fanno parte del database. Tale funzionalità, nota come “analisi
topologica” dei dati va al di là della mera descrizione della geometria e della
localizzazione dei diversi elementi contenuti in una mappa. La topologia è infatti
quella disciplina che studia le diverse relazioni spaziali (interconnessione,
inclusione, continuità, etc.) che intercorrono fra entità geometriche diverse
(punti, linee e poligoni) all’interno di un determinato spazio. Mediante un’analisi
di tipo topologico è quindi possibile determinare, ad esempio, come gli elementi
lineari contenuti in una cartografia siano connessi fra loro ma anche quali aree
siano contenute (interamente o parzialmente) all’interno di aree più grandi, o
ancora quali aree siano confinanti rispetto ad altre, etc.
È evidente, peraltro, che per ottenere una risposta corretta è necessario che
il sistema in questione disponga di una adeguata base di dati strutturati secondo
criteri topologici. Per definire l’organizzazione topologica dei dati, un sistema
deve necessariamente fare ricorso ad una particolare struttura del database.
In un sistema GIS, tutti gli elementi grafici che fanno parte della
cartografia sono riferiti ad un sistema comune di coordinate.
Il GIS memorizza le informazioni in un modello organizzato in più piani
informativi detti layers, ciascuno contenente un singolo tema, e rappresentati
sullo schermo geometricamente da punti, linee o poligoni. Ciò per cui un GIS si
distingue è la sua capacità di effettuare analisi spaziali: le relazioni spaziali tra gli
attributi della banca dati ed il collegamento di questi con la parte geografica, lo
porta a rappresentare un modello del mondo reale.
Lo sviluppo delle tecniche GIS ha portato in questi ultimi anni ad una
costante crescita delle funzioni di analisi raggruppabili in tre categorie: analisi
dei dati spaziali, degli attributi ed integrata.
Un GIS, in definitiva, rende disponibili le seguenti funzionalità di base:
Acquisizione di dati provenienti da fonti e tecniche diversificate;
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Strutturazione dei dati acquisiti e memorizzazione dei loro attributi
grafici, topologici ed alfanumerici;
Selezione e ricerca spaziale di oggetti mediante interrogazioni sulle
loro componenti geometriche e/o alfanumeriche;
Disponibilità di operatori per elaborazioni ed analisi spaziali sul
database, con la possibilità di generazione di nuove informazioni a
partire da quelle memorizzate;
Sovrapposizione automatica di livelli geografici (map overlay);
Generazione di aree di influenza o di rispetto (buffer);
Analisi delle reti (ricerca del minimo percorso, analisi di
connettività);
Generazione di modelli digitali del terreno;
Visualizzazione delle informazioni e produzione di elaborati in
uscita.
Per garantirne un funzionamento efficiente, come anticipato
precedentemente, è necessaria una generale standardizzazione
dell’organizzazione dei dati ed il riferimento ad uno stesso sistema di riferimento
cartografico. Inoltre il linguaggio utilizzato per la descrizione degli attributi delle
entità deve essere basato su termini e codici convenzionalmente adottati, in modo
che non sia necessario, nell’interscambio di database prodotti da enti diversi,
ricorrere ad una ricodifica dei termini e dei simboli utilizzati.
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1.2.1 I GIS A TRE DIMENSIONI
L’introduzione di modelli tridimensionali aumenta notevolmente la possibilità di
analisi e il numero di indicazioni che si possono cogliere da una carta, andando
ad incidere anche sull’aspetto divulgativo dei risultati ottenuti poiché le
rappresentazioni tridimensionali permettono una maggiore leggibilità degli
elementi propri del paesaggio. Il termine tridimensionale è di fatto assegnato a
quei modelli in cui un attributo varia con continuità in un riferimento spaziale
3D. Per rappresentare la variazione continua di un attributo si utilizzano modelli
ottenuti da funzioni matematiche di interpolazione: tale procedura consente di
prevedere il valore di attributi di punti in regioni non campionate a partire dalle
misurazioni effettuate in singoli punti con la stessa area o estensione. Il concetto
di interpolazione si basa, quindi, sul fatto che i valori di punti molto vicini nello
spazio sono probabilmente molto più simili rispetto a quelli di punti più lontani.
Nei GIS si utilizzano esclusivamente superfici continue: un edificio o una faglia
verticale, o qualunque tipologia che presenti per uno stesso punto (x,y) più valori
di z, non possono essere rappresentati se non utilizzando un leggero offset, per
l’impossibilità che ha un GIS nel gestire per uno stesso punto più coordinate
spaziali.
Il DTM (Digital Terrain Model), utilizzato per rappresentare la
morfologia del territorio, é solitamente realizzato in forma raster o a matrice delle
altezze (altitude matrix) e prodotto, quindi, a partire da dati spaziati regolarmente
o meno. Ogni elemento della griglia viene memorizzato con la relativa quota
(GRID, matrice delle altezze), oppure con quota puntuale al centro della cella e
con gli altri punti all’interno di essa che vengono interpolati.
Il DEM (Digital Elevation Model) ha le stesse caratteristiche, ma ha un
significato più generico rispetto al precedente, in quanto può rappresentare
superfici tridimensionali di varia natura.
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La fortuna del modello DTM è dovuta alla facilità con cui le matrici
possono essere manipolate con gli elaboratori elettronici e alla struttura
topologica di facile comprensione.
Inoltre, esso offre la possibilità di confrontare e valutare modelli digitali
della stessa porzione di territorio, sovrapponendo i grigliati definiti da uguali
dimensioni e medesima origine planimetrica.
In generale la struttura a griglia può dunque risultare troppo grossolana per
descrivere efficacemente tutte le forme particolari del terreno, come la sommità
dei rilievi, creste, linee di frattura ecc.
Nonostante i citati problemi, il DTM basato sul modello a matrice rimane
di più semplice realizzazione. Partendo così da una base di dati disposti in
maniera irregolare sul terreno è possibile sovrapporre a tali punti una griglia
regolare (matrice delle altezze), ottenuta utilizzando opportuni algoritmi
matematici di interpolazione.
Il modello TIN (Triangular Irregular Model) è stato realizzato per ovviare
a particolari problemi dati dai GRID; definisce un DTM che va ad adattarsi
perfettamente sulla griglia irregolare di punti tridimensionali. I TIN vengono
modellati sulla base di una struttura vettoriale e topologica simile a quella usata
per le reti di poligoni, e il modello utilizza una copertura continua di triangoli
interconnessi. Il modello TIN utilizza, quindi, una distribuzione continua di
triangoli ricavati generalmente con l’algoritmo di Delaunay in cui i vertici (nodi
dei triangoli) sono costituiti dai punti osservati. Al contrario della matrice delle
altezze, il modello TIN è vincolato a passare per tali punti. Esso va dunque a
stendersi sui punti isolati e lungo le linee di discontinuità e di profilo,
addensandosi in corrispondenza delle zone dove viene incrementata la densità dei
punti misurati. Questo tipo di organizzazione li rende particolarmente efficaci
quando si deve rappresentare un terreno molto accidentato con bruschi cambi di
pendenza.
Molteplici sono le funzioni di analisi nell’ambito dei GIS tridimensionali,
tra le altre:
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Restituzione dei valori z interpolati;
Generazione di isoipse della morfologia, o isoipse del generico
fenomeno tridimensionale;
Determinazione di profili topografici e sezioni composte;
Determinazione della linea di massima pendenza: simulazione che
parte dall’idea di ricostruire il percorso che avrebbe fatto una sfera se
fosse lasciata rotolare a valle da un certo punto;
Analisi delle ombre: permette di determinare l’illuminazione
ipotetica di una superficie in base all’altezza del sole sull’orizzonte e
consente di determinare durata ed intensità dell’insolazione in una
certa area;
Generazione di livelli raster o vettoriali delle pendenze o delle
esposizioni;
Analisi di volume;
Analisi della morfologia;
Etc.
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1.2.2 UTILIZZO DEL GIS PER LA VALUTAZIONE DELLA STABILITÀ
DELLE PARETI ROCCIOSE
L’utilizzo di tecniche GIS per la valutazione di stabilità di pareti rocciose è stato
molto importante perché ha permesso di eseguire delle analisi su aree
relativamente ampie o di difficile accesso e classificarle in base alla loro
pericolosità.
1.2.2.1 UTILIZZO DI TECNICHE GIS NELL’ELABORAZIONE
DELL’INDICE SMR AI FINI DELLA VALUTAZIONE DI STABILITÀ DI
PARETI ROCCIOSE
Questo metodo, proposto da RONZANI G., STRADA C. e ZAMAI V. (1999),
utilizza i GIS per creare una carta delle classi di stabilità di Romana.
Prima di spiegare il metodo però bisogna definire l’RMR e successivamente
SMR.
RMR sta per Rock Mass Rating ed è la classificazione di BIENIAWSKI
sviluppata a partire dagli anni 1972-1973 per gallerie in rocce competenti
fratturate ma successivamente utilizzato anche per altri progetti ingegneristici
quali scarpate, fondazione e miniere.
Il valore di RMR è dato dalla:
RMR = (A
1
+ A
2
+ A
3
+ A
4
+ A
5
) + A
6
Dove:
A
1
valore numerico derivato dalla resistenza della roccia intatta
ottenuta tramite prove di compressione monoassiale o point load test.