3
INTRODUZIONE
La presente tesi prende spunto dall’interesse verso i Mondi Virtuali in 3D,
dei quali Second Life è l’esempio più conosciuto. Questi mondi sono stati
accreditati come “successori” delle tecnologie del Web 2.0, già abbondantemente
utilizzato per implementare processi di apprendimento e costituzione di comunità.
Secondo Lévy il virtuale è un modo di essere facendo, che concede margini ai
processi di creazione, nodo di tendenze e forze che accompagna una situazione,
un evento, un oggetto. Si parla dunque di un passaggio dal Web 2.0 al Web 3D.
A fronte di una presenza non trascurabile di un mondo interessante per i
docenti, l’intento è stato quello di “esplorare” le innumerevoli possibilità offerte
dai mondi virtuali, in termini di fruizione della conoscenza, in un contesto in cui
l’utente si sente completamente immerso nella realtà virtuale, permettendo
soprattutto al docente un apprendimento situato e contestualizzato, laddove la
modalità scolastica classica registra un insuccesso.
Per Lévy la conoscenza è ipertestuale, in quanto costituita da una pluralità di
nodi i cui collegamenti sono in continua trasformazione entro una struttura essa
stessa dinamica e con più centri. Il computer dovrebbe portare a riconoscere che la
conoscenza è un continuo associare pezzi di sapere ad altri pezzi
1
.
Anche il concetto di apprendimento, teorizzato dal costruttivismo di Dewey,
Piaget e Vygotskij, il quale pone la conoscenza come costruzione attiva del
soggetto, finalmente sembra assumere una forma concreta, “tangibile” con la
nascita dei mondi virtuali, costituendo un’alternativa più vicina alla maniera di
1
Alessandri G., Dal desktop a Second Life. Tecnologie nella didattica, p. 61,
Morlacchi, Perugia 2008.
4
apprendere dei digital native, che imparano quotidianamente quel che a loro
interessa in una dimensione sociale e spontanea. L'apprendimento non è visto solo
come un'attività personale, ma come il risultato di una dimensione collettiva
d'interpretazione della realtà, come lo stesso Choombs afferma
2
.
È proprio dai nativi digitali che ha inizio il lavoro. Essi come si vedrà, sono
stati definiti, da autori quali Marc Prensky, come i nuovi studenti nati e cresciuti
nelle nuove tecnologie, grazie alla quale possono produrre e condividere creazioni
e conoscenze digitali
3
. Si parla dunque di una cultura “partecipativa”, come lo
stesso Henry Jenkins la definisce, la quale si fonda sulla “learning by doing”
ovvero imparare direttamente sul campo, permettendo un’interazione tra i discenti
e le concrete situazioni con cui fanno esperienza. Dunque il discente e l’educatore
sviluppano insieme conoscenze e competenze, in una relazione “orizzontale”
4
.
Verrà poi discussa la nascita dei “laboratori di informatica”. Il computer
cerca il suo spazio a scuola, trovando così una sua aula, un po’ diversa dalla
tradizionale, piena di cavi e protetta da porte blindate, ma sostanzialmente uguale,
con sedie e banchi, la cattedra, la lavagna interattiva multimediale (LIM) uno
schermo con il quale il computer amplifica il suo display attraverso un
videoproiettore
5
.
2
Gola G., L’apprendimento informale degli insegnanti. Prospettive di ricerca sulle
pratiche didattiche, in Internet URL http://docs.google.com consultato il 2 febbraio 2012.
3
Calvani A., Landriscina F., Tanoni I., Tecnologia, scuola processi cognitivi. Per
un’ecologia dell’apprendere, Franco Angeli, Milano 2007.
4
Jenkins H., Culture partecipative e competenze digitali: media education per il
XXI secolo, Guerini, Milano 2011.
5
Biondi G., La scuola dopo le nuove tecnologie, Apogeo, Milano 2007, pp.16-20.
5
Ci troviamo dinanzi ad un nuovo cambiamento paradigmatico descritto da
McLuhan e da de Kerckhove come rivoluzione delle strutture cognitive, e la
scuola, aprendo le sue porte all’e-book e alle LIM,potrebbe dotarsi degli strumenti
indispensabili ad elaborare una proposta educativa che corrisponda ai“modelli di
pensiero” delle giovani generazioni. Quindi, occorre una nuova e soprattutto
un’immagine della scuola del futuro che faccia comprendere gli scenari nei quali
gli studenti potrebbero muoversi
6
.
Si vedrà poi infine come in Second Life sia possibile apprendere e insegnare
le lingue straniere, visitando un paese nel quale vivere a contatto con la lingua da
apprendere. La Language Lab, in Second Life, offre la possibilità di “vivere”
quest’esperienza senza muoversi da casa
7
.
Da quanto detto, si evince che il risultato è quello di un’innovazione a
macchia di leopardo, da un lato perché andranno in pensione la metà degli
insegnanti italiani, dall’altro perché si crede nel contagio positivo, in quanto in
dieci anni le scuole al passo con le trasformazioni sociali e tecnologiche,
costringeranno le altre ad adeguarsi. Un dovere questo, perché “innovare” è
l’unica chance di sopravvivenza anche per la scuola italiana.
6
Faiella F., Apprendimento, tecnologia e scuola nella società della conoscenza.
Learning, Technology, And School in The Learning Society, in internet URL http://
www.tdmagazine.itd.cnr.it consultato il 2 febbraio 2012.
7
In Internet URL http:// www.secondlearning.itconsultato il 2 febbraio 2012.
6
I CAPITOLO
I NATIVI DIGITALI NELLA SOCIETÀ COMPLESSA
1.1 L’habitat digitale del Web 2.0
Agli inizi del terzo millennio le frontiere dell’informazione e della
comunicazione si sono spinte oltre l’immaginazione. La tecnologia avanzata ha
perfezionato i mezzi di comunicazione, rendendoli sempre più veloci e completi:
in tempo reale è possibile ricevere notizie da tutte le parti del mondo, interagire
con le fonti, inoltre permettono di annullare i limiti dello spazio e del tempo,
consentendo all’utente di fruire del servizio in qualsiasi momento e luogo,
rendendolo soggetto attivo dell’informazione e non più un semplice lettore
passivo. Insomma, viviamo ormai in un’epoca che possiamo definire:
“dell’attenzione parziale continua”, in cui un flusso di sms, e-mail e stimoli
proveniente da vari dispositivi elettronici, assorbe la nostra attenzione
8
.
È cambiato non solo il modo di accedere ai contenuti culturali e di
intrattenimento, ma anche l’utilizzo che viene fatto di tali contenuti: sempre più
spesso si attivano forum, chat, instant messaging, blog, newsgroup per
comunicare; si moltiplicano gli accessi ai social network (come Facebook,
8
Calvani A., Tecnologia, scuola, processi cognitivi. Per un’ecologia
dell’apprendere, Frango Angeli, Milano 2007.
7
Twitter, My space) per condividere immagini, conoscenze, riflessioni. In questo
contesto è stato coniato il termine Web 2.0, espressione con cui si indica tale
ambiente evoluto di Internet, ovvero tutte quelle applicazioni on-line che
permettono agli utenti di controllare direttamente i contenuti digitali, interagendo
in maniera del tutto nuova
9
. La rete, diventa così veicolo attraverso il quale
promuovere stili di vita, regole comportamentali, abitudini, credenze, in un
universo virtuale che abbatte il concetto di spazio e di tempo, o meglio lo
ridefinisce sotto i parametri delle possibilità offerte dalla ragnatela globale.
Pertanto il cliccare diventa così azione attraverso la quale partecipare attivamente
all’evoluzione di questo mondo virtuale, ampliando quella comunità globale che
dà vita all’habitat digitale di oggi, in un continuo accedervi e connettersi, nella
ragione in cui queste attività definiscono l’esserci, l’identità di chi si connette.
Dunque, si parla di contenuti digitali, quando ci si riferisce alle nuove modalità di
diffusione dei contenuti, rese possibili dall’innovazione tecnologica.
In altre parole, i contenuti digitali sono i «prodotti intellettuali resi possibili
in formato elettronico digitale, funzionanti in computer o altri dispositivi in grado
di leggere contenuti digitalizzanti»
10
. Ed è proprio in questo contesto che si parla
di Nativi digitali (digital native) ossia giovani cresciuti sin dalla nascita con e
dentro gli ambienti virtuali, e le nuove modalità di fruizione dell’informazione e
persino della formazione. I nativi digitali sono, dunque, una specie in via di
9
Lucchi N., I contenuti digitali. Tecnologie, diritti e libertà, Springer – Verlag,
Milano 2010.
10
Samuelson P., Digital Media and the Changing Face of Intellectual Property
Law, Rutgers Computer and Technology Law Journal, vol.16, n.2, p.324, in Internet
URLhttp://www.law.berkeley.edu consultato il 12 settembre 2011.
8
apparizione, all’interno della quale possono essere individuate differenti
popolazioni e stili di fruizione delle tecnologie, diversi a seconda dell’esposizione
più o meno precoce alle tecnologie della comunicazione digitale. Vi sono tre
tipologie differenti di nativi digitali:
Nativi digitali puri (tra 0 e 12 anni)
Millenials (tra 14 e 18 anni)
Nativi digitali spuri (tra 18 e 25 anni)
I nativi digitali puri, sono i veri nativi. Hanno un’esperienza diretta sempre
più precoce degli schemi interattivi digitali (cellulari, computer, iPod), così come
della navigazione in internet. Nelle loro case e nelle loro camere, infatti, i media
digitali sono sempre più presenti insieme alle esperienze di intrattenimento,
socializzazione e formazione che vengono mediate e vissute attraverso internet e
social network, oltre che dalle consolle per videogiochi. Henry Jenkins definisce
l’insieme di questi comportamenti come la nuova “cultura partecipativa
informale” dei nativi. Secondo Jenkins «la cultura partecipativa è una cultura con
barriere relativamente basse per l’espressione artistica e l’impegno civile, che dà
un forte sostegno alle attività di produzione e condivisione delle creazioni digitali
e prevede una qualche forma di montorship informale, secondo la quale i
partecipanti più esperti condividono conoscenze con i principianti. All’interno di
una cultura partecipativa, i soggetti sono convinti dell’importanza del loro
contributo e si sentono in qualche modo connessi gli uni con gli altri»
11
.Le culture
partecipative sono ambienti ideali per l’apprendimento: a differenza dei sistemi
11
Jenkins H., (a cura di), Culture partecipative e competenze digitali: media
education per il XXI secolo, p. 57,Guerini, Milano 2011.
9
formali di istruzione, consentono una forma di apprendimento sperimentale e
potenzialmente innovativo. Per intenderci, esempi di culture partecipative si
vedono nelle forme di affiliazione ai social network e alle comunità di giocatori
online, nell’espressione creativa come la fan fiction e il modding e nella
circolazione di flussi mediali attraverso i blog. È ai comportamenti dei bambini tra
gli 0 e i 12 anni che dobbiamo guardare, per capire il nostro futuro e per costruire
un mondo che sia accogliente per le nuovissime generazioni. I nativi digitali,
come spiega Mark Prensky, sono nati in una società multi schermo e
interagiscono con molti di questi monitor interattivi fin dalla tenera età
12
. Tra i
nativi digitali spuri, si possono includere gli studenti universitari, ma in realtà
navigano in internet quasi tutti, utilizzando la banda larga. Usano sempre più il
cellulare prevalentemente per sms, foto e video, non guardano quasi più la
televisione e purtroppo continuano a non leggere libri, se non quelli che studiano.
Precisamente oggi possiamo dire che sia stata proiettata su questa generazione di
confine una serie di competenze digitali, una literacy tecnologica che è propria dei
più piccoli. Insomma, i nativi preferiscono e apprendono meglio applicando
subito, operando per prove ed errori. Secondo Kerckhove i nativi digitali
rappresentano la prova vivente della definizione di un nuovo baifraime
13
. Per lo
studioso il baiframe (letteralmente quadro mentale) è uno stile di pensiero, una
modalità di organizzazione della nostra presa cognitiva sul mondo, che nella sua
struttura storicamente è sempre stata determinata dalla presenza e dall’egemonia
12
Ferri P., Nativi digitali, Mondadori Bruno, Milano 2001.
13
Ardizzone P., Rivoltella C.P., Media e tecnologia per la didattica, Vita e pensiero,
Milano 2008.