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Il fenomeno sociale del Mobbing
Premessa
Negli ultimi dieci anni il termine Mobbing, parola con la quale si indica una situazione di
soprusi, vessazioni e persecuzioni psicologiche nel mondo del lavoro, è entrato sempre
più nel nostro vocabolario.
Questo fenomeno è attuato attraverso azioni subdole, spesso coperte dall’omertà ed è, di
conseguenza, molto difficile da sconfiggere e da dimostrare.
Certamente conoscerlo ed essere informati sui mezzi idonei per affrontarlo e combatterlo
può aiutarci a vincerlo.
Anche in Italia da parte della giurisprudenza è maturata la consapevolezza teorica che
“l’ambiente di lavoro non è fonte di rischio e pericolosità solo per l’integrità fisica del
lavoratore ma anche del diritto alla salute nella sua accezione più ampia, comprendente
tutti gli aspetti esistenziali della dimensione uomo”.
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Prima di apprendere quali strumenti giudiziari ci possono venire incontro a tal fine, occorre
precisare che la lotta al Mobbing passa anche attraverso il sostegno dei sindacati e di altre
organizzazioni, osservatori ed associazioni, nate in Italia negli ultimi anni.
Primogenita è l’Associazione “Prima” di Bologna che, oltre a sostenere ed offrire
consulenze specifiche in tema di Mobbing, organizza corsi di formazione per imparare a
difendersi.
Secondo una recente ricerca del gruppo Doxa per Manageritalia su un campione di 750
persone, tre italiani su quattro ritengono che le nuove tecnologie possano favorire la
diffusione del Mobbing, invero le maldicenze e le umiliazioni trovano, in internet, un luogo
per la loro più ampia diffusione. C’è da dire, per altro verso, che ciò può recare in sé anche
un vantaggio per il mobbizzato, fornendo a questo una più facile dimostrazione del fatto
illecito che è così palesato pubblicamente e per iscritto.
Il fenomeno delle molestie psicologiche non è ristretto, tuttavia, soltanto agli ambienti di
lavoro ma si può ritrovare nella scuola, in famiglia, nelle forze armate, nello sport o in altre
eventuali aggregazioni sociali. Da segnalare la sentenza di condanna per Mobbing
famigliare inferta nel 2000 ad uno dei coniugi dalla Corte d’Appello di Torino.
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In ultimo il
recente Giudizio del Magistrato di Sorveglianza di Lecce che ha riconosciuto il
risarcimento per danno esistenziale, invocando la fattispecie di Mobbing, per un detenuto
extracomunitario a fronte della condizione inumana e degradante subita durante la
detenzione nella struttura carceraria.
Le conseguenze nefaste di questi comportamenti illeciti, oltre a distruggere
psicologicamente la personalità degli individui che ne sono colpiti (definiti mobbizzati), la
propria autostima, le potenzialità, la famiglia e le relazioni sociali, spesso portano agli
interessati altresì danni psico-fisici particolarmente gravi. Gli effetti deleteri del Mobbing
non si fermano al singolo, anche l’azienda paga caro il fenomeno in termini di calo della
produttività e, oltre a ciò, la stessa società dovrà far fronte a maggiori costi di cui si farà
carico attraverso il servizio socio sanitario nazionale.
Secondo la psicoterapeuta francese Marie-France Hirigoyen, in un libro che ha venduto in
soli 4 mesi ben sessantamila copie, il carnefice è un narcisista perverso, cioè una persona
che sviluppa un piacere appagante nel ferire e nell’aggredire, uno psicotico senza sintomi,
che trova il suo equilibrio scaricando su di un altro il dolore che non è capace di sentire e
le contraddizioni interne che rifiuta di prendere in considerazione: questo transfert del
dolore gli permette di valorizzarsi a spese dell’altro.
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M. Pedrazzoli “Lesioni di beni e risarcibilità del danno” Gior. Dir. Lav 1995
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Sent. della Corte d’Appello di Torino del 21 febbraio 2000
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Sicuramente non tutti i persecutori (chiamati mobbers) sono affetti da una così grave
patologia psichica ma certo si tratta di personalità dominate da istinti bassi ed egoistici,
prive di sensibilità ed umanità verso il prossimo.
Origine del nome
Il termine Mobbing nasce nei primi anni settanta dagli studi dell’etologo Konrad Lorenz il
quale, per primo, ne parlò per descrivere un tipo di comportamento aggressivo, tra
esemplari della stessa specie, finalizzato ad escludere un membro del gruppo
attaccandolo, isolandolo e portandolo all’emarginazione fino a provocarne, nei casi
peggiori, la morte.
In etologia con il termine Mobbing s’intende anche il comportamento di gruppi di piccoli
uccelli nell'intento di respingere un rapace loro predatore.
Mobbing nasce dal verbo inglese to mob che significa "accerchiare, aggredire, affollarsi
attorno a qualcuno". Per Mobbing dunque s’intende l’assalto congiunto di una folla,
un’azione collettiva violenta. Letteralmente deriva dal latino “mobile vulgus” e significa folla
tumultuante.
Caratteristiche
Quando si sente parlare di Mobbing a tutti balza in mente l’immagine di Fantozzi, il
popolare ragioniere fatto bersaglio di scherno e sopraffazioni sul posto di lavoro, come a
rappresentare il capro espiatorio per rendere le frustrazioni altrui più sopportabili,
scaricandole sul vicino.
Il taglio tragicomico che è dato alla figura del povero personaggio, vittima passiva e
servizievole delle angherie dei colleghi e dei soprusi dei superiori, è indicativo di come la
nostra cultura tenda a sdrammatizzare il fenomeno, ridicolizzandolo, sottovalutando le
molestie psicologiche e l’abuso di potere, se non addirittura a trovare una sorta di misero
compiacimento nel veder mettere in atto certi comportamenti prevaricatori e
disumanizzanti.
Il Mobbing è innanzitutto una cosa seria.
Passando dal cinema alla realtà possiamo constatare che vi sono vari tipi di persecuzioni
psicologiche nel mondo del lavoro, le quali si differenziano tra di loro a seconda di chi le
mette in atto:
il Mobbing verticale, è il caso in cui il datore di lavoro o il superiore gerarchico abusa della
propria posizione nei confronti del lavoratore subordinato a lui sottoposto.
Il Bossing, che è pur sempre “verticale”, è invece un Mobbing strategico, spesso si tratta di
una tattica aziendale volta alla diminuzione, ringiovanimento o riorganizzazione del
personale, oppure alla semplice eliminazione di un dipendente “scomodo”. Spesso in
questi casi il Mobbing è attuato per portare il sottoposto alle dimissioni in modo che non
debba essere l’azienda ad accollarsi l’onere del suo licenziamento. E’ rappresentato da
quei comportamenti per mezzo dei quali il datore di lavoro o il superiore gerarchico
esercita una sorta di terrore psicologico verso uno o più dipendenti in modo tale da
indebolirli e coartarne o piegarne la volontà.
Il Mobbing orizzontale è così chiamato quando i comportamenti mobbizzanti nei confronti
del lavoratore sono attuati da uno o più colleghi nella medesima posizione gerarchica.
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Il Mobbing ascendente, sebbene più raro, è quello portato avanti dai dipendenti contro il
proprio responsabile, di solito però questo non avviene direttamente nei confronti del
datore di lavoro.
Il Mobbing individuale è indirizzato, da una o più persone, nei confronti di un unico
individuo.
Il Mobbing collettivo è indirizzato, da una o più persone, nei confronti di un intero gruppo di
lavoratori.
Le azioni dei mobbers contro le loro vittime sono di vario tipo e, pertanto, è difficile
identificarle tutte.
Le più frequenti sono i maltrattamenti, le molestie anche sessuali; l’isolamento del
dipendente; le critiche ingiustificate; i controlli eccessivi al suo lavoro; le maldicenze; il
discredito gettato sulla vittima; le azioni disciplinari infondate o strumentali; il superlavoro
o, al contrario, la sua totale e forzata inattività; i trasferimenti; i demansionamenti; le
dequalificazioni fino a giungere, in taluni casi, all’illegittimo licenziamento del mobbizzato.
Gli studi hanno evidenziato che non occorre chiamarsi Fantozzi per essere dalla parte del
perseguitato. Il Mobbing, infatti, non dipende dal carattere della vittima, ma è una patologia
dell'organizzazione dell’azienda o dell’ente.
Qualsiasi persona, a qualsiasi livello, può diventare una vittima delle vessazioni sul luogo
di lavoro, anche se alcune categorie di lavoratori sono più a rischio di altre. Tra queste ad
esempio troviamo il personale precario
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privo di molte tutele; i neoassunti perché percepiti
come estranei al gruppo; gli anticonformisti difformi dagli altri per motivi religiosi,
caratteriali, politici, razziali; i lavoratori in esubero al fine di provocarne le dimissioni; le
persone più valide e capaci ritenute potenziali concorrenti oppure per il timore che la loro
bravura faccia emergere la scarsezza degli altri; le persone oneste che non accettano
compromessi o scorrettezze e gli "anziani" perché con stipendi più onerosi per l' azienda.
Anche per lo psicologo del lavoro Harald Ege le motivazioni per cui si manifesta il Mobbing
sono infinite seppur, nella maggioranza dei casi, il motivo scatenante è costituito dalla
diversità. Diversità di ogni genere, di religione, di sesso, di sessualità, di titoli di studio, di
modi di vestirsi, di idee politiche. In più, spesso, a complicare la situazione si aggiungono
l’ambizione e l’invidia dei colleghi.
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Sempre secondo lo studioso, la caratteristica del Mobbing italiano, è quella di essere una
pratica di gruppo. Infatti, nel 19,9% dei casi è individuale, nel 45,5% è attuato da due -
quattro persone, nel 26,3% da più di quattro persone, nel 8,3% da tutto il gruppo.
Inoltre, afferma Ege, in Italia il 10,3% dei casi di persecuzioni psicologiche sul posto di
lavoro riguarda rapporti tra pari, cioè tra colleghi; il 2,3% avviene dal basso; il 57,5%
dall’alto mentre il 29,9% da superiori e colleghi che si coalizzano.
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Va tenuto presente che mentre prima le disuguaglianze di forza e potere potevano
ritrovarsi principalmente tra livelli gerarchicamente differenti oggi queste diversità si
riscontrano anche tra lavoratori di pari livello contrattuale, di cui una parte con tipologie di
contratti che prevedono sicurezze e tutele più forti ed una parte più fragile “precaria”.
Come ci insegna la storia tutte le situazioni di disparità di condizioni, quando usate in
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Secondo un sondaggio svolto tra 21.500 lavoratori dalla Fondazione di Dublino 8% dei lavoratori
dell’U.E. è stato vittima di Mobbing e la precarietà dell’impiego costituisce una delle principali
cause dell’aumento della frequenza di suddetti fenomeni.
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Intervista a Ege su “Il Bologna” del 24/02/2007
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Corriere Lavoro inserto del “Corriere della Sera” dell’ 16/07/2004
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modo improprio, possono generare situazioni di abusi e prevaricazioni. Ciò rappresenta
una delle novità di questi tempi di “flessibilità”.
Oltre alla vittima (mobbizzato) e al carnefice (mobber) in questo fenomeno troviamo altre
due figure, i mobbers secondari ed i side mobbers.
I mobbers secondari sono colleghi o superiori che affiancano attivamente l’azione
vessatoria del mobber e contribuiscono con ulteriori azioni moleste nella strategia
persecutoria.
I side mobbers sono colleghi di lavoro, superiori o sottoposti, non attivamente coinvolti
nella pratica persecutoria, ma silenziosi spettatori di quest’ultima; pur essendo a
conoscenza del Mobbing innescato si astengono da qualsiasi forma di solidarietà verso il
mobbizzato. Testimoni che, in quanto spettatori passivi e inerti, diventano complici del
mobber assumendo, a loro volta, un ruolo nel processo persecutorio.
E’ anche grazie alla complice omertà di questi individui che si creano situazioni di
accerchiamento passivo in cui la vittima subisce l’aggressione del mobber, con il concorso
attivo o passivo delle altre due figure, sentendosi così sempre più isolata, scoraggiata ed
impotente.
Queste condizioni rendono ancor più difficoltoso provare l’esistenza del Mobbing perché si
avrà difficoltà a trovare qualcuno che testimoni o si corre il rischio che le testimonianze
delle persone, in qualche modo coinvolte nella situazione, siano concordate tra loro,
generando ulteriore danno alla vittima. Il tutto a scapito della Giustizia. A fronte di questo
gli autori Bona, Monateri ed Oliva, in uno dei loro lavori, si domandano se sia possibile
configurare l’incapacità di testimoniare dei mobbers secondari e dei side mobbers, co-
autori delle persecuzioni psicologiche che non siano parti nel procedimento giudiziario
instaurato, in applicazione dell’art. 246 c.p.c.
Un altro effetto del Mobbing è il “doppio Mobbing” che, con l’andare del tempo, arriva
anche a sgretolare i rapporti famigliari e sociali del mobbizzato.
La vittima di continui soprusi lavorativi tende a “portarli a casa”, a sfogarsi con le persone
care, a cercare da loro risposte, aiuto e comprensione. Per un certo periodo la famiglia
sopporta questo malessere e cerca di far fronte alla negatività che circonda il proprio
congiunto sostenendolo quanto possibile ma, ad un certo punto, non arrivando mai la fine,
anche questa giunge a saturazione e cerca di “scappare” per proteggersi, a sua volta,
dall’effetto del Mobbing.
In queste circostanze la vittima, sempre più isolata, tende a chiudersi ancor più in sé
stessa perdendo ogni tipo di stimolo per le relazioni sociali e, in alcuni casi, per la sua
stessa vita. Non sono rari i casi di Mobbing che portano al suicidio, ogni anno nel mondo
un 15% - 20% di questi avrebbe per causa lo stress lavorativo. Gli studi condotti in Svezia
attribuiscono al Mobbing la responsabilità di circa il 15% dei suicidi che avvengono ogni
anno.
Le statistiche ci dicono che in Europa le vittime del Mobbing si attesterebbero intorno
all’8% degli occupati, più numerose in Inghilterra con una percentuale del 16% per
passare alla Svezia e Irlanda con un 10% e alla Germania e Italia con un 4% dei casi.
Sempre dalle statistiche possiamo rilevare che le persone mobbizzate in Italia sarebbero 5
milioni su un totale di 21 milioni di occupati, con una percentuale del 65% al Nord, del 24%
al Centro, del 6% al Sud e del 5% nelle Isole. Il primato spetta alla Regione Lombardia con
il 40,6% dei casi rilevati in Italia.
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Il fenomeno del Mobbing nel nostro Paese sembra dovuto sia a condizioni di forte
competizione individuale (presenti soprattutto nel privato) che di efficienza sub-ottimale
delle organizzazioni (rintracciabile maggiormente nel pubblico) ambito in cui, scrive Ege,
avrebbero peso fattori legati a favoritismi di carattere familiare, politico o sociale.
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Da “La Repubblica” del 27 maggio 2009
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Tra le vittime del Mobbing troviamo un numero maggiore di femmine che di maschi,
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ciò
può essere dovuto al fatto che, alcune donne, provano istintivamente sentimenti di gelosia,
invidia e rivalità verso altre persone del proprio sesso ma anche perché, il genere
femminile, culturalmente ritenuto più debole, occupa rispetto al genere maschile, in via
generale, posizioni di minor prestigio, dunque più fragili e strutturalmente più a rischio.
Lo confermano i centri di ascolto sul fenomeno, infatti, circa il 60% dei casi vede vittime di
sesso femminile.
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Sempre analizzando i dati raccolti dal quotidiano La Repubblica del 27/05/2009 vediamo
che le donne mobber molestano in percentuale maggiore altre donne (33,5%) e in
percentuale minore uomini (2,8%). Dall’altro lato gli uomini mobber molestano in
proporzione maggiore altri uomini (51,3%) e, in numero minore, donne (25,2%).
Questo è il volto insidioso del Mobbing, fenomeno molto pericoloso, i cui effetti negativi sul
sistema psichico e nevoso della vittima, come risulta dagli studi della psicologia del lavoro,
permangono anche dopo la cessazione della condotta persecutoria, per un periodo che
varia dai 12 ai 18 mesi.
Secondo le tabelle formulate dagli stessi psicologi, si può parlare di Mobbing solo dopo sei
mesi di vessazioni ripetute e sistematiche, detti atti ostili devono avere una cadenza di
almeno alcune volte al mese. In caso contrario ci si può trovare di fronte a semplici azioni
mobbizzanti come delineato da Ege in uno dei suoi libri dedicati al fenomeno.
Dunque non tutte le azioni scorrette ai danni del lavoratore, che comportano un
peggioramento nelle sue condizioni lavorative o di vita, possono rientrare nei rigidi canoni
del Mobbing.
Sia la medicina che la giurisprudenza hanno recentemente riconosciuto un altro tipo di
comportamento illecito, lo Straining, il quale, pur differenziandosi dal Mobbing per la
durata e la frequenza degli atti lesivi, non cambia nei suoi effetti.
Straining
Con il termine Straining si intende una situazione di Stress forzato sul posto di lavoro, in
cui la vittima subisce almeno un’azione ostile e stressante, che ha come conseguenza un
effetto negativo costante e permanente nell'ambiente lavorativo. Oltre a questo, la vittima
è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo Straining (chiamato strainer) e
lo Straining viene attuato appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera
discriminante.
Questa definizione del fenomeno dello Straining è la stessa che è entrata nella
Giurisprudenza italiana attraverso l'ormai famosa sentenza n. 286 del 21.04.05 del
Tribunale del Lavoro di Bergamo, la prima su questo tema pronunciata in Italia.
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In sostanza si tratta di una situazione lavorativa conflittuale in cui la vittima ha subito azioni
ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (e quindi non rientranti nei parametri del
Mobbing), tuttavia tali da provocarne una modificazione in negativo, costante e
permanente, della sua condizione lavorativa. Lo Straining in effetti è un fenomeno che
potrebbe essere facilmente scambiato per un semplice caso di Stress occupazionale, se
non fosse per il fatto che la vittima di solito lo percepisce come Mobbing, data l'alta
componente di intenzionalità e di discriminazione.
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La risoluzione A5-o283/2001 del Parlamento europeo richiama l’attenzione sul fatto che, secondo
alcune inchieste, le donne sono più frequentemente vittime che non gli uomini dei fenomeni di
Mobbing.
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Da “Il Salvagente” del 01/04/2010
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Altresì il Tribunale di Sondrio, con la sentenza del 07/06/2007, ha riconosciuto il risarcimento dei
danni subiti da un lavoratore ravvisando questo “nuovo” fenomeno.
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Il legame tra Straining e Stress Occupazionale è evidente, oltre che intuitivo: in una
situazione di Straining, l'aggressore (che chiameremo logicamente strainer) sottomette la
vittima facendola cadere in una condizione particolare di Stress con effetti a lungo termine.
Tale Stress può derivare dall''isolamento fisico o relazionale o dalla passività ed
indifferenza generale nei confronti della vittima, dalla privazione, dalla riduzione o
dall'eccesso del carico lavorativo.
In sostanza, la persona strainizzata può ritrovarsi relegata in una stanza in fondo al
corridoio dove nessuno passa o trasferita nella classica filiale remota dove nessuno
vorrebbe mai andare; può essere sottoposta ad un eccessivo carico di lavoro o comandata
a mansioni superiori per cui non ha preparazione adeguata; può venire deprivata nelle sue
mansioni e costretta a incarichi minori ed umilianti, se non addirittura all'inoperosità.
Tutte queste condizioni sarebbero identificabili ad ogni buon conto come Stress
Occupazionale, se non fosse per il particolare, cruciale, che tale trattamento è riservato
solo a quel determinato lavoratore (o gruppo di lavoratori).
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Gli studiosi del fenomeno
Heinz Leymann
Heinz Leymann, il “padre del Mobbing”, è uno psicologo del lavoro tedesco, fu il primo e il
più autorevole studioso del fenomeno. Negli anni ottanta applicò il termine Mobbing anche
all’ambito lavorativo.
In particolare Leymann definisce il Mobbing come una “comunicazione ostile e non etica
perpetrata in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un
singolo che, a causa del Mobbing è spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di
difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Queste azioni si verificano
con una frequenza piuttosto alta di almeno una volta la settimana e per un periodo di
almeno sei mesi. A causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il Mobbing crea sulla
vittima seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali.
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Leymann descrive il Mobbing come un processo in evoluzione crescente configurando
quattro fasi sequenziali che differenziano i diversi stadi in cui si trova l’individuo mentre
subisce le strategie di persecuzione del suo oppressore:
1. Prima fase (Critical incidents)
nell’ambito dell’ambiente di lavoro si evidenzia un conflitto che si manifesta attraverso
una serie di attacchi, scherzi e meschinerie di vario genere diretti verso la vittima che le
causano un certo malessere. Se il conflitto, che a questo livello è molto difficile da
rilevare, non viene risolto, può dar luogo all’inizio del processo del Mobbing.
2. Seconda fase (Mobbing and stigmatizing)
è anche definita “maturazione del conflitto” in quanto le aggressioni diventano
continuative e sistematiche, la vittima viene sempre più isolata e viene creato a suo
carico il “mito negativo”. Qualsiasi forma di difesa della vittima risulta inutile, cosicché
sperimenta la propria incapacità, ritrovandosi sempre più in uno stato cronico di ansietà
in cui si evidenziano patologie a carico del sistema psicosomatico. Qui la maggior parte
delle vittime è costretta a ricorrere ad un sostegno farmacologico ed a protratte
assenze dal lavoro per prevenire gravi ricadute.
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Fonte: http://www.Mobbing-prima.it/Mobbing-oltre.html
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H. Leymann 1996; trad. di G. Favretto, 2005 p.17