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INTRODUZIONE
Già Omero, nella sua Odissea implicitamente sottolinea il valore culturale,
simbolico e sociale del cibo e delle abitudini alimentari di una determinata
comunità (Lavanco, Novara, 2005). Ulisse nel suo lungo viaggio sarà protagonista
con i suoi compagni dell’incontro-scontro tra due popoli con culture alimentari
differenti: Lotofagi versus Sitofagi. Caratteristica identitaria della comunità dei
Lotofagi è il loro regime alimentare: sono definiti “mangiatori di loto” proprio con
una valenza oppositiva al popolo greco, “mangiatori di grano” Sitofagi. Ulisse nel
suo viaggio si pone sempre la domanda sulle pratiche alimentari del popolo che
incontra, attribuendo così al cibo il focus della dieta alimentare e tratto
identificante di un popolo (Costantino, 2007). L’incontro-scontro, tra queste due
etnie, potrebbe essere reinterpretato metaforicamente, tra il mondo alimentare del
soggetto affetto da malattia celiaca (dieta priva di glutine) e il mondo dei Sitofagi,
il quale quest’ultimo si mostra spesso poco disposto alle pratiche dell’accoglienza
e ospitalità nei confronti del primo.
In Italia, dove l’alimentazione è basata essenzialmente su alimenti fatti di grano,
essere affetti da celiachia è un problema considerevole poiché questa malattia
necessita irrinunciabilmente dell’esclusione di alimenti contenenti glutine
(presente in frumento, orzo, segale, avena, malto, ecc).
Nonostante i numerosi passi fatti avanti dalla ricerca, la celiachia (e la dieta priva
di glutine) è ancora poco conosciuta a livello sociale ed è spesso confusa come
moda alimentare o semplice allergia.
Il presentarsi della celiachia nell’infanzia rappresenta un life-event (Perricone
Briulotta, 2005; Perricone, Morales 2009) che avrà delle ripercussioni notevoli sul
percorso di sviluppo (Kloep e Hendry 2002) del bambino, non tanto a livello
cognitivo quanto emotivo e psicosociale.
In questo mio elaborato cercherò di dare inizialmente (Capitolo 1) una descrizione
storico-medica della malattia, delle sue manifestazioni cliniche in età infantile e
della dieta priva di glutine, per poi mettere in evidenza, come si configuri per il
bambino celiaco, nei termini di una condizione di rischio evolutivo, che non si
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ferma solo al momento della diagnosi della malattia, ma che si protrae fino al
momento dell’adozione della dieta gluten free.
La psicologa Cavanna (2009) utilizza il termine embodiment
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per indicare come
l’atto di assunzione del cibo significhi non solo incorporare l’alimento, ma anche
accettarne i suoi contenuti simbolici, affettivi e culturali. Cavanna definisce il cibo
come sostanza liminale in quanto la scelta di mangiare o rifiutare un certo
alimento, le sue quantità, le modalità di consumo o di cucinarlo, sono scelte
soggettive ma che ci permettono di essere membri o meno di una determinata
comunità. È proprio nella condivisione del cibo, un momento essenziale per la
creazione di reti di parentela e amicali, che il bambino celiaco si renderà conto
della sua differenza (Capitolo 2) poiché sarà costretto a mangiare alimenti
differenti rispetto a quelli dei suoi coetanei; lui e la sua famiglia dovranno non
solo interiorizzare questa nuova condizione che durerà “per tutta la vita”, ma
anche affrontare le barriere implicite poste dalla società. L’adozione della dieta
priva di glutine comporterà una riduzione del capitale sociale (Corposanto, 2008)
di cui i soggetti possono disporre, in relazione alla qualità e alla quantità delle loro
relazioni sociali.
Tuttavia, sarà proprio grazie alla relazione d’aiuto (Capitolo 3) con un educatore
esperto che il bambino celiaco e la sua famiglia saranno accompagnanti
nell’attraversamento della condizione di rischio psicosociale generata dalla
malattia; relazione che darà vita a interventi psicoeducativi e psicoevolutivi volti a
promuovere nel bambino e nella famiglia strategie di coping utili per superare il
disagio. Interventi educativi che renderanno il bambino consapevole e autonomo
nell’utilizzo delle sue risorse. Importante sarà anche la promozione d’interventi di
empowerment sociale per la famiglia, la quale spesso tende a rinunciare ad
importanti momenti di socializzazione sentendosi un peso per gli altri.
Proposito di questo elaborato sarà quello di dare un quadro sufficientemente
esaustivo di quanto possa essere difficile per i soggetti affetti da celiachia poter
convivere con questa malattia cronica, che richiede inizialmente grande impegno e
sacrificio, ma che può rivelarsi una sfida utile per la scoperta di risorse non ancora
emerse.
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“incarnazione”
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PRIMO CAPITOLO
LA CELIACHIA
1.1 Descrizione storico-medica della malattia
Koiliakos
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. Con questo termine già dal I secolo d.C. Celso definiva una
malattia intestinale caratterizzata da diarrea “ribelle”. Sarà poi Areteo di
Cappadocia, medico greco, nel capitolo Sulla diatesi celiaca del suo libro sulle
malattie croniche, che descriverà una sindrome con diarrea cronica molto simile a
quella che oggi è denominata celiachia (AIC, 2008). Secondo Areteo, tale
malattia si manifestava solo nell’adulto ed era molto difficile da curare. La terapia
consigliata consisteva nel riposo e nel digiuno; oppure una dieta a base di acqua,
uva, mirtillo, vino, in grado di attenuare la diarrea. Inoltre, egli per primo
definisce in modo specifico questi pazienti chiamandoli celiaci. Successivamente,
dovranno trascorrere diciassette secoli, nello specifico il 1888, per giungere a una
moderna descrizione della così citata da Samuel Gee (1888) «coeliac affection»
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.
Egli descrisse accuratamente la malattia, rilevandone una maggiore incidenza nei
bambini, tracciandone i sintomi più assidui e confermando la dieta come unica
terapia. Tuttavia, non riuscì a identificare quale fosse l’alimento scatenante di tale
affezione. Sarà Dicke nel 1950 a descrivere una riduzione dei casi di malattia
celiaca (d’ora in avanti MC) in Olanda, durante la Seconda Guerra Mondiale,
legata ad un minor apporto di cereali nell’alimentazione. Egli collegò la malattia
all'alimentazione con glutine e successivamente Kamer (1953) alle gliadine del
frumento. Da quel momento la dieta priva di glutine costituì la base per il
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Da Koilia: ventre, addome. Koiliakos, agg.:intestinale, detto di persona sofferente agli intestini.
Definizione tratta da: Cataudella, Manfredi, M., Di Benedetto, F. (1993) (Eds.) Dizionario
Illustrato Greco-Italiano di Cataudella, Manfredi, M., Di Benedetto, F. Le Monnier
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“malattia celiaca”
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trattamento della MC.
Oggi la celiachia, conosciuta anche come sprue celiaca (AIC, 2008), o più
semplicemente come intolleranza al glutine, è definita dagli specialisti come
sindrome da malassorbimento sottolineandone soprattutto il carattere cronico o
irreversibile.
La patogenesi di questa malattia è il risultato di un’interazione tra fattori genetici e
ambientali. I soggetti affetti da MC non tollerano il glutine, una proteina
contenuta principalmente in alcuni cereali, quali: frumento, segale, orzo, malto e
tutti gli alimenti da essi derivanti. I fattori genetici sono dati dalla predisposizione
dei soggetti affetti da MC a codificare antigeni contro una proteina del glutine (la
gliadina), innescando così una risposta immunologica indirizzata alla mucosa
intestinale. Nel momento in cui il soggetto ingerisce alimenti contenenti glutine
(fattore ambientale), avviene nell’intestino una reazione infiammatoria che causa
l’atrofia o appiattimento dei villi intestinali. Ne risulta così compromesso
l'assorbimento degli alimenti e lo stato di nutrizione della persona affetta da MC,
giacché non riesce ad assimilare alcun alimento.
1.1.1 Metodiche di diagnosi
Ulteriori conoscenze sulla malattia originarono dallo sviluppo di strumenti
sempre più adeguati per la diagnosi. Si deve a Crosby e Kugler verso la fine degli
anni cinquanta, la messa a punto dello strumento per eseguire le biopsie intestinali
(capsule di Crosby) (Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica, ADI,
2005: p.16), che da allora furono largamente utilizzate.
Lo sviluppo successivo dei test sierologici, intorno agli anni ottanta, fornì ulteriori
strumenti utili per la diagnosi di MC.
La prima di queste metodiche rientra nella diagnostica invasiva; poiché la biopsia
intestinale si esegue introducendo, attraverso la bocca sino alla parte superiore
dell'intestino tenue, un sondino munito di una capsula, che permette di prelevare
un piccolo frammento superficiale di mucosa intestinale. Tale frammento è subito
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esaminato.
I test sierologici rientrano nella diagnosi da laboratorio e la loro invasività è
minore rispetto alla biopsia intestinale. La diffusione nella pratica clinica di questi
test, dotati di alta sensibilità e specificità, consente di dosare la presenza degli
anticorpi anti-gliadina (AGA), degli anticorpi anti-endomisio (EMA) e anticorpi
anti-transglutaminasi (A-tTG), permettendo così di individuare agevolmente tutti i
casi di MC. Negli ultimi anni le indagini sierologiche si sono dimostrate utili per
lo screening
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, per la conferma diagnostica e per il follow-up della MC, dati che
andranno comunque confermati dalla biopsia intestinale.
Queste metodiche furono riconosciute e pubblicate, nel 1990, dalla Società
Europea di Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica (ESPGAN) (ADI, 2005:
p.17) come criteri univoci nella diagnosi di MC attualmente utilizzati.
1.2 Epidemiologia
L’aspetto epidemiologico della celiachia sembra essere in continua evoluzione
grazie al crescente interesse per questa malattia. Gli enormi sviluppi in ambito
scientifico negli ultimi quarant’anni hanno permesso in così poco tempo di
delineare un quadro clinico particolareggiato di un’affezione particolarmente
poliedrica e frequente nella popolazione. La diffusione di tale malattia è stata
sicuramente determinata dalla produzione industriale del grano e dal suo consumo
a livello mondiale. Agli inizi degli anni ’40 la MC era considerata un problema
esclusivamente dell’età infantile nello svezzamento, mentre oggi è ritenuta una
malattia di tutte le età. In passato la MC era legata a sintomi esclusivamente
gastroenterici, mentre oggi, grazie all’introduzione dei test sierologici si è potuto
rilevare come essa si presenti sotto svariate forme cliniche. Gli studi condotti dal
dott. Fasano presso il Center for Celiac Research di Baltimora, identificano
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Il termine, utilizzato in medicina, indica una strategia o protocollo d’indagini diagnostiche
generalizzate utilizzate per identificare una malattia in una popolazione standard. Per ulteriori
approfondimenti: Volta, U. e Ubaldi, E. (2009) La malattia celiaca in medicina generale Pisa:
Pacini Editore.