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1 - INTRODUZIONE
L’attenzione all’ambiente ed al risparmio energetico è diventata negli ultimi
decenni una delle costanti nel panorama non solo scientifico ma anche architettonico
mondiale. La riduzione dei consumi di energia e la conseguente diminuzione delle
emissioni di gas a effetto serra sono salite dunque ai primi posti tra le preoccupazioni
dei Capi di Stato e delle organizzazioni mondiali, in modo da garantire alle generazioni
future un pianeta vivibile.
E’ in questa direzione che si è mossa l’Unione Europea sin dal 2002 attraverso la
direttiva 2002/91/CE ed i provvedimenti seguenti (fino ad arrivare all’ultima direttiva
emanata, la 2010/31/UE), mirati ad incentivare l’utilizzo di tecnologie intelligenti e
fonti di energia alternative, nonché metodologie di costruzione ‘intelligenti’.
Tagli agli sprechi, sviluppo di tecnologie a basso impatto, attenzione alle
caratteristiche climatiche locali, è quanto viene chiesto dall’Unione attraverso le
direttive europee ad ogni Stato membro, tenuto a sviluppare una propria normativa
nazionale che sia in linea con le aspettative e gli obiettivi comunitari e allo stesso
tempo capace di interpretare le necessità proprie del territorio.
Fulcro di tutto il processo è l’Attestato di Certificazione Energetica, richiesto
dall’Unione Europea per ogni edificio di nuova costruzione e, in caso di vendita o
affitto, per gli edifici esistenti. Questo certificato è infatti segno di una volontà di
cambiare non solo le regole, ma la stessa mentalità delle persone: rendendo più
semplice ed immediata la conoscenza delle caratteristiche fisico-ambientali della
propria abitazione, nonché dando la possibilità di beneficiare di incentivi economici in
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caso di costruzioni a basso impatto ambientale, i governi mirano infatti a sviluppare
una coscienza che miri a sviluppare, con intenti comuni, un interesse globale per la
salvaguardia degli ecosistemi e uno sfruttamento razionale e lungimirante delle risorse
energetiche.
Lo scopo di questo elaborato è dunque di analizzare le diverse metodologie
utilizzate ai vari livelli istituzionali, a partire dall’Unione Europea fino ai principali Stati
membri, per conseguire gli obiettivi comuni. Si arriva quindi a confrontare tra di loro i
risultati raggiunti dalle normative nazionali nell’ottica dell’efficienza energetica delle
costruzioni, che siano esse di nuova progettazione oppure preesistenti.
Proprio partendo da questi presupposti, nel secondo capitolo si analizzano non
solo gli obiettivi fissati dall’UE per il risparmio energetico nell’edilizia, ma anche gli
strumenti messi a disposizione dall’Unione stessa per raggiungere i predetti obiettivi:
commissioni, procedure, campagne di informazione e norme tecniche.
Lasciato alle spalle il contesto più generico delle linee guida europee, nel terzo
capitolo si scende nello specifico con un’analisi delle metodologie utilizzate da alcuni
degli Stati membri (Italia in primis, ma anche Regno Unito, Francia e Germania) ed il
recepimento delle indicazioni date dalle direttive europee. Grande attenzione viene
prestata alle diverse forme di attestati energetici.
La certificazione energetica, nonostante possa essere intesa come l’ennesimo
obbligo normativo dettato dalla burocrazia, deve invece essere considerata
un’importante opportunità, non solo per la valorizzazione delle stesse costruzioni
(sulla base dell’efficienza energetica), ma soprattutto per le considerevoli ricadute in
termini di risparmio economico e di salvaguardia ambientale.
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2 - LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA IN EUROPA
2.1 - LA DIRETTIVA 2002/91/CE
“Poiché gli edifici influiscono sul consumo energetico a lungo termine, tutti i nuovi
edifici dovrebbero essere assoggettati a prescrizioni minime di rendimento energetico
stabilite in funzione delle locali condizioni climatiche. A questo proposito le migliori
prassi dovrebbero essere destinate ad un uso ottimale degli elementi relativi al
miglioramento del rendimento energetico. Dato che in genere il potenziale
dell’applicazione dei sistemi energetici alternativi non è analizzato in profondità, la
fattibilità tecnica, ambientale ed economica dei sistemi energetici alternativa dovrebbe
essere accertata una volta, ad opera dello stato membro, mediante uno studio che
indichi un elenco di misure di conservazione dell’energia, per condizioni medie di
mercato locale, che soddisfino criteri relativi al rapporto costi/efficacia. […]” (XXII
premessa alla direttiva 2002/91/CE).
La Comunità europea risulta essere sempre più dipendente dalle fonti di energia
esterne alla Comunità stessa, mentre sono in costante aumento le emissioni di gas a
effetto serra. Per questo negli ultimi anni le iniziative della Comunità, volte a limitare i
cambiamenti climatici (inseguendo gli impegni presi con la firma del Protocollo di
Kyoto) e ad assicurare un ininterrotto approvvigionamento energetico, si sono
moltiplicate senza sosta.
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In quest’ambito si inserisce la direttiva europea 2002/91/CE, emanata il 16
dicembre 2002 dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea e pubblicata sulla
G.U.C.E. (la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea) del 4 gennaio 2003, sul rendimento
energetico dell’edilizia, mirata a ridurre i consumi di energia (nel settore residenziale e
terziario rappresentano il 40% dei consumi totali nella UE) e a limitare le emissioni di
gas ad effetto serra, cercando di porre un freno al fenomeno del surriscaldamento
globale. La strategia adottata dalla Direzione generale Trasporti ed Energia (DG-TREN),
che ne ha curato la preparazione, è quella di agire non solo sulla domanda, mediante
un miglioramento dell’efficienza energetica (e la riduzione del consumo di energia che
naturalmente ne consegue), ma anche sulla promozione dell’utilizzo e dello sviluppo
delle fonti energetiche rinnovabili, in modo da ridurre l’impatto ambientale dell’attività
antropica.
La direttiva fissa una serie di linee guida flessibili, a cui i Paesi membri dell’UE
devono adeguare la propria legislazione. Questo, ovviamente, in quanto nel settore
edilizio sono notevoli le differenze tra i vari Paesi: dal clima alle tipologie edilizie, dalle
tecnologie e dalle pratiche costruttive ai regimi di proprietà, dalle abitudini e
dall’atteggiamento dei consumatori al quadro legislativo esistente e alla sua
articolazione nazionale-regionale-locale. Le soluzioni a cui l’applicazione della direttiva
2002/91/CE ha condotto sono quindi molto diverse da un Paese all’altro.
La data verso cui proiettare gli obiettivi da raggiungere (migliorare del 20%
l’efficienza energetica dell’UE, incrementare fino al 20% la percentuale dell’energia
ricavata da fonti rinnovabili, ridurre del 20% le emissioni di anidride carbonica) è stata
fissata per il 2020 dal Piano d’Azione del Consiglio europeo denominato “Una politica
energetica per l’Europa” (marzo 2007). Data e obiettivi assunti nel settembre 2007 a
livello nazionale dall’Energy Position Paper.
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2.1.1 - I CONTENUTI DELLA DIRETTIVA 2002/91/CE
La direttiva riguarda il settore residenziale ed il settore terziario (edifici pubblici,
uffici, ecc.), escludendo tuttavia alcuni edifici, come gli edifici storici ed i siti industriali,
dal campo di applicazione delle disposizioni relative alla certificazione. Rimane
comunque esplicita la volontà di promuovere il miglioramento del rendimento
energetico degli edifici nella Comunità europea, tenendo conto in ogni caso delle
diverse condizioni climatiche esterne e dell’efficacia sotto il profilo dei costi.
Quattro sono gli elementi principali del documento:
- la definizione del quadro generale di una metodologia di calcolo del rendimento
energetico integrato degli edifici (art. 3);
- l’applicazione di requisiti minimi in materia di rendimento energetico degli edifici di
nuova costruzione (art. 5) e degli edifici esistenti di grande metratura e sottoposti a
importanti ristrutturazioni (art. 6);
- i sistemi di certificazione energetica degli edifici di nuova costruzione ed esistenti
(art. 7);
- l’ispezione periodica delle caldaie e degli impianti centralizzati di aria condizionata
negli edifici, nonché la valutazione la perizia del complesso di impianti termici dotati di
caldaie installate da oltre 15 anni (art. 8).
Tra gli aspetti più importanti evidenziati, bisogna sottolineare il fatto che la
prestazione energetica calcolata debba esprimere la quantità di energia necessaria per
soddisfare i diversi bisogni supponendo un uso standard dell’edificio. Quindi non viene
considerato solamente il riscaldamento dell’ambiente e dell’acqua per usi sanitari, ma
anche il raffrescamento, la ventilazione e l’illuminazione degli ambienti. Il tutto
attraverso indicatori che “tengano conto della coibentazione, delle caratteristiche
tecniche e di installazione, della progettazione e della posizione in relazione agli aspetti
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climatici, dell’esposizione al sole e dell’influenza delle strutture adiacenti, dell’esistenza
di sistemi di generazione propria di energia e degli altri fattori, compreso il clima degli
ambienti interni, che influenzano il fabbisogno energetico” (art. 2 - Definizioni).
La metodologia comune di calcolo tiene conto di tutti gli elementi che concorrono
a determinare l’efficienza energetica, non più solo della qualità dell’isolamento
termico, e può essere definita a livello nazionale o anche regionale, purché il
rendimento energetico sia espresso in modo trasparente, indicando eventualmente
anche il valore delle emissioni di CO
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, e che i requisiti vengano rivisti dagli Stati membri
a scadenze regolari, in linea di massima non superiori ai cinque anni, e se necessario
aggiornati in funzione dei progressi tecnici nel settore edilizio.
Rispetto al passato si può scorgere un’attenzione di gran lunga maggiore al
raffrescamento e al condizionamento dell’aria. Un motivo può essere certamente il
sostanziale innalzamento del tenore di vita e, di conseguenza, l’aumento della richiesta
di comfort, che hanno fatto accrescere negli ultimi decenni la domanda energetica per
il condizionamento, molto più che rispetto al riscaldamento degli edifici (comunque
ancora prevalente). Una seconda motivazione, tuttavia, può essere quella della
crescente integrazione tra i sistemi di riscaldamento ed i sistemi di raffrescamento, sia
attraverso le cosiddette ‘pompe di calore reversibili’, sia attraverso i sistemi ‘passivi’.
Grande attenzione è stata posta anche alle opportunità offerte dall’edilizia
bioclimatica, cioè alla possibilità di ottenere sostanziali risparmi energetici nel
riscaldamento, nel raffrescamento e nell’illuminazione attraverso una progettazione
‘intelligente’, che ottimizzi la tipologia e l’orientamento degli edifici, la scelta dei
materiali, le dimensioni e la disposizione delle finestre, l’adozione di frangisole fissi
oppure orientabili, l’apporto di vegetazione e di acqua. Questo tipo di interventi sono
particolarmente semplici da attuare, efficaci ed economicamente convenienti nel
momento in cui si realizzano nuovi edifici, ma possono fornire importanti contributi
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anche nel caso di ristrutturazioni di edifici già esistenti. Il tutto richiede ovviamente
una grande attenzione alle condizioni climatiche locali, non più esprimibili attraverso i
‘Gradi-Giorno’ (la somma degli scostamenti giornalieri della temperatura media da
quella di riferimento) come avviene tradizionalmente, ma tenendo conto
dell’insolazione, dell’umidità, della ventilazione naturale, ecc. In pratica, quindi,
dell’intero microclima locale.
Un’importante novità introdotta dalla direttiva consiste nel considerare non più
solo gli edifici di nuova costruzione, ma anche quelli esistenti (di metratura superiore ai
1.000 m 2
) che subiscano interventi di ‘ristrutturazione importante’, definita al punto 13
delle premesse come “un’opportunità di migliorare il rendimento energetico mediante
misure efficaci sotto il profilo dei costi. Ristrutturazioni importanti si hanno quando il
costo totale della ristrutturazione connesso con le murature esterne e/o gli impianti
energetici quali il riscaldamento, la produzione di acqua calda, il condizionamento
d’aria, la ventilazione e l’illuminazione è superiore al 25% del valore dell’edificio,
escluso il valore del terreno sul quale questo è situato, o quando una quota superiore al
25% delle murature esterne dell’edificio viene ristrutturata” . In sostanza, una
ristrutturazione che interessi la muratura periferica dell’edificio e/o gli impianti di
riscaldamento, condizionamento, ventilazione, illuminazione e produzione di acqua
calda di edifici preesistenti, deve essere l’occasione per migliorare il loro rendimento
energetico, anche se non è possibile pretendere che si adeguino agli standard più
esigenti delle nuove costruzioni. Nel caso di edifici di nuova costruzione dalla superficie
utile superiore ai 1.000 m 2
, sono necessari inoltre studi di fattibilità tecnica,
ambientale ed economica che prendano in considerazione l’utilizzo di energie
rinnovabili, la cogenerazione, il teleriscaldamento nel caso in cui sia possibile, oppure
l’utilizzo di pompe di calore.
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In varie parti della direttiva, e più specificatamente all’art. 12, si richiama la
necessità di migliorare l’informazione agli utilizzatori degli edifici sulle tecnologie e sui
possibili interventi per aumentare l’efficienza energetica e ridurre i consumi. A questo
proposito risulta indispensabile la realizzazione da parte degli Stati membri di
campagne di informazione che, oltre a diffondere notizie e sottolineare opportunità,
dovrebbero costituire un riferimento serio e obiettivo rispetto alle campagne oggi
prevalenti, portate avanti da operatori non disinteressati che mirano alla promozione
di particolari impianti o di una sola sorgente di energia rispetto ad altre.
2.1.2 - L’ ARTICOLO 7 DELLA DIRETTIVA 2002/91/CE: LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA
La direttiva prevede che gli Stati membri dell’UE provvedano a fare in modo che,
in caso di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l’attestato di
certificazione energetica (documento con validità massima di dieci anni) venga messo
a disposizione del futuro acquirente o locatario. In tale attestato devono essere
indicati i “dati di riferimento, quali i valori vigenti a norma di legge e i valori
riferimento, che consentano ai consumatori di valutare e raffrontare il rendimento
energetico dell’edificio. L’attestato è corredato di raccomandazioni per il
miglioramento del rendimento energetico in termini di costi-benefici” (art. 7, paragrafo
2). Il principio è piuttosto semplice: una casa ben progettata porta a un risparmio di
energia e, quindi, a un risparmio economico. Questa considerazione pesa dunque sulla
valutazione economica dell’edificio, che sia in vendita o in affitto, ed è logico che
l’acquirente o l’affittuario ne debbano avere una conoscenza certificata per fare i
propri conti. E’ prevedibile inoltre che il riflesso sul valore di mercato spinga il
costruttore a migliorare le prestazioni di un edificio se queste si ripagano.
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In più vi è una precisa esortazione affinché “negli edifici la cui metratura utile
totale supera i 1.000 m 2
occupati da autorità pubbliche e da enti che forniscono servizi
pubblici a un ampio numero di persone e sono pertanto frequentati spesso da tali
persone sia affisso in luogo chiaramente visibile per il pubblico un attestato di
certificazione energetica risalente a non più di dieci anni prima” (art. 7, paragrafo 3). In
questa indicazione emerge la chiara volontà di rendere gli edifici pubblici degli esempi
virtuosi di edilizia, almeno dal punto di vista energetico.
Relativamente a chi si debba occupare della certificazione energetica stessa e alla
redazione dell’ACE (Attestato di Certificazione Energetica), la direttiva punta
essenzialmente su due aspetti: la competenza e l’indipendenza. Riferendosi ai
certificatori energetici ed agli ispettori degli impianti di climatizzazione, infatti, parla di
esperti indipendenti, qualificati e/o riconosciuti sia nel caso operino come imprenditori
individuali, sia come impiegati di enti pubblici o organismi privati. La figura del libero
professionista competente in materia ed iscritto al relativo albo professionale, che per
definizione ha il compito di vigilare e di garantire etica e formazione dei propri iscritti,
risponde alle caratteristiche di indipendenza e di qualificazione previste. Le modalità
per il riconoscimento delle competenze devono essere stabilite a livello nazionale,
delegando agli organismi regionali la gestione dei nominativi e la verifica delle stesse
competenze, con l’iscrizione dei professionisti su appositi albi oppure su elenchi di
certificatori energetici riconosciuti dalla regione.