Introduzione La ricerca da sempre è stata considerata uno dei principali fautori del progresso
tecnologico che, soprattutto nell’ultimo secolo, ha contribuito ad aumentare il
benessere sociale. Scoperte come l’elettricità, i motori, i semiconduttori, hanno
reso più facili le principali attività lavorative; le innovazioni hanno permesso alle
persone di poter comunicare anche a migliaia di chilometri di distanza. I calcoli
matematici hanno permesso all’uomo di poter arrivare sulla luna, ed il gps, a sua
volta, ha permesso di scovare le vie più nascoste di ogni singola città. La ricerca
non è un’attività che si completa in un giorno, non si arriva mai ad una fine,
perché la scoperta di qualcosa genera sempre nuove domande e nuove possibilità
di ricerca. La ricerca crea innovazione tecnologica, che a sua volta genera
conoscenza in grado di risolvere problemi e perseguire scopi sempre più
ambiziosi.
La ricerca e sviluppo, negli ultimi decenni, prende sempre più quota, sia
all’interno delle imprese, sia nella politica degli Stati. L’innovazione tecnologica
in molti settori diviene il fattore competitivo per eccellenza: innovare significa
raggiungere il successo di mercato che, attraverso nuovi prodotti e processi,
permette di raggiungere la leadership. Inoltre il progresso tecnologico e scientifico
è un fattore di crescita importante per tutti i Paesi del mondo, infatti, come
analizzato nel 1957 dal premio nobel Robert Merton Solow, data una quantità di
lavoro e capitale fissa, un aumento della produzione può scaturire solamente dal
progresso tecnico.
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In questa tesi, si vuole focalizzare l’attenzione sul particolare tipo di ricerca
effettuato dagli enti pubblici come le Università, ed in particolar modo sul
cambiamento che queste stanno affrontando negli ultimi anni. Le Università,
piuttosto che gli Enti Pubblici in generale, sono una delle principali fonti
dell’innovazione, ed il loro apporto nella ricerca è fondamentale sia per le imprese
che per la società. Le Università da sempre si sono occupate principalmente di
ricerca di base, che è proprio quella necessaria ad ampliare le conoscenze,
lasciando alle imprese il compito di tramutarle in applicazioni. Nell’ultima metà
del XX secolo si è osservato però uno spostamento da parte delle accademie,
verso una ricerca più applicata, così da creare una sinergia tra apporto pubblico e
privato. In Italia questa trasformazione è avvenuta più lentamente, infatti solo
negli ultimi decenni le Università stanno assumendo una forma più
“ imprenditoriale ”. Le motivazioni di questo cambiamento sono diverse, le
principali sono da una parte il calo dei finanziamenti pubblici e dall’altra le
ambizioni dei ricercatori che vogliono partecipare più attivamente all’applicazione
commerciale delle proprie scoperte. Questo determina maggiori collaborazioni tra
Enti di ricerca pubblica ed imprese, apportando vantaggi sia alle Università che
possono arricchire la propria offerta formativa, sia alle imprese che possono
innovare con costi minori.
Per quanto riguarda la struttura del lavoro, la tesi è suddivisa in 3 capitoli, oltre
all’introduzione e alle conclusioni. In ogni capitolo sono presenti diverse
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discussioni sul tema della ricerca ed in particolar modo degli Enti pubblici, con
approfondimenti legati alle differenze tra l’Italia ed i Paesi dell’Unione Europea.
Il primo capitolo di questa tesi si sofferma inizialmente sul concetto di ricerca e
sviluppo, analizzando in particolare il tema della ricerca di base, della ricerca
applicata e dello sviluppo sperimentale. Successivamente l’analisi si concentra
sulla ricerca negli Enti pubblici, e principalmente nelle Università. Il presente
lavoro vuole mostrare la situazione attuale della ricerca pubblica italiana,
mostrando i difetti che potrebbero portare ad un successivo cambiamento.
Vengono mostrati una serie di dati riguardanti la produzione scientifica e vengono
analizzate le differenze tra l’Italia, i Paesi dell’Unione Europea e gli Stati Uniti. Il
primo capitolo termina con un’analisi sul finanziamento delle strutture pubbliche
e sui progetti futuri con l’approfondimento del testo del “Piano Nazionale della
Ricerca 2010-2012”.
Nel secondo capitolo la tesi vuole mostrare in che modo gli Enti pubblici
analizzati nel primo capitolo, possono valorizzare i risultati della ricerca. Vengono
discussi i motivi che hanno portato le Università a migrare verso una diversa
modalità di ricerca, ed in particolare vengono studiati due strumenti: le imprese
spin-off della ricerca e gli Industrial Liaison Office. Il lavoro successivamente
analizza i dati della produzione in termini di ricerche e brevetti effettuate dagli
Enti pubblici italiani rispetto ai Paesi esteri, evidenziando le differenze e le
opportunità future della ricerca pubblica italiana.
Infine, con il terzo ed ultimo capitolo viene analizzata la riforma universitaria e in
che modo il ddl 1905 può avvicinare l’Università all’impresa. Si sofferma
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l’attenzione su quei punti della riforma che potrebbero apportare vantaggi alle
Università in termini di ricerca pubblica, rendendole maggiormente competitive,
mostrando infine i pareri di professori e ricercatori.
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1. La ricerca di base nel settore pubblico 1.1 La filiera della ricerca e sviluppo Gli economisti, convenzionalmente, definiscono il concetto di ricerca e sviluppo
come l’insieme di quei processi basati sul lavoro creativo, che hanno lo scopo di
aumentare il bagaglio di conoscenza dell’uomo e della società fornendo strumenti
per migliorare i prodotti o per crearne di nuovi (Roberts, 2001). Ricerca e
sviluppo molto spesso vengono considerate nel linguaggio economico una coppia
inscindibile, quando invece queste, anche se collegate all’innovazione, si
riferiscono a campi di attività molto differenti (Schilling, 2009). La ricerca è
l’attività umana che ha il compito di scoprire ed interpretare i dati, fornendo una
spiegazione per il semplice fine della curiosità o del soddisfacimento di un
bisogno. Solitamente l’attività di ricerca è affidata appunto al ricercatore, figura
che con il tempo ha avuto diverse interpretazioni. Adam Smith sosteneva che: “i
miglioramenti nei macchinari provenivano sia dai produttori e dagli utilizzatori
delle macchine, sia da filosofi e uomini di pensiero, la cui attività è quella di non
fare nulla ma di osservare tutto”. I “filosofi” vennero successivamente definiti
scienziati, e fu solo con l’avvento del XIX secolo che si formarono i primi
laboratori di ricerca e che il ricercatore divenne una figura sociale.
Successivamente con i vari boom economici, il reparto di R&S all’interno delle
imprese assume maggiore importanza. Gli imprenditori capiscono che con gli
investimenti in ricerca possono ottenere la leadership sul mercato (Arrow, 1962), e
l’innovazione diviene parte fondamentale dello sviluppo capitalistico (Shumpeter,
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1954). Per differenziarsi dalla concorrenza le imprese sono molto incentivate a
realizzare nuovi prodotti, potendo contare sulla grande disponibilità di risorse e su
un management preparato (Schilling, 2009). Schumpeter è il primo autore che
offre una trattazione sistematica del problema e dei meccanismi con cui
l’innovazione influenza i sistemi economici e lo sviluppo (Gambardella, 2009).
L’autore evidenzia come l’impresa attraverso le “ nuove combinazioni di mezzi di
produzione ” può spostare gran parte della domanda verso di sé, battendo i
concorrenti con un prodotto che riesce a soddisfare meglio i bisogni dei clienti.
L’innovazione inoltre può contare su diverse fonti in relazione tra di loro, che
formando i cosiddetti network d’innovatori, possono essere considerate tra i
fattori principali del progresso tecnologico (Smith-Doerr et al., 1999).
1.2 Le componenti della ricerca e sviluppo Il concetto di ricerca e sviluppo può essere suddiviso, secondo quando convenuto
tra paesi facenti parti dell’OECD (manuale di Frascati, 1994), in: ricerca di base,
ricerca applicata e sviluppo sperimentale.
1.2.1 La ricerca di base La ricerca di base è quell’attività che permette di acquisire nuove conoscenze sui
fondamenti, o di approfondire il sapere di un’area scientifica alla base di fenomeni
e fatti osservabili, senza finalizzarsi verso uno specifico uso o applicazione; il suo
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obiettivo fondamentale è contribuire al progresso del sapere scientifico, che pure
nel lungo termine potrebbe offrire opportunità di mercato (Schilling, 2009;
Sorrentino, 2001). La ricerca di base, anche detta “ricerca pura”, non ha forme
applicative di mercato immediate. Data la lentezza nei processi e l’imprevedibilità
della futura scoperta, questa fondamentale attività di conoscenza ha perso sempre
più importanza, quando in realtà è proprio grazie a questa che vengono
continuamente allargate le frontiere della conoscenza e sono state fatte le scoperte
più importanti per il progresso dell'umanità (scoperte spesso anche diverse da
quelle che il ricercatore aveva previsto) (Sirilli, 2009). La ricerca di base infatti
produce nuove conoscenze “non finalizzate” che potrebbero mettere in
discussione alcuni risultati precedentemente acquisiti (Sorrentino, 2001). Le
nuove conoscenze aumentano il patrimonio culturale, che in seguito potrebbe
essere riutilizzato per applicazioni commerciali, che arricchiranno a loro volta il
progresso tecnologico nel suo complesso e che dovranno poi essere trasferite alle
imprese e alle istituzioni (Bertazzoli 2000, Bozeman 2000, Delfino et al. 1993).
La ricerca pura, infatti, non produce direttamente sapere tecnologico, ma
consente, tramite avanzamenti di conoscenza, una riduzione dei costi di
produzione di nuove classi di tecnologia (Rosenberg, 1990). La ricerca di base
inoltre permette la nascita delle cosiddette “ scoperte fondamentali ” (Buscema,
Pieri, 2004). Le “ scoperte fondamentali ” sono quel tipo di scoperte che non si
limitano ad accrescere la conoscenza, ma creano un progresso scientifico che nel
tempo produce un esponenziale ritorno economico (Buscema, Pieri, 2004). La
ricerca di base non necessita di un gran numero di ricercatori, in quanto spesso le
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nuove teorie e le sperimentazioni innovative provengono da un gruppo ristretto di
soggetti con molte competenze e idee simili, che lavorando insieme condividono
lo stesso obiettivo (Buscema, Pieri, 2004). Mansfield in uno studio effettuato su
71 imprese, cerca di analizzare in quale quantità la ricerca di base abbia
contribuito ad un miglioramento della società. L’autore ha potuto verificare che
l’11% dei nuovi prodotti ed il 9% dei nuovi processi non sarebbero potuti essere
sviluppati senza la ricerca accademica. Successivamente Salter e Martin (2001), in
una loro pubblicazione, elencano i meriti della ricerca accademica, e stando a
quanto dicono, questa ha contribuito: ad aumentare lo stock di conoscenze; alla
formazione di laureati, che rappresentano un fondamentale veicolo per trasferire al
mondo della produzione non soltanto le nuove metodologie ma anche un nuovo
atteggiamento innovativo (Sirilli, 2005); alla messa a punto di nuova
strumentazione e di nuove metodologie, che possono aprire nuovi scenari di
mercato e travolgere radicalmente l’avanzamento delle tecnologie; alla
promozione di un network di contatti e all’ incentivo alle interazioni sociali
nell’ambito del sistema nazionale di innovazione.
A tal proposito, sono disponibili diversi esempi di come i risultati della ricerca di
base, anche senza un applicativo immediato e quindi una valorizzazione celere
della scoperta ottenuta, abbiano, a distanza di anni, ottenuto un riscontro
importante per l’avanzamento tecnologico. Un esempio è la “Teoria della
Relatività Ristretta” di Albert Einstein, elaborata nel 1905 dal celebre fisico
(allora uno sconosciuto ventiseienne), che trovò la sua prima forma applicativa
solamente nel 1942 da parte di Enrico Fermi con la “pila atomica” e
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successivamente nel 1945, con l’esplosione della prima bomba atomica. O anche
il sistema GPS, il quale non esisterebbe senza la teoria della relatività: la
localizzazione precisa in latitudine e longitudine deriva dai segnali emessi dai
satelliti del Global Positioning System in orbita geostazionaria (Leonardo
Felician, 2009). Ancor più pratico esempio è dato dalla nascita di una delle
piattaforme attualmente più utilizzate per la comunicazione il “World Wide Web”.
Nasce il 6 agosto 1991 presso il CERN (Conseil Européen pour la Recherche
Nucléaire) di Ginevra, il più importante laboratorio di fisica europeo,
dall’informatico inglese Tim Berners-Lee che pubblicò il primo sito web dando
così vita al fenomeno "WWW". L’idea era quella di implementare e migliorare la
comunicazione tra i ricercatori del centro attraverso un software per la
condivisione di documentazione scientifica in formato elettronico,
indipendentemente dalla piattaforma informatica utilizzata. Dopo i primi anni in
cui era stato usato solo dalla comunità scientifica, il 30 aprile 1993 il CERN
decise di mettere il WWW a disposizione del pubblico rinunciando ad ogni diritto
d'autore. La semplicità della tecnologia decretò un immediato successo: in pochi
anni il “World Wide Web” divenne la modalità più diffusa al mondo per inviare e
ricevere dati su Internet, la pietra angolare di quella che oggi è nota come "era del
web". Bisogna riconoscere quindi grandi meriti alla ricerca di base e al movente
della “semplice curiosità”, e come afferma anche l’astrofisica premio Nobel
Margherita Hack: “Se l’innovazione dipende dal progresso della ricerca applicata,
è dalla ricerca di base che dipende il futuro di qualsiasi applicazione produttiva”.
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