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INTRODUZIONE
Una delle competizioni piø ardue che le democrazie contemporanee
devono affrontare consiste nella necessità di conciliare i crescenti livelli
di diversità multiculturale con il senso di una identità comune da porre
alla base dei moderni sistemi di welfare.
La diversità culturale delle persone che vivono nelle varie società fa sì
che mentre da un lato si cerca di garantire i diritti sociali in modo equo e
uniforme, dall’altro si diffondono all’interno di tali società forti pressioni
per la riscoperta dell’identità nazionale, dettate anche al fatto che i diritti
sociali dipendono in modo cospicuo dalla disponibilità collettiva a
contribuirvi, poichØ la loro tutela è finanziata dalle entrate fiscali.
Dato che le risorse utilizzabili sono limitate, risulta difficile decidere
quali diritti garantire anche a coloro che contribuiscono da un limitato
periodo di tempo o non contribuiscono affatto alle entrate dello Stato in
cui risiedono.
Obiettivo di questo elaborato è quello di approfondire come la questione
dei diritti sociali dell’inserimento dei gruppi e delle comunità immigrate
all’interno delle società sia stata affrontata in Italia e nel Regno Unito, in
quanto, la vera e propria problematicità in tema di diritti sociali è data dal
fatto che si tratta di diritti ancorati ad un’idea di appartenenza ad una
collettività.
Questa scelta è frutto di un desiderio di approfondimento delle tematiche
legate ai fenomeni migratori nel nostro paese e nel Regno Unito ed, in
particolare, delle garanzie dei diritti sociali nell’ambito del diritto
dell’immigrazione.
Per questo motivo ho preferito dedicare la prima parte del mio lavoro alla
normativa internazionale ed europea in tema di diritti dello straniero in
modo tale da poter creare una vera e propria introduzione a tale tematica.
2
Il secondo capitolo è invece dedicato alla condizione giuridica dello
straniero in Italia attraverso l’analisi delle tutele e dei diritti dello
straniero in base alla Costituzione e alle varie normative in materia che si
sono susseguite nel nostro ordinamento dagli anni ‘80 ad oggi.
Il terzo capitolo è rivolto alla condizione giuridica dello straniero nel
Regno Unito mediante l’illustrazione dell’excursus storico dell’impianto
normativo britannico, molto piø ricco di quello italiano a causa del fatto
che tale territorio è stato da sempre considerato un paese di
immigrazione.
Infine, il quarto capitolo è dedicato ad un’analisi comparatistica dei
diritti sociali dello straniero in Italia e nel Regno Unito, in particolar
modo rivolta al diritto sociale all’istruzione ed alla sanità.
Tale indagine è stata attuata attraverso l’illustrazione delle modalità
attraverso cui tali diritti si estrinsecano, chi ne sono i destinatari e dei
dati statistici che emergono in materia.
L’intento di questa tesi è quindi, quello di rendere disponibili le
informazioni su come i diritti sociali siano stati affrontati, e sono
tutt’oggi affrontati in ambito internazionale, europeo, italiano e
britannico, in quanto, lo studio dei diritti sociali degli immigrati nelle
società di accoglienza risulta essere un tema cruciale per tentare di
inquadrare le sempre maggiori problematiche derivanti dall’estensione
del fenomeno migratorio.
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CAPITOLO I
NORMATIVA INTERNAZIONALE ED EUROPEA IN TEMA
DI DIRITTI DELLO STRANIERO
1.1) Profili storici: Dalla Convenzione internazionale
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale ad
oggi
Sin dalla nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite si avvertì
l’esigenza di porre l’attenzione delle grandi potenze sulla condizione
dello straniero e sulla necessità di contrastare il fenomeno delle
discriminazioni fondate sulla diversità di razza; per tali ragioni il
10.11.1948 si giunse alla stipulazione della Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo, dove, all’art. 1, si prevede che: “tutti gli esseri umani
nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” ed all’art 2, piø
specificatamente che: “ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le
libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna,
per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di
ricchezza, di nascita o di altra condizione
1
”.
La Dichiarazione si basa sul principio secondo cui tutti gli esseri umani
sono dotati di ragione e di coscienza, che nascono liberi ed uguali e che
quindi, sulla base di tali presupposti debbano godere dei medesimi diritti;
ed è proprio sulla base di ciò che si ritiene inammissibile ogni forma di
discriminazione.
1
Si veda la Dichiarazione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale
predisposta dalla Commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite ed adottata
dall’Assemblea generale il 20.11.1963, con la risoluzione n. 1904.
4
Tuttavia è bene ricordare che la Dichiarazione in esame, riguardando
principi, non ha diretta efficacia obbligatoria
2
, ed è per tale motivo che il
ruolo svolto dai singoli Stati è sempre stato oggetto di costante
attenzione per garantire una sempre maggiore integrazione tra i popoli.
Un importante passo in avanti della comunità internazionale fu senza
ombra di dubbio la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni
forma di discriminazione razziale, adottata dall’Assemblea Generale
dell’ONU in data 21.12.1965
3
con l’intento di rendere giuridicamente
vincolante il principio della non-discriminazione razziale già
precedentemente enunciato.
La Convenzione definisce discriminazione razziale “ogni distinzione,
esclusione, limitazione o preferenza basata sulla razza, il colore della
pelle, la discendenza o l'origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o
l'effetto di annullare o compromettere il riconoscimento, il godimento o
l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà
fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale
o in ogni altro ambito della vita pubblica”.
Inoltre, ha previsto la creazione di un Comitato per l’eliminazione della
discriminazione razziale (CERD), il primo organo di monitoraggio
previsto da un trattato sui diritti umani, che tutela l'applicazione della
Convenzione attraverso lo studio dei rapporti degli Stati che hanno preso
parte alla Convenzione.
Il CERD è composto da 18 esperti eletti dai singoli Stati firmatari, i quali
hanno il compito di esaminare i rapporti periodici (che il Segretario
2
La stessa Commissione ONU, conscia del problema, in quella sede espresse l’opinione per
cui la dichiarazione avrebbe avuto solo un valore formale (ECOSOC VI sez. suppl. I E/600 p.
20).
3
V. F. Seatzu, Il Protocollo n. 12 alla Convenzione europea per la protezione dei diritti
dell’uomo: uno strumento efficace per la tutela dell’uguaglianza e per l’eliminazione delle
discriminazioni?,in Jus, 2002, pag. 13 ss.
5
generale dell’ONU deve presentare ogni due anni o su richiesta del
comitato stesso), nonchØ i ricorsi interstatuali ed i ricorsi individuali.
Il Comitato sollecita inoltre la necessità di rimuovere gli ostacoli che
impediscono il godimento dei diritti economici, sociali e culturali, da
parte dei non-cittadini, in particolare nei settori dell’istruzione, degli
alloggi, dell’occupazione e della salute, garantendo che le istituzioni
pubbliche di istruzione siano aperte anche ai figli di immigrati non
regolarmente presenti e sia evitata la segregazione nelle scuole e
nell’accesso all’abitazione.
Il complesso di norme di maggiore organicità in materia di
discriminazione razziale è tuttavia costituito dalla L. 654/1975, di ratifica
ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle
Nazioni Unite a New York nel 1966.
Tale Convenzione condanna qualsiasi forma di discriminazione razziale,
in particolar modo le forme piø efferate, quali la segregazione razziale e
l’apartheid.
Gli Stati contraenti si impegnano a non porre in essere pratiche di
discriminazione razziale, e ad adottare provvedimenti volti ad eliminare
tali pratiche.
L’articolo 5 della Convenzione, inoltre, impegna gli Stati contraenti ad
operarsi per garantire una serie di diritti fondamentali, quali il diritto
all’eguaglianza di fronte alla legge, il diritto alla sicurezza e all’integrità
personale, i diritti politici ed altri diritti civili, tra cui il diritto alla
circolazione, la libertà di pensiero, di religione, il diritto al lavoro, alla
sanità, all’educazione.
Il diritto a non essere discriminati per la propria origine è ormai
riconosciuto ampiamente, riportato in tutti i documenti internazionali di
tutela dei diritti umani, a conferma che nell’ambito delle NU la lotta
6
contro il razzismo e la discriminazione razziale ha rappresentato fin dalla
costituzione dell’organizzazione un obiettivo primario.
In questo senso, l’Assemblea generale ha ribadito il suo impegno nel
corso degli anni convocando tre Conferenze mondiali (1978, 1983 e
2001), e proclamando tre Decenni dedicati alla lotta contro il razzismo e
la discriminazione razziale (1973-1982, 1983-1992 e 1994-2003-2009).
L’ultima conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione
razziale, la xenofobia e l’intolleranza si è tenuta a Ginevra dal 20 aprile
al 24 del 2009 ed è stata una conferenza di revisione di Durban
4
l’utilità
di tale strumento revisionistico è stata individuata nel fatto che ciò
rappresenta una tappa di vitale importanza per ribadire non solo che il
razzismo esiste in tutti i paesi, ma anche che combatterlo è responsabilità
di tutti i governi e della società.
Vista l’importanza cruciale dei temi in agenda alla Conferenza, era
essenziale garantire un’ampia partecipazione. Se questa fosse stata
ridotta, infatti, si sarebbe rischiato di vanificare alcuni dei progressi
compiuti finora, mandando inoltre il messaggio, alle vittime del
razzismo e della discriminazione, così come a coloro che perpetuano il
razzismo, che il tema non fosse piø così importante nell’agenda politica
internazionale.
La decisione di convocare la Conferenza di revisione di Durban fu presa
dagli stati membri delle Nazioni Unite nel 2006 durante una riunione
dell’Assemblea Generale, che di conseguenza chiese al Consiglio ONU
per i Diritti Umani di occuparsi del processo preparatorio, attraverso la
creazione di un Comitato Preparatorio della Conferenza. Il Comitato
Preparatorio (Prep. Com.) è stato l’organo incaricato di organizzare la
Conferenza e di esercitare la supervisione sui negoziati che portano alla
definizione del documento finale.
4
Conferenza mondiale di Durban, Sud Africa 31 agosto- 7 settembre, 2001.
7
Le conclusioni della Conferenza di Durban, tenutasi nell’omonima città
del Sudafrica dal 31 agosto all’8 settembre del 2001, meritano un’attenta
valutazione, questo incontro non fu un fallimento, come invece lo vollero
dipingere i media in ragione dei tentativi di manipolazione politica e
delle inaccettabili tinte antisemite del rapporto finale della conferenza
parallela delle organizzazioni non governative. Al contrario, questo
evento riuscì ad innescare un profondo processo di cambiamento.
Nel documento finale della Conferenza di Durban è espressa forte
preoccupazione per la constatazione che interi gruppi, in particolare
persone di origine africana, popolazioni indigene, migranti, nonchØ rom e
sinti, sono ancor oggi vittime di razzismo, discriminazione razziale,
xenofobia e intolleranza. Nel documento finale si è preso formalmente
atto di diffuse pratiche discriminanti, xenofobe e razziste nei confronti di
apolidi, specialmente migranti, rifugiati e richiedenti l’asilo. Le politiche
d’immigrazione non dovrebbero in nessun caso seguire orientamenti
razzisti e occorre garantire ai migranti la tutela dei diritti umani. A
complemento della Dichiarazione finale, gli Stati partecipanti hanno
approvato un cosiddetto Piano d’azione che invita i Governi degli Stati a
elaborare, in collaborazione con la società civile, piani d’azione nazionali
per implementare le raccomandazioni contenute nei documenti
conclusivi
5
.
Durban II ha avuto avvio sotto lo slogan “United against racism: dignity
and justice for all”, alla Conferenza hanno preso parte oltre 2.500
delegati provenienti da 170 Paesi, 4.000 rappresentanti delle
organizzazioni non governative, 1.300 giornalisti e circa 7.000 persone
espressione della società civile mondiale. Non vi hanno preso parte, tra
gli altri, Israele, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Australia.
5
Dipartimento federale dell’Interno, Servizio per la lotta al razzismo, Conferenza mondiale
contro il razzismo 2001, Durban (Sudafrica), Dichiarazione e Piano d’azione con riassunto e
indice (testi disponibili in tedesco e francese), Berna 2002.
8
L’Unione europea vi è stata rappresentata da 22 dei ventisette Stati
membri, tuttavia, l’Italia
6
, come la Germania, la Repubblica Ceca, la
Polonia e l’Olanda, non ha preso parte ai lavori.
Dall’analisi di tutti questi strumenti messi appunto dalla comunità
internazionale possiamo affermare che il principio di non
discriminazione razziale può essere ormai qualificato come norma di
diritto internazionale generalmente riconosciuta, e quindi avente portata
generale rispetto agli specifici contesti normativi in cui ha trovato
riconoscimento.
6
“La decisione comunicata dal ministro Frattini impedisce che l’ Italia contribuisca ad
azzerare il ricordo del trauma patito a Durban. Si capì subito allora che il «razzismo» da
combattere era soltanto il «sionismo». La legittimità dello Stato di Israele era negata in linea
di principio, con una veemenza bellicosa che spiazzò persino i responsabili delle Nazioni
Unite. Dal palco degli oratori, nel silenzio sbigottito e impotente di Amnesty International e
Human Rights Watch, si irrideva agli ebrei che «usavano» l’ Olocausto per giustificare il
«razzismo contro i palestinesi». Dittatori feroci come Mugabe indossarono le vesti di paladini
dell’ umanità calpestata dall’ idra israeliana.”, da Il Corriere della sera, Milano, 6 marzo
2009.
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1.2) Legislazione europea contro la discriminazione razziale
Anche in ambito europeo, il principio di non discriminazione viene
riconosciuto come una manifestazione del piø generale principio di
eguaglianza, tale concetto è riscontrabile nella Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, redatta
a Roma nel 1950, strumento che sul piano contenutistico richiama le
disposizioni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Tale normativa consente agli Stati ed agli individui di promuovere un
ricorso dinnanzi ad un’istanza sovranazionale, la Corte europea dei
diritti dell’uomo, al fine di far valere i diritti in essa sanciti.
La Convenzione si struttura in tre parti: la prima dedicata
all’individuazione dei diritti oggetto di tutela, la seconda riguardante la
struttura ed il funzionamento della Corte europea dei diritti dell’uomo e
la terza dedicata a disposizioni di vario contenuto.
Il divieto di discriminazione è consacrato all’art. 14, il quale così
recita:“il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente
Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in
particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la
religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine
nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la
ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”.
Tale articolo tuttavia non contiene un generale divieto di
discriminazione, ma si limita a vietare il compimento di atti
discriminatori in riferimento ai diritti garantiti dalla stessa Convenzione
7
.
7
Bartole, B. Conforti, G. Raimondi, “Commentario alla Convenzione europea per i diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali”, Cedam 2001.
10
Solo a seguito di una serie di proposte circa l’ampliamento delle tutele
convenzionali in materia di discriminatoria si è ritenuto di dover
estendere le garanzie di cui all’art. 14 creando un apposito protocollo.
Attraverso l’inserimento nella Convenzione del Protocollo n. 12 si è
giunti infatti a sancire un divieto di discriminazione generale esteso a
tutti i settori
8
.
Tale cambiamento risulta essere in parte il frutto del costante impegno
lavorativo dell’ E.C.R.I, Commissione europea contro la discriminazione
e l’intolleranza, organo a cui spetta il compito di procedere all’esame e
alla verifica dell’applicazione delle misure politiche e giuridiche di lotta
alla discriminazione adottate dai singoli Stati membri, potendo anche
proporre agli Stati tutte le misure ritenute piø idonee a combattere il
razzismo, la xenofobia e l’intolleranza, in rapporto alle situazioni che
caratterizzano le singole realtà dei vari Paesi.
L’approccio prescelto è definito country by country, in quanto la
Commissione effettua lo studio dei fenomeni del razzismo e della
discriminazione razziale analizzando la situazione di ciascun Paese, al
fine di tener conto delle diverse modalità con le quali il problema si pone
a livello nazionale.
Per poter ottenere tale risultato, la Commissione opera a supporto ai
Governi nazionali, in stretta correlazione con le istituzioni locali ed
elabora dei rapporti che contengono suggerimenti, analisi e
raccomandazioni volti a risolvere problemi specifici.
Tale organo procede, inoltre, all’elaborazione di Raccomandazioni su
temi generali, che delineano delle strategie comuni, alle quali tutti i
governi degli Stati sono invitati ad ispirare le politiche nazionali.
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M. De Giorgi, “Le prospettive di evoluzione dell’ordinamento verso nuovi modelli di
governance delle politiche di integrazione razziale”, in Dir. e soc., 2004, fasc. III.