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1. L’ABUSO SESSUALE
1.1 Aspetti giuridico-legislativi
L’abuso sessuale è una delle forme di violenza contro le donne più diffuse al mondo
(OMS, 2002), dunque, è necessario prima chiarire cosa si intenda per violenza contro le
donne, così da poter giungere a formulare un’adeguata ed esaustiva definizione di abuso
sessuale.
La definizione di violenza contro le donne trova nelle differenti culture e nelle diverse
parti del mondo accezioni specifiche, pertanto, non esiste una definizione
universalmente accettata della violenza contro le donne. Alcuni attivisti dei diritti
dell’uomo preferiscono definire il concetto in maniera più ampia, facendovi rientrare
anche le “violenze strutturali”, come la povertà oppure la disparità di accesso
all’assistenza sanitaria ed all’istruzione. Altri attivisti, invece, hanno sostenuto
l’opportunità di adottare una definizione più restrittiva, per non perdere l’incisività
descrittiva del termine (Heise, Pitanguy, Germaine, 1994). Comunque, è stata
riconosciuta da tutti l’esigenza di dotarsi di specifiche definizioni operative, in modo da
rendere la ricerca ed il monitoraggio più specifici e più facilmente applicabili alle varie
culture. Con la Dichiarazione del 1993, le Nazioni Unite si impegnano a combattere il
fenomeno ed enunciano come violenza sulle donne "ogni atto di violenza in base al
sesso che produca o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche,
coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata"
(Risoluzione dell’Assemblea Generale, 48/104, 1993).
Questa definizione presenta la violenza nella sua dimensione di rapporto di forza tra i
sessi, e parte dalla constatazione che “la violenza contro le donne sia uno dei principali
meccanismi sociali tramite i quali le donne vengono costrette in una posizione
subordinata dagli uomini.” Il concetto di violenza viene così ampliato, facendovi
rientrare sia le sofferenze fisiche che quelle psicologiche subite dalle donne, sia gli atti
compiuti nella vita pubblica che in quella privata.
L’abuso sessuale può essere così inteso come una specifica tipologia di violenza contro
le donne. Nel rapporto OMS , Violenza e Salute del 2002, la violenza sessuale è stata
definita come:
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“Qualsiasi atto sessuale, o tentativo di atto sessuale, commenti o avances sessuali non
desiderate, o traffico sessuale, contro una persona con l’uso della coercizione. Questa
violenza può essere messa in atto da qualsiasi persona indipendentemente dalla
relazione che ha con la vittima, in qualsiasi ambito incluso quello familiare e del
lavoro. Altre forme di violenza sessuale consistono in:
· Matrimoni forzati o coabitazioni, incluso il matrimonio di bambini
· Impedire l’uso di contraccettivi per la protezione dalle malattie sessualmente
trasmesse
· Aborto forzato
· Mutilazioni genitali o visite per verificare la verginità
· Prostituzione forzata o traffico di persone
Per coercizione si intende, oltre quella fisica, l’intimidazione, le minacce, o situazioni
nelle quali la persona non può dare un consenso perché, sotto l’effetto di sostanze,
oppure per disabilità psicofisica, o in quanto incapace di comprendere la situazione,
come nel caso di abuso di minori.
Nel caso specifico del nostro Paese, la legge che attualmente disciplina i reati sessuali è
la legge del 15 febbraio 1996 n. 66, la quale all’art. 609 bis recita: “chiunque con la
violenza o la minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o
subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena
soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al
momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra
persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.
La suddetta legge è stato il risultato di un’importante cambiamento giuridico-legislativo
che è stato apportato, nel 1996, alla disciplina in materia di reati sessuali in Italia, in
seguito a richieste pressanti derivate dall’incremento di reati sessuali commessi
soprattutto nei confronti di minori. Sono state così introdotte nuove figure criminose,
passando dal titolo dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, al titolo dei
delitti contro la persona. Allo stesso modo la violenza carnale e gli atti di libidine
violenta sono stati riuniti nell’unica categoria della “violenza sessuale”.
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L’innovazione apportata al Codice Rocco, in vigore dal 1930 è vasta, e riguarda
principalmente la modifica dell’indicazione in esso contenuta che gli interessi connessi
alla libertà sessuale siano funzionali all’interesse della pubblica morale, affermazione
che nega la loro inscindibilità dal concetto di dignità umana. Un’altra importante
innovazione, è stato l’ampliamento del concetto di abuso sessuale. La legge punisce,
infatti, chiunque costringa taluno a compiere o subire atti sessuali, eliminando così la
distinzione tra violenza sessuale e atti di libidine violenta. Per abuso sessuale così non si
intendono più solamente le situazioni in cui la persona è vittima di un rapporto sessuale
completo, non consensuale ovvero un atto caratterizzato dalla penetrazione vaginale,
orale o anale, ma anche le situazioni in cui la penetrazione non è avvenuta o è stata
parziale (toccamenti delle zone genitali non consensuali, tentativi di abuso, minacce,
ecc.).
1.1.1 Cenni epidemiologici
L’abuso sessuale è una delle forme di violenza di genere più diffusa nella popolazione
generale, i suoi tassi di prevalenza variano dal 13% al 27% per le donne e dal 3% al
16% per gli uomini (Golding, 1999; Lesermann, Drossman, 2007; Paras et al.; 2009).
In alcuni stati quasi una donna su quattro può essere vittima di violenza sessuale da
parte del partner (Hakimi et al., 2001; Ellsberg, 1997; Mooney, 1993), e quasi un terzo
delle adolescenti dichiara che la prima esperienza sessuale è stata imposta (Jewkes,
2001; Matasha et al., 1998; Buga, Amoko, Ncayiyana, 1996).
Si ritiene che i dati sulla prevalenza dell’abuso sessuale nel mondo, forniti per lo più da
polizia, strutture sanitarie, organizzazioni non governative, studi e inchieste siano
sottostimati (OMS, 2002), dal momento che queste fonti permetterebbero di vedere solo
la punta dell’i-ceberg che rappresenta il problema globale della violenza sessuale
(Jewkes, Abrahams, 2002). La punta visibile rappresenta i casi segnalati alla polizia. Un
segmento più ampio può essere rivelato attraverso ricerche e l’opera delle
organizzazioni non governative. Nonostante ciò, al di sotto della superficie rimane
un’importante, anche se non quantificata, parte del problema.
In generale, la violenza sessuale è un ambito di ricerca trascurato. I dati disponibili sono
scarsi e frammentari. I dati della polizia, ad esempio, sono spesso incompleti e limitati.
Molte donne non denunciano la violenza alle autorità perché si vergognano, per paura di
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essere biasimate, di non essere credute o di essere comunque maltrattate. I dati delle
strutture medico-legali, d’altra parte, rischiano di riportare soprattutto i casi più violenti
di abuso sessuale. Anche la percentuale di donne che chiedono assistenza medica per
problemi immediati legati a una violenza sessuale è relativamente limitata.
Sebbene negli ultimi dieci anni la valutazione del fenomeno attraverso indagini di
ricerca sia decisamente migliorata, le definizioni utilizzate sono state molto diverse nei
vari studi.
Esistono, inoltre, differenze significative tra le culture per quanto riguarda il desiderio
di rivelare la violenza sessuale ai ricercatori. È necessario utilizzare molta cautela,
quindi, nel confrontare in modo globale la prevalenza della violenza sessuale.
Alla luce di tutto ciò, nel prossimo paragrafo si cercherà di specificare ulteriormente il
concetto di abuso sessuale, chiarendo come l’abuso sessuale viene definito in ambito
clinico, ed esplicitando la serie di specifici comportamenti ed atti che vengono
riconosciuti dalla comunità scientifica come sessualmente abusanti.
1.2 Definizione dell’abuso sessuale nel contesto clinico
Nell’ambito più ampio degli studi sulla violenza, sono ormai noti i suoi molteplici
effetti fisici, psicologici e sociali, ovvero, come l’abuso sessuale sia associato a scarse
condizioni di salute generale. L’abuso sessuale, infatti, comporta sia notevoli problemi
di salute mentale (Burnam et al., 1988; Resick, 1993; Winfield, George, Swartz, Blazer;
1990) che molteplici problemi specifici di salute fisica come dolori cronici pelvici
(Walker et al, 1992), disturbi pre-mestruali (Golding, Taylor, 1996), mal di testa
(Goodwin, Howen et al., 2003), disturbi gastrointestinali (Drossman, Talley, Lerserman,
Olden, Berreiro, 1995), fibromialgia (Boisset-Pioro, Esdaile, Fitzcharles, 1995), e altro.
A tutt’oggi, però, in letteratura non esiste una definizione univoca di abuso sessuale; ad
esempio, alcuni studiosi tendono a limitare l’abuso sessuale ai soli casi in cui è
avvenuto un rapporto sessuale completo, escludendo così i contatti sessuali diversi dalla
penetrazione (Cloutier, Martin, Poole, 2002; Hilden, Schein, et al., 2004) Altri
ricercatori, al contrario, si riferiscono ai casi in cui non è avvenuto alcun contatto
sessuale, come l’esibizionismo e il vojerismo e/o, più in generale, alle sole esperienze
descritte come non volute (Russell, 1983; Badgley, Allard, et al., 1984).
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Nell’ambito della ricerca e dell’intervento clinico, in genere, l’abuso sessuale viene
definito come un contatto sessuale non consensuale, ottenuto tramite la forza fisica, una
minaccia di danno fisico o in situazioni in cui la vittima non è in grado di dare il suo
consenso. Tale definizione include anche situazioni come quella del baciare sessuale
non voluto e tutte le forme di contatto fisico non consensuale con le parti sessuali della
vittima, compresi i rapporti sessuali orali, anali, vaginali e/o la penetrazione sessuale
tramite un oggetto (Koss, 1993, cit. in Golding, 1999).
L’incapacità della vittima di dare il proprio consenso si riferisce sia alle situazioni di
persone adulte o adolescenti che non sono in grado di acconsentire a causa di un loro
stato di incoscienza, di un ritardo mentale, ecc., che all’incapacità dei bambini di dare il
proprio assenso per via dello stadio di sviluppo e/o della loro minore forza fisica
rispetto a quella delle persone più grandi.
Nello specifico, l’abuso sessuale comprende una serie di atti e comportamenti violenti
coercitivi quali l’aggressione sessuale agita, la costrizione a visionare materiale
pornografico, a prostituirsi e ad avere rapporti sessuali non desiderati. Inoltre, include lo
stupro definito come penetrazione, anche se limitata, della vulva o dell’ano con il
ricorso alla forza fisica o a un altro mezzo di coercizione, utilizzando il pene, altre parti
del corpo o un oggetto. Il tentativo di compiere questo tipo di atto è conosciuto come
tentativo di stupro. Lo stupro di una persona da parte di due o più individui è definito
stupro di gruppo. La violenza sessuale può comprendere altre forme di aggressione che
coinvolgono un organo sessuale, compreso il contatto forzato tra la bocca e il pene, la
vulva o l’ano (OMS, 2002).
Nell’ambito sempre dell’abuso sessuale, rientrano anche le molestie sessuali che si
definiscono come ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi
altro tipo di comportamento basato sul sesso, che offenda la dignità, ivi inclusi
atteggiamenti non accettati dalla donna di tipo fisico, verbale e non verbale (Rapporto
del Progetto Mai Più Violenza, 2007). È, inoltre, da intendersi come molestia sessuale
ogni atto o comportamento sessuale basato sul sesso che, esplicitamente o
implicitamente, utilizzi a scopo ricattatorio i poteri e le facoltà derivanti dalla posizione
dell’aggressore per ottenere prestazioni sessuali, vantando di poter influenzare le
decisioni riguardanti l'assunzione, il mantenimento del posto di lavoro, la formazione
professionale, la carriera, gli orari, gli emolumenti o altro aspetto della vita lavorativa
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ecc (Afroditi, Gannon, Saunders, 2009). Sono state individuate e classificate le seguenti
categorie di comportamenti sessualmente molesti:
comportamenti ed osservazioni verbali sessiste;
atteggiamenti di ostilità che implicano una concezione d’inferiorità dell’altro
sesso;
insinuazioni e pressioni, comportamenti inappropriati ed offensivi tesi ad
ottenere e a proporre prestazioni sessuali;
contatti fisici non desiderati (o aggressioni) provocati intenzionalmente, non
graditi ed imbarazzanti, a sfondo sessuale quali apprezzamenti verbali sul corpo;
sguardi insistenti e gesti alludenti al rapporto sessuale; discorsi a doppio senso a sfondo
sessuale; esposizione di materiale pornografico; allusioni alla vita privata sessuale;
apprezzamenti rozzi; sottolineare con parole o commenti la presunta inferiorità della
persona in quanto appartenente ad un determinato sesso; contatti corporei fastidiosi
(pizzicotti, pacche, carezze, ecc..).
Ricatti, proposta e imposizione di prestazioni sessuali tramite minacce di
sanzioni, di punizioni o di conseguenze negative (per esempio sul lavoro);
corruzioni e richieste di prestazioni sessuali con la promessa di ricompensa e/o
vantaggi personali.
L’abuso sessuale appare così un concetto altamente complesso, a causa della sua
diffusione molto elevata nella popolazione generale, delle molteplici situazioni e
comportamenti a cui può riferirsi, oltre ai suoi diversi effetti psicologici, fisici e sociali,
che possono compromettere seriamente la salute mentale e fisica di una persona. Tutto
ciò ci consente di comprendere il perché sia difficile giungere ad una definizione clinica
dell’abuso sessuale, che sia univoca e onnicomprensiva.
Un ulteriore questione che è necessario affrontare nell’ambito dell’intervento clinico, è
quella del rapporto dell’abuso sessuale con le altre forme di violenza di genere, poiché
nella maggioranza dei casi l’abuso sessuale si presenta insieme ad altri tipi di violenza
(Baldry, 2006). Nel prossimo paragrafo, verranno riportate le principale tipologie di
violenza di genere così da chiarire il loro rapporto con l’abuso sessuale.
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1.2.1 L’abuso sessuale e le altre forme di violenza di genere
Nella maggioranza dei casi di violenza, le donne sono costrette a sperimentare
contemporaneamente diverse forme di violenza; in particolare, l’abuso sessuale si
accompagna spesso all’abuso psicologico e all’abuso fisico (OMS, 2002; Unicef, 2000).
Al fine di poter istituire interventi clinici efficaci ed adeguati alle esigenze delle vittime,
appare necessario saper distinguere, in modo chiaro e adeguato, l’abuso sessuale dalle
altre tipologie di violenza.
Di seguito, verranno riportare le principali categorie di abuso attualmente riconosciute e
condivise (Baldry, 2006):
1. l’abuso psicologico: comprende una serie di atteggiamenti intimidatori,
minacciosi, vessatori e denigratori come ad esempio ricatti, insulti, umiliazioni. La
donna spesso viene terrorizzata con minacce di aggressioni o morte al soggetto e/o alle
persone care e/o agli animali domestici; può essere minacciata di abbandono; spesso
subisce un continuo controllo da parte del violentatore che attua comportamenti
persecutori per gelosia, con accuse continue di infedeltà. Le conseguenze sulla vittima
sono terribili, si assiste infatti ad un progressivo sgretolamento della sua fiducia e
sicurezza, una perdita della stima di sé che condurranno la vittima alla
colpevolizzazione, al sentirsi responsabile di ciò che le accade. E’ un processo lento e
doloroso che conduce a volte alla distruzione morale, alla malattia mentale, all’abuso di
sostanze e alla depressione.
2. L’abuso fisico: si configura come tutti quegli atti volti a fare male, a procurare
un danno fisico, a spaventare la vittima e a mantenerne il pieno controllo. Rientrano
nella violenza fisica atti come lo spingere, impedire alla donna di muoversi
trattenendola fisicamente, colpirla con oggetti, prenderla per il collo, strattonare,
mordere, dare schiaffi, calci, pugni, tirare per i capelli, bruciare con sigarette parti del
corpo, chiudere in una stanza, segregare in casa, chiudere fuori di casa, buttare fuori di
casa nelle ore notturne, legare, incatenare, soffocare, usare o minacciare di usare un
arma da fuoco o da taglio, impedire di mangiare, obbligare a mangiare determinati
alimenti; impedire le cure mediche od obbligare ad assumere farmaci; impedire di
dormire; limitare la libertà di movimento e di contatto con l’esterno, ecc.
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3. L’abuso economico: comprende tutti i comportamenti finalizzati ad impedire
l’autonomia economica della donna come appropriarsi e gestire le finanze della partner
impedendole di accedervi, sperperare il guadagno della partner attraverso, ad esempio,
il vizio del gioco e dell’alcool, negare e controllare l’accesso alle finanze familiari,
occultare ogni informazione sulla situazione patrimoniale. E ancora, l’abusatore vieta,
ostacola alla donna l’accesso al lavoro oppure, al contrario, la sfrutta come forza lavoro
nella famiglia appropriandosi dei suoi proventi lavorativi. Nel caso di donne straniere
può essere loro impedita la regolarizzazione dei documenti. Lo scopo evidente è sempre
quello di mantenere il controllo, alimentando la dipendenza e la sudditanza.
4. lo stalking (atti persecutori): insieme di comportamenti molesti e continui,
costituiti da ininterrotti appostamenti nei pressi del domicilio o degli ambienti
comunemente frequentati dalla vittima, da intrusioni nella sua vita privata alla ricerca di
un contatto personale per mezzo di pedinamenti, telefonate oscene o indesiderate. La
finalità ultima di tali comportamenti è quella di controllare la donna, di limitarne la
libertà personale. Si realizza, in genere, attraverso comportamenti persecutori tramite i
quali una persona affligge un’altra con intrusioni e comunicazioni ripetute e
indesiderate, a tal punto da provocarle ansia o paura. Queste condotte indesiderate
possono essere classificate in tre tipologie: comunicazioni indesiderate, contatti
indesiderati (ad es., pedinamenti) e comportamenti associati (ad es., il far recapitare
cibo o altri oggetti all’indirizzo della vittima, anche in tarda notte). All’interno della
relazione maltrattante, la violenza agita dallo stalker non esplode da subito, il lavorio
del maltrattatore è subdolo e volto inizialmente ad indebolire la vittima, annichilendola
per renderla più vulnerabile e aggredibile; nei casi più gravi le minacce verbali e scritte
possono sfociare nell’aggressione fisica con il ferimento della vittima, o addirittura
nella sua uccisione.
5. Il mobbing: consiste in un comportamento ripetuto, irragionevole, rivolto
contro una persona o un gruppo di persone sul proprio posto di lavoro, tale da creare un
rischio per la salute e la sicurezza di chi ne è vittima. Il mobbing spesso implica un
abuso di potere, nel qual caso la vittima può incontrare difficoltà nel difendersi.