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CAPITOLO PRIMO
LE FONTI DEL RAPPORTO DI LAVORO DEI RICERCATORI
PUBBLICI NELL’ORDINAMENTO ITALIANO.
1. Premessa.
L’ordinamento italiano ha essenzialmente due tipologie di ricercatori, a seconda del
diverso datore di lavoro da cui dipendono.
In primo luogo, i ricercatori possono lavorare alle dipendenze di un’ impresa
privata: in questo caso il loro rapporto di lavoro seguirà la disciplina tipica del
lavoratore subordinato dettata dal codice civile per i lavoratori che prestano il lavoro
alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, inteso come soggetto privato. In
secondo luogo, la categoria dei ricercatori può svolgere la sua professione per un
soggetto pubblico, che a sua volta potrà essere un’Università o un ente pubblico di
ricerca.
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Nel presente capitolo si affronterà la questione delle fonti che disciplinano il
rapporto di lavoro dei ricercatori appartenenti alla seconda tipologia, ossia di coloro i
quali lavorano alle dipendenze di un soggetto pubblico: si porrà l’attenzione in modo
particolare prima sui lavoratori degli enti di ricerca, i quali, come la maggior parte dei
lavoratori del settore pubblico, hanno subìto nell’ultimo decennio un processo di
privatizzazione; dopodiché si analizzeranno le fonti che regolano il rapporto di lavoro
dei ricercatori dell’Università.
1
M. BORZAGA, Ricerca scientifica pubblica, trasferimento tecnologico e proprietà intellettuale: i
rapporti di lavoro, in corso di pubblicazione in R. CASO (a cura di), Ricerca scientifica, trasferimento
tecnologico e proprietà intellettuale, p. 4 ss. del dattiloscritto.
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2. La privatizzazione del rapporto di lavoro negli enti pubblici di ricerca.
Gli enti scientifici di ricerca e sperimentazione, come una serie di enti che si
occupano di previdenza, attività sportive, attività culturali, assistenza generica, servizi di
pubblico interesse e promozione economica, sono enti parastatali, ossia enti che
“stanno presso lo Stato”; essi sono istituiti o riconosciuti per legge e seguono le regole
dettate per il funzionamento della pubblica amministrazione.
2
La p.a., in quanto soggetto pubblico, non osserva la disciplina del codice civile per
l’imprenditore privato, bensì adotta da sempre il diritto pubblico che si esplica in leggi e
regolamenti. Inoltre, la p.a. instaura con i propri dipendenti un particolare rapporto di
lavoro c.d. di pubblico impiego che si differenzia dal rapporto di lavoro privato sia per
quanto riguarda la disciplina che le fonti.
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Il rapporto di impiego pubblico è quel rapporto di lavoro in cui una persona fisica
pone volontariamente la propria attività, in via continuativa, e dietro retribuzione, al
servizio dello Stato o di un ente pubblico non economico, assumendo particolari diritti e
obblighi.
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Quindi la peculiarità del rapporto di lavoro del settore pubblico rispetto a
quello privato deriva dal fatto che il datore di lavoro non è un semplice soggetto privato,
bensì la pubblica amministrazione, e dal fatto che vi sono implicati interessi pubblici.
Gli enti di ricerca, proprio perché facenti parte della p.a., a loro volta per governarsi
adottano fonti di diritto pubblico e il rapporto di lavoro dei ricercatori è disciplinato
dalle fonti che regolano il pubblico impiego in generale.
La pubblica amministrazione, e quindi anche gli enti di ricerca, devono seguire, a
differenza di qualsiasi altro datore di lavoro, due principi costituzionali fondamentali
per la salvaguardia del buon andamento e dell’imparzialità (art. 97, comma 1° Cost.)
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:
2
E. FOLLIERI, L’organizzazione amministrazione degli enti pubblici territoriali e degli altri enti pubblici,
in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F. A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA (a cura di), Diritto
amministrativo, Monduzzi editore, Bologna, 2001, t.1, p. 687 ss., in particolare p. 771 ss.
3
F. G. SCOCA, Il rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A.
ROMANO, F. A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA, ult. cit., t. 1, p. 781 ss.
4
Per una definizione di rapporto di pubblico impiego si veda P. VIRGA, Il pubblico impiego, 3° ed.,
Giuffrè, Milano,1991, pp. 3-11.
5
Solo la pubblica amministrazione, e nessun datore di lavoro privato, è tenuta a garantire una parità di
trattamento ai lavoratori, come diretta conseguenza del principio di imparzialità sancito dall’articolo 97
Cost.. Sulla portata dell’art. 97 Cost. si veda F. CARINCI, Le fonti della disciplina del lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in F. CARINCI e M. D’ANTONA (diretto da), Il lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Commentario, Giuffrè, Milano, 2000, t. 1, p. LXXX ss.
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per consentire il raggiungimento di questi due obiettivi è parso ragionevole creare un
ordinamento ad hoc per il settore del pubblico impiego, tralasciando di applicare le
regole del codice civile proprie del rapporto di lavoro privato.
Tuttavia il rapporto di lavoro instaurato alle dipendenze degli enti di ricerca, a
seguito di una riforma di privatizzazione intervenuta nell’ultimo decennio nei confronti
del pubblico impiego, oggi è regolato dalle fonti che da sempre hanno caratterizzato il
rapporto di lavoro del settore privato
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: la scelta adottata dal legislatore è la conseguenza
precisa dell’esigenza di eliminare una discrasia tra i due settori, laddove vi era una
sostanziale parità tra i due tipi di rapporto.
7
Per molto tempo il ricercatore e l’ente non si trovavano in una posizione paritaria,
potendo la pubblica amministrazione esercitare sia sui suoi dipendenti che su tutti i
cittadini poteri autoritativi. L’ente di ricerca, dalla costituzione all’estinzione del
rapporto di lavoro, godeva di un potere di supremazia nei confronti del lavoratore: il
rapporto nasceva da un atto amministrativo di nomina e durante lo svolgimento l’ente
continuava ad esercitare poteri autoritativi.
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Fino agli anni sessanta infatti il rapporto di
lavoro nel pubblico impiego veniva regolato in via esclusiva per legge o regolamento,
ossia mediante un atto autoritativo che spesso era il risultato di una concertazione con le
rappresentanze sindacali del personale pubblico.
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A causa di un particolare regime riservato ai dipendenti pubblici
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, una vera e
propria sindacalizzazione della disciplina del rapporto di lavoro dei ricercatori non trovò
spazio, lasciando così il campo al recepimento delle ipotesi d’accordo nei regolamenti
governativi. Il codice civile del 1942 infatti escludeva dalle fonti disciplinanti il
rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti il contratto collettivo, affermando, all’art.
6
Sulle tappe della privatizzazione si veda M. D’ANTONA, Lavoro pubblico e diritto del lavoro: la seconda
privatizzazione del pubblico impiego nelle” leggi Bassanini”, in F. CARINCI e M. D’ANTONA (diretto da),
op.cit., t.1, p. XLIII ss.
7
F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro, 2. Il rapporto di lavoro
subordinato, UTET, Torino, 2002, p. 59.
8
F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, ult. cit., pp.58-59.
9
F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro, 1. Il diritto sindacale, UTET,
Torino, 2002, p. 214.
10
Ad esempio il principio di accesso per concorso agli impieghi della pubblica amministrazione (art. 97,
comma 2° Cost.) e il fatto che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione” (art. 98
Cost. ).
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2068, comma 1° che i rapporti di lavoro sono regolati da atti della pubblica autorità in
conformità della legge.
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La giurisdizione sui “ricorsi relativi al rapporto presentati dagli impiegati dello
Stato e degli enti pubblici non economici, per la tutela tanto dei diritti soggettivi quanto
di interessi legittimi” (artt. 29, n. 1, 4, comma 1°, dei T. U. nn. 1054/1924 e 1058/1924)
prima della privatizzazione veniva affidata in modo esclusivo al giudice
amministrativo.
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Negli ultimi venti anni, però, il settore del pubblico impiego ha subìto importanti
trasformazioni: dal 1983 è infatti iniziata una riforma incisiva che ha riguardato tutti i
rapporti di lavoro svolti alle dipendenze della pubblica amministrazione, tra cui anche
quelli degli enti di ricerca.
Negli anni sessanta si era già sviluppata l’idea del metodo contrattuale, ma trovò
spazio adeguato solo nel 1983 nella legge n. 93, c.d. legge quadro sul pubblico impiego,
istituzionalizzando sul piano legislativo la contrattazione nei diversi settori del pubblico
impiego: si ebbe così l’introduzione di un contratto collettivo nel pubblico impiego con
caratteristiche specifiche.
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Questa riforma era il frutto dell’espansione dell’azione della
p.a. in vari campi che aveva comportato l’esercizio da parte dei dipendenti pubblici più
che di funzioni pubbliche, di attività esecutive e materiali: era quindi poco ragionevole
continuare a mantenere separate le discipline del lavoro privato dal pubblico, in
presenza di strutture praticamente identiche.
La legge n. 93, sia per quanto riguarda gli aspetti collettivi che per gli aspetti
individuali, forniva un quadro omogeneo della disciplina della contrattazione collettiva
secondo un modello unitario valido per tutto l’impiego pubblico. Con la legge quadro
del 1983 il pubblico impiego conservava la natura di ordinamento speciale e restava
assoggettato alla giurisdizione del giudice amministrativo, tuttavia veniva regolato da
un contratto collettivo negoziato tra il Governo e i sindacati maggiormente
rappresentativi.
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11
M. DELL’OLIO, Privatizzazioni, V) Privatizzazione del pubblico impiego, in Enc. Giur. Treccani,
XXIV, pp. 1-2.
12
M. DELL’OLIO, op. cit., p. 1.
13
F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro, 1. Il diritto sindacale, UTET,
Torino, 2002, pp. 214-217.
14
Più specificamente sulla legge quadro del 1983 si veda F. G. SCOCA, op. cit., t. 1, pp. 793-796 e M.
D’ANTONA, op. cit., t. 1, pp.XLVII-XLIX.
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A breve però la legge quadro subì un forte rallentamento: già alle fine degli anni
ottanta ci si rese conto che gli obiettivi della legge non potevano essere perseguiti, senza
innescare nuovi conflitti. Infatti non si poteva pensare di regolamentare in modo
unitario un settore per sua natura “pieno di particolarismi professionali” come il
pubblico impiego.
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Inoltre, non si era riusciti a colmare le distanze tra lavoro pubblico
e privato, non costituendo la contrattazione collettiva fonte diretta e immediata di
disciplina del rapporto di lavoro.
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Con il fallimento della legge n. 93, all’inizio degli anni novanta cominciò a
prendere forma l’idea di ricondurre la disciplina del settore del pubblico impiego al
diritto privato, c.d. privatizzazione del pubblico impiego, in modo tale da ottenere un’
unica regolamentazione valida per ogni comparto, compreso quindi anche quello della
ricerca, utilizzando le norme applicabili ai lavoratori dipendenti da un soggetto privato.
La riforma prende le mosse da una legge delega che risale al primo governo Amato,
la legge 23 ottobre 1992, n. 421, che indica una serie di criteri al Governo per la stesura
di un decreto legislativo, il D. Lgs. n. 29/1993, intitolato “Norme in materia di
razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego”:questo decreto darà luogo alla “prima
privatizzazione”.
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Il D. Lgs. n. 29 interviene in primo luogo sulle fonti che devono regolare il rapporto
di lavoro dei pubblici dipendenti, privatizzando il lavoro pubblico con conseguente
delegificazione della disciplina del rapporto, tradizionalmente regolato dalla legge o da
atti d’autorità.
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A differenza di quanto accadeva in precedenza ora il rapporto di lavoro dei pubblici
dipendenti, compreso quello dei ricercatori, viene disciplinato da un contratto stipulato
tra datore di lavoro e il lavoratore e non più da un provvedimento unilaterale di nomina.
15
F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro, 1. Il diritto sindacale, UTET,
Torino, 2002, p. 215.
16
M. D’ANTONA, op. cit., t. 1, pp. XLVII-XLIX.
17
Sulla prima privatizzazione si veda ancora M. D’ANTONA, ult. cit.,t. 1, pp. XLIX-LII.
18
In riferimento al significato di delegificazione si veda F. CARINCI, op. cit., t. 1, pp. XCIII-XCV.