Introduzione Il diritto alla libera circolazione e soggiorno delle persone all'interno del territorio
dell'Unione Europea è uno dei cardini dell'impianto edificato dai Trattati. Tra le quattro
libertà fondamentali, è quella che più delle altre si rivolge a tutti i cittadini di ogni Stato
membro e li chiama a costruire il civis europeus . Non a caso, è questo il primo diritto
indicato tra quelli che discendono in forza dello status di cittadino dell'Unione Europea.
È proprio nel progetto di un'unione tra i diversi popoli che risiede il legame a doppio filo
tra l'istituto della cittadinanza dell'Unione e il diritto a circolare e soggiornare
liberamente in tutto il territorio europeo.
La forza e la serietà di questo progetto è, però, messa a dura prova da quando
Romania e Bulgaria sono diventati Stati membri e le loro grandi comunità di persone di
etnia Rom hanno conseguentemente acquisito la titolarità dei diritti di cittadinanza
europea.
La minoranza etnica più numerosa del Continente, martoriata da una secolare storia
di soprusi ed emarginazione, si è trovata per la prima volta tutelata da una miriade di
diritti e garanzie, in astratto idonei non solo ad emanciparla dal proprio stato di cronica
sottomissione e debolezza, ma altresì a riconoscerla e valorizzarla come una risorsa per
l'Europa.
Le reazioni degli altri Stati membri, però, sono state di chiusura e di respingimento.
Sono nate inaspettate difficoltà nel recepimento del diritto di libera circolazione
all'interno degli ordinamenti nazionali, e insospettabili resistenze a garantire i diritti cui
sono ora titolari i cittadini europei di etnia Rom. All'interno del dibattito politico dei vari
Paesi membri, i cittadini Rom sono stati additati alla stregua di un problema da
risolvere, e la loro persecuzione si è spesso tradotta in motivo di vanto presso
l'elettorato. L'Europa è andata in direzione opposta rispetto a quella di favorire
l'inclusione sociale dei Rom e, di conseguenza, il benessere dell'intera collettività.
Il presente lavoro ha lo scopo di indagare in che misura la libertà fondamentale di
circolazione viene rispettata e promossa, con particolare riguardo ai punti critici
concernenti i cittadini Rom, nella convinzione che - in una fase storica di crisi politica
ed economica dell'Unione – tale analisi può offrire una affidabile cartina di tornasole
5
circa il reale valore del progetto europeo.
Si inizierà dalla trattazione delle fonti normative del diritto di libera circolazione
nell' acquis europeo. Nel primo capitolo, infatti, si esporrà il susseguirsi delle
disposizioni dei Trattati, e la loro evoluzione nei decenni; si esaminerà la produzione
legislativa derivata, e la cruciale opera ermeneutica della Corte di giustizia. In tal modo
si cercherà di fotografare il progressivo mutamento della natura di questa libertà
fondamentale, la quale, dalla sua originaria concezione “mercantilista”, strumentale al
corretto funzionamento del mercato unico, si è andata sempre più dirigendo verso una
nuova configurazione di strumento di garanzia rivolto alla tutela della persona,
“offrendole la possibilità di scegliere e poter accedere a condizioni di vita migliori” 1
. Si
dedicherà, quindi, uno sguardo approfondito alle limitazioni che la normativa e la
giurisprudenza europee ammettono al diritto in parola.
Il secondo capitolo verterà sulle tribolate vicende che hanno interessato il
recepimento in Italia della legislazione europea in tema di libera circolazione. L'analisi
dei diversi decreti intervenuti a disciplinare la materia - a volte in modo alquanto
inadeguato e confuso - mira a dimostrare come il clima da eterna campagna elettorale
che caratterizza il nostro Paese dall'avvento della Seconda Repubblica abbia interferito
con la serena trasposizione nell'ordinamento interno della legislazione europea,
comportando lo scorretto adempimento degli obblighi imposti dall'Unione. Ciò,
soprattutto, in ordine ai presupposti che legittimano la negazione del diritto a circolare e
soggiornare nel territorio nazionale.
Le problematiche sorte in occasione dell'ingresso di Romania e Bulgaria nell'Unione
Europea e il regime transitorio relativo alla circolazione dei loro cittadini presso gli altri
Stati membri saranno l'oggetto del terzo capitolo; in esso verrà altresì indagato il ruolo e
l'effettivo peso che l'Unione Europea ha assunto negli anni come baluardo contro ogni
tipo di discriminazione basata sull'origine etnica, e della sua attività a protezione dei
diritti delle minoranze. Onde percepire gli effetti e i risultati di queste azioni nella
concreta esperienza dei Rom che hanno esercitato la libertà di circolare da quando sono
divenuti cittadini dell'Unione, ci si avvalerà, poi, dell'esaustiva relazione comparata “ La
situazione dei cittadini comunitari Rom che circolano e soggiornano in altri Stati
membri dell'Unione Europea ”, che l'Agenzia dell'Unione Europea per i diritti
fondamentali ha redatto nel 2009.
1 Roberta Calvano, Il caso Orfanopoulos e Oliveri: ovvero come la Corte di giustizia tutela i diritti di
due detenuti tossicodipendenti, in Quaderni costituzionali, 2004, fasc. 3, pagg. 636-637.
6
L'ultimo capitolo del presente elaborato si pone, infine, l'obbiettivo di fornire tutti gli
elementi per una valutazione critica delle politiche adottate in Italia nei confronti dei
migranti di etnia Rom provenienti dai nuovi Stati membri. Lo si farà iniziando
dall'esame della generale situazione della minoranza Rom nel Paese, con l'ausilio del
Rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia, a
cura della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del
Senato della Repubblica. Ciò permetterà di inquadrare meglio il contesto nel quale si
sviluppano quelle misure legislative e amministrative, di livello statale e locale, adottate
per affrontare la “questione Rom” (anche indirettamente: si pensi alle novelle apportate
in settori apparentemente diversi, come quello dell'iscrizione anagrafica, al fine di
ostacolare l'esercizio dei diritti di cittadinanza da parte dei Rom) e consentirà di
valutarne l'opportunità e meglio comprenderne gli effetti.
Si descriveranno, poi, quegli stratagemmi che – in seguito dall'adesione di Romania
e Bulgaria all'Unione Europea - sono stati escogitati a livello locale al fine di facilitare
l'espulsione dei cittadini dell'Unione dal territorio nazionale. Attraverso le denunce di
alcune organizzazioni non governative, presentate innanzi diversi organismi
sovranazionali, ci si propone di dimostrare che tali stratagemmi altro non sono che
espulsioni collettive mascherate da “contratti di rimpatro volontario e assistito”. Grazie
all'efficacia dimostrata da questi “contratti” nell'aggirare il diritto europeo, essi sono
peraltro stati adottati anche in altri Stati membri - fenomeno che, si vedrà, ha destato
grande preoccupazione tra le istituzioni dell'Unione.
Per finire, l'attenzione verrà rivolta al c.d. “decreto emergenza nomadi” del 2008,
emanato dal governo dell'epoca per gestire con mezzi e poteri straordinari le
problematiche della minoranza Rom presente nel Paese, che è stato significativamente
dichiarato illegittimo da una recentissima sentenza del Consiglio di Stato.
7
CAPITOLO I
La libertà di circolazione e di soggiorno e la cittadinanza
dell'Unione Europea nell'Ordinamento comunitario 1. Le libertà fondamentali. La libera circolazione delle persone.
L'obbiettivo più ambizioso che i Fondatori della Comunità Economica Europea si
posero - e che tuttora l'Unione Europea cerca di perseguire nella massima estensione -
era l'istituzione di un mercato comune europeo all'interno del quale fosse assicurata la
libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali (le quattro c.d. libertà
fondamentali ) . L'idea a monte del progetto europeo è che tale traguardo, ove
compiutamente raggiunto, avrebbe portato enormi vantaggi in termini economici, oltre
che incalcolabili benefici in termini politici e culturali.
In quest'ottica, il diritto alla libera circolazione delle persone è essenziale sia per
garantire la mobilità senza ostacoli dei lavoratori al fine di ottenere la migliore
allocazione delle risorse umane, sia per favorire l'integrazione ed il mutuo scambio tra i
diversi popoli europei.
Nel corso della sua evoluzione legislativa e giurisprudenziale, l'ordinamento
comunitario ha teso ad una graduale e costante rimozione degli ostacoli all'effettiva
realizzazione di tale principio. Tale opera di “spianamento”, come vedremo, non può
dirsi tuttora conclusa; tuttavia negli anni il diritto alla libera circolazione degli individui
ha visto ampliare il suo campo di applicazione e rinsaldare i suoi mezzi di tutela, nel
segno del ruolo sempre più centrale assunto dalla persona nell'Unione Europea, a
scapito della sua originaria concezione di organizzazione a stampo prevalentemente
mercantilistico. Così, inizialmente rivolta ai soli soggetti economicamente attivi – i
lavoratori, questa libertà fondamentale è stata di volta in volta estesa ad altri settori della
popolazione fino a diventare, con l'istituzione della cittadinanza europea , uno dei più
importanti diritti individuali che l'Unione oggi garantisce ai propri cittadini, seppur con i
limiti e le condizioni che verranno esaminate più avanti.
8
2. L'evoluzione della natura del diritto alla libera circolazione
delle persone: da diritto dei soli soggetti “economicamente
attivi” a diritto fondamentale del cittadino dell'Unione
Come anticipato supra , la formulazione originaria del Trattato che istituisce la
Comunità Europea (d'ora innanzi TCE), all'articolo 39 (ex art. 48, oggi art. 45 del
Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, d'ora innanzi TFUE), assicurava ai soli
lavoratori, in quanto soggetti “economicamente produttivi”, il diritto alla circolazione e
al soggiorno nei territori degli Stati membri. Il risultato cui tale norma mirava, infatti,
più che voler attribuire diritti e vantaggi in capo all'individuo in quanto tale, era limitato
al promuovere quanto più possibile il corretto funzionamento del libero mercato
disponendo la mobilità dei fattori di produzione – e dunque anche della manodopera – al
suo interno.
La legislazione comunitaria di secondo grado intervenne in materia con
l'emanazione del regolamento n. 1612/1968 CE
2
. In esso persisteva una “considerazione
strumentale” 3
del diritto di circolazione e soggiorno, nel momento in cui attribuiva
rilevanza ai legami familiari del lavoratore al fine di rendere più attraente l'esercizio
della mobilità all'interno del mercato unico, e dunque di agevolare l'applicazione
effettiva dell'art. 39 TCE. Il regolamento in parola attribuiva in via derivata al coniuge,
ai discendenti minori di 21 anni o ai familiari comunque a carico del lavoratore, quale
che fosse la loro cittadinanza, il diritto a s tabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato
membro occupato sul territorio di un altro Stato membro
4
. Gli articoli 11 e 12 dello
stesso regolamento, inoltre, conferivano agli stessi soggetti titolari del diritto di
soggiorno derivato di cui all'art. 10 l'ulteriore diritto ad accedere a qualsiasi attività
2 Regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei
lavoratori all'interno della Comunità, in Gazzetta ufficiale n. L 257 del 19/10/1968 pag. 0002 - 0012 .
3 S. Marzucchi, Efficacia diretta del diritto comunitario di soggiorno: posso andare a vivere dove
voglio?, In Giurisprudenza Italiana, 2003, fasc. 5, pag. 861.
4 Art. 10 paragrafo 1, regolamento 1612/1968 CE, che nei successivi paragrafi aggiunge: “ 2. Gli Stati
membri favoriscono l'ammissione di ogni membro della famiglia che non goda delle disposizioni del
paragrafo 1 se è a carico o vive, nel paese di provenienza, sotto il tetto del lavoratore di cui al
paragrafo 1.
3. Ai fini dell'applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve disporre per la propria famiglia di un
alloggio che sia considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è occupato, senza
che tale disposizione possa provocare discriminazioni tra i lavoratori nazionali ed i lavoratori
provenienti da altri Stati membri. ” 9
subordinata e ai corsi d'insegnamento generale, di apprendistato e di formazione
professionale.
Un deciso contributo al superamento della concezione strumentale del diritto di
circolazione e soggiorno venne dato da parte della Corte di giustizia, che con la sentenza
Echternac e Moritz 5
allentò per la prima volta il vincolo tra il suo esercizio e lo
svolgimento di un'attività economica. In essa la Corte ha deciso in difformità con
l'indirizzo precedente
6
affermando, in termini generali, che la frequenza di corsi di
istruzione ai sensi dell'art. 12 del reg. 1612/1968 costituisce autonomo titolo di
soggiorno, il quale non viene meno al cessare dei presupposti di cui all'art. 10 del
regolamento (nel caso di specie, alla cessazione della qualità di familiare di un
lavoratore occupato nello Stato membro ospitante, in quanto il lavoratore fece ritorno
allo Stato di origine, così come lo studente di lui familiare di cui si occupa la sentenza,
pur se quest'ultimo ritornò dopo un breve periodo nello Stato ospitante per continuare gli
studi intrapresi
7
).
Sulla falsariga della Corte, anche il legislatore europeo scelse di promuovere la
costruzione di un diritto di circolazione e soggiorno non più legato esclusivamente alla
figura del lavoratore, bensì esteso alla considerazione della persona. Il diritto derivato,
infatti, si arricchì di una serie di direttive di poco successive (direttive 90/364, 90/365 e
93/96
8
) le quali accordarono il diritto a soggiornare in qualsiasi Stato membro ad
individui non esercitanti attività economicamente produttive (cioè studenti e pensionati,
nonché, con essi, il coniuge e i familiari a carico), purchè disponessero di
un'assicurazione sanitaria e di risorse economiche sufficienti. Si voleva in tal modo
contemperare la tendenza ad espandere la portata del diritto di circolazione e soggiorno
all'interno della allora Comunità Europea con l'esigenza, non meno sentita, di evitare che
il suo esercizio potesse essere abusato e costituire un onere per la previdenza sociale
dello Stato ospitante; perciò la Corte
9
ha ritenuto di dover precisare che nell'attuazione
di tali direttive gli Stati membri potevano ben usare i loro poteri discrezionali,
nondimeno cercando allo stesso tempo di agevolare la realizzazione del diritto europeo
nella sua massima estensione.
5 Sentenza 15 marzo 1989, cause riunite C-38 7/89 e C-390/89 (Echternac e Moritz) in Racc ., 1989, 723.
6 Sentenza 13 febbraio 1985, causa C-267/83 (Diatta), in Racc ., 1989, 723.
7 Sentenza Echternac e Moritz, cit. sopra in nota 5, punti 16 ss.
8 Pubblicate rispettivamente in GU L 180 del 13.7.1990, pagg. 26–27 , in GU L 180 del 13.7.1990,
pagg. 28–29 e in GU L 317 del 18.12.1993, pagg. 59–60 , recepite in Italia con il D.Lgs. 26 novembre
1992, n. 470.
9 Sentenza 25 maggio 2000, causa C-424/98, Commissione contro Italia.
10
Il quadro normativo in esame è notevolmente cambiato in seguito all'avvento della
nozione di cittadinanza europea . Questa è stata inserita nel TCE dagli articoli 8-8C del
Trattato sull'Unione Europea, stipulato a Maastricht nel 1992, i quali hanno
rappresentato il punto di approdo di un percorso iniziato già nel 1972 con la
presentazione di un memorandum italo-belga al Vertice dei capi di Stato e di Governo di
quell'anno, dedicato tra l'altro all'azione di politica sociale di cui avrebbe dovuto iniziare
a farsi carico l'allora Comunità Economica. Il Trattato di Maastricht introdusse nel TCE
gli articoli 17 (oggi art. 20 TFUE) e 18 (oggi art. 21 TFUE). L'art. 20 TFUE (già art. 17
TCE) istituisce la cittadinanza dell'Unione, stabilendo al primo paragrafo che “è
cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La
cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non sostituisce
quest'ultima. ”. Nel paragrafo seguente si collegano diritti e doveri allo status di
cittadino, e se ne fa un breve elenco esemplificativo, non tassativo, nel quale si trova,
alla lettera a), “ il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli
Stati membri ”, che non viene in alcun modo subordinato al possesso della qualità di
lavoratore migrante.
Tale diritto è lo specifico oggetto della previsione contenuta nell'art. 21 TFUE (già
art. 18 TCE), il quale, al primo paragrafo, dispone che “o gni cittadino dell'Unione ha il
diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte
salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in
applicazione degli stessi. ”. Si tratta di una norma di grande rilievo, salutata da alcuni in
dottrina come il segno del “superamento della concezione mercantilistica del diritto di
circolazione: non più, dunque, libertà di circolazione in funzione dello svolgimento di
un'attività economica, ma libertà di circolazione e di soggiorno in quanto cittadini
dell'Unione” 10
o come indice del “passaggio dalla considerazione del lavoratore al
cittadino comunitario” 11
. Grazie ad essa, addirittura, tutti i cittadini europei avrebbero
avuto la possibilità di risiedere in qualsivoglia Stato membro indipendentemente dallo
svolgimento di un'attività economica e a prescindere da qualsiasi criterio selettivo 12
.
Altri, diversamente, non vi hanno scorto alcun mutamento sostanziale del quadro di
diritti predisposti dall'ordinamento europeo, risolvendosi la modifica del Trattato in
10 G. Tesauro, Diritto comunitario, Padova, Cedam, 2010, pag. 479.
11 V. Guizzi, Manuale di diritto e politica dell'Unione Europea, Napoli, Editoriale Scientifica, 1994, nota
1, pag. 407.
12 Adam, Prime riflessioni sulla cittadinanza dell'Unione, in Rivista di Diritto Internazionale, 1992,
pag.637.
11
esame in una mera presa d'atto, in una consacrazione al livello del Trattato di una
evoluzione già intercorsa nell'elaborazione della giurisprudenza e nella normazione di
diritto derivato 13
, tanto da apparire oggettivamente difficile riuscire ad individuare tra i
suoi destinatari delle categorie di soggetti che non fossero titolari dei medesimi diritti in
base al pregresso diritto derivato e vivente
14
. Sembra essere indubbio, nondimeno, il
valore sistematico (oltre che simbolico) della nuova impostazione normativa, che supera
definitivamente la considerazione strumentale della libertà di circolare e soggiornare in
tutto il territorio dell'Unione. Il complesso di diritti soggettivi di matrice europea non è
più funzionale unicamente al raggiungimento dell'obbiettivo della crescita economica
attraverso il regolare funzionamento del mercato interno, ma tende, altresì, ad
avvicinarsi alla persona per stimolarne il senso di appartenenza alla comunità di popoli
europei - nel caso in esame assicurandole (a certi limiti e condizioni) la libertà di
movimento e soggiorno (unitamente a prevedere l'applicazione di una serie di princìpi
quali quello di non discriminazione) e l'effettività dei mezzi per tutelare la stessa contro
eventuali illegittimi ostacoli.
A conforto di queste osservazioni, giova ricordare la pronuncia della Corte di
giustizia del 17 settembre 2002, contenuta nella sentenza Baumbast e R
15
. In questa
occasione la Corte era chiamata a risolvere, tra le altre, una questione preliminare circa
il problema (fino a quel momento mai affrontato) della suscettibilità dell'allora art. 18
TCE (oggi art. 21 TFUE) di trovare applicazione diretta e dunque di poter essere fatto
valere in giudizio da ogni cittadino. I giudici rispondono positivamente a tale quesito,
enunciando solennemente che “ p er quanto attiene, in particolare, al diritto di soggiorno
sul territorio degli Stati membri sancito dall'art. 18, n. 1, CE, si deve rilevare che tale
diritto è riconosciuto direttamente ad ogni cittadino dell'Unione da una disposizione
chiara e precisa del Trattato. Per effetto del solo status di cittadino di uno Stato
membro, e quindi di cittadino dell'Unione, il sig. Baumbast può quindi legittimamente
invocare l'art. 18, n. 1, CE. ” 16
. Inoltre, per quanto riguarda l'eventuale presenza di limiti
e condizioni all'esercizio del diritto di circolazione e soggiorno previsti dall'ordinamento
interno dello Stato ospitante ai sensi dell'art. 21 TFUE (già 18 TCE), la Corte precisa
che “l'applicazione delle limitazioni e delle condizioni consentite dall'art. 18, n. 1, CE
13 Villani, La cittadinanza dell'Unione Europea, in Studi Panzera, Bari, 1995, pag. 1014; Verhoeven, Les
citoyens de l'Europe, in Annales de Droit de Louvain, 1993, pag. 174.
14 Cartabia, voce “Cittadinanza europea” in Enciclopedia Giuridica Treccani, VIII, Roma, 1995, pag. 6.
15 Sentenza 17 settembre 2002, causa C-413/1999 (Baumbast e R), in Raccolta, 2002, pag. I-07091.
16 Ibidem, punto 84.
12
ai fini dell'esercizio del diritto di soggiorno è soggetta a sindacato giurisdizionale.
Conseguentemente, le eventuali limitazioni e condizioni relative a tale diritto non
impediscono che le disposizioni dell'art. 18, n. 1, CE attribuiscano ai singoli diritti
soggettivi che essi possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono
tutelare ” 17
. La Corte individua nel principio di proporzionalità, principio generale del
diritto dell'Unione, il criterio per riconoscere la legittimità delle misure interne dello
Stato ospitante alla luce dell'ordinamento europeo. Come è stato osservato dalla dottrina
nel commentare la sentenza, non si può certo dire che il giudizio della Corte abbia una
portata giuridica dirompente, presentando risvolti più processuali che sostanziali;
tuttavia, è invece evidente la sua importanza politica, laddove ribadisce la rilevanza
primaria che “oggi più che mai” riveste la tutela dell'individuo, “dimostrando che la
cittadinanza e lo sviluppo della personalità dei singoli rappresentano il definitivo
complemento dell'evoluzione del sistema comunitario da Unione economica a Unione
delle persone e il futuro stesso del processo di costruzione europea” 18
.
L'art. 21 TFUE trova il suo corollario nell'art. 45 dello stesso Trattato (già art. 39
TCE). Il suo primo paragrafo, diversamente dall'articolo 21, che si rivolge ai cittadini
dell'Unione in quanto tali, provvede ad assicurare la libera circolazione dei lavoratori
subordinati 19
all'interno dello spazio comune europeo 20
. Al secondo paragrafo, con una
disposizione forse ultronea - per la presenza dell'art. 18 TFUE che impone il principio
generale di non discriminazione nel campo di applicazione dei Trattati (vedi infra ) - ma
di un certo rilievo interpretativo e simbolico, si preoccupa di vietare espressamente ogni
discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri “ per
quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro ” 21
. Il
17 Ibidem , punti 85 e 86.
18 S. Marzucchi, Efficacia diretta del diritto comunitario di soggiorno: posso andare a vivere dove
voglio? Cit. sopra in nota 3, pagg. 863-864.
19 La giurisprudenza della Corte ha definito la nozione di “attività subordinata”, ai fini dell'applicazione
dell'ordinamento comunitario vincolante per i legislatori ed i giudici interni, come “la circostanza che
una persona fornisca prestazioni di indiscusso valore economico ad un'altra persona e sotto la
direzione della stessa, ricevendo come contropartita una retribuzione”; vedi sentenza del 3 luglio 1986,
causa C-66/85 (Lawrie-Blum), in Raccolta, 1986, 2121; e sentenza dell'8 giugno 1999, causa C-
337/97, in Raccolta, I-3289, punto 13. Sul punto vedi comunque infra , par. 2.
20 La norma disciplina esclusivamente le ipotesi c.d. transnazionali relative allo spostamento del
lavoratore da uno Stato membro all'altro per l'esercizio di un'attività lavorativa; non contempla,
dunque, i casi di discriminazione c.d. a rovescio subita dal lavoratore non migrante nel suo Stato di
origine. In questa circostanza l'ordinamento europeo non offre alcun mezzo di tutela all'interessato, che
potrà così adire soltanto gli organi interni di giurisdizione, appellandosi se del caso al principio di
eguaglianza (cfr. Pickup, Reverse discrimination and freedom of movement of workers, in Common
Market Law Review, 1986, n.23, pag. 135).
21 Il diritto derivato attuativo dell'art. 45 TFUE ha specificato che possono essere impugnate anche le
clausole contenute nei contratti espressi dall'autonomia collettiva, qualora “prevedano o autorizzino
13
successivo terzo paragrafo dispone che “ fatte salve le limitazioni giustificate da motivi
di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa ( la libera circolazione dei
lavoratori , nda) importa il diritto:
a) di rispondere a offerte di lavoro effettive;
b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;
c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di
lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che
disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali;
d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla
Commissione,sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego ”.
La Corte di giustizia, con orientamento giurisprudenziale costante, ha chiarito che le
suddette disposizioni impongono precisi obblighi agli Stati membri, i quali non possono
utilizzare alcun potere discrezionale in fase di attuazione; correlativamente, ha affermato
che esse conferiscono veri e propri diritti soggettivi in capo ai lavoratori che i giudici
nazionali sono tenuti a tutelare
22
.
L'articolo 45 ammette nel quarto paragrafo l'unica eccezione al suo disposto: esso
non si applica infatti agli impieghi nella pubblica amministrazione, in ragione del
particolare legame che può sussistere tra l'attività svolta e gli interessi nazionali e che
può giustificare l'adozione di procedure concorsuali e di selezione volte a privilegiare i
lavoratori aventi la nazionalità dello Stato interessato. E' un'eccezione che, come ha
recentemente ricordato la Commissione
23
, va interpretata restrittivamente secondo le
condizioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori cittadini degli altri Stati membri” (art. 7 del
regolamento 1612/1968).
22 Tra le tante, fondamentale la sentenza del 4 dicembre 1974, causa n. 41/74 (Van Duyn), in Raccolta,
1974, pag. 1337, che ai punti 5-7 recita: “ L'art. 48 (oggi art. 45 TFUE, ndr), nn. 1 e 2, dispone che la
libera circolazione dei lavoratori è garantita entro la fine del periodo transitorio e ch'essa implica
«l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati
membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro». Le suddette
disposizioni impongono agli Stati membri un obbligo preciso, che non richiede l'emanazione d'alcun
ulteriore provvedimento da parte delle istituzioni comunitarie o degli Stati membri e che non lascia a
questi ultimi alcuna discrezionalità nella sua attuazione. Il n. 3 dell'art. 48, nel definire i diritti
spettanti ai lavoratori in forza del principio di libera circolazione, fa salve le limitazioni giustificate
da motivi d'ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. I provvedimenti adottati per i motivi
di cui sopra sono tuttavia soggetti al controllo giurisdizionale. Di conseguenza, la facoltà d'uno Stato
membro di richiamarsi alla riserva contenuta nell'art. 48 non impedisce che le norme dello stesso
articolo con cui s'afferma il principio della libera circolazione dei lavoratori attribuiscano ai singoli
diritti soggettivi ch'essi possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare”.
23 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e
sociale europeo e al Comitato delle regioni del 13 luglio 2010, COM (2010) 373, reperibile
all'indirizzo internet:
http://www.parlamento.it/web/docuorc2004.nsf/8fc228fe50daa42bc12576900058cada/e5283864ddb09
15bc125776100448de0/$FILE/COM2010_0373_IT.pdf (19-12-2011), parte II, cap. 2.3.
14
indicazioni della Corte di giustizia, la quale su un piano generale ha precisato che può
venire invocata prima dell'assunzione all'impiego e non invece nel momento successivo
della costanza del rapporto di lavoro (in tal caso l'avvenuta assunzione dimostra di per se
stessa che non sussistono quegli interessi in difesa dei quali si giustifica l'eccezione in
parola)
24
. Sulla larghezza della nozione di pubblico impiego, poi, i giudici di
Lussemburgo hanno abbandonato l'iniziale indirizzo che tendeva ad interpretarla
estensivamente
25
, per approdare ad un chiaro e deciso orientamento ermeneutico di tipo
restrittivo: l'eccezione riguarda solo i posti di lavoro che prevedono la partecipazione
nell'esercizio di poteri (attribuiti per diritto pubblico) o doveri diretti a salvaguardare gli
interessi generali dello Stato o di altri enti pubblici
26
. La dottrina paventa invero il
rischio che l'accoglimento di una diversa interpretazione possa permettere agli Stati
membri di fare eccezioni sempre più estese al diritto di libera circolazione e soggiorno 27
.
La normativa in materia di libera circolazione e soggiorno, come tutte quelle
previste dai Trattati, va informata ai principi di proporzionalità (art. 5, paragrafo 4
TFUE) e di non discriminazione (art. 18 TFUE), principi generali dell'ordinamento
dell'Unione. Loro scopo è quello di far sì che tutti i cittadini europei godano in tutti gli
Stati membri di pari condizioni nella ricerca e nell'esercizio di un lavoro, abolendo nel
contempo ogni distinzione in ambito di tutela sociale (previdenza ed assistenza sociale,
situazioni familiari, eccetera). In particolare, l'art. 18 TFUE prescrive il divieto di ogni
discriminazione in base alla nazionalità non solo tra i cittadini dell'Unione, ma anche tra
tutti coloro che si trovino in una situazione rientrante nel campo di applicazione dei
Trattati.
La giurisprudenza europea ha statuito che vi è discriminazione ai sensi dell'art. 18
ogni qual volta situazioni analoghe siano trattate in modo diverso senza che tale
differenza di trattamento possa essere giustificata, e che essa può assumere anche forme
indirette o addirittura dissimulate
28
.
24 Sentenza del 12 febbraio 1974 in causa n. 152/73 (Sotgiu), in Raccolta, 1974, p. 153, punto 4 della
motivazione.
25 Ibidem , punti 5–6 della motivazione.
26 Tra le tante, vedi la s entenza del 2 luglio 1996, causa C-290/94, Commissione vs Repubblica Ellenica,
in Raccolta, 1996, pag. I-03285.
27 Vedi Pocar – Viarengo, Diritto comunitario del lavoro , Padova, Cedam, 2001, pag. 72-73.
28 Tra le altre, sentenza del 25 novembre 1986, cause riunite n. 201/85 e 202/85, (Klensch), in Raccolta,
1986, p. 3477, punti 8-9 e sentenza del 12 marzo 1987, causa n. 215/85 (B.A.L.M.), in Raccolta, 1987 ,
p. 1279, punto 27. E' possibile che una violazione del principio di parità di trattamento derivi dagli
eventuali effetti difformi provocati negli ordinamenti degli Stati membri da un atto di armonizzazione;
a tal proposito, la Corte ha avuto occasione di precisare, nella sentenza Fedesa e a., che “ un atto di
armonizzazione inteso a parificare le norme in precedenza divergenti degli Stati membri crea
inevitabilmente effetti diversi a seconda dello stato precedente delle varie normative nazionali .
15
La Corte di giustizia, infine, ha ritenuto applicabili le previsioni dei Trattati in
materia di libera circolazione e soggiorno anche alle disposizioni emanate da
un'associazione di diritto privato, qualora incidano negativamente sull'efficacia dei
principi sopra espressi
29
3. La libera circolazione delle persone nel diritto derivato Le condizioni ed i limiti all'esercizio dei diritti di libera circolazione e di soggiorno
fin qui trattati hanno trovato una compiuta sintesi normativa con l'emanazione della
direttiva n. 38 del 2004, che ha espressamente abrogato ed in parte modificato la
precedente disciplina in materia
30
.
Essa attribuisce a tutti i cittadini europei ed ai loro familiari (coniuge e figli a
carico) il diritto incondizionato (salvo il possesso di una carta di identità o di un
passaporto in corso di validità) di soggiornare in qualsiasi Stato membro per periodi di
tempo non eccedenti i tre mesi (art. 6)
31
. Per i soggiorni di durata superiore a tre mesi, il
primo paragrafo dell'articolo 7 richiede al cittadino dell'Unione che voglia beneficiare
del diritto di soggiorno: “
a. di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o
b. di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche
sufficienti
32
, affinché non divenga un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato
Pertanto, una volta che la norma comunitaria si applichi allo stesso modo a tutti gli Stati membri [...]
non si può parlare di discriminazione ”. Sentenza del 13 novembre 1990, causa n. 331/88 (Fedesa e a.),
in Raccolta, 1990, p.4023, punto 20.
29 Sentenza del 12 dicembre 1974, causa 36/74 (Warlave), in Raccolta, 1974, 1405; sentenza del 31
marzo 1993, causa C-19/92 (Kraus), in Raccolta, I-1663, punto 16.
30 Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei
cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli
Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE,
68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e
93/96/CEE, in GU L 158 del 30.4.2004, pagg. 77–123.
31 Tale limite temporale è stato dimezzato rispetto a quello proposto inizialmente dalla Commissione, che
era appunto di sei mesi (“Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al
diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio
degli Stati membri”, avanzata dalla Commissione e che ha portato alla emanazione della Direttiva
2004/38, in COM(2001) 257, reperibile all'indirizzo internet http://eur-
lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2001:0257:FIN:IT:PDF (7-1-2012).
32 Si tratta di un requisito aggiuntivo rispetto a quanto previsto dalla precedente disciplina contenuta
nella direttiva n. 68/360, che non subordinava il diritto di soggiorno al possesso di risorse economiche
proprie: in questo senso la direttiva 2004/38 risulta più restrittiva.
16
membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un' assicurazione malattia che
copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante 33
; o
c. di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato [...] per seguirvi a titolo
principale un corso di studi inclusa una formazione professionale , e di disporre di
un' assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e [...] di
disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti ,
affinché non divenga un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro
ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o infine d. di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione
rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c)”.
Il secondo paragrafo dell'art. 7 estende il diritto di soggiorno anche ai familiari non
aventi la cittadinanza di uno Stato membro (e dunque, dell'Unione) che accompagnino o
raggiungano il cittadino europeo rispondente alle condizioni dettate dal primo paragrafo.
Ai sensi dell'articolo 8, l'unico adempimento richiesto ai soggetti che vogliano
soggiornare nel territorio di un altro Stato membro è l'iscrizione all'anagrafe presso
l'autorità competente. Quest'ultima deve rilasciare immediatamente un attestato di
iscrizione, e può chiedere solamente che venga esibito un documento di identità in corso
di validità e che vengano fornite le prove della ricorrenza delle condizioni di cui all'art.
7. La direttiva in esame ha così abrogato tutte le disposizioni della precedente normativa
relative al rilascio della carta di soggiorno, operando nella direzione di equiparare la
persona che esercita il diritto alla libertà di circolazione e soggiorno nel territorio di altro
Stato membro ai cittadini di tale Stato – anche se va osservato che già la carta di
soggiorno non era niente più che un mero atto dichiarativo di un diritto attribuito
direttamente dai Trattati
34
.
Importa rilevare che il diritto di soggiorno si intende assicurato presso tutto il
territorio dello Stato ospitante, ed è previsto che le eventuali limitazioni al suo esercizio
all'interno dello Stato possano essere introdotte nel solo caso in cui siano previste anche
per i cittadini di detto Stato. Con questa disposizione, contenuta nell'articolo 22 della
direttiva, il legislatore europeo ha inteso conformarsi alle indicazioni fornite dalla Corte
33 L'obbligo di disporre di un'assicurazione sociale non può giustificare una normativa statale che
subordini il diritto di soggiorno alla previa iscrizione del cittadino al regime previdenziale dello Stato
ospitante, o all'iscrizione ad un particolare regime previdenziale piuttosto che ad un altro; la Corte ha
infatti decretato che in nessuno di questi casi è possibile adottare legittimamente un diniego di ingresso
o un provvedimento di espulsione (sentenza del 5 febbraio 1991, in causa n. C-363/89 (Roux), in
Raccolta, 1991, I, pag. 273, punto 18).
34 Così la giurisprudenza: vedi la sentenza dell'8 aprile 1976, in causa 48/75 (Royer), in Raccolta, 1976,
pag. 497, punto 50.
17
di giustizia in un'importante pronuncia
35
resa durante il vigore della precedente
normativa.
La direttiva 2004/38, come visto sopra, subordina il diritto di soggiorno al possesso
di risorse economiche sufficienti perchè il beneficiario non diventi un peso per le casse
dello Stato membro ospitante; i criteri per ricavare il contenuto di tale nozione ci
vengono offerti dall'articolo 8, paragrafo 4, per il quale l e risorse economiche del
cittadino dell'Unione sono sufficienti quando il loro livello è superiore alla soglia al di
sotto della quale è concesso un sussidio minimo vitale nello Stato membro ospitante o,
qualora tale criterio non sia applicabile, alla pensione minima sociale. Inoltre, viene fatto
divieto agli Stati membri di fissare, direttamente o indirettamente, l'importo preciso
delle risorse economiche che considerano sufficienti, al di sotto del quale il diritto di
soggiorno può essere negato automaticamente, in quanto è sempre necessario che le
autorità degli Stati membri tengano conto della situazione personale dell'interessato.
Importanti direttrici in tal senso sono state individuate dalla Corte di giustizia (le risorse
provenienti da un terzo devono essere ammesse
36
; le autorità nazionali possono
controllare, se necessario, l'esistenza, la legalità, l'importo e la disponibilità delle risorse
economiche; le risorse economiche non devono necessariamente essere periodiche e
possono consistere in capitale accumulato; i mezzi per provare la sufficienza delle
risorse economiche non possono essere limitati
37
).
Fermo che il diritto di soggiorno è subordinato al possesso di risorse economiche
sufficienti, con ciò non viene escluso, si badi bene, che il cittadino beneficiario del
diritto, così come i suoi familiari, possano fare ricorso all'assistenza sociale dello Stato
membro che li ospita se si trovano in condizioni di difficoltà. In questo caso, però, il
cittadino conserva il suo diritto di soggiorno solo allorchè non diventi un onere
eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato ospitante (art. 14). Il problema
di accertare caso per caso la sussistenza del limite dell'onere eccessivo si è rivelato uno
dei punti critici dell'attuazione della direttiva in molti Stati membri
38
. La Commissione
ha perciò deciso di intervenire
39
, invitando le autorità degli Stati - chiamati a valutare se
35 Sentenza del 26 novembre 2002, in causa n. C-100/01 (Olazabal), in Raccolta, 2002, I, pag. 10981.
36 Causa C-408/03, Commissione/Belgio , in Raccolta, 2 006, pag. I-02647, ai pun ti 40 e ss. della
motivazione.
37 Causa C-424/98, Commissione/ Italia, in Raccolta 2000 pagina I-04001, al punto 37 della
motivazione .
38 Vedi la Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’applicazione della
direttiva 2004/38/CE, del 10 dicembre 2008, COM(2008) 840, pagg. 6 e ss.
39 Vedi la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo ed al Consiglio concernente gli
orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38/CE, del
18