Introduzione L'uomo ha sempre mostrato un distinto interesse per l'argomento “sangue”.
Pensiamo agli antichi greci, secondo i quali il sangue rappresentava il fluido
vitale e l'essenza della vita e del benessere.
Tutto ciò che riguarda il sangue ha sempre suscitato un certo fascino nell'uo -
mo, tanto che nel tempo l'idea che il sangue sia così importante per la vita e
quindi usato come fonte di salvezza determina la necessità del primo concetto
di “trasfusione” che, purtroppo, risultò fallimentare il più delle volte a causa della
mancanza di nozioni di base che oggi diamo per scontate.
Il XX secolo appare come il periodo della svolta nell'ambito della trasfusione.
La curiosità scientifica assieme al progresso biotecnologico ha portato a no -
tevoli miglioramenti nella pratica della trasfusione, considerata oggi come una
vera e propria terapia.
Un passo importante sono stati gli studi di fisiopatologia dell'emostasi. Nei
primi anni del '900 era già noto che il sangue tendesse a coagulare rendendolo
non più disponibile in maniera irreversibile. Il problema venne temporaneamen -
te raggirato attraverso l'uso di bacchette metalliche che, come uno “sbattitore”
per uova, tenevano in movimento il sangue ma durante il secondo decennio si
scoprì che alcune soluzioni chimiche, come il citrato di sodio, agivano da anti -
coagulante ritardando il processo di coagulazione.
Le nuove conoscenze inoltre permisero di risolvere il problema del contagio
di virus che poteva essere evitato già partire dagli anni '50 grazie al fraziona -
mento attraverso cui fu possibile separare il sangue dei donatori in emocompo -
nenti ed utilizzare il plasma per la produzione di emoderivati.
Oggi, quando si parla di “trasfusione” si pensa immediatamente al sangue
usato come “farmaco” di salvezza nei casi più critici ed urgenti o come soluzioni
terapeutiche per patologie diffuse come le anemie.
Gli ultimi anni sono stati significativi nell'ambito delle terapie trasfusionali e le
continue innovazioni per quanto riguarda le tecniche hanno permesso profondi
ma significativi cambiamenti. Oggi il sangue può essere separato in emocompo -
nenti che possono essere trattati secondo le proprie caratteristiche ed i propri
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tempi di conservazione.
Grazie all'esperienza di tirocinio presso un Servizio di Immunoematologia e
Medicina Trasfusionale ho nutrito un forte interesse nei confronti dei test di
screening e dei percorsi diagnostici per l'indagine sui difetti della coagulazione.
Il progresso scientifico e biotecnologico ha permesso di studiare singolar -
mente tutti i processi ed i componenti della coagulazione ed oggi sappiamo che
i fattori della coagulazione sono estremamente sensibili e labili.
Ciò si riflette notevolmente sulla necessità di garantire che il plasma fornito
contenga tutte le caratteristiche necessarie per lo scopo trasfusionale nonostan -
te la sua conservazione.
Per questo motivo negli ultimi anni l'integrazione dei test della coagulazione
nelle attività routinari dei centri trasfusionali ha assunto una notevole importan -
za.
E' noto che ogni donatore è scelto secondo dei parametri prestabiliti per leg -
ge e pertanto possiamo assumere che il prodotto che se ne ricava soddisfi i re -
quisiti della donazione. Nel caso specifico assumiamo che ogni donatore forni -
sca plasma che contenga in maniera ottimale i fattori della coagulazione neces -
sari per le terapie sapendo molti di essi sono molecole labili ed instabili.
Come può un Centro Trasfusionale assicurare che il prodotto fornito sia di
qualità? In che modo questi centri possono confermare che fattori necessari per
le terapie contro difetti della coagulazione siano inalterati nonostante i tratta -
menti e la conservazione per lunghi periodi? Su quale base è possibile confer -
mare che le modalità attuate per la conservazione del plasma siano ottimali?
Quando è necessario ricorrere ad opportune correzioni?
Lo scopo di questa tesi è quello di chiarire e descrivere attraverso quale per -
corso il plasma prodotto e lavorato può essere usato per scopi terapeutici ed in
che modo possa essere garantita la sicurezza. La prova che il plasma conservi
i fattori della coagulazione deve essere confermata continuamente attraverso la
ricerca di dati.
L'analisi proposta ha come obiettivo quello di mettere in risalto e concentrare
l'attenzione sull'importanza del plasma per l'uso terapeutico e su come può es -
sere misurata l'affidabilità di un centro trasfusionale.
Il presente lavoro si articola in quattro capitoli.
Il primo capitolo è stato dedicato interamente al processo emostatico-emo -
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coagulativo dove viene descritta la complessa biochimica della coagulazione e
di ogni singolo fattore cercando di accentuare l'importanza che ogni componen -
te rappresenta e portando l'attenzione sulle singole reazioni per poi compren -
derne l'intero processo.
Il secondo capitolo si propone come una continuazione del primo atta a com -
pletare il quadro della coagulazione, focalizzando l'attenzione sulle singole con -
seguenze apportate quando uno dei fattori è assente. Qui sono descritte le pa -
tologie più e meno comuni presentate in linea generale ma evidenziando nel
contempo come le sintomatologie siano prettamente simili tra loro e possano
ostacolarne l'identificazione.
La difficoltà che si incontra inizialmente quando si è di fronte ad un paziente
con evidente difetto nella coagulazione nasce proprio dal problema della simili -
tudine dei sintomi facilmente equivocabili.
Oggi, fortunatamente, è più facile individuare e quindi correggere i difetti del -
la coagulazione che fino a qualche decennio fa erano tra le cause di morte più
comuni. Per tali scopi è necessario che il materiale fornito per questi scopi sia
controllato e conservi gli elementi necessari per le terapie. Nel terzo capitolo si
descrivono dettagliatamente i percorsi diagnostici di laboratorio che portano al -
l'identificazione dei difetti specifici della coagulazione a partire dai test di primo
livello e proseguendo verso i test di secondo livello e specifici.
L'ultimo capitolo concentra l'attenzione sulla garanzia che un Centro Trasfu -
sionale deve essere in grado di dare attraverso i controlli di qualità. Viene de -
scritto il percorso di ricerca che ha fornito dei dati su cui si basa il controllo della
qualità del plasma. Le conclusioni ricavate da questi dati possono essere la
base di nuove ricerche atte a migliorare non soltanto la qualità delle terapie a
ma anche ad incentrare la ricerca verso farmaci sempre più mirati ed all'avan -
guardia.
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1. IL PROCESSO EMOSTATICO-EMOCOAGULATIVO Il processo emostatico, chiamato comunemente coagulazione , consiste in
una serie di reazioni biochimiche sequenziali il cui scopo è la formazione di un
trombo emostatico che possa impedire la fuoriuscita di sangue e contempora -
neamente permettere la riparazione dell'endotelio danneggiato.
Due sono i casi distinti in cui i meccanismi della coagulazione si attivano: il
normale processo emostatico che conduce alla riparazione di una ferita e le
“patologie della coagulazione” che si manifestano come ipercoagulabilità, cioè
la “trombosi” (formazione di trombi in pareti non lesionate e che porta a conse -
guenze per l'individuo anche gravi), e le emorragie da carenza congenita o ac -
quisita dei fattori emocoagulativi.
L' attivazione del normale processo emostatico-emocoagulatorio ha inizio in
presenza di un danno al livello endoteliale, infatti in presenza di una lesione va -
scolare si attiva l'emostasi, processo autoregolato a cui partecipano quattro im -
portanti sistemi biochimici:
vasi e costituenti della parete vascolare
piastrine
cascata enzimatica della coagulazione
fibrinolisi Il momento iniziale ed antecedente l'attivazione dell'emostasi è rappresentato
dalla vasocostrizione assistita da meccanismi di stimolazione adrenergici e dal
rilascio da parte della parete vascolare di fattori umorali come l'endotelina (ET),
un potente vasocostrittore di natura polipeptidica. In tal modo fisiologicamente
l'organismo prova a ridurre, almeno momentaneamente, l'eventuale perdita di
sangue.
Successivamente si attiva emostasi primaria ossia, il tessuto connettivo sot -
toendoteliale rilascia sostanze che determinano l'“attivazione” delle piastrine
che assumendo nuove conformazioni cominciano non solo ad aggregarsi tra
loro ma anche a richiamare e reclutarne altre attraverso la liberazione per endo -
citosi di fattori quali serotonina e ADP conservati nei granuli piastrinici.
Le nuove piastrine si sovrappongono a quelle già adese alla parete dando
luogo così alla formazione del tappo piastrinico. Questa prima fase è sufficiente
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a riparare una normale lesione a livello dei capillari, venule e arteriole.
In presenza di un danno di maggiore rilievo questo primo intervento da parte
delle piastrine non è sufficiente ad evitare l'emorragia, pertanto diventa neces -
saria l'attivazione di un sistema emostatico più complesso ed efficace grazie al -
l'avvio di reazioni enzimatiche a cascata finemente controllate che portano alla
formazione di trombina. La trombina trasforma il fibrinogeno in fibrina con suc -
cessiva formazione di un reticolo di fibrina che a sua volta intercetta altre pia -
strine. Questo secondo momento richiede più tempo rispetto all'emostasi prima -
ria, prende il nome di emostasi secondaria ed è necessario per arrestare l'emor -
ragia nel sito della lesione grazie alla formazione di una massa solida che è ap -
punto il coagulo di fibrina di consistenza gelatinosa costituito da diversi emo -
componenti (piastrine, globuli rossi o bianchi).
Quando l'emorragia è arrestata prende avvio il processo di dissoluzione del
coagulo denominato fibrinolisi in cui le molecole di fibrina vengono dissociate in
modo tale da evitare che il coagulo si prolunghi eccessivamente e porti alla con -
seguente formazione di trombi.
E' grazie a tale processo che si assicura un continuo equilibrio emostatico
funzionale.
Un corretto funzionamento dell'emostasi è fondamentale non soltanto per l'in -
tegrità dell'endotelio ma anche per garantire un controllo efficace sulla fluidità
del sangue. Una serie di inibitori della coagulazione controbilanciano l'effetto
dell'emostasi partecipando ad un complesso sistema di controllo che evita l'o -
struzione dei vasi regolandone la fibrinolisi.
1.1 Meccanismi fisiologici della coagulazione La coagulazione consta di quattro fasi. I componenti che prendono parte in
ognuno di questi processi si influenzano reciprocamente tra loro e da fase a
fase.
1.1.1 Fase vascolare Nel momento successivo alla rottura dell'endotelio si ha la promozione di
eventi che portano a contrazione vasale. Se il danno è localizzato in vasi di
maggiore calibro come arterie e vene che sono dotati di una spessa tunica en -
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tra in gioco l'azione delle cellule muscolari lisce, maggiori costituenti della tunica
media. Nei capillari lo stesso ruolo è svolto da specifiche proteine contrattili del -
le cellule delle pareti.
La fase vascolare è legata soprattutto al rilascio di sostanze vasoattive da
parte dell'endotelio leso, come le endoteline . In seguito intervengono le piastri -
ne che promuovono la liberazione di serotonine e catecolamine, potenziando
l'effetto di vasocostrizione.
Le cellule endoteliali svolgono un ruolo fondamentale in questa prima fase
grazie alla capacità di sintetizzare fattori importantissimi per la perfetta funzio -
nalità del processo:
1. Fattore Tissutale (TF), o tromboplastina o Fattore III (fondamentale per
l'attivazione del fattore VII), espresso sulle membrane delle cellule endo -
teliali 2. Fattore V (FV), cofattore essenziale per la conversione della protrombi -
na in trombina.
3. Fattore di Von Willebrand (VWF) , glicoproteina che promuove l'adesio -
ne piastrinica e ne potenzia l'aggregazione.
Questa prima fase è efficace ma non sufficiente a bloccare la perdita di san -
gue. E' comunque estremamente importante in quanto riduce il deflusso di san -
gue, favorisce i fenomeni di migrazione delle piastrine e la conseguente attiva -
zione delle stesse oltre a favorirne l'accumulo nella regione lesa.
1.2.2 Fase piastrinica In assenza di lesioni l'endotelio assicura la fluidità grazie ad un efficiente
meccanismo anticoagulante. Al contrario, in seguito ad una lesione, le cellule
endoteliali avviano il processo di emostasi favorendo l'adesione piastrinica,
evento iniziale che porterà alle successive cascate enzimatiche.
Struttura delle piastrine. Le piastrine (Fig. 1.1) sono corpuscoli di forma di -
scoidale e privi di nucleo che derivano dalla frammentazione dei megacariociti
prodotti a loro volta dal midollo osseo. Il numero di piastrine, nella normalità, va -
ria da 150.000 a 400.000/mm ³.
La trombopoiesi è regolata dalla trombopoietina, un fattore presente nel siero
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che favorisce non solo la produzione di piastrine ma anche la proliferazione dei
megacariociti. A parte il nucleo le piastrine contengono tutti gli organelli cellulari:
mitocondri, granuli di glicogeno e lisosomi.
La membrana plasmatica è uguale a quella di altri tipi cellulari ed è rivestita
da un glicocalice contenente glicocalicina (Gp) Ib, con particolare affinità per il
fattore di VW. Il citoscheletro è formato da microfilamenti e microtubuli di actina-
miosina che assicurano la forma discoidale rigida tipica delle piastrine All'interno delle piastrine si trovano i granuli piastrinici chiamati α-granuli che
rappresentano circa il 10% del volume piastrinico e contengono proteine piastri -
niche, fattori della coagulazione, proteine adesive, modulatori positivi e negativi
della crescita cellulare e fattori della fibrinolisi. Contengono inoltre la β-trombo -
globulina , inibitore della sintesi di prostaglicina endoteliale.
Oltre agli α-granuli sono presenti anche altri due tipi di granuli: i granuli densi
contengono serotonina, calcio, ADP e ATP, mentre i granuli λ , o granuli lisoso -
mali, contengono idrolasi lisosomiali e perossisomi.
Nel citoplasma si trovano anche granuli di glicogeno, raccolti in grandi am -
massi.
L'emivita di ogni piastrina è di circa 5-6 giorni ma restano in circolo per circa
10 giorni. Si è visto che le piastrine neoformate hanno una capacità di attivazio -
ne maggiore ma viene persa gradualmente fino al momento in cui vengono eli -
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