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Capitolo 1
L’EVOLUZIONE STORICA
DELLA NORMATIVA SULL’IMMIGRAZIONE
1.1 Cenni storici
Il trattamento dello straniero in Italia deriva da un complesso
normativo di non facile interpretazione che, nel corso degli anni, e
soprattutto dall’inizio degli anni Settanta, quando i flussi migratori
verso il nostro paese sono cominciati ad essere sempre più
frequenti e visibili agli occhi della comunità Europea, ha condotto
ad un’articolazione uniforme ed analitica della disciplina
1
.
L’Italia si è trasformata solo da qualche decennio in un paese
d’immigrazione, anche se la presenza di cittadini stranieri è a
tutt’oggi inferiore alla media degli altri paesi europei.
A questo ritardo nel verificarsi di un fenomeno sociale che
aveva riguardato ormai da più di mezzo secolo altre nazioni
europee come la Francia, Germania ed i paesi scandinavi, ha
corrisposto una lunga carenza nella regolamentazione organica dei
diritti e doveri dello straniero in Italia.
Infatti, negli anni Settanta, cioè all’epoca della prima corrente
migratoria che ha interessato il nostro paese, la normativa relativa
ai cittadini stranieri era costituita in modo quasi esclusivo dal Testo
Unico delle leggi di Pubblica sicurezza del 1931, contenente la
disciplina dell’ingresso e del soggiorno
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.
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D. MEMMO, La condizione giuridica dello straniero in Italia: Diritto al ricongiungimento e
poligamia, in Immigraciòn, Minorias y Multiculturalidad, NAVARRA, DIADI, 2006, pp.
243-253.
2
P. GUERRINI, L’altro diritto, in www.l’altrodiritto.it, Brevi cenni sulla condizione giuridica
dello straniero, 2000, pp. 1-2.
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Si trattava evidentemente di una regolamentazione inserita
all’interno di norme sull’ordine pubblico, alle quali si
aggiungevano una serie di circolari del Ministero del lavoro
sull’accesso al lavoro.
Fino alla L. N. 943/1986, continuarono a trovare applicazione
le normative sopra citate, suscitando in seguito le perplessità della
Corte Costituzionale che, con la famosa sentenza N.46 del 20
Gennaio 1977, “ritiene di dover affermare che la materia in esame,
per la delicatezza degli interessi che coinvolge, merita un
riordinamento da parte del legislatore che tenga conto dell’esigenza
di consacrare in compiute e organiche norme le modalità e le
garanzie di esercizio delle fondamentali libertà umane collegate
con l’ingresso e il soggiorno degli stranieri in Italia”
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.
Invero sono stati necessari dieci anni per giungere al primo
intervento legislativo e nel frattempo la presenza degli immigrati
era cresciuta notevolmente (450.000 Unità regolari nel 1986).
In questi quarant’anni dalla fine della seconda guerra
mondiale si può dire che, data anche la loro ridotta presenza
numerica, sempre rispetto a paesi che avevano subito un forte
flusso migratorio, gli immigrati non sono stati inquadrati come un
problema dalla popolazione e hanno beneficiato di un
atteggiamento di neutralità, misto a una certa curiosità in alcuni e
ad una certa sbagliata diffidenza in altri.
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M. DE MARCO, F. PITTAU, in L’evoluzione storica della normativa sull’immigrazione, pp.
1-3.
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1.2 La Legge N. 943/1986 e la regolamentazione
dell’inserimento lavorativo degli immigrati
È importante tener presente che a metà degli anni ’70
l’autorevole Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) vara la
convenzione n. 143/1975 sulla tutela degli immigrati e la
repressione dei traffici irregolari. La convenzione venne ratificata
dall’Italia a distanza di cinque anni con la legge 10 aprile 1981, n.
158 e altri cinque anni trascorsero prima che intervenisse una
normativa di applicazione.
La camera dei deputati, nella seduta del 13 maggio 1980 in cui
approva la legge di ratifica OIL, con un ordine del giorno chiede al
governo di emanare a breve termine i provvedimenti amministrativi
necessari ad assicurare l’immediata attuazione dei principi sanciti
nella convenzione. Rimane tuttavia disatteso l’articolo 3 della
legge di ratifica della convenzione, che conferisce al governo la
delega per emanare, nel termine di un anno, decreti aventi valore di
legge ordinaria al fine di assicurare l’adempimento degli obblighi
derivanti dalla convenzione.
Il Governo preferisce presentare un normale disegno di legge
per garantire un ampio dibattito parlamentare e procedere anche
alla consultazione delle organizzazioni sociali.
La situazione nel frattempo si fa più pressante poiché
continuano i flussi clandestini di manodopera e diventa sempre più
aspro il dibattito sugli stranieri. La paura di “essere invasi” porta a
bloccare le frontiere per proteggersi da nuove assunzioni, a non
superare la “riserva geografica” nei confronti dei rifugiati (e cioè la
possibilità di accogliere solo i richiedenti asilo provenienti dall’est
Europeo) e a presentare il numero chiuso per gli studenti.
Contrariamente alle aspettative, queste misure repressive
finirono con l’aumentare le presenze irregolari degli stranieri.
Una proposta di legge viene approvata solo dalla camera, in
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data 2 novembre 1982, anche se successivamente la legislatura si
chiude e il disegno di legge decade. A distanza di alcuni anni,
sopravvengono i gravi attentati di gruppi terroristici palestinesi che
il 27 dicembre 1985 causano morti e feriti, rispettivamente negli
aeroporti di Roma e Vienna. Fortunatamente si evita il rischio di
criminalizzare tutti gli immigrati, e il Parlamento continua a
lavorare, con i suoi ritmi, per il varo sulla legge degli immigrati che
arriva l’anno successivo, nel mese di dicembre. Si tratta delle
“Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori
extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine”,
approvate con la legge del 30 dicembre 1986, n.943
4
. Le previsioni
contenute nella legge n.943 del 1986 si occupano prevalentemente
del riconoscimento di diritti civili nell’ambito lavorativo, ed in
particolare di:
- programmazione dell’occupazione tramite il coinvolgimento
delle Commissioni regionali per l’impiego e intento di
collegare domanda e offerta di lavoro;
- parità di trattamento in materia lavorativa e di accesso ai
servizi;
- divieto di privare il lavoratore disoccupato del permesso di
soggiorno;
- diritto al ricongiungimento familiare;
- sanzioni penali per chi impiega o sfrutta manodopera
clandestina;
- previsioni su tutela, alloggi, formazione professionale, lingua
d’origine, programmi culturali (queste norme rimarranno
tuttavia prive del supporto di fondi necessari perché, al fine di
non ritardare l’approvazione della legge, in essa non sono stati
inseriti degli specifici stanziamenti). L’inserimento
occupazionale dall’estero avviene previo accertamento della
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M. DE MARCO, F. PITTAU, in L’evoluzione storica della normativa sull’immigrazione, pp.
3-5.
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indisponibilità degli italiani (la norma verrà applicata con
minor rigore nei casi di autorizzazione all’ingresso di nuovi
lavoratori domestici).
Si parla anche, senza pervenire a disposizioni applicative,
della gestione di liste di lavoratori residenti all’estero che chiedano
di essere assunti da un’impresa (art. 5 lett. A), previsione questa
che verrà ripresa in maniera più fruttuosa e innovativa dalla legge
del 1998.
La legge 943, molto incentrata sugli aspetti lavorativi, lascia
sguarnita di previsioni la materia dell’ingresso e del soggiorno sul
territorio dello Stato.
Gli anni che seguirono l’entrata in vigore della suddetta legge,
furono anche quelli durante i quali appaiono i primi germi di
estraneità e separatezza, rispetto all’indifferenza della fase
precedente. Inizia a prendere piede, tra i media e la società,
l’utilizzo di una terminologia specifica: si comincia a parlare di
“extracomunitari” e tra la gente di “vu cumprà”. Comunque, nel
1986 l’immigrazione in Italia, un quinto rispetto all’attuale
consistenza, non era inquadrabile come quel fenomeno epocale
come è apparso successivamente.
1.3. La legge Martelli (39/1990) e la regolamentazione del
soggiorno
La legge n. 39 del 1990 nasce in un contesto in cui è sempre
più evidente il ruolo che hanno gli immigrati, soprattutto nel
mercato del lavoro italiano: frequentemente sono chiamati a
svolgere i lavori più umili e si inseriscono nei settori che non
attraggono più i lavoratori italiani. Rispetto a queste trasformazioni
del mercato del lavoro e della società, l’apparato giuridico si rivela
inadeguato, le amministrazioni lente ed eccessivamente
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discrezionali, le interpretazioni delle norme troppo restrittive.
La carenza più grave consiste però nella mancanza di nuove
previsioni legislative sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini
stranieri, sulle quali la legge 943/1986 non si è soffermata,
limitandosi alla disciplina degli aspetti lavorativi.
A cavallo delle elezioni europee del 1989 i due governi che si
succedono (De Mita e Andreotti ) si mostrano molto solleciti a
intervenire sulla materia, su impulso prima del Ministro per gli
affari sociali (Rosa Russo Jervolino) per l’attuazione più completa
della 943/1986 e, quindi, del vicepresidente del consiglio dei
ministri (Claudio Martelli) per l’approvazione di una nuova legge,
della quale una serie di eventi sociali, come l’assassinio avvenuto
nei pressi di Villa Literno del sudafricano Jerry Essan Masslo, né
sottolineano la necessità.
In questo contesto, il vice-premier on. Claudio Martelli è
deciso a far approvare una legislazione tollerante e di stampo
europeo, prendendo in considerazione molteplici aspetti: ingresso e
soggiorno, lavoro, casa e assistenza, studenti stranieri, abolizione
della c.d. “riserva geografica” nel riconoscimento dei richiedenti
asilo provenienti da paesi diversi da quelli dell’Est europeo.
L’urgenza spinge il Governo a intervenire sotto forma di
decreto legge. All’interno della maggioranza è altrettanto contrario
il Partito Repubblicano, che bolla il nuovo orientamento come
lassista: i toni della polemica non svaniranno neppure dopo
l’entrata in vigore della nuova legge, come si constaterà alla prima
Conferenza Mondiale dell’immigrazione (Roma 4-6 giugno 1990).
Il decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, al momento di essere
convertito nella legge del 28 febbraio 1990, n. 39, tenta una
difficile mediazione e recepisce alcuni miglioramenti proposti dalle
forze sociali come anche alcune misure di severità proposte dai
repubblicani (regime dei visti di ingresso, necessità del permesso di
soggiorno anche in caso di turismo, apposizione della data
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d’ingresso sul passaporto, riduzione del termine per la
regolarizzazione del lavoro autonomo, potenziamento della polizia
di frontiera). I punti più incisivi ed innovativi della legge n. 39 del
1990 possono essere così riassunti:
nei confronti dei richiedenti asilo abolizione della c.d. riserva
geografica, in forza della quale il riconoscimento del diritto
era limitato ai soli cittadini dei paesi dell’Est, introduzione di
procedure per il riconoscimento e previsione di un assegno per
la durata di 45 giorni, termine questo sufficiente per prendere
una decisione in merito alle richieste d’asilo;
in materia di soggiorno, meritano particolare attenzione le
disposizioni sul rilascio dei permessi e sulla loro tipologia,
sulle condizioni di rinnovo (accertamento del reddito prima del
primo rinnovo) e di revoca, sull’iscrizione alle anagrafi;
in materia di programmazione dei flussi, particolare rilevanza
assume la previsione di un decreto interministeriale per fissare
annualmente il numero degli ingressi e i relativi beneficiari,
sulla base di esigenze dell’economia nazionale, delle
disponibilità finanziarie per l’accoglienza, della presenza nel
paese di lavoratori extracomunitari e delle relazioni
internazionali;
in materia di tutela giudiziaria, vi è una più adeguata
regolamentazione dei ricorsi ai tribunali amministrativi
regionali avverso i provvedimenti di rifiuto e revoca del
permesso di soggiorno e contro le decisioni del diniego del
riconoscimento dello status di rifugiato (i termini per la
proposizione del ricorso vengono ridotti della metà rispetto ai
termini ordinari e i provvedimenti vengono comunicati allo
straniero in una lingua a lui conosciuta, ovvero in inglese,
francese, e spagnolo);
in materia di controllo dei flussi vengono emanate disposizioni
sul controllo delle frontiere, sui respingimenti e sulle espulsioni
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(di cui vengono previste 3 tipologie: l’espulsione adottata
dall’autorità giudiziaria, dal Ministro dell’interno e dal
prefetto, in più viene inserito il principio generale del divieto di
espulsione verso un paese in cui possa essere messa in pericolo
la vita o la libertà dello straniero per motivi di razza, religione,
ecc…) sulle possibilità di tutela presso i tribunali
amministrativi sono previste sanzioni penali ed amministrative
contro il favoreggiamento dei flussi irregolari e clandestini;
in materia sociale vi è la creazione di un fondo per finanziare i
centri di accoglienza, fissazione di norme per la ripartizione
del fondo alle regioni, disposizioni per l’equiparazione dei
titoli di studio, assunzione di assistenti sociali alle dipendenze
degli uffici del Ministero del lavoro;
in materia di regolarizzazione risulta interessante il varo di
una sanatoria generalizzata, anche a prescindere dal rapporto
di lavoro, a beneficio di quanti sono in grado di dimostrare di
essere entrati in Italia entro il 31.12.1989 (ne beneficiano circa
220.000 persone).
Una previsione interessante, ma rimasta inattuata, consiste
nella copertura del soggiorno tramite garanzia di enti e di
associazioni, previsione che troverà nuovo vigore nella legge
40/1998.
La legge 39/1990 se da una parte presenta indiscutibilmente
degli elementi innovativi, è invece carente per quanto riguarda i
processi di integrazione degli immigrati per la quale gli
stanziamenti sono minimali.
Tale carenza verrà avvertita dallo stesso governo che, con il
disegno di legge 5343/1992 (il quale non verrà approvato per fine
della legislatura), si occupa di una serie di misure di accoglienza,
dalla sanità alla scuola, dalla formazione professionale al
riconoscimento dei titoli.
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M. DE MARCO, F. PITTAU, in L’evoluzione storica della normativa sull’immigrazione,