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1 - INTRODUZIONE
1.1 - Scopo dello studio
Lo scopo dello studio è la ricostruzione della serie dinamica del bosco a rovere nel Parco
Nazionale Val Grande. Per conseguire questo obiettivo si è ritenuto opportuno innanzitutto
individuare e cartografare le aree di pertinenza della serie attraverso lo studio delle
caratteristiche fisiche del territorio in ambiente GIS. Entro tali aree è stata rilevata la
vegetazione, per poi procedere con l’analisi delle fitocenosi individuate e la loro
interpretazione in chiave dinamica.
1.2 - Le serie dinamiche della vegetazione
Per serie dinamica della vegetazione si intende l’insieme delle fitocenosi, legate tra loro da
rapporti dinamici, che si rinvengono in territori ecologicamente omogenei e quindi
caratterizzati dalla stessa potenzialità vegetazionale (RIVAS-MARTINEZ, 1976).
Esistono serie ‘progressive’ e serie ‘regressive’. Le serie progressive consistono in una
graduale evoluzione della vegetazione verso cenosi strutturalmente più complesse ed
ecologicamente più stabili, che avviene per cause autogene indotte dalla vegetazione stessa e
termina con il climax della regione. Le serie regressive invece procedono in senso inverso e di
solito si manifestano come brusche transizioni da stadi maturi a stadi degradati dovute a cause
allogene, come disturbi abiotici o interventi antropici. La serie dinamica comprende quindi il
climax, gli stadi che conducono ad esso per progressione e quelli che ne derivano per
regressione.
Le serie progressive si suddividono a loro volta in ‘primarie’ e ‘secondarie’. Le serie primarie
sono quelle che si innescano su substrati sterili di neoformazione, quali morene glaciali, colate
laviche o superfici derivate da movimenti di versante. Si tratta di successioni molto lente,
poiché le modificazioni della vegetazione devono essere necessariamente accompagnate da un
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processo pedogenetico vero e proprio. Le serie secondarie invece si realizzano su suoli già
formati, in seguito a un disturbo che ha rimosso o alterato la vegetazione preesistente. In tal
caso è già presente il supporto edafico per una nuova fitocenosi e la serie procederà in tempi
molto più rapidi, con una parallela variazione solo delle caratteristiche fisico-chimiche del
suolo strettamente legate alla componente vegetale.
Entro un’area climaticamente omogenea si possono distinguere tre tipi di serie in base alla
disponibilità idrica del suolo: serie ‘edafoxerofile’, serie ‘edafoigrofile’ (che insieme
costituiscono le serie ‘edafofile’) e serie ‘climatofile’. Le serie edafoxerofile si realizzano in
stazioni dai substrati aridi, come affioramenti rocciosi o suoli grossolani e poco coerenti,
caratterizzati da una scarsa capacità di ritenzione idrica. Le serie edafoigrofile, al contrario, si
collocano in impluvi dai suoli argillosi poco permeabili, dove l’apporto di acqua non è
compensato da un efficiente drenaggio. Le serie climatofile riguardano invece qualsiasi
situazione che consenta un buon bilancio tra apporto idrico e drenaggio. Lo stadio terminale
quindi, non essendo vincolato da particolari condizioni edafiche, dipende esclusivamente dal
macroclima locale. Si tratta del climax vero e proprio, detto anche ‘climax climatico’ in
contrapposizione al ‘climax edafico’ delle serie edafofile. Sui rilievi è possibile riconoscere
due serie climatofile, una per le esposizioni a nord e una per le esposizioni a sud, i cui stadi
terminali vengono chiamati ‘climax di versante’. Dato lo stretto legame tra bilancio idrico e
morfologia del territorio, la distribuzione dei tre tipi di serie riflette in modo significativo
alcuni aspetti topografici: le serie edafoxerofile si collocano soprattutto in ambiente di cresta o
alto versante, le serie climatofile occupano il medio versante e in generale le morfologie più
blande, mentre le serie edafoigrofile si concentrano nel basso versante, nel fondovalle e negli
impluvi (UBALDI, 2003).
Anche la natura del substrato influisce sulla dinamica della vegetazione. Di solito si usa
distinguere serie basifile, neutrofile e acidofile (con i rispettivi termini di passaggio) a seconda
dell’acidità dei gruppi litologici. In altri casi è utile fare riferimento a particolari caratteristiche
fisiche del substrato, riconoscendo ad esempio serie litofile per i substrati rocciosi, serie
psammofile per quelli sabbiosi, serie glareicole per i detriti ghiaiosi, ecc... Le differenze tra
serie associate a diverse litologie si manifestano soprattutto negli stadi più precoci, quando il
suolo è ancora poco evoluto e persiste un contatto diretto tra la vegetazione e il substrato
geologico. Man mano che la serie procede, il suolo evolve raggiungendo caratteristiche
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omogenee a prescindere dalla natura della roccia madre, fino ad affrancare definitivamente la
vegetazione da essa. Le serie tenderebbero quindi a convergere verso lo stesso climax anche a
partire da substrati differenti. In realtà, nella maggior parte dei casi, la maturità del suolo è
irraggiungibile a causa di fattori geomorfologici che ne bloccano l’evoluzione, primo su tutti
l’alta inclinazione che favorisce fenomeni di erosione superficiale. In tal caso il chimismo della
roccia continuerà a esercitare una certa influenza sulla vegetazione. Si parla di ‘blocco edafico’
quando lo sviluppo della serie è limitato dall’impossibilità del suolo di evolvere ulteriormente.
Esistono anche limitazioni della serie dovute non tanto a fattori edafici quanto alla presenza di
un disturbo periodico più o meno regolare, come gli incendi nella macchia mediterranea o i
fenomeni franosi e valanghivi che caratterizzano i canaloni alpini. In questi casi, più che un
blocco vero e proprio, si ha un continuo ripristino della serie, ovvero un’alternanza tra
regressioni istantanee e fasi di ripresa graduali che prendono il nome di successioni secondarie
‘replicative’. Se la frequenza del disturbo supera il tempo necessario allo sviluppo del climax,
quest’ultimo non può essere mai raggiunto e si ha di fatto un impedimento al procedere della
serie. In generale si definisce ‘subclimax’ una vegetazione determinata da fattori ambientali
circoscritti, di natura idrica, edafica o ecologica, la cui influenza si sovrappone a quella
esercitata del clima regionale.
L’attività antropica è infine uno dei più importanti modificatori del paesaggio vegetale. Spesso
l’uomo interferisce con il progredire delle serie, impedendone lo sviluppo o deviandole verso
vegetazioni di sostituzione relativamente stabili definite ‘paraclimax’, come i pascoli, i prati a
sfalcio o i boschi cedui. Dato che per fini pratici è sempre utile separare il fattore antropico
dagli agenti di disturbo naturali, è stato introdotto il termine ‘vegetazione potenziale’ per
indicare qualsiasi cenosi che si avrebbe in un dato territorio in assenza dell’intervento
antropico. È un concetto che comprende quindi sia il climax che i subclimax legati a fattori
naturali (UBALDI, 2003).
Esiste una terminologia specifica per descrivere la distribuzione della vegetazione sul
territorio. Si definiscono in ‘contatto serale’ due vegetazioni adiacenti appartenenti alla stessa
serie, che rappresentano quindi due fasi del medesimo processo dinamico. Si parla invece di
‘contatto catenale’ quando due cenosi adiacenti appartengono a serie diverse, cioè ad aree con
differente potenzialità. Il termine ‘vegetazione azonale’ indica un subclimax la cui
distribuzione risponde solamente a determinati contesti ecologici, indipendentemente da
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zonazioni bioclimatiche e piani altitudinali. Per ‘vegetazione extrazonale’ si intende una
fitocenosi collocata al di fuori della propria fascia bioclimatica, su topoclimi particolari ad essa
favorevoli. Infine, in aree geografiche di tensione tra due bioclimi, due serie possono entrare in
contatto tra loro in modo irregolare, con frequenti interazioni e termini di passaggio che ne
rendono difficile una distinzione spaziale netta. In questi casi si parla di ‘contatto a mosaico’
tra due serie (CANULLO, 1994).
La sezione della geobotanica che studia il paesaggio vegetale comprende tre ambiti, ognuno
dei quali si occupa di un livello di organizzazione diverso: la fitosociologia studia le fitocenosi
e ne propone una sistematica detta ‘sintassonomia’, la cui unità di base è l’associazione. La
sinfitosociologia studia i rapporti dinamici tra fitocenosi in contatto serale tra loro,
riconoscendo la serie (o sigmeto) come unità di base. La geosinfitosociologia infine si occupa
dei rapporti tra serie in contatto catenale tra loro, studiando quindi la geoserie (o geosigmeto).
In sostanza la serie è da considerarsi come l’unità principale per l’analisi del paesaggio, nonché
il livello di organizzazione su cui di fatto si agisce in qualsiasi forma di intervento sul territorio
che coinvolga la vegetazione (BIONDI, 1996).
Nel corso di una serie progressiva si distinguono uno stadio pioniere di partenza, uno o più
stadi intermedi detti ‘serali’ e uno stadio terminale, o ‘testa della serie’. Ogni cenosi modifica
da un lato le condizioni microclimatiche legate alla variazione della copertura vegetale
(illuminazione, temperatura e umidità) e dall’altro alcune caratteristiche del suolo: nelle serie
primarie si assiste a una pedogenesi completa, mentre nelle serie secondarie variano solo i
parametri edafici strettamente legati alla componente vegetale (spessore, struttura, capacità
idrica, pH, lettiera, contenuto in humus e nutrienti). La stazione diventerà quindi sempre meno
adatta alla vegetazione stessa che ha contribuito a crearla, o meglio, sempre più idonea a specie
più esigenti e competitive, che tenderanno quindi a subentrare nella fitocenosi modificandone a
loro volta i parametri stazionali. Il flusso di entrata e uscita di specie dipende, oltre che dai
fattori abiotici, anche dall’insieme di rapporti interspecifici tra le piante, come la competizione
per lo spazio, per la luce e per i nutrienti. La vegetazione quindi non risponde soltanto alle
condizioni ambientali, ma è anche il risultato di una complessa interazione di fattori
sinecologici. Le specie in una cenosi stabile devono quindi essere idonee all’ambiente fisico ed
ecologicamente compatibili tra loro.
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L’andamento di una serie dinamica progressiva, come ogni fenomeno biologico che comporti
una forma di saturazione, può essere rappresentato graficamente da una curva logistica, con il
tempo in ascissa e le variazioni floristiche e strutturali in ordinata. La crescita è esponenziale
negli stadi pionieri, mentre tende a stabilizzarsi durante gli stadi serali fino ad assumere un
andamento logaritmico in prossimità della testa di serie. Inizialmente si affermano comunità
prevalentemente erbacee, caratterizzate da un esiguo numero di specie e bassi livelli di
produttività e biomassa. Il substrato è tendenzialmente xerico e povero in nutrienti, mentre la
copertura del suolo è scarsa. Gli stadi serali hanno una struttura più complessa, che varia dal
prato arbustato all’arbusteto alberato. Con essi (in particolare con gli stadi preclimacici) il
suolo raggiunge la massima fertilità, la produttività e la biomassa aumentano e si hanno la
massima diversità specifica e il massimo flusso di entrata e uscita di specie dal sistema. La
saturazione in specie che si osserva nella fase terminale della serie è dovuta sia al fatto che
queste provengono da un determinato contingente floristico (ossia da un insieme di entità
finite) sia al fatto che la disponibilità stessa delle nicchie ecologiche è limitata. Man mano che
le specie entrano nella cenosi e occupano la loro nicchia ecologica il sistema si avvicina alla
saturazione, condizione nella quale tutte le nicchie sono state occupate e non vi è più “spazio”
per nuove specie. Nello stadio terminale della serie il suolo raggiunge la massima evoluzione
consentita dalla situazione climatica e geomorfologica locale, ma è meno fertile che negli stadi
preclimacici e tende a diventare mesico e acido. La vegetazione raggiunge la massima
copertura al suolo e assume una struttura arborea (eccetto ad alte quote, alte latitudini o regioni
decisamente continentali), con specie di sottobosco sciafile, mesofile e subacidofile. Tutta
l’energia captata viene utilizzata per l’attività respiratoria e per il rinnovamento stagionale di
foglie, fiori e frutti, mentre l’investimento in tessuti permanenti, cioè la produttività
propriamente detta, decresce progressivamente tendendo a zero. La biomassa aumenta in modo
speculare alla produttività fin quasi a stabilizzarsi presso un limite massimo. Questa condizione
coincide con il climax, definibile come lo stadio in cui si ha la massima omeostasi e la
massima efficienza nello sfruttamento dell’energia da parte del sistema. In termini eco-
fisiologici, è la condizione in cui la produttività è uguale alla respirazione (ODUM, 2007). Con
il climax la diversità specifica in genere subisce un lieve calo dovuto all’instaurarsi delle
dominanze in una fitocenosi ormai stabile. Le variazioni che si osservano da questo momento
in poi sono riconducibili a fenomeni di oscillazione attorno a un punto di equilibrio stabile, che
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permane fino all’intervento di una perturbazione esterna o al mutamento dei principali
parametri ambientali.
È molto significativo analizzare da un punto di vista funzionale le cenosi che si susseguono nel
corso di una serie progressiva. Secondo la teoria ‘CSR’ di GRIME (1977, 1979, 2001), il
fenotipo dei vegetali è plasmato dall’interazione di tre fattori che limitano la produttività: il
disturbo, inteso come distruzione di biomassa a causa di eventi esterni; la competizione, cioè la
limitazione indiretta alla produzione primaria a causa dalla contesa delle risorse con altre
piante; lo stress, ossia la limitazione diretta alla produzione primaria a causa di condizioni
ambientali particolarmente severe. Le piante hanno evoluto di conseguenza tre assetti eco-
fisiologici detti ‘tipi funzionali’ per far fronte a ciascun regime ecologico. Si distinguono
quindi specie ruderali adattate al disturbo, specie competitrici adattate alla competizione e
specie stress-tolleranti adattate allo stress. I tre tipi funzionali sono legati da un trade-off, per
cui ogni fenotipo comporta necessariamente il sacrificio delle caratteristiche che
contraddistinguono gli altri due. Esistono però anche forme intermedie, che in natura sembrano
essere molto più frequenti delle strategie ecologiche pure.
Specie ruderali: sono le specie resilienti adattate al disturbo (‘r-strateghe’ secondo il modello
MCARTUR e WILSON, 1967). Sono specie eliofile e xerofile dal rapido accrescimento giovanile
e dal ciclo vitale breve (spesso annuale), generalmente camefite e terofite di piccole
dimensioni. Le specie ruderali investono soprattutto in tessuti fotosintetizzanti e apparati
riproduttori e si riproducono precocemente con una grande produzione di semi leggeri ad alta
dispersione. Si tratta di adattamenti evoluti per superare il disturbo e la stagione avversa
sottoforma di seme. Vanno a colonizzare i territori che si rendono temporaneamente disponibili
a seguito di un disturbo, ma al cessare di questo non vi permangono a lungo poiché non
reggono la competizione con le altre specie.
Specie competitrici: sono specie adattate alla competizione e adottano la strategia della
dominanza. Si tratta soprattutto di emicriptofite o fanerofite dal legno tenero, caratterizzate da
un rapido accrescimento giovanile e un’ampia plasticità morfologica. La dominanza è sia
epigea, attraverso l’alta statura e le estese superfici fogliari, che ipogea, grazie alla continua e
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abbondante produzione di radici. La riproduzione è tardiva perché le specie competitrici
sfruttano il periodo vegetativo per investire il più possibile in tessuti utili alla
monopolizzazione delle risorse. La competizione è un fattore che subentra inevitabilmente in
condizioni ambientali ottimali, esenti da forme di stress e disturbo.
Specie stress-tolleranti: specie resistenti adattate allo stress (‘K-strateghe’ secondo il modello
MCARTUR e WILSON, 1967). Le piante stress-tolleranti hanno un seme pesante a dispersione
gravitativa, un lento accrescimento, un ciclo vitale lungo e investono soprattutto in tessuti
morti. Sono quindi piante adattate a catturare e mantenere le scarse risorse di un ambiente
sfavorevole. È necessario distinguere le specie adattate agli stress allogeni di ambienti estremi
da quelle adattate agli stress autogeni delle fitocenosi mature. Le prime assumono forme di
crescita peculiari per far fronte a stress come l’aridità nel caso delle piante succulente o la
carenza di humus nel caso delle piante litofile a cuscinetto. Le seconde possono essere ad
esempio le grosse fanerofite arboree e le emicriptofite ad esse associate nel sottobosco. Lo
stress, in quest’ultimo caso, consiste nel mantenere la dominanza e rinnovarsi all’ombra per le
specie arboree, oppure nell’accettazione della dominanza e delle restrittive condizioni
ecologiche che ne derivano per le specie di sottobosco.
Secondo quanto proposto da Grime, una serie primaria, per definizione, partirebbe da una
condizione di stress allogeno dovuto a un substrato vergine e inospitale. Ne consegue uno
stadio pioniere molto duraturo a specie stress-tolleranti, nel quale si assiste ai principali
processi pedogenetici. Quando il supporto edafico sarà adeguato entreranno in gioco le specie
competitrici e infine si stabiliranno le dominanze. Nelle serie primarie quindi si assiste a un
sistema di rapporti interspecifici che vanno dalla facilitazione iniziale da parte delle specie
pioniere, fino alla tolleranza e all’inibizione negli stadi successivi. Non è detto che ci sia la
partecipazione di specie ruderali, perché una serie primaria non implica necessariamente
fenomeni di disturbo. Le specie ruderali occupano invece le fasi precoci di una serie
secondaria, subito dopo il disturbo che, per definizione, l’ha innescata. Il passaggio dalle specie
ruderali alle competitrici in questo caso non è dovuto tanto alle variazioni edafiche e
microclimatiche indotte dalla vegetazione, quanto al tempo trascorso dall’avvento del disturbo.
Se questo non torna entro un certo lasso di tempo infatti, la strategia della resilienza perde il
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suo vantaggio a favore di quella delle specie competitrici. In sostanza, nelle serie secondarie,
non si osserva alcun fenomeno di facilitazione o tolleranza, ma solo inibizione. Il tempo
necessario al raggiungimento della maturità sessuale e la capacità di dispersione dei semi delle
varie specie giocano un ruolo fondamentale in questa dinamica. Le specie r-strateghe
dominano gli stadi precoci non solo grazie alla loro frugalità, ma anche perché raggiungono
rapidamente la maturità sessuale e hanno un’alta capacità di dispersione dei loro semi (di solito
anemocora). Le specie K-strateghe al contrario impiegano molto tempo per raggiungere la
maturità sessuale e si diffondono a breve distanza per dispersione gravitativa o per
riproduzione vegetativa. L’ordine di ingresso delle varie specie in una successione secondaria
quindi dipende tanto dal gradiente ecologico quanto dalle caratteristiche riproduttive e
ontogenetiche di ogni specie (BIONDI, 1996).
Se il “motore” delle serie primarie è la progressiva evoluzione del suolo, nelle serie secondarie
è la strategia ecologica delle singole specie a giocare il ruolo principale. Nella fase terminale di
entrambe le serie si instaurano le dominanze, quindi termina la competizione e subentra il
vantaggio della strategia stress-tollerante. Permangono quindi le poche specie arboree che
riescono a mantenere la dominanza e quelle erbacee e arbustive che la accettano, adattandosi a
uno stress autogeno che consiste nell’ombra del bosco maturo e nella scarsa fertilità del suolo
forestale (dovuta al rapido riciclo dei nutrienti). Il passaggio tra preclimax e climax rappresenta
quindi anche il passaggio da una fase di incremento quantitativo in termini di diversità
specifica a una fase di selezione qualitativa dei tipi funzionali (UBALDI, 2003).
Recenti studi hanno però dimostrato che le innumerevoli situazioni ambientali e la presenza di
tipi funzionali intermedi rendono la dinamica della vegetazione un fenomeno complesso, non
sempre descrivibile con modelli generali. Non è detto, ad esempio, che un substrato di
neoformazione sia esente da disturbi, magari legati alla stessa dinamica geomorfologica che
l’ha reso disponibile, così come un terreno vergine non è sempre tanto severo da precludere
l’insediamento di specie ruderali, o perlomeno di tipi funzionali intermedi. La dinamica della
vegetazione è quindi un processo da analizzare caso per caso, poichè strettamente legato al
contesto ambientale e floristico in cui si verifica.
Una delle dinamiche più diffuse e studiate è la ricolonizzazione dei prati abbandonati da parte
della vegetazione naturale. Si tratta di serie secondarie nelle quali si possono distinguere su
base fisionomico-strutturale un ‘orlo’ ancora erbaceo, un ‘mantello’ arbustivo, un ‘prebosco’