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PREMESSA.
Il presente lavoro si compone di due parti:
1. la prima, comprendente i primi due capitoli. Nel pr imo capitolo si
effettua una descrizione del fenomeno del bullismo. Dal momento che
esiste oramai una vastissima bibliografia sull’arg omento, si è optato
per una sintetica esposizione delle principali cara tteristiche del
fenomeno e dei filoni di ricerca ad esso correlati fornendo indicazioni
bibliografiche in merito. Nel secondo, si illustran o i fondamenti
teorici dei costrutti di empatia, prosocialità ed a utoefficacia e la
correlazione tra questi costrutti ed i ruoli assunt i nel bullismo con
particolare attenzione al difensore della vittima e all’osservatore.
2. la seconda parte comprende i capitoli terzo, quarto e quinto. Nel
terzo si descrive l’intervento di prevenzione e con trasto al fenomeno
del bullismo promosso dalla Regione Piemonte artico lato al momento in
due fasi diverse: la prima, riguardante l’anno scol astico 2008-2009,
con la finalità di eseguire una rilevazione del fen omeno del bullismo in
alcune scuole di Torino e provincia; la seconda, ri guardante l’anno
scolastico 2009-2010, con l’avvio di una ricerca pilota finalizzata a
valutare l’efficacia degli interventi di prevenzion e e riduzione del
bullismo attuati nelle classi coinvolte nel progett o stesso. In
entrambe le fasi è stato somministrato agli allievi delle scuole
aderenti al progetto un questionario appositamente predisposto.
Nel quarto capitolo si prenderà in esame l’analisi dei dati ricavati dai
questionari per approfondire la differente assunzio ne dei ruoli nel
bullismo in relazione ai costrutti di empatia, pros ocialità e
autoefficacia. Verranno analizzati in particolare i ruoli di difensore e
osservatore.
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Numerose evidenze empiriche depongono a favore di u na correlazione
positiva tra competenza emozionale e assunzione del ruolo di
difensore, prevenzione e riduzione degli episodi di bullismo. Desta
interesse il fatto che il ruolo di osservatore corr eli positivamente
con l’empatia e negativamente con la prosocialità e d l’autoefficacia.
Il quinto capitolo affronta le ricadute operative c he derivano
dall’eventuale conferma di queste ipotesi ponendo l ’accento sulla
necessità improrogabile di inserire esplicitamente nel curriculum
scolastico la formazione delle competenze sociali ( life-skills ) e
l’adeguata valorizzazione del ruolo dei pari. Per Life-Skills s’intendono
quelle competenze sociali e relazionali che permett ono ai ragazzi di
affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana,
rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità.
L’acquisizione di tali competenze costituisce il pr esupposto
indispensabile per promuovere il benessere personal e e sociale, per
stabilire relazioni efficaci, per prevenire comport amenti a rischio nel
campo della salute (Marmocchi, Dall’Aglio, Zannini, 2004), quindi
anche nella prevenzione e riduzione del bullismo.
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CAPITOLO 1.
1. 1 Definizione di bullismo.
Generalmente il bullismo è definito come una specif ica categoria di
comportamento aggressivo, caratterizzato da ripetiz ione e da un definito
squilibrio di potere (Olweus, 1993).
Il bullismo si può verificare in molti ambienti: su l posto di lavoro, fra le
mura domestiche, nelle forze armate, nelle prigioni ecc. Non a caso il
bullismo al lavoro sta diventando un ambito di rice rca di una certa
importanza (Salmivalli, 2010; Smith in Blaya et al ., 2007).
Ciononostante la maggior parte degli studi è stata condotta nelle scuole: è
proprio quest’ultimo tipo di bullismo quello che è stato prevalentemente
indagato dai ricercatori negli ultimi trent’anni.
Dopo il lavoro pioneristico di Dan Olweus (Fonzi, 1 997), che rilevò la
consistenza del fenomeno in un gran numero di scuol e scandinave, molte
altre ricerche sono state condotte in Inghilterra ( Whitney, Smith, 1993), in
Irlanda, in Spagna, in Finlandia, in Giappone, in A ustralia.
Il termine inglese “ bullying ”, di cui l’italiano “bullismo” è la traduzione
letterale, è quello oramai comunemente usato nella letteratura
internazionale sull’argomento. La parola usata in S candinavia per riferirsi al
bullismo è “ mobbing ” (in Norvegia e Danimarca) o “ mobbning ” (in Svezia e in
Finlandia). Essa è usata con diversi significati e connotazioni. La radice della
parola originale inglese “mob” si riferisce ad un g ruppo di persone,
abitualmente esteso ed anonimo, implicato in azioni di molestie. Il termine,
però, è usato spesso anche per una persona che crit ica, molesta o picchia
un’altra. È importante includere nel concetto di “ mobbing ”, o bullismo,
entrambe le situazioni: sia quella in cui un singol o individuo molesta un altro,
sia quella in cui a essere responsabile delle moles tie è un gruppo (Olweus,
1993).
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In termini generali, secondo Olweus (1993), il bullism o si può definire nel
modo seguente: uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovver o è
prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto ri petutamente nel corso
del tempo alle azioni offensive messe in atto da un o o più compagni .
In Italia le ricerche sul bullismo hanno preso avvi o agli inizi degli anni ’90
per opera di un gruppo di ricercatori coordinato da lla prof.ssa Ada Fonzi del
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo dell’Univ ersità di Firenze.
Il primo problema da affrontare è stato quello del nome da attribuire al
fenomeno studiato. Il termine bullying, che interpreta assai bene con la
felice condensazione della lingua inglese, la situa zione in cui c’è
contemporaneamente qualcuno che prevarica e qualcun altro che è
prevaricato, non trova il suo corrispettivo nella l ingua italiana. Si è optato
per il termine prepotenze dopo un’indagine prelimin are condotta su bambini
di scuola elementare da cui era emerso che i termin i “bullo” e “bullismo”
erano poco familiari ai bambini. Il termine “prepot enze”, invece, presenta
un’accezione ampia di significati: si può parlare d i prepotenze fisiche,
verbali e psicologiche, e quindi può adeguatamente comprendere tanto il
bullismo diretto che indiretto (Fonzi, 1997).
La crescente attenzione dei media, se da un lato ha favorito l’attenzione e
la presa di consapevolezza del problema, dall’altro ha legittimato un uso
indiscriminato del termine bullismo per designare s ia fenomeni che possono
a pieno titolo esserne espressione, sia episodi est remi, quali la violenza
propria delle tifoserie sportive e quella di gruppi politici estremisti. Tutto è
bullismo, non solo episodi di angheria e sopruso tr a ragazzi ma anche le
attenzioni sessuali verso un insegnante videoripres o in classe o l’aggressione
di un genitore ai danni del preside di una scuola m edia. Di fronte a questa
confusione di termini e di significati è utile capi re con parametri più
rigorosi cosa è e cosa non è il bullismo e riportar e la lettura del problema al
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suo naturale contesto e alle sue forme tipiche di e spressione (Menesini in
Blaya et al. , 2007).
Come già detto, il bullismo rappresenta una sottoca tegoria del
comportamento aggressivo in cui un individuo o un g ruppo di individui
ripetutamente attaccano, umiliano e/o escludono una persona relativamente
indifesa.
La definizione utilizzata per definire il fenomeno nelle ricerche condotte in
Italia è la seguente:
«Diciamo che un ragazzo subisce delle prepotenze quando un altro ragazzo,
o un gruppo di ragazzi, gli dicono cose cattive o s piacevoli. È sempre
prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, c alci e minacce, quando
viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini c on offese e parolacce,
quando nessuno gli rivolge mai la parola e cose di questo genere. Questi
fatti capitano spesso e chi subisce non riesce a di fendersi. Si tratta sempre
di prepotenze anche quando un ragazzo viene preso i n giro ripetutamente e
con cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi, all’incirca
della stessa forza litigano tra loro o fanno la lot ta» (Genta, Menesini, Fonzi,
Costabile, 1996).
Perché un comportamento possa essere connotato come bullistico, quindi,
deve possedere le seguenti caratteristiche distinti ve:
a) l’intenzionalità : il comportamento in oggetto è volto a creare un d anno
alla vittima;
b) la sistematicità : il bullismo presenta caratteristiche di ripetitiv ità e
perseveranza nel tempo;
c) l’asimmetria di potere : nella relazione tra bullo e vittima il bullo è pi ù
forte e la vittima più debole ed incapace di difend ersi (Menesini, 2003).
Alcuni autori hanno distinto fra aggressività proattiva , che avviene senza
provocazione da parte del partner ed è rivolta a pe rseguire il fine
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dell’aggressore, e aggressività reattiva che si manifesta come reazione a
condizioni antecedenti, quali una provocazione o un a costrizione. Seguendo
questa distinzione il bullismo è visto come una mod alità proattiva.
L’aggressività proattiva è ulteriormente suddivisa in due tipologie: il
bullismo e l’aggressività strumentale. La prima for ma di aggressività trova la
sua motivazione nell’affermazione di dominanza inte rpersonale, mentre la
seconda è un comportamento coercitivo rivolto a fin i non personali, come il
possesso di un oggetto. Tuttavia questa distinzione non è sempre valida,
poiché alcune forme di bullismo possono essere stru mentali, cioè finalizzate
al possesso di un oggetto o di uno spazio, e allo s tesso tempo essere mosse
da motivazioni di dominanza interpersonale e di aff ermazione di status
(Fonzi, 1999).
Alcune azioni offensive possono essere perpetrate a ttraverso l’uso delle
parole (verbalmente), per esempio minacciando, rimp roverando, prendendo
in giro o ingiuriando; altre possono essere commess e ricorrendo alla forza o
al contatto fisico, per esempio, picchiando, spinge ndo, prendendo a calci,
tormentando o dominando un altro. In certi casi le azioni offensive possono
essere perpetrate anche senza l’uso delle parole o del contatto fisico:
beffeggiando qualcuno con smorfie o gesti sconci, e scludendolo
intenzionalmente dal gruppo o rifiutando di esaudir e i suoi desideri.
Per questo gli autori distinguono tra bullismo diretto , che si manifesta in
attacchi relativamente aperti nei confronti della v ittima, e bullismo
indiretto , che consiste in una forma d’isolamento sociale e in un’intenzionale
esclusione dal gruppo. Anche se meno visibile, è im portante prestare
attenzione anche alla seconda forma di bullismo.
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1.2 Diffusione del bullismo nelle scuole.
Le ricerche che si sono avvalse di questionari per valutare l’incidenza e le
caratteristiche del bullismo a scuola in varie real tà geografiche hanno
innanzitutto dimostrato che questo fenomeno è più d iffuso di quanto gli
adulti (genitori e insegnanti) possano pensare.
Olweus nel suo studio pioneristico del 1983 condotto s u oltre 130.000
ragazzi norvegesi di età compresa tra gli 8 ed i 16 a nni trovò che il 15% dei
soggetti era stato coinvolto, come attore o come vi ttima. Di questi ragazzi il
9% dichiarò di aver subito prepotenze, il 7% di aver ne fatte, mentre l’1,6%
apparteneva a una categoria mista di bullo e di vit tima.
I risultati dell’indagine condotta nel Regno Unito da Smith e Whitney
(1993) hanno evidenziato che in un campione di 6.500 stude nti dell’area di
Sheffield, la percentuale di bambini delle elementa ri che dichiaravano di
aver subito prepotenze negli ultimi due o tre mesi arrivava al 27% e nelle
scuole medie al 10%. In tutte le scuole si verificav ano comportamenti
aggressivi, prepotenti o soprusi di vario genere (M enesini, 2003).
Man mano che gli alunni crescevano, le loro esperie nze come vittime di tali
comportamenti diminuivano. Normalmente si assisteva a una riduzione di
circa un 15% l’anno. Tuttavia la gravità dei singoli episodi aumentava. Le età
di punta in cui erano assunti comportamenti bullist ici erano tra i 7 e i 13-14
anni (Whitney, Smith, 1993).
Nel nostro paese la ricerca sul bullismo è comincia ta, come già detto, solo
all’inizio degli anni Novanta, ma ha evidenziato su bito la gravità e la
drammaticità del fenomeno che caratterizza le scuol e italiane. I primi dati
sono stati raccolti in due città del Centro e Sud I talia, Firenze e Cosenza
(Genta, Menesini, Fonzi, Costabile, 1996), mediante il questionario anonimo
di Olweus (1993). Alla ricerca hanno partecipato 1.379 al unni di età
compresa tra gli 8 ed i 14 anni (dalla 3
a
elementare alla 3
a
media). I risultati
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indicano che una percentuale molto alta di maschi e femmine riferisce di
aver subito prepotenze nel periodo considerato: cir ca il 42% nelle scuole
elementari e il 28% nelle scuole medie. La percentual e di chi dichiara di
fare prepotenze è più bassa ma rimane molto consist ente in entrambi gli
ordini di scuola: circa il 20% nelle elementari e il 16% delle medie.
Questa differenza quantitativa tra la realtà italia na e le altre nazioni
europee è stata in seguito confermata dalle ricerch e svolte in altre regioni.
Dal libro a cura di Fonzi (1997) emerge una sostanzial e conferma dei
risultati dell’indagine iniziale: il bullismo nelle scuole italiane si presenta con
valori molto elevati, con indici complessivi di den uncia delle prepotenze
subite che si collocano vicino al 40% nella scuola el ementare e al 22% nella
scuola media. Quando viene chiesto ai soggetti di v alutare il numero di
compagni implicati come vittime, il 61% circa nella scuola elementare ed il
53% nella scuola media, ritengono che ve ne siano alm eno tre per classe
(quasi il doppio rispetto agli inglesi).
Rispetto a questi dati inquietanti Fonzi (1997, p.212) si chiede: « Siamo
veramente un paese in cui la violenza è più di casa che altrove, o il divario è
piuttosto attribuibile a un modo diverso di interpr etare e vivere il fenomeno
da parte dei nostri ragazzi rispetto ad altri prove nienti da culture diverse?
Avevamo pensato che la condizione di paesi altament e industrializzati fosse
una sorta di piattaforma comune che livella alcune tendenze generalizzate.
Probabilmente non è così... forse nel nostro paese, nella nostra cultura, a
differenza di altre, il conflitto è più tollerato e porta meno frequentemente
alla rottura dei rapporti ». Il dato più discrepante rispetto alle altre nazi oni
europee, infatti, è proprio quello quantitativo.
Le pubblicazioni successive che si ponevano come ob iettivo il confronto della
realtà locale con il dato nazionale hanno confermat o queste percentuali e in
alcuni casi l’incidenza del fenomeno è risultata ad dirittura più elevata.
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Il terzo rapporto EURISPES (2003), condotto con uno str umento diverso
da quello usato in molte ricerche precedenti su un campione rappresentativo
della popolazione adolescenziale nazionale, compost o di 3.200 soggetti tra 7
e 11 anni e 3.800 di età 12-18 anni, presenta valori sim ili con percentuali di
vittimizzazione del 40% e 28% rispettivamente alle ele mentari e alle medie
e valori corrispondenti di bullismo agito del 20 e 15% .
In una vasta ricerca condotta su un campione di 1.300 studenti d’età 14-17
anni, seguiti longitudinalmente per tre anni consec utivi (progetto Lucca
Longitudinal Study of Aggression , LULOSA ) (Menesini, Fonzi, Nocentini,
2007), è emerso che il fenomeno si attesta su valori co mpresi tra il 5% e il
25% secondo la soglia di riferimento (ripetuta o epis odica). Da questi dati si
nota, inoltre, come la fetta maggiore di comportame nti sia costituita da
quelli episodici superiori al 10-15%, mentre la fett a dei fenomeni sistematici
e ripetuti si attesta su valori inferiori al 10%. È importante mantenere
questa distinzione, nelle statistiche concernenti i l bullismo: non è tanto la
pervasività del fenomeno che ci deve preoccupare ma la gravità e la violenza
con cui a volte si manifesta in una fetta più ristr etta della popolazione. In
secondo luogo, si nota una percentuale più elevata di bulli rispetto alle
vittime, come se “fare le prepotenze” a questa età costituisse un valore o
quantomeno un comportamento da ostentare (Menesini in Blaya et al ., 2007).
Un’indagine commissionata nell’ottobre 2006 da D’Anna C asa editrice 1
(M.
Ardi, 2006) sugli studenti delle scuole superiori itali ane ha rilevato che è
“vittima” del bullismo il 33% degli studenti, quei ra gazzi ai quali almeno una
volta è capitato di essere soggetto di una prepoten za fisica, psicologica o
1
L’indagine nazionale « Quando il bullismo entra in classe » è stata commissionata dalla
casa editrice stessa all’Istituto di Studi sulla Pu bblica Opinione diretto dal professor
Renato Mannheimer; i risultati dell’indagine sono s tati commentati dallo stesso professor
Mannheimer, Roberta Giommi e Giuseppe Bagni ( www. danna .it).
15
verbale; mentre il 45% ne è stato spettatore, cioè ha visto fare o sa che è
capitato nella scuola un episodio di bullismo. Le v ittime sono principalmente i
maschi, il 37% contro il 18% delle ragazze, delle pri me classi degli istituti
tecnici e professionali.
La percentuale di bambini che subisce prepotenze di minuisce con
l’aumentare dell’età e in particolare nel passaggio dalle scuole elementari
alle medie e in seguito dalle medie alle superiori.
La concordanza tra i diversi studi porta a consider are il bullismo nelle
scuole elementari come fenomeno molto diffuso e per vasivo, in cui un’alta
percentuale di bambini è coinvolta come attore o co me vittima.
Nella scuola media, invece, il fenomeno delle prepo tenze coinvolge un minor
numero di ragazzi, spesso sempre gli stessi, che pi ù degli altri faticano a
uscire dal ruolo di bullo o di vittima. In un certo modo, tali ruoli sembrano
radicalizzarsi e diventare sempre più rigidi, come dimostra anche il fatto
che il coinvolgimento nel fenomeno è correlato con difficoltà future
nell’adolescenza e nella vita adulta.
Dal punto di vista evolutivo, nonostante la frequen za dei comportamenti
aggressivi sia più elevata nella prima e nella seco nda infanzia, il periodo in
cui questo comportamento si configura come più peri coloso è l’adolescenza e
la prima età adulta (Menesini, 2003).
1.3 Dove avvengono le prepotenze?
Riguardo ai luoghi emergono delle nette differenze tra scuola elementare,
media e scuole superiori. Nel primo caso, la stragr ande maggioranza degli
studenti, più del 50%, dichiara che le prepotenze avv engono nelle aule e più
raramente nel cortile, nei corridoi o nei bagni del la scuola. In genere i bulli
appartengono alla stessa classe delle vittime o a c lassi superiori e le vittime
dichiarano che a molestarle sono soprattutto un sin golo ragazzo o un gruppo
16
di ragazzi o anche, ma meno di frequente, un gruppo misto di ragazzi e
ragazze (Genta, 2002).
Nel caso delle scuole superiori emerge una quota ri levante di fenomeni agiti
che avvengono al di fuori della scuola, sui mezzi d i trasporto (19,8%), per
strada (34,6%) e nelle compagnie del tempo libero (37,5%) . Inoltre, in una
parte dei casi si evidenziano prepotenze di ragazzi più grandi contro i più
piccoli, un fenomeno simile al “nonnismo” del conte sto militare che si basa
sul potere e sui rapporti di forza degli anziani ve rso i più giovani (Menesini,
Fonzi, Nocentini, 2007).
Le ricerche condotte da Olweus (1993) indicano che gli studenti prevaricati
a scuola sono il doppio (il triplo nella scuola med ia) di quelli prevaricati nel
tragitto tra casa e scuola. C’è comunque un legame tra le due situazioni,
poiché gli studenti vittimizzati durante il percors o tendono a esserlo anche
a scuola, ma la scuola resta il luogo in cui il bul lismo si manifesta con
maggiore frequenza.
Per quanto riguarda la situazione italiana diversi studi hanno dimostrato
come l’aula sia il luogo in cui accade il maggior n umero di prepotenze, in
quanto il nostro sistema prevede diversi cambi di i nsegnante nell’arco
dell’orario scolastico con la conseguenza che gli studenti si ritrovano
frequentemente in classe senza sorveglianza. Non si tratta, comunque,
soltanto di un problema di supervisione; anche la d isposizione dei banchi, la
collocazione dell’insegnante, la sistemazione degli arredi, possono
condizionare il tipo di comunicazione che viene ad instaurarsi all’interno di
un’aula e favorire o meno il mantenimento della dis ciplina (Begotti, Bonino,
2009).
Sharp e Smith (1994) evidenziano che il cortile sembr a essere uno dei
luoghi più comuni in cui i comportamenti antisocial i accadono. Molti fattori
sembrano concorrere a determinare questo fatto: a v olte sono le stesse
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caratteristiche strutturali dei cortili a facilitar e l’emergere di atti di
bullismo; infatti, le ricerche hanno dimostrato una forte correlazione tra
episodi di bullismo e degradazione degli spazi all’ aperto per il gioco.
Comunemente si crede che il bullismo si verifichi p rincipalmente nelle grandi
città. In realtà, la percentuale di studenti, vitti me o bulli nelle grandi città
è approssimativamente la stessa o addirittura infer iore rispetto a quella dei
centri più piccoli. Inoltre, nelle grandi città sia gli insegnanti sia i genitori
parlano con gli studenti coinvolti nel fenomeno più spesso di quanto non si
faccia nei centri più piccoli evidenziando così una maggiore consapevolezza
del problema (Olweus, 1993).
È opinione diffusa che il problema del bullismo esi sta solo nelle scuole di
zone particolarmente degradate. Le prepotenze, inve ce, avvengono in tutte
le scuole e riconoscere che questo succede è il pri mo passo per prevenire e
ridurre la portata del problema (Bonino, Begotti, 2007). Poco probanti sono i
risultati di quelle ricerche che hanno cercato di m ettere in rapporto il
fenomeno del bullismo con particolari fattori socio -ambientali.
Sembrerebbero, infatti, scarsamente verificate le i potesi, spesso avanzate
dagli insegnanti, secondo le quali un alto numero d i studenti per classe e
l’ampia dimensione della scuola sarebbero correlati positivamente con la
presenza di prepotenze (Fonzi, 1997).
Occorre, inoltre, superare il pregiudizio secondo i l quale le scuole che
affrontano il problema sono quelle in cui il fenome no è più grave. In realtà,
le scuole che affrontano il problema sono quelle ch e offrono ai propri
studenti maggiori garanzie in termini di sicurezza a convivenza a scuola
(Bonino, Begotti, 2007; Menesini 2003).
18
1.4 E gli adulti?
Quanto all’atteggiamento degli adulti di fronte al fenomeno del bullismo, i
dati delle ricerche sono piuttosto sconfortanti. Se condo quanto riferisce
Olweus (1993), gli insegnanti non sembrano mettere in atto strategie
d’intervento diretto per contrastarlo e i genitori, sia delle vittime sia, in
particolare, dei prevaricatori, non sembrano essere a conoscenza del
fenomeno e ne parlano poco con i figli (Fonzi, 1997).
Buona parte degli stessi alunni vittimizzati ammette di non parlarne con
genitori e insegnanti che sembrano essere i primi a non sollevare il discorso
con i bambini, probabilmente sottovalutandolo.
Sia ricerche inglesi che italiane (Fonzi, 1997; Whitne y, Smith, 1993) hanno
evidenziato che solo il 50% dei bambini vittime parla del problema con
insegnanti, genitori o amici. Questa percentuale di minuisce con l’età.
La comunicazione in famiglia è più probabile: il 65,4% dei bambini alle
elementari, il 50,9% alle medie e l’11% alle scuole su periori. Emergono chiare
differenze in relazione ai diversi interlocutori: a d esempio, in Italia, solo il
51% dei bambini di scuola elementare ed il 35,5% di que lli di scuola media
parlano con l’insegnante delle prepotenze subite. S econdo dati più recenti
questa percentuale diminuisce ulteriormente alle su periori, toccando valori
inferiori al 10%. Un altro segnale di difficoltà nel rapporto tra insegnanti e
alunni riguarda gli atteggiamenti dei ragazzi vitti me rispetto alle diverse
strategie di risoluzione del problema. Da uno studi o cross-culturale
condotto in due paesi europei, Italia e Inghilterra , emerge che gli
insegnanti raramente intervengono per fermare le pr epotenze, nonostante
le vittime giudichino la loro azione come potenzial mente molto efficace
(Menesini 2003). Davanti ad episodi di prepotenza che n on sfociano in
violenze gravi, gli adulti hanno spesso la tentazio ne di non vedere o
minimizzare, pensando che in fondo sono cose da bam bini, sono sempre
19
accadute ed è meglio che se la sbrighino da soli; d ’altra parte i ragazzi
vedono gli insegnanti come interlocutori poco affid abili e raramente parlano
con loro dei problemi che vivono con i compagni. Qu esta difficoltà di
comunicazione e gli atteggiamenti d’indifferenza ch e gli adulti dimostrano
verso i ragazzi e i loro problemi possono in molte occasioni rafforzare e
legittimare i comportamenti prevaricatori. Dietro q ueste scelte c’è spesso
un’idea della professione centrata sugli insegnamen ti disciplinari, l’aspetto
relazionale è visto come un intralcio. Il lavoro ed ucativo della classe, invece,
si sta rivelando sempre di più un lavoro di gestion e in cui il compito
dell’insegnamento è strettamente collegato con le r elazioni personali e di
gruppo che lo favoriscono o lo ostacolano (Menesini , 2003).
Studi recenti (Flaspohler, Elfstrom, Vanderzee, Sin k, Birchmeier, 2009;
Lawlor, Courtney, Flynn, Henry, Murphy, 2008) hanno po sto l’accento
sull’importanza del supporto fornito dagli insegnan ti agli allievi vittime di
bullismo nel migliorare la loro qualità di vita e n el ridurre gli effetti negativi
che questa esperienza provoca negli individui.
Il potenziamento di questo aspetto dovrebbe rappres entare uno dei cardini
degli interventi di prevenzione e riduzione del bul lismo. Molto spesso,
infatti, sono proprio gli insegnanti che, inconsape volmente, rinforzano i
comportamenti del bullo non intervenendo quando li mette in atto o
assumendo essi stessi comportamenti di prevaricazio ne nella classe
(Menesini in Blaya et al. , 2007).
Un aspetto molto importante della già citata ricerc a commissionata nel
2006 da D’Anna Casa Editrice (Ardi, 2006) sugli studenti d elle scuole
superiori italiane riguarda l’analisi delle reazioni dei ragazzi, vit time o
spettatori, per capire come l’adolescente si compor ta di fronte alle
prepotenze. Risulta che circa il 60% degli studenti r ichiede l’intervento
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degli adulti – quindi ne parla con insegnanti o gen itori – mentre il restante
40% preferisce risolvere la questione “tra ragazzi”.
Una riflessione significativa a questo proposito em erge rispetto al ruolo dei
genitori nella vita dei propri figli adolescenti. I genitori non
rappresenterebbero più il punto di riferimento nell a vita dei propri figli,
sono sempre meno i ragazzi che di fronte a un probl ema si rivolgono alla
famiglia, preferendo il confronto e il conforto deg li amici, così come già
evidenziato dallo studio della Società Italiana di Pediatria (SIP, 2006). Una
frattura tra mondo degli adulti e mondo degli adole scenti è testimoniata
anche dai seguenti dati (SIP, 2006): il 73% degli adolesc enti vorrebbe
poter passare più tempo con gli amici e solo il 13,4% preferisce passarlo con
i genitori; ma, soprattutto, pur dichiarando di ave re fiducia nei genitori, se
hanno un problema, il 62% dei ragazzi si rivolge a un amico per essere
aiutato e solo il 36% si rivolgerebbe alla mamma e il 14% al papà.
1.5 Le differenze di genere.
In rapporto alle differenze di genere si registra u n maggior coinvolgimento
dei maschi nei ruoli di bullo a tutte le età. Rigua rdo al ruolo di vittime delle
prepotenze non ci sono dati interamente concordi. A lcuni studi hanno
riscontrato una maggiore percentuale di vittime mas chi rispetto alle
femmine; in altri casi, come nel nostro Paese, non sono state trovate
differenze significative nel sesso delle vittime di bullismo (Fonzi, 1997).
La forma di bullismo più diffusa a tutte le età è r isultata quella diretta,
verbale (offese, minacce), caratteristica ugualment e di entrambi i sessi; il
bullismo fisico (botte, furti), invece, in genere s econdo per incidenza, cala
all’aumentare dell’età ed è prevalentemente denunci ato dai maschi.
Le prepotenze indirette (dicerie, calunnie, venire isolati), al contrario, sono
i tipi di bullismo più subiti dalle femmine, assiem e a quello verbale.