Capitolo 1. Introduzione
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Capitolo 1. Introduzione
L’impiego di prodotti di origine vegetale da parte dell’uomo per finalità di tipo
alimentare, aromatico, cosmetico e medicinale risale a tempi antichissimi e,
parallelamente all’evoluzione umana, si è diffuso nel corso dei millenni con lo
sviluppo delle conoscenze sulle proprietà delle specie botaniche e sulle modalità di
coltivazione delle stesse. In particolare, l’uso delle piante officinali viene fatto risalire
agli inizi dell’umanità; recenti studi hanno infatti dimostrato che i pre-ominidi
conoscevano ed utilizzavano vegetali capaci di ridurre il senso di fatica, di mitigare il
dolore, di alterare la coscienza e la percezione della realtà. Sono anche numerose le
testimonianze del passato relative all’uso di piante o funghi contenenti sostanze
allucinogene o altre sostanze psicotrope nel corso di cerimonie magiche o divinatorie.
L’archeologia fornisce, dunque, numerose documentazioni del fatto che l’uso di tali
piante sia stato legato a pratiche magico-religiose prima e mediche successivamente.
La stessa medicina moderna affonda le proprie radici nelle conoscenze relative agli
effetti terapeutici dei vegetali e delle relative preparazioni tradizionali. D’altro canto,
la diversità chimica che caratterizza i vegetali rende l’esplorazione delle piante non
solo una delle principali fonti di composti potenzialmente utilizzabili per la
realizzazione dei nuovi farmaci, ma anche uno strumento utile per la scoperta di
nuovi meccanismi di azione.
1.1 Fitoterapia e principali problematiche di carattere sanitario
associate ai fitocomplessi
Oggi, la fitoterapia, cioè l’impiego a scopo curativo e preventivo di piante
medicinali e dei loro derivati, è considerata a tutti gli effetti facente parte della
medicina ufficiale. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS o WHO) fra il
65 e l’80% della popolazione mondiale si cura con prodotti a base di estratti vegetali
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ottenuti da una piccola percentuale (meno del 10%) delle numerose specie note. Nei
Paesi industrializzati molti consumatori ricercano vari tipi di rimedi naturali
presumendo che ciò che è naturale sia anche sicuro. In Europa, per esempio, i
prodotti di origine vegetale vengono ampiamente usati come medicinali contro la
tosse, contro il dolore muscolare, per favorire la digestione e la circolazione
sanguigna, come calmanti e sonniferi, come lassativi, e per migliorare la funzionalità
epatica e renale (OAM-NIH, 1997).
Per piante medicinali si intende ogni vegetale che contenga in una o più delle sue
parti, sostanze che possono essere utilizzate a fini terapeutici o preventivi, o che sono
precursori impiegati nella emisintesi chemiofarmaceutiche di principi attivi nuovi.
L’insieme delle sostanze farmacologicamente attive e dei principi coadiuvanti
presenti in una singola pianta costituisce il suo fitocomplesso e, normalmente,
l’attività dei fitocomplessi è il prodotto di uno o più metaboliti secondari della pianta.
I metaboliti secondari sono il mezzo attraverso il quale spesso l’organismo vegetale
risponde allo stress derivante da fattori biotici e abiotici dell’ambiente. Di
conseguenza la natura e le concentrazioni di detti metaboliti possono mostrare
considerevoli variazioni all’interno di una singola pianta. Da qui la necessità di
standardizzare quanto più possibile il preparato utilizzato per specifici fini attraverso
un controllo rigoroso di tutte le condizioni e le procedure che possono influenzare
l’attività del fitocomplesso. Ciò risulta più agevole per le piante coltivate in condizioni
controllate, mentre nel caso delle piante selvatiche è molto più problematico
assicurare che le concentrazioni degli agenti bioattivi rispettino le specifiche di qualità
e di sicurezza (Silano, 2006).
Fra i fattori che rivestono particolare importanza in questo contesto vi sono:
le caratteristiche ambientali locali, quali la temperatura, umidità
dell’atmosfera e del suolo, la composizione del suolo, i fertilizzanti, l’intensità
e la natura delle radiazioni luminose, la durata dell’esposizione alla luce che
possono influire sul metabolismo secondario della pianta;
la fase di crescita della pianta al momento della raccolta o mietitura
(chiamato tempo balsamico);
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la natura dei processi di lavorazione successivamente alla raccolta,
quali i tempi intercorrenti fino all’essiccamento per il possibile instaurarsi di
meccanismi di degradazione o fermentazione, le modalità del processo di
essiccamento, di conservazione e di stoccaggio in relazione alle perdita di
sostanze volatili;
la parte della pianta utilizzata (frutti, foglie, fiori, radici, rami);
i procedimenti utilizzati per l’ottenimento della preparazione che
normalmente modifica la natura del fitocomplesso: per esempio, nel caso dei
procedimenti estrattivi, la natura del solvente impiegato, lo stato di
frantumazione della droga da estrarre, la temperatura di estrazione e il
rapporto fra solido e solvente.
Tra gli altri fattori di rischio, incontrati in materia di qualità e di standardizzazione dei
derivati botanici, anche la contaminazione rappresenta un problema ben noto. Infatti,
particolare attenzione deve essere dedicata alla possibile presenza di residui di
prodotti fitosanitari (come antiparassitari e fumiganti), di metalli pesanti o elementi
chimici specifici e di altre sostanze estranee (es.aflatossine).
1.2 Le specifiche di qualità
L’OMS ha da lungo tempo avviato un programma per promuovere le
valutazioni di qualità, sicurezza ed efficacia dei medicinali e delle materie prime di
origine vegetale. Tra le iniziative maggiormente degne di nota, ricordiamo la
pubblicazione delle linee guida di “buona pratica di fabbricazione” (BPF o GMP),
avvenuta nel 1996, e la pubblicazione delle linee guida di “buona pratica agricola e di
raccolta” (GACP) per le piante medicinali, nel 2004.
Le norme GMP si applicano ai processi di produzione e ne descrivono i metodi, la
gestione, le attrezzature ed i mezzi per assicurarne gli standard di qualità appropriata.
In Europa i riferimenti in vigore relativi alle GMP, stabiliti nella Direttiva 2003/94/EC,
risultano essere ancora più restrittivi rispetto a quelli elaborati dall’OMS e prevedono
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che ogni fase o aspetto del processo produttivo, così come ogni attività o operazione,
sia documentata da apposite registrazioni ed eseguita solo da personale competente.
Le linee guida del GACP forniscono, invece, norme tecniche generali per
l’ottenimento di materiali medicinali da piante di buona qualità e per la protezione
delle piante medicinali; esse hanno il fine di promuovere la coltivazione delle piante
medicinali attraverso l’uso sostenibile e la tutela dell’ambiente. Anche la prevenzione
ed il controllo biologico di malattie e parassiti sono parte integrante delle buone
pratiche di lavorazione in agricoltura (EMEA/CHMP/2006).
In generale, la qualità delle sostanze per uso farmaceutico come garanzia per la loro
sicurezza d’uso ed efficacia deve essere valutata in base a norme, ovvero specifiche,
continuamente aggiornate nei confronti del progresso scientifico-tecnologico, di
eventuali problemi emergenti e dello sviluppo regolatorio (Farmacopea Ufficiale,
2002).
Le specifiche di qualità per le materie prime utilizzate dal farmacista sono riportate
nelle pertinenti monografie della farmacopea europea in vigore o in una farmacopea
di Stato membro dell’Unione Europea (Farmacopea Ufficiale, 2002).
Il comitato per i prodotti medicinali di origine vegetale, istituito nell’ambito
dell’Agenzia per la valutazione dei prodotti medicinali (EMEA), ha il compito di
redigere tali monografie e compilare una lista delle sostanze e delle preparazioni di
origine vegetale. Vale rilevare che le monografie delle farmacopee riguardano solo la
qualità e non anche l’efficacia dei medicinali. Infatti numerose farmacopee
prevedono l’uso di preparazioni eterogenee da piante, anche in assenza di dati
derivati da sperimentazioni cliniche, purché in uso da lungo tempo da parte di ampie
popolazioni con una specifica indicazione terapeutica (criterio di efficacia) in assenza
di manifestazioni tossiche (criterio di sicurezza), cercando di standardizzare al
contempo la preparazione (OMS,1991).
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1.3 La Cannabis come pianta medicinale
Oggi, come in passato, la Cannabis è una delle piante medicinali più utili in
assoluto e costituisce una risorsa naturale di grande versatilità visto l’ampio campo di
utilizzo. Considerata da molti la materia prima rinnovabile più vantaggiosa della Terra,
la Cannabis trova largo impiego nella produzione di tessuti, alimenti, energia, carta,
cordami, cosmetici e medicinali (Clarke e Watson, 2007).
L’uso medico della Cannabis, al pari di altri farmaci, deve soddisfare il criterio di
efficacia terapeutica e di non pericolosità: requisiti che sembrerebbe soddisfare
pienamente. Numerosa è, infatti, la bibliografia scientifica, storica o recente,
riportante gli effetti terapeutici degli estratti di Cannabis in numerose patologie,
soprattutto nei disordini del movimento, nella spasticità correlata alla Sclerosi
Multipla, nell’epilessia, e nel dolore, sia di tipo neuropatico che emicranico (Robson e
Guy, 2004). Inoltre, non è stato tutt’ora possibile identificare con precisione la sua
dose letale nell’uomo, o forse sarebbe più corretto dire che non esiste una dose letale
capace di provocare la morte di un uomo per overdose.
L’elemento che più influenza la sicurezza della Cannabis come farmaco è la
composizione della pianta stessa, dunque la sua qualità.
A differenza delle molecole sintetiche isolate, che sono definite puramente dal punto
di vista chimico, le piante sono delle entità biologiche chimicamente complesse. La
loro composizione chimica può variare anche di molto a seconda di differenti fattori
genetici, climatologici e pedologici. Anche le tecniche di coltivazione ed i processi di
lavorazione possono influenzare la qualità finale del raccolto.
Per superare questa impasse bisogna attenersi a rigorosi standard di coltivazione,
raccolta ed essicazione, adottando tecniche innovative per ottimizzare l’uso dei
fattori di produzione in funzione degli aspetti quali-quantitativi del raccolto e
dell’impatto sulle colture.
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1.3.1 L’uso medico nel passato
Sono in molti a ritenere che la grande diffusione della Cannabis, più che ai suoi
usi tessili, sia dovuta alla sua azione voluttuaria (Bazzi, 1941; Reiniger, 1946). Le sue
proprietà inebrianti e medicamentose sono infatti note da tempo immemorabile.
È stato affermato che la Cannabis veniva ampiamente impiegata in Europa Centrale
già 7.000 anni fa dai Babilonesi (Kabelik et al., 1960); tuttavia le più antiche
testimonianze relative all’uso di Cannabis provengono dalla Cina: le analisi del
carbonio 14 eseguite su alcuni resti, hanno confermato risalire intorno al 4000 a.C. (Li,
1974).
Il più antico testo cinese sulle piante medicinali, il Pen-Ts’so Ching, che si fa risalire al
mitico imperatore cinese Shen-Nung del terzo millennio a.C., rappresenta la prima
testimonianza dell’uso terapeutico della Cannabis, raccomandandola in alcune
patologie quali la debolezza mentale, gotta, reumatismi, disordini femminili ecc.
(Shou-zhong, 1997).
Nell’antico Egitto, la Cannabis veniva ampiamente impiegata come fumigante per
trattare problemi oftalmologici e per aumentare le contrazioni vaginali durante il
parto (Mannische, 1989).
Nell’Atharva Veda, testo sacro dell’antica religione indiana risalente al secondo
millennio a.C., la Cannabis viene considerata una delle cinque piante sacre, ed è citata
come pianta che libera dall’ansia (Russo, 2004). Il suo uso nella tradizione ayurvedica
si estende almeno fino all’era pre-cristiana (Chopra and Chopra, 1957; Dwarakanath,
1965). Secondo molti ricercatori (es. Walker, 1968; Oman, 1984), il bheng (termine
indiano usato per descrivere un preparato a base di infiorescenze e foglie di
Cannabis) veniva probabilmente fumato o inalato e questa teoria sarebbe confermata
proprio dalla medicina ayurvedica, che considera il fumo delle sigarette alle erbe una
via di inalazione ed assimilazione di sostanze ad azione curativa (Russo, 2004).
Nel corso dei secoli la Cannabis medicinale si trova citata regolarmente in antichi testi
assiri, persiani ed è ben conosciuta anche nella medicina greco romana. Erodoto
riporta che gli Sciiti, una tribù nomade delle pianure asiatiche (V sec a.C.), durante i
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riti funebri, erano soliti bruciare semi di Cannabis su pietre roventi in modo da
inalarne il fumo: “inebriati da questa sauna, gli sciiti lanciano urla di gioia e ballano”
(Erodoto, 1906 ristampa, scritto circa nel 450 d.C). La prova di questo rituale sciita è
stata confermata dai ritrovamenti archeologici (Artamonov, 1965; Rudenko, 1970).
Successivamente, anche altri autori classici riportarono gli effetti curativi di questa
pianta. Nel primo secolo d.C., Dioscoride pubblicò il suo Materia Medica, all’interno
del quale si raccomandava l’uso dei semi di Cannabis per il trattamento dell’otalgia
(Dioscoride, 1968). Plinio (1951), descrive l’impiego delle radici per il trattamento dei
crampi alle articolazioni e delle ustioni. Galeno, nel secondo secolo d.C., riportò gli
effetti gastrointestinali provocati dall’ingestione di Cannabis, e della sua azione
psicoattiva se assunta in quantità eccessiva (Brunner, 1973). A testimonianza delle
citazioni sopraelencate, le diverse parti della pianta ed i suoi estratti venivano
somministrati per via orale, topica, inalati o ancora tramite supposta o clistere (Russo,
2004).
In Italia, così come in gran parte dell’Europa, dopo Dioscoride e Galeno, per la
Cannabis ha inizio un lungo ed interminabile declino.
I primi documenti medici “moderni” sembrano risalire alla prima metà del 1800, ma
molti effetti curativi della Cannabis erano sicuramente conosciuti a livello popolare,
così come i suoi effetti “modificatori dello stato di coscienza”. Fra gli utilizzi
“folcloristici”, fino a quando la canapa da fibra è stata coltiva in Italia senza proibizioni
(e l’Italia era il secondo produttore del mondo), c’erano le passeggiate mattutine
nelle piantagioni da parte dei sofferenti di asma e i bagni nelle vasche da macero
della canapa per i sofferenti dei dolori reumatici (Arpino, 1908).
Esiste, inoltre, una interessante ricerca di Giorgio Samorini (L’ERBA DI CARLO ERBA,
per una storia della canapa indiana in Italia 1845-1948), in cui si riportavano i
documenti di un secolo di studi e sperimentazioni di tutta una classe medica ed
erboristica che riconosceva alla Cannabis un grande valore terapeutico e, se coltivata
localmente, permetteva la facilità di accesso ad un farmaco importante.
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In tutte le farmacie d’Italia si vendeva la tintura di cannabis indica, e gli erboristi
utilizzavano la radice, i semi, e la parte contenente la resina in numerose
preparazioni.
Nel 1937, con il Marjuana Tax Act emesso negli Stati Uniti, inizia la proibizione di un
medicamento tanto importante che si estenderà presto in tutto il mondo.
In Italia sarà possibile trovare prodotti a base di Cannabis in farmacia fino agli anni
’50, poi più nulla: la Cannabis e i suoi preparati, considerati fino a qualche giorno utili,
benefici ed efficaci, vengono cancellati dalla Farmacopea.
1.3.2 L’uso medico nel presente
La reputazione largamente immeritata della Cannabis come droga nociva
nell’uso ricreativo e le conseguenti restrizioni legali, hanno ostacolato il suo impiego
medico e la ricerca scientifica.
La riscoperta della Cannabis e delle sue proprietà terapeutiche ha inizio negli anni ’60,
e nei primi anni ’70, in quanto incominciano ad essere pubblicati testi sulla Cannabis
utilizzata come medicina (es. Mikuriya: Marijuana medical papers 1839-1972, 1973;
Grinspoon: Marihuana Reconsidered, 1971).
Vengono scoperti numerosi principi attivi (o fitocannabinoidi), tra cui il delta-9-
tetraidrocannabinolo (THC), isolato nel 1964 dal prof. Mechoulam in Israele,
considerata la principale molecola responsabile delle proprietà farmacologiche e
psicoattive della pianta (Gaoni e Mechoulam, 1964).
Si scopre, inoltre, che il nostro organismo possiede recettori specifici per i
fitocannabinoidi (CB
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e CB
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) (Devane et al., 1988).
Visto che non è comune che esistano recettori nelle cellule dell’uomo specifici per
una sostanza esterna, si sono ricercati quali fossero i presunti “endocannabinoidi”, ed
è stato scoperto l’acido grasso arachidonil-etanolammide, ribattezzato anandamide
(dal sanscrito “ananda”, stato di grazia), messo in circolo dal nostro organismo in
condizione di benessere (Devane et al., 1992, Russo, 2011).
Queste scoperte aprirono la strada a nuovi filoni di studio.
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Negli anni ’90 in tutto il mondo ci sono stati forti movimenti di rivalutazione della
Cannabis, e attualmente, sulla spinta di nuove scoperte, il suo utilizzo terapeutico
viene richiesto ovunque.
Gli studi recenti hanno messo in evidenza il ruolo della Cannabis come
neuroprotettivo, in caso di malattie degenerative o in caso di traumi; hanno
riconosciuto la sua efficacia come stimolante dell’appetito, come antidolorifico, come
migliorativo dell’umore, antinfiammatorio, antistress, e queste proprietà salutari
sono state riscontrate sia nella resina, particolarmente ricca di cannabinoidi, sia
nell’olio ricavato dai semi, ricco di sostanze nutritive essenziali, come gli acidi grassi
polinsaturi omega-3, omega-6 e GLA gamma-lionelico (Guy et al., 2004). In particolare
le ultime risultanze relative alla capacità da parte dei cannabinoidi di stimolare il
fondamentale fenomeno dell’apoptosi (autodistruzione) nelle cellule tumorali
(Robson e Guy, 2004; Di marzio et al., 2006;) ha scatenato l’interesse di molti malati,
ricercatori e aziende farmaceutiche.
A seguito dell’individuazione della struttura molecolare del THC è stato possibile
sintetizzare in laboratorio la stessa molecola ed attualmente sono in commercio
diversi prodotti sintetici per uso farmacologico (es. il dronabinol, il nabilone) reperibili
nelle farmacie di Israele, Stati Uniti, Canada, Germania, Olanda, Inghilterra e Svizzera,
e comunemente prescritti per contrastare le sintomatologie associate a varie
patologie tra le quali, cancro, l’AIDS e la Sclerosi Multipla.
Oltre a farmaci sintetici contenenti THC, sono stati registrati anche farmaci a base di
estratti naturali di cannabinoidi, come il Sativex
®
; mentre in Olanda è possibile
acquistare in farmacia confezioni di Cannabis standardizzata (Bedrocan, Bedrobinol,
ecc.) dietro presentazione di ricetta medica.