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1.Introduzione
1.1. Patogenesi dell’ infezione da HIV
Nel 1981 l’istituto Center for Diseases Control (CDC) ha evidenziato un’insolita infezione
di Penumocystis Carinii penumonia (PCP) in cinque giovani soggetti di sesso maschile,
omosessuali, e provenienti da Los Angeles [1]. Successivamente furono descritti altri casi
di soggetti con le stesse caratteristiche socio-comportamentali [2]. Inizialmente oltre il
90% dei casi vennero riscontrati in soggetti omosessuali e bisessuali, ed essendo così alta
l’incidenza, la patologia venne definita “gay-related immunodeficiency” (GRID).
A partire dal 1982 vennero riconosciuti centinaia di casi di Sindrome da Immunodeficienza
Acquisita (AIDS), prevalentemente in tossicodipendenti che facevano uso di droghe
somministrate per via parenterale, in soggetti sottoposti a trasfusioni di sangue, emofilici,
soggetti adulti eterosessuali e nuovi nati da madre affetta da AIDS [3]. Negli stessi anni
venne notato nei giovani soggetti omosessuali di sesso maschile, un considerevole
aumento dell’incidenza del Sarcoma di Kaposi strettamente connesso con l’AIDS [4].
L’eziologia dell’infezione che causa l’AIDS è caratterizzata dalla grave diminuzione in
numero e funzione del Linfociti T-helper che ha suggerito quindi la presenza di un agente
linfotropico, causa della deplezione massiccia dei Linfociti [5]. L’agente eziologico venne
quindi definito come Human T-cells Leukaemia virus (HTLV-1), primo candidato, per la
ricerca della connessione tra agente virale e AIDS [6].
Un virus strettamente connesso ad esso, definito “Human T-Lymphotropic retrovirus”
venne ritrovato in un linfonodo di un paziente francese ad alto rischio AIDS,
successivamente definito come “Virus associato alla linfoadenopatia” (LAV). Venne
inizialmente identificato come sottospecie del virus HTLV-III e solo dopo essere stato
isolato al National Cancer Institute, venne denominato “AIDS associated retrovirus” (ARV)
[7, 8]. Nel corso degli anni questi virus sono stati messi in stretta relazione, sono stati
clonati e caratterizzati e ciò ha portato all’attuale definizione di “Human
Immunodeficiency virus type 1” e “Human Immunodeficiency virus type 2” rispettivamente
identificati dalle sigle: HIV-1 e HIV-2 [9].
Studi molecolari e sieroepidemiologici hanno stabilito una forte correlazione tra
l’infezione da HIV e lo sviluppo dell’AIDS [9]. Le sequenze genetiche conosciute di HIV-1
sono correlate strettamente con quelle del virus SIV che provoca immunodeficienza
nelle scimmie appartenenti alla specie Pan Troglodytes Troglodytes, sottospecie
appartenente agli Scimpanzé [11]. Si pensa infatti che l’esplosione di questa patologia
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possa derivare da una mutazione del virus SIV capace quindi di compiere il salto di specie
e propagarsi all’uomo [11]. A prescindere dall’enorme progresso scientifico-tecnologico,
la patologia si è diffusa nel corso dell’ultimo trentennio in maniera incontrollata,
raggiungendo quasi ogni parte del mondo. Nell’ultimo decennio questa frenetica corsa è
stata rallentata, negli Stati Uniti e in Europa, dallo sviluppo di potenti anti-retrovirali e da
un incremento delle azioni di prevenzione. In ogni caso, la diffusione epidemica della
malattia continua indisturbata in Africa e nel sud-est asiatico. E’ stato stimato che negli
ultimi anni già 22 milioni di persone sono decedute a causa di tale patologia e ad oggi,
circa 31 milioni di soggetti conducono la loro vita da sieropositivi.
1.1.1 Epidemiologia
I dati generali sulle pandemie mondiali, indicano l’infezione da HIV-1 come una delle più
devastanti nella storia della popolazione umana [12]. Sei milioni di individui durante il
2000 hanno contratto l’infezione da HIV e tre milioni di decessi sono avvenuti nello stesso
anno. Sono dati allarmanti che indicano il forte espandersi dell’infezione ancora oggi.
L’analisi filogenetica del genoma dei pro-virus indica la presenza di tre differenti ceppi
virali classificati come: M (maggiore), N (nuovo) e O (outlier), filogeneticamente vicini al
materiale genetico appartenente al virus SIV, organizzati in classi o sottotipi ordinati per
gradi di vicinanza filogenetica [13]. Il sottotipo B costituisce, difatti, la stragrande
maggioranza dei virus riscontrati in USA, Europa, Australia e Sud-America [14]. La
differenza riscontrata nelle diverse aree mondiali, è interconnessa alla diversificazione
genomica costituita dalle diverse etnie, dalle proprietà e dai tassi di mutazione virale. La
trasmissione zoonotica dagli scimpanzé dell’Africa sub-sahariana all’uomo, è la
spiegazione più plausibile per la genesi del diffondersi della patologia [11].
Attualmente la zone più infette del globo sono il sud- Africa, l’Asia e il sud-est Asiatico.
Tenendo conto che il 12% dell’intera popolazione mondiale risiede in Sud-Africa, il 70%
degli individui che hanno contratto l’infezione da HIV nel 2000 vivono proprio in questa
zona. Tutti i decessi avvenuti per infezione da HIV e quindi sviluppo di AIDS, dall’inizio
dell’epidemia ad oggi, sono avvenute proprio in questa parte del continente africano, ma
l’epidemia si sta espandendo molto rapidamente anche in Europa orientale e in Asia
come mostrato dalla figura 1.
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Fig.1 Prevalenza mondiale aggiornata a Novembre 2009 degli adulti affetti da HIV-1 [15].
Quasi l’1% della popolazione Indiana risulta, secondo le stime, essere affetta da HIV.
Sebbene questo dato sia inferiore, rispetto alla media di popolazione affetta di altri paesi,
il numero di abitanti fa’ dell’India lo Stato con il maggior numero di sieropositivi dai i suoi
quasi quattro milioni di individui. La maggior parte di essi hanno contratto la malattia
intorno al 1990 ma i dati di morbosità e mortalità stanno crescendo in maniera
incontrollata con il 14% di donne infette ad oggi [16]. Cinquecentomila sembrano essere
gli infetti da HIV in Cina, dato in crescente aumento, di cui la metà pare aver contratto la
malattia da tossicodipendenti thailandesi e un terzo da tossicodipendenti indiani. Negli
Stati Uniti risultano essere infetti da HIV dai seicentomila agli ottocentomila soggetti, ma
la disponibilità di cure mediche ha innalzato considerevolmente l’aspettativa di vita per un
sieropositivo, possibilità non disponibile invece nei paesi in via di sviluppo come Sud-
Africa e India, dove la mortalità ha raggiunto livelli allarmanti [12]. Nei nove paesi africani
con un tasso di Infetti uguale o superiore al 10% si assisterà ad un calo dell’aspettativa di
vita di circa diciassette anni entro il 2015 invece della normale aspettativa che si aggira
attorno ai sessantaquattro anni [17]. Come conseguenza diretta dell’ infezione da HIV e
quindi dell’ AIDS il tasso di mortalità infantile è considerevolmente alto e in continuo
aumento. La situazione peggiora ulteriormente se si tiene conto che molti dei paesi
africani non possiedono risorse economiche volte a sostentare il 25% di tutti i bambini
divenuti orfani in conseguenza della dilagante infezione [18]. HIV-2 è stato scoperto per la
prima volta nel 1986 isolato da pazienti affetti da AIDS in Africa Occidentale, dove
potrebbe essere stato presente anche nei decenni antecedenti alla scoperta di HIV-1. Le
8
notizie a disposizione sulla sua storia oggi non sono tantissime ma il confronto con HIV-1
mostra alcune somiglianze e alcune differenze. Sia HIV-1 che HIV-2 sfruttano le stesse vie
di trasmissione ed entrambi risultano associati alle infezioni opportunistiche dovute
all'AIDS. Le persone infette da HIV-2 rappresentano, generalmente, una fonte di contagio
inferiore rispetto ai soggetti infetti da HIV-1, durante le fasi precoci del decorso clinico.
Con l'avanzare della malattia la contagiosità di HIV-2 sembra aumentare, anche se si
mantiene sempre meno pericolosa rispetto al primo tipo di virus. Vi sono anche delle
differenze in termini geografici, l'infezione da HIV-2 riguarda una zona mondiale quasi del
tutto concentrata nell'Africa occidentale, e, non avendo avuto un fenomeno pandemico
rilevante, non si sa se l’approccio con i tradizionali farmaci antiretrovirali possa
effettivamente rallentare la progressione del virus.
1.1.2. Trasmissione
Le tre principali vie di trasmissione del virus HIV sono il contatto sessuale, l'esposizione a
fluidi corporei e/o tessuti infetti e dalla madre al feto durante il periodo perinatale. E’
possibile ritrovare il virus nella saliva, nell’urina e nelle lacrime di individui infetti ma non
sono mai stati registrati casi di infezione per mezzo di questi vettori e pertanto il rischio di
contagio con i sopra citati fluidi è trascurabile. La maggior parte delle infezioni da HIV
sono state acquisite attraverso rapporti sessuali non protetti tra partner di cui uno
sieropositivo [19]. La trasmissione attraverso rapporti eterosessuali avviene per contatto
delle secrezioni sessuali di un partner con la membrana rettale, la mucosa orale o genitale
del secondo partner. Ovviamente va sottolineato che i rapporti sessuali non protetti sono
a maggior rischio di trasmissione del virus e in particolare, tra i rapporti non protetti,
quelli anali risultano essere maggiormente rischiosi rispetto ai rapporti vaginali. Il
rapporto orale non è esente da rischio [20] sebbene quest’ultimo risulti essere molto più
piccolo proprio perché la carica virale contenuta nella saliva non sarebbe sufficiente ad un
contagio [21]. Infezioni sessualmente trasmesse aumentano considerevolmente il rischio
di trasmissione di HIV poiché causano la rottura delle membrane epiteliali, causando
ulcere o micro-ulcere che diventano passaggi perfetti per i contatti con il sistema
circolatorio. Gli studi epidemiologici provenienti dall'Africa sub-sahariana, Europa e Nord
America hanno ipotizzato che ci si trova circa quattro volte più a rischio di infezione da
HIV-1 in presenza di ulcere genitali come quelle provocate dalla sifilide e/o le ulcere
cancroidi. Vi è anche un significativo aumento del rischio, seppur minore, in presenza di
malattie sessualmente trasmissibili come gonorrea, infezione da clamidia, tricomoniasi
che provocano accumuli locali di linfociti e macrofagi. La trasmissione dell'HIV dipende
dalla contagiosità del caso indice e la sensibilità del partner non infetto.
9
L’infettività sembra variare durante il corso della malattia e non è costante tra gli
individui. Una carica virale non rilevante nel plasma non indica necessariamente una
bassa carica virale nelle secrezioni genitali o nel liquido seminale. L’incremento di un
fattore d’ordine 10 della quantità di RNA virale nel plasma corrisponde ad un incremento
dell’81% nella frequenza della trasmissione. Le donne risultano essere più suscettibili alla
trasmissione del virus a causa dei cambiamenti ormonali, una più alta presenza di flora
microbica e una maggiore suscettibilità alla malattie sessualmente trasmissibili [22, 23].
La condivisione e il riutilizzo di siringhe contaminate con sangue infetto da HIV
rappresenta un grave rischio di infezione non solo da parte di tale virus, ma anche da
parte dei virus dell’ epatite B e C.
La condivisione degli aghi è la causa di un terzo di tutte le nuove infezioni da HIV [24] e il
50% delle infezioni da epatite C in Nord America, Cina ed Europa dell'Est [24 ,25, 26].
Il rischio di infezione da HIV da una singola puntura con un ago che è stato usato su una
persona infetta è pensato essere di circa 1 a 150 (tab.1) [27].
Via d’Esposizione Infezioni stimate per 10.000
esposizioni ad una fonte
di infezione
Trasfusioni di sangue 9.000
Nascite 2.500
Condivisione di siringhe infette 67
Rapporti anali non protetti
(ricevuti)*
50
Contatto cutaneo con aghi infetti 30
Rapporto vaginale eterosessuale
ricevuto*
10
Rapporti anali non protetti
(effettuati)*
6,5
Rapporto vaginale eterosessuale
(uomo)*
5
Rapporto orale (ricevuto)*
1
Rapporto orale (effettuato)* 0.5
Tab.1 Percentuali di rischio d’infezione stimate per le differenti vie d’esposizione. (*) rapporti sessuali non
protetti [27].
10
La profilassi post-esposizione con farmaci anti-HIV può ridurre notevolmente il rischio. Gli
operatori sanitari (infermieri, assistenti di laboratorio, medici etc.) sono soggetti ad un
rischio più elevato, anche se i protocolli sanitari prevedono una serie di misure preventive
nei confronti di pazienti sieropositivi. Un’altra categoria a rischio è costituita da coloro
che fanno e ricevono tatuaggi e/o piercing a causa degli aghi utilizzati in queste pratiche.
Le precauzioni essenziali affinché si evitino questi spiacevoli episodi non sono spesso
seguite in zone come l’Africa sub-sahariana e nell’Asia, essenzialmente per la mancanza di
materiali monouso e per la scarsa informazione in merito di trasmissione delle malattie.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che circa il 2,5% di tutte le infezioni
da HIV nell'Africa sub-sahariana sono trasmesse attraverso iniezioni eseguite in centri di
assistenza sanitaria che non rispettano le normali regole di prevenzione sull’asepsi
[28]. Per questo motivo, il segretario generale delle Nazioni Unite, sostenuto dal parere
medico internazionale, ha sollecitato le nazioni del mondo ad attuare le precauzioni
universali per prevenire la trasmissione dell'HIV in ambito sanitario. Il rischio di
trasmissione dell'HIV ai destinatari di trasfusione di sangue è estremamente basso nei
paesi sviluppati, dove viene effettuata la selezione dei donatori attraverso lo screening
HIV. Tuttavia, secondo l'OMS, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale non
ha accesso al sangue sicuro e tra il 5% e il 10% delle infezioni da HIV nel mondo
sono trasmesse attraverso la trasfusione di sangue infetto e emoderivati [29]. La
trasmissione del virus dalla madre al figlio (trasmissione verticale) può avvenire in utero
durante le ultime settimane di gravidanza e al momento del parto. In assenza di
trattamento, il tasso di trasmissione tra la madre e il bambino durante la gravidanza,
travaglio e parto è del 25%. Tuttavia, quando la madre ha accesso alla terapia
antiretrovirale e dà alla luce il figlio con parto cesareo, il tasso di trasmissione è appena
l'1% [30]. Un certo numero di fattori influenzano il rischio di infezioni, in particolare la
carica virale della madre al momento del parto (maggiore è la carica virale, maggiore è il
rischio). L'allattamento al seno aumenta il rischio di trasmissione del 10-15%, tale rischio
dipende da fattori clinici e può variare a seconda e della durata dell'allattamento stesso
[31]. Alcuni studi recenti hanno dimostrato che i farmaci antiretrovirali, uniti al parto
cesareo e ad un allattamento artificiale, riducono considerevolmente la possibilità di
trasmissione dell'HIV da madre a figlio. Le attuali raccomandazioni sono di evitare
l’allattamento al seno da parte di madri sieropositive quando l'alimentazione sostitutiva è
accettabile, fattibile, accessibile, sostenibile e sicura. Tuttavia, se questo non è attuabile,
l’allattamento al seno è raccomandato solo durante i primi mesi di vita e spinto alla
sospensione appena possibile [12]. Nel 2005, circa 700.000 bambini sotto i 15 anni hanno
contratto l'HIV soprattutto attraverso MTCT (trasmissione verticale madre-figlio), con
630.000 di queste infezioni verificatesi in Africa [32]. Dei circa 2,3 milioni di bambini che
attualmente vivono con l'HIV, 2 milioni di essi (quasi il 90%) vivono nell'Africa sub-
sahariana [12]. Le strategie di prevenzione sono ben note nei paesi sviluppati, tuttavia,
recenti studi epidemiologici e comportamentali in Europa e Nord America hanno
ipotizzato che una sostanziale minoranza di giovani continua ad impegnarsi in pratiche ad
11
alto rischio e che, nonostante tutte le opere informative volte alla diffusione della
pericolosità dell’HIV/AIDS [33], non si preoccupa di un eventuale contagio. Tuttavia, la
trasmissione di HIV tra i consumatori di droghe per via endovenosa è chiaramente
diminuita e la trasmissione del virus attraverso le trasfusioni di sangue e di emoderivati è
ormai ridotta quasi allo zero nei paesi sviluppati.
1.1.3. Caratteristiche cliniche dell’ infezione da HIV
HIV infetta principalmente le cellule vitali per il sistema immunitario umano, come le
cellule T-helper (in particolare cellule T CD4+), i macrofagi e cellule dentritiche. L'infezione
da HIV porta all’abbassamento dei livelli di cellule T CD4+ attraverso tre meccanismi
principali: in primo luogo, la diretta uccisione virale delle cellule infettate, in secondo
luogo vengono aumentati i tassi di apoptosi nelle cellule infette, e in ultima analisi
l’uccisione di cellule contagiate di tipo T CD4+ da parte di linfociti T-citotossici CD8+ che
riconoscono le cellule non sane e le inducono a lisi.
Quando le cellule T CD4 + declinano numericamente al di sotto di un livello critico,
l’immunità cellulo-mediata è irrimediabilmente compromessa, e l’organismo diventa
progressivamente più suscettibile alle infezioni [34]. Le caratteristiche cliniche delle
infezioni da HIV variano a seconda della fase della malattia, nelle fasi acute e precoci i
sintomi derivanti da iperattivazione immunitaria predominano, ma con l'esaurimento
delle cellule T CD4+, che caratterizza la progressione della patologia, viene sviluppata
un’evidente immunodeficienza seguita dalle conseguenze ad essa legate [35]. La conta dei
Linfociti T CD4+ è un ottimo marker in grado di determinare il livello di immunodeficienza
[36], il rischio immediato di infezioni opportunistiche e di altre complicanze legate
all'AIDS. La carica plasmatica virale è il più importante pronosticatore di HIV per quanto
concerne le infezioni in atto, perché non solo predice la progressione della
malattia indipendentemente dalla conta delle cellule T CD4+, ma si possono fare anche
delle previsioni su come il numero di tali cellule decrescerà in funzione del tempo.
Sebbene più della metà delle infezioni primarie da HIV sono accompagnate da una serie di
sintomi, molte non vengono riconosciute come tali ad una prima diagnosi differenziale
proprio perché la gamma sintomatologica è ampia, date le numerose variabili associate
all’infezione quali, febbre, eruzioni cutanee, laringiti, linfoadenopatie, mialgie, artralgie,
diarrea, nausea, vomito, mal di testa, epato-splenomegalia, perdita di peso, mughetto e
sofferenze neurologiche, tutti sintomi che si rifanno a patologie comuni quali Influenza e
la mono-nucleosi [37]. Tra i pazienti che presentano sintomi durante l'infezione primaria
da HIV, la durata media di quest’ultimi è di 3 settimane [38].
12
Il normale periodo di decorso dell'infezione da HIV comprende circa 10 anni di latenza
clinica tra il momento dell'infezione primaria e lo sviluppo di sintomi indicativi di
immunodeficienza avanzata. Anche durante il periodo di latenza clinica, molti pazienti
lamentano fatica e mostrano linfoadenopatia generalizzata. Ci sono circa 12 malattie che
possono dare una conta delle cellule T CD4+ inferiore a 500 cell/µL e quindi un calo
dell’attività immunologica cellulo-mediata che potrebbe non essere un indice sicuro di
infezione da HIV. Tra gli esempi abbiamo: ricorrente candidosi orofaringea, vulvovaginale
e bacillare, angiomatosi, dermatite da herpes zoster, listeriosi, malattia infiammatoria
pelvica, leucoplachia orale associati con EBV (Epstein-Barr Virus), displasia cervicale,
febbre inspiegabile o diarrea che dura più di 1 mese, porpora trombocitopenica idiopatica
e la neuropatia periferica [39]. Quando la conta dei linfociti T CD4+ scende sotto il livello
di circa 200 cell/µL, la perdita dell’ integrità della risposta immunitaria cellulo-mediata
permette agli organismi ambientali onnipresenti con virulenza limitata (ad esempio,
Pneumocystis carinii e Mycobacterium avium) di diventare agenti patogeni pericolosi per
la vita. Patologie associate ad HIV, indicative di grave compromissione dell'immunità
cellulo-mediata, ma non inclusi nella definizione attuale di AIDS, comprendono
microsporidiosis cronica, infezione gastrointestinale con Cyclospora cayetanensis,
un'infezione diffusa da Penicillium Marfennei, infezioni da Trypanosoma Cruzi,
recidivante o cronica, la leishmaniosi viscerale, carcinoma anale, casi di EBV-positivo di
leiosarcoma, leiomiosarcoma e la malattia di Hodgkin [40]. Tutte queste malattie sono
note per essere associate all’infezione da HIV manifestandosi con l’attivazione di
organismi opportunisti come il fungo dimorfo Penicillium Marfennei, agente eziologico
che causa eruzioni cutanee sparse su tutto il corpo. Il Papilloma virus e l’Herpes virus
sembrano invece, essere imputati di attività neoplasica associata ad AIDS
[35]. L'incidenza delle malattie che definiscono l'AIDS nei paesi industrializzati è diminuita
notevolmente a partire dal 1996 [41]. Negli Stati Uniti, il tasso di mortalità per AIDS è
diminuita del 68% tra il 1996 e il 1999. Queste riduzioni della mortalità per malattie
associate alla sindrome da immunodeficienza acquisita possono essere attribuite a una
serie di fattori, tra cui costanti progressi nella profilassi delle infezioni opportunistiche, un
migliore accesso alle cure sanitarie e migliori terapie antiretrovirali. Diversi fattori come le
caratteristiche metaboliche dell’organismo ospite e le diversità dei vari ceppi virali
possono determinare tassi di malattia estremamente variabili e di conseguenza diverse
possono essere le progressioni che si osservano tra gli individui affetti da HIV. Una piccola
percentuale di persone sieropositive possono non dare alcuna manifestazione di
progressione della malattia per un periodo prolungato, anche se, una minoranza di casi di
infezione asintomatica, a lungo termine, può essere associata a ceppi attenuati del virus
HIV. La maggior parte dei dati suggerisce che l'attenuazione virale è rara [42], quindi il
ruolo chiave nell’asintomatoticità per un lungo periodo di un determinato paziente
affetto è dato prevalentemente dalle caratteristiche del suo metabolismo [43]. Le
diversità genetiche tra un individuo ed un altro influenzano fortemente il progredire
dell’infezione da HIV, mutazioni della struttura dei co-recettori dei Linfociti T possono
13
rallentare o accelerare significativamente il progredire della patologia [44].
Polimorfismi dei geni del recettore per le chemochine rappresentano solo uno di
una serie di possibili meccanismi responsabili della resistenza alle infezioni da HIV o del
ritardo della progressione patologica [45]. Oltre che gli aspetti quantitativi della risposta
immunologica, bisogna tener conto anche degli aspetti qualitativi che risultano
determinanti nella lotta contro l’agente eziologico, contribuendo quindi ad influenzare il
decorso patologico [46]. Infine recentemente alcuni studi sul tessuto linfoide hanno
dimostrato che la sua conformazione e diversità è da correlare strettamente al decorso
clinico dell’ infezione, giocando un ruolo importante nella determinazione dell’
immunodeficienza [47].
1.1.4. Organizzazione del genoma virale
Il genoma e le proteine del virus HIV sono state oggetto di approfondite ricerche a partire
dalla scoperta del virus nel 1983. La nuova e insolita sindrome è stata caratterizzata
da linfoadenopatia generalizzata e infezioni opportunistiche, con una diminuzione
marcata delle cellule T CD4+ T nel sangue periferico. La malattia fu portata all'attenzione
della comunità scientifica mondiale nel giugno 1981, quando il “Center for Disease
Control” analizzò cinque uomini californiani con immunodeficienza grave [48]. Queste
notifiche sono state seguite da numerose relazioni che descrivono maschi omosessuali e
tossicodipendenti per via endovenosa con compromissione del sistema immunitario e di
linfociti T che hanno risposto male alla stimolazione con antigene in analisi funzionali.
Entro alcuni mesi è divenuto chiaro che una malattia da immunodeficienza simile stava
influenzando anche altri gruppi quali ad esempio gli emofiliaci, i destinatari di trasfusione
di sangue, partner sessuali e/o i figli dei diversi gruppi a rischio, e che la nuova malattia si
stava trasmettendo ad opera di un nuovo agente patogeno rinvenuto nel sangue
contaminato o in seguito a rapporti sessuali con un individuo affetto. Nel 1983, gli
scienziati dell'Istituto Pasteur hanno recuperato un microrganismo dai linfonodi di un
individuo asintomatico che presentava una linfoadenopatia generalizzata di origine
sconosciuta [49]. Il nuovo retrovirus, associato all'AIDS negli Stati Uniti, Europa e Africa
centrale mostrava caratteristiche morfologiche e genetiche tipiche del genere Lentivirus,
denominato in seguito virus dell'immunodeficienza umana HIV [50] e successivamente
HIV-1. Nel 1986, un secondo retrovirus umano, ma immunologicamente distinto e meno
virulento, è stato recuperato da persone residenti in vari paesi dell'Africa occidentale
come Senegal, Costa d'Avorio e Guinea-Bissau [51] e denominato HIV-2. Una delle prime
caratteristiche rilevate dal gruppo scientifico dell’Istituto Pasteur fu la particolare
proteina associata al virus, la trascrittasi inversa che donava al virus una nuova e unica
particolarità, meritando quindi una posizione nella classe della famiglia dei Retrovirus. Le