Introduzione
L’antica formula di origine tacitiana arcana imperii 1
non sembra
aver perso, nel corso degli anni, quell’alone di fascino e mistero che la
contraddistingue, continuando a rappresentare un insieme di poteri o
doveri o addirittura mere attribuzioni imputabili in capo a chi gestisce
e detiene le redini della convivenza sociale.
Nel corso della storia ogni sovrano ha, in determinate occasioni,
ritenuto opportuno svolgere alcune attività lontano dallo sguardo e
dall’attenzione dei propri sudditi, nella convinzione che determinati
specifici interessi da perseguire non potessero essere compresi, nella
loro completezza, dalla ragione di coloro che non vivono e si
occupano di politica 2
.
Che per la sicurezza dell’intera comunità lo Stato Istituzione
debba coprire con la segretazione atti, documenti, notizie, attività e
tutto quanto possa con la divulgazione e la conoscenza recarvi danno,
è un dato di fatto. Tuttavia, sebbene tale attività di segretazione sia
condotta per il raggiungimento di importanti e preziose finalità per il
comune vivere (o almeno così dovrebbe essere), essa si è sempre resa
1
TACITO P.C., Annali , Torino, 2000, 36.
2
Tracce significative dell’esistenza della figura giuridica del segreto sono
rinvenibili fin dal diritto romano: possono per esempio ricordarsi le disposizioni
della lex Julia contro i “consiliorum nostrorum renuntiatores” , coloro cioè che
davano notizie o facevano segnalazioni venivano condannati a fuoco o sospesi
alla forca a Roma; o la previsione come crimen majestatis della rivelazione di
segreti al nemico.
Quanto al diritto intermedio, la violazione dei segreti è fra le prime figure
criminose che germogliarono nella necessità di difendere la comunità dai nemici
esterni e dal tradimento: vennero così contemplati come delitti l’invio di messi o
di divulgazioni di segreti di Stato in paese straniero senza ordine del re.
In tempi posteriori, può ricordarsi la grande severità con cui la Repubblica di
Venezia, per mezzo del famoso Tribunale degli inquisitori di Stato, puniva la
rivelazione dei segreti di Stato, per arrivare poi alle previsioni contenute nelle
varie codificazioni preunitarie, sebbene assai diseguali fra loro e per l’ampiezza
della tutela e per la determinazione del soggetto attivo e per l’individuazione della
natura (politica o militare) del segreto tutelabile.
I
invisa agli occhi di chi è soggetto al potere ed è sempre stata
considerata come un’attività mistificatrice, piena di ombre, se non
anche di inganni e tradimenti.
E’ proprio la gestione occulta ed occultabile di tutte quelle
situazioni rese non visibili nell’arco del vissuto quotidiano, che
diventa oggetto di questo lavoro.
Negli ultimi decenni, eclatanti vicende politiche e giudiziarie
hanno drammaticamente e clamorosamente proposto all’attenzione di
studiosi, operatori del diritto, uomini politici e opinione pubblica il
problema del segreto di Stato, del suo significato, dei suoi limiti e
della sua tutela. In alcuni casi il segreto di Stato è stato posto come
ostacolo nell’accertamento giudiziale di alcuni processi penali relativi
a tentativi di eversione della società civile e delle istituzioni
democratiche; in altri casi il segreto di Stato è stato posto come limite
anche per l’attività del Parlamento, le cui Commissioni di inchiesta
hanno trovato in esso un impedimento allo sviluppo dei propri poteri
di indagine 3
.
Gli eccessi e i non giustificati abusi commessi hanno indotto la
dottrina ad individuare nell’ordinamento giuridico limitazioni al
segreto, da porre a garanzia di eventuali eccessi, e ad individuare
idonee procedure di controllo.
3
Proprio una sapiente strategia di occultamento della verità, di cui il segreto di
Stato ha rappresentato uno dei massimi puntelli, ha permesso il crearsi delle vaste
zone di omertà che coprono ancora oggi molti degli eventi che hanno insanguinato
la vita del Paese tra il 1969 il 1978, il decennio che inizia con la strage di piazza
Fontana e si chiude con l’assassinio di Aldo Moro. Le varie azioni di depistaggio
e copertura hanno impedito alla “Commissione parlamentare d’inchiesta sul
terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili
delle stragi” (comunemente conosciuta come “Commissione Stragi”),
appositamente istituita il 17 maggio 1988 con legge n. 172, e ai numerosi
procedimenti giudiziari accompagnati da pressanti indagini, non solo di approdare
a delle verità giudiziarie ma anche di ricostruire almeno il quadro della verità
storica della Prima Repubblica.
II
Ma, prima di ripercorrere l’evoluzione della normativa sulla
tutela del Segreto, delineatasi nel nostro paese a partire dall’inizio del
secolo scorso sino ai giorni nostri, e dei principali schemi d’approccio
alle questioni da questa sollevate da dottrina e giurisprudenza, si vuole
richiamare alla vostra memoria una delle tante applicazioni pratiche
per capire esattamente di cosa stiamo parlando: il caso Aldo Moro.
III
Un caso per tutti: “il caso Moro ”.
16 marzo 1978, ore 9-9.15, in via Mario Fani nel quartiere
Monte Mario a Roma, un comando delle Brigate Rosse rapisce il
Presidente della DC, Aldo Moro, e uccide i suoi cinque uomini della
scorta. Viene rapito mentre si sta recando in Parlamento per
partecipare al dibattito sulla fiducia del nuovo governo Andreotti di
“solidarietà nazionale” che, per la prima volta dal 1947, sancisce
l’ingresso del partito comunista nella maggioranza di Governo che
vede proprio in Moro il principale fautore.
All’agguato partecipano almeno 11 persone appostate da tempo
nella zona.
Aldo Moro viene trascinato fuori dalla sua auto e coricato su
una fiat 132.
La fine di Moro è a noi tutti nota: il 9 maggio, dopo 55 giorni di
prigionia, il suo corpo viene trovato nel bagagliaio di una renault R4
rossa, parcheggiata simbolicamente a metà strada tra via delle
Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, tra la sede della DC e quella del
PCI, in via Castani.
Per tutta la durata del sequestro i media e l’opinione pubblica
italiana, europea e mondiale hanno seguito col fiato sospeso quel
tragico fatto: le BR recapitarono 9 comunicati e una “Risoluzione
della Direzione Strategica”, chiedendo un riconoscimento del loro
movimento e la liberazione dei brigatisti sotto processo a Torino. Aldo
Moro scrisse un centinaio di lettere a uomini politici e familiari, solo
4
alcune rese pubbliche 4
. Si mobilitarono politici di ogni Paese, lo stesso
Papa Paolo VI rivolse ben tre appelli ai brigatisti.
Ma il PCI- DC erano per la “fermezza”: rifiutare ogni
compromesso al fine di evitare il sia pur minimo tentativo di
riconoscimento politico delle Brigate Rosse. Andreotti si trincerò
dietro la strage di via Fani, per affermare da subito come la Nazione
esigesse il netto rifiuto di qualsiasi contatto con i rapitori, vietando
ogni atto che implicasse una qualsiasi forma di riconoscimento
politico delle BR, intravvedendo in quei comportamenti una
capitolazione dello Stato.
Sono cinque i processi principali svoltisi sul Caso Moro.
Il primo, che unifica le istruttorie Moro- uno e Moro- bis 5
,
termina in Cassazione nel novembre 1985 con 22 condanne
all’ergastolo.
Il procedimento Moro- ter si basa sull’istruttoria condotta dal
giudice Rosario Priore sulla colonna romana delle Brigare Rosse; il
processo è lungo e prolisso, con una sequela di pentiti che raccontano
4
Tra queste ricordiamo quella indirizzata all’allora ministro degli Interni
Francesco Cossiga, quella al segreterio della DC Benigno Zaccagnini e ancora
quelle per i sui compagni di partito Traviani, Amintore, Fanfani, Pietro Ingrao, a
Bettino Craxi. In tutte queste lettere, Moro chiedeva di seguire la strada delle
trattative.
5
L’inchiesta Moro- uno, dopo numerose polemiche sulla conduzione iniziale e i
tentativi di avocazione, viene affidata alla procura di Roma; condotta dai giudici
istruttori Cudillo, Gallucci, Amato, Priore, Iposimato, composta di 32 volumi, per
un totale di centinaia di fascicoli e decine di migliaia di pagine, comprende:
testimonianze, i referti di autopsie, le perizie balistiche e le analisi di esperti, le
trascrizioni di nastri e di conversazioni telefoniche. Durante la fase istruttoria
denominata Moro- uno, l’acquisizione di nuovi elementi di prova rende necessaria
l’apertura di una nuova inchiesta. Si apre così il Moro- bis , condotto da Priore e
Imposimato, che si compone di due soli volumi basati sulle testimoniane dei
brigatisti pentiti.
5
la propria storia, ma poco del sequestro Moro. Si conclude nel 1993
con 153 condanne, 20 ergastoli e 20 assoluzioni.
L’istruttoria del giudice Rosario Priore per il processo Moro-
quarter , in cui il magistrato ricostruisce, in particolare, i 55 giorni del
sequestro Moro e il ruolo della P2
6
nella gestione della crisi, viene
depositata il 20 agosto 1990: il processo si conclude nel 1997, con la
conferma in Cassazione della condanna all’ergastolo di Alvaro
Loiacono, ex membro delle BR, colpevole di concorso nel rapimento e
nell’uccisione dell’ex presidente della DC e di altri omicidi.
Infine, nel maggio del 1995 si apre il processo penale Moro-
quinquies che si conclude con la condanna di altri due membri delle
BR
7
per concorso nel sequestro, nell’omicidio di Moro e
nell’uccisione della sua scorta. A questi procedimenti poi,
bisognerebbe aggiungerne altri che, anche se hanno assunto una
denominazione diversa, comunque trattano ampiamente la vicenda di
Moro 8
.
Ma nonostante i cinque diversi procedimenti giudiziari, 23
sentenze, 127 condanne, 27 ergastoli e una sesta inchiesta avviata, “il
6
Loggia massonica segreta, guidata da Licio Gelli, potente strumento di intervento
nella vita del Paese, con fini di sovversione dell’assetto socio-politico
istituzionale. Nel suo momento di massimo sviluppo la P2, acronimo di
Propaganda Due, conta sull’adesione di circa mille personalità di primo piano,
principalmente della politica e dell’amministrazione dello Stato. Non secondaria
appare, durante i giorni del Caso Moro, l’influenza della P2, considerando il
numero di alte cariche dello Stato appartenenti alla loggia di Gelli che
direttamente o indirettamente si sono occupate della gestione del rapimento di
Moro.
7
Il così detto “quarto uomo di Montalcini”, Germano Maccari, condannato a 26
anni e Raimondo Etro a 20 anni e 6 mesi.
8
Per esempio, il processo denominato “Metropoli” (volto a chiarire i rapporti del
progetto della rivista omonima, in particolare di due suoi redattori, con le BR),
quello per l’omicidio Pecorelli o quello per mafia contro Andreotti.
6
Moro- sesties ” 9
; nonostante il lungo lavoro di una Commissione
parlamentare d’inchiesta, “la Commissione Moro” 10
e l’impegno di
altri due organismi parlamentari, della “Commissione stragi” 11
e,
anche se solo per certi aspetti, della “Commissione Mitrokhin” 12
, i 55
giorni in cui Moro è stato detenuto nel “carcere del popolo” sono, e
forse sono destinati a restare, i 55 giorni più bui nella storia della
Repubblica italiana.
Il Caso Moro continua a rappresentare il nodo dei nodi dei
misteri d’Italia.
A distanza di 30 anni, ancora oggi non sappiamo: quanti
brigatisti esattamente parteciparono all’assalto di via Fani e se tra loro
ci fossero elementi esterni; cosa ci faceva nei pressi di via Fani, quello
stesso giorno verso le 9, il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi,
9
Aperta nel 2003 dalla Procura di Roma che mette insieme tutte le zone d’ombra e
i misteri ancora persistenti.
10
La “Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro
e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia”, ricordata con il nome di
“Commissione Moro”, venne istituita con la legge n. 597/1979. Quando chiuse i
suoi lavori, il 29 giugno 1983, in molti ritennero insufficienti le conclusioni
contenute nella relazione di maggioranza; si sollevarono dubbi in particolare
sull’operato delle forze dell’ordine, sulla mancata individuazione della “prigione
del popolo” e sul fallito pedinamento di quegli uomini nell’area del PSI che
avevano avuto contatti con alcuni esponenti delle BR.
11
La “Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause
della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” istituita con legge n.
172/1988, che tra le varie inchieste su cui si impegnò vi fu anche quella sul “caso
Moro” non giungendo però, alla fine dei suoi lavori, a conclusioni risolutive e
condivise.
12
Commissione parlamentare d’inchiesta istituita nel corso della XIV Legislatura,
nel 2002, con il compito di approfondire le diramazioni in Italia della rete di
spionaggio sovietica. Tra le ipotesi di lavoro comprendeva un’inchiesta su un
aspetto del sequestro Moro rimasta sempre in ombra: che alcuni elementi di
spicchio delle BR avessero legami con il servizio segreto dell’URSS e che questo,
insieme ad altri apparati internazionali di intelligence, avesse condizionato i
tragici eventi.
7
istruttore militare di Stay Behind 13
; se veramente la mattina del 16
marzo Moro dovesse incontrare Pietro Zaccagnini. Ancora non
sappiamo dove Moro fu custodito; cosa effettivamente Moro rivelò ai
suoi secondini; da chi partì l’ordine di ucciderlo; da chi e perché fu
costruito il falso comunicato del Lago della Duchessa 14
; quale fu il
vero ruolo che Steven Pieczenick, l’inviato di Jimmy Carter, ebbe nel
comitato di crisi durante i 55 giorni; se è vero che gli americani
sapevano sin dai primi giorni di aprile dove fosse la prigione di Moro;
quale effettivamente sia stato il ruolo dei servizi segreti stranieri, Cia,
Kgb e Stasi 15
nell’intera vicenda. E qual è il contenuto dei piani
“Mike” e “Victor” predisposti dal ministro dell’interno Francesco
Cossiga durante i 55 giorni del sequestro per fronteggiare ogni
evenienza?
16
.
La sceneggiata della doccia lasciata aperta, che consentì proprio
la mattina del 18 Aprile 1978 la scoperta del “covo-vetrina” delle Br 17
13
Organizzazione clandestina nata durante la seconda Guerra fredda per prevenire
una possibile invasione sovietica.
14
Si tratta del Comunicato n.7, poi rivelatosi un falso, che annunciava la uccisione
di Moro e che il suo corpo si sarebbe trovato nel Lago della Duchessa. Stando alle
parole di Cossiga, sarebbe in seguito stato attribuito ad un falsario della banda
della Magliana.
15
Polizia politica della Germania dell’Est.
16
“Mike”, nel caso in cui Moro fosse stato assassinato e “Victor”, se fosse stato
liberato.
17
Il 18 aprile 1978, in seguito ad una perdita d’acqua in un appartamento in via
Gradoli 96 a Roma, vennero chiamati i vigili del fuoco dall’amministratore del
condominio, avvertito dall’inquilina dell’appartamento sottostante, che trovando
la porta blindata chiusa non era riuscito ad entrare. Appena entrati nell’abitazione i
pompieri si resero conto di trovarsi in un covo di terroristi: si trattava proprio di
una base delle Brigate Rosse, dove trovarono numerosi elementi che rinviavano al
sequestro di Aldo Moro e alla strage di via Fani. La perdita d’acqua era stata
causata dal rubinetto della doccia lasciato aperto con il getto dell’acqua diretto
verso le mattonelle sopra la vasca, proprio nel punto in cui si trovava una fessura
in cui l’acqua penetrava. L’impressione fu quindi che l’acqua fosse stata
volontariamente indirizzata verso un punto in cui potesse penetrare e infiltrarsi.
8
in via Gradoli 96 a Roma, ha avuto interpreti e protagonisti diversi,
ma le dichiarazioni raccolte sull’intera vicenda sono state confuse e
contrastanti. Lo stesso discorso vale per la famosa seduta spiritica
nella quale gli spiriti di Giorgio La Pira e di Don Sturzo, evocati con il
sistema del piattino rotante, su un foglio contente lettere alfabetiche e
numeri, da un gruppo di professori universitari tra cui era anche l’ex
Presidente del Consiglio Romano Prodi con la moglie, avevano
suggerito di cercare a Gradoli la prigione di Moro. E ciò che fa più
riflettere è che, risulterà poi, via Gradoli fosse sotto monitoraggio del
Viminale da tempo 18
e che fosse una specie di dépandance del Sisde
(Servizio Segreto Civile) proprietario, attraverso società immobiliari
di copertura, di 24 appartamenti proprio al numero 96.
I tanti processi, troppi, che la giustizia italiana ha celebrato sul
delitto Moro hanno finito per accettare alcune di queste mezze-verità:
“…non è vero che non si poteva fare niente: sono state ignorate
segnalazioni e bloccati ordini di perquisizione che sarebbero stati
decisivi, ci sono adesso prove che i covi di via Gradoli e via
Montalcini volutamente non sono stati scoperti…non possiamo
ignorare il ruolo pesante che l’UCIGOS
19
, la polizia di Cossiga, ha
avuto in tutta questa vicenda…”; “…alla magistratura è stato
permesso di operare solo ad omicidio avvenuto, e chi tra la polizia
18
In quanto nella strada avevano la loro base operativa ex militanti di Potere
Operaio, (gruppo della sinistra extraparlamentare italiana attivo tra il 1967-73),
controllati dall’ufficio politico della questura.
19
Nato come articolazione superiore della polizia, l’UCIGOS fu creata il 31
gennaio del 1978 dall’allora Ministro dell’Interno Cossiga, circa un mese e mezzo
prima del sequestro di Moro. Un organismo formato esclusivamente da
appartenenti all’allora Pubblica sicurezza (oggi polizia di Stato), con competenze
ampissime e che in qualche modo andavano a sovrapporsi a quelle del Sisde.
Anche se, secondo l’impressione di molti, il suo compito principale fu quello di
mettere fuori uso l’ispettorato antiterrorismo.
9
sarebbe potuto intervenire è stato messo da parte…”, così parla
Ferninando Imposimato 20
, uno dei magistrati che ha maggiormente
lavorato sul Caso Moro.
Il presidente della “Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle
stragi e sul terrorismo”, Giovanni Pellegrino, ha ribadito che la
Commissione Stragi non riuscì a concludere i suoi lavori sulla
questione Moro un po’ perché troppe erano le divisioni politiche al suo
interno, ma soprattutto perché “…moltissimi di quei documenti erano
coperti da un elevato grado di riservatezza…”, giungendo comunque,
dopo anni di lavoro nell’ambito della c.d. “Commissione Stragi”, a
una sua personale ipotesi complessiva sulle dinamiche interne al
sequestro e all’omicidio di Aldo Moro, in molti punti divergente con
la verità giudiziaria stabilita dalle inchieste 21
.
La verità sul Caso Moro sembra infatti essere rinchiusa dentro
più di 100 faldoni coperti dal segreto di Stato, custoditi in un armadio
blindato degli archivi della “Commissione Stragi”. Si tratterebbe,
sempre secondo Pellegrino 22
, di 27 faldoni relativi al Caso Moro che
coprono il periodo che va dal 2 febbraio 1978 all’Agosto del 1998
23
e
di altri 60 faldoni, che pur non riferendosi direttamente al Caso Moro
sono pur sempre di elevato interesse (alcuni si riferiscono alle Brigate
Rosse, altri ad “Autonomia operaia”, a “Unione comunisti
20
IMPOSIMATO F., Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice
dell’inchiesta racconta , Milano, 2008, 2.
21
Si tratta della c.d. teoria del “doppio ostaggio”. Vale a dire che durante i 55
giorni del sequestro si giocarono due partite parallele tra le BR, Moro, i Servizi
Segreti e le istituzioni: una per la liberazione di Moro e l’altra per la salvaguardia
dei segreti che lo statista avrebbe potuto rivelare.
22
Intervista rilasciata al settimanale Panorama del 13/3/2008.
23
Ciò confermerebbe un’attività di intellegence italiana addirittura un mese e
mezzo prima del sequestro Moro.
10
combattenti” e “Partito comunisti combattenti”); a questi poi, sono da
aggiungere il materiale custodito negli archivi del Sisde che, tra gli
altri, contiene ben 64 faldoni riferiti direttamente o indirettamente al
caso Moro.
L’intero dossier è stato inviato nell’agosto del 1998 dall’allora
Ministro dell’Interno Giorgio Napolitano allo stesso Giovanni
Pellegrino, con una lettera in cui il responsabile del Viminale parlava
di documenti “non portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria”, di
“atti di elevata classifica”, perciò “da considerarsi di vietata
divulgazione”, e in cui specificava che i documenti con la classifica
“riservato” erano da considerarsi soggetti ai vincoli di cui all’art. 262
c.p.
24
Oggi però, tutti questi misteri sembrano destinati ad essere
sciolti: grazie alla nuova legge di riforma della disciplina del segreto
del 2007
25
che abolisce l’eternità del segreto di Stato fissandone la
durata in 15 anni prorogabili al massimo per altri 15, il segreto su
quelle carte, e non solo su quelle 26
, dovrà cadere. Questo infatti
24
Art. 262. Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione -
Chiunque rivela notizie, delle quali l’Autorità competente ha vietato la
divulgazione, è punito con la reclusione non inferiore a tre anni.
Se il fatto è commesso in tempo di guerra, ovvero ha compromesso la
preparazione o la efficienza bellica dello Stato o le operazioni militari, la pena è
della reclusione non inferiore a dieci anni.
Se il colpevole ha agito a scopo di spionaggio politico o militare, si applica,
nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, la reclusione no inferiore
a quindici anni; e, nei casi preveduti dal primo capoverso, la pena dell’ergastolo.
Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche a chi
ottiene la notizia.
25
Legge 3 agosto 2007 n.124.
26
Per esempio quelle sulla strage dell’Italicus, su piazza Fontana , sul disastro di
Ustica o sul caso Eni-Petromin.
11
prevede il decreto 27
, pubblicato alla vigilia delle ultime elezioni il 17
aprile scorso dal governo Prodi, in attuazione della legge di riforma
(parziale anticipazione di un altro regolamento, non ancora attuato,
che regola le modalità di accesso a documenti classificati con diciture
che vanno da “riservato” a “segretissimo”; come esamineremo
approfonditamente nel seguito della trattazione).
Non resta altro, dunque, che aspettare: che cosa ci sia di utile a
svelare gli aspetti del rapimento e dell’uccisione del Presidente
democristiano, ovviamente, lo si potrà scoprire solo dopo la lettura
completa. Al riguardo le previsioni sono discordanti: accanto a chi,
come l’ex Presidente della Commissione Stragi, annuncia finalmente
la rivelazione di un dossier sconvolgente anche se “…arriva troppo
tardi, purtroppo, per consentire alla magistratura, a tanti anni di
distanza dagli eventi, di giungere a una verità giudiziaria” 28
, si levano
voci ancora più pessimiste, (o forse realiste), come quella dell’ex capo
della procura D’Ambrosio, uno dei magistrati che indagò su Piazza
Fontana, o dell’ex pm Felice Casson, protagonista di duri contrasti con
i servizi segreti, che pur soddisfatti della legge di riforma sono scettici
sui risultati: “…era ora che anche in Italia si approvasse una riforma
come questa, ma bisogna vedere che cosa ci fanno trovare. Gli 007
sono talmente burocratici che incartano tutto, ma le carte scottanti
forse non ci sono più” 29
e nello stesso senso “…la riforma è epocale,
27
L’unico di altri 12 regolamenti, necessari ad attuare la riforma, ad essere stato
licenziato dal Governo. Gli altri, ad oggi, non hanno ancora ricevuto il parere del
Comitato parlamentare di controllo per la sicurezza della Repubblica.
28
FASANELLA-PELLEGRINO-SESTIERI, Segreto di Stato. Verità e
conciliazione sugli anni di piombo, Taranto, 2008, xv.
29
Così parla il magistrato D’Ambrosio nell’intervista rilasciata al quotidiano La
Repubblica del 13 aprile 2008.
12
soprattutto perché avrà un effetto positivo per il futuro…quanto al
passato invece credo che negli archivi degli 007 ormai ci sia ben
poco” 30
. Insomma, come dire, se effettivamente qualche “deviazione
istituzionale” c’è stata, se queste cose sono state fatte, è probabile che
non sia stata lasciata traccia del caso Moro come di altre vicende.
A questo punto diventa necessario capire come il nostro
ordinamento abbia permesso tutto ciò e come ancora lo legittimi.
Si intende quindi procedere all’analisi della tutela riconosciuta
al Segreto di Stato in Italia, ponendo in luce i problemi emersi durante
l’applicazione medesima e gli sforzi di dottrina e giurisprudenza,
nonchè dello stesso legislatore, per tentare di risolverli, iniziando da
una preliminare ricerca di carattere storico che si rivela utile per
inquadrare determinate tematiche e affrontare certi problemi che il
diritto positivo pone tutt’oggi all’interprete.
30
Così, l’ex pm Felice Casson nel quotidiano Il corriere della sera del 3 maggio
2008.
13
CAPITOLO I
PRECEDENTI STORICI DELLA NORMATIVA
SUL SEGRETO DI STATO.
DAI CODICI PREUNITARI AL CODICE ROCCO.
Sommario: 1. La tutela del segreto nelle legislazioni preunitarie- 2.
Il Codice penale Zanardelli- 3. Istanze di ampliamento della tutela
penale del segreto e degenerazione autoritaria dello Stato liberale:
le premesse al trapasso dal Codice Zanardelli al Codice Rocco- 4.
Primi interventi del legislatore fascista- 5. Elaborazione della
nuova normativa del segreto di Stato nel quadro del Codice penale
del 1930.
1. La tutela del segreto nelle legislazioni preunitarie.
Nel periodo immediatamente precedente alla formazione del
Regno d’Italia, emergeva un pluralismo di modelli di repressione nei
confronti di fatti criminosi diretti ad attentare a quella sfera di
segretezza individuata dalla comprensiva formula del “segreto di
Stato”. Le diverse codificazioni preunitarie si distinguevano
sostanzialmente e per l’ampiezza delle tutela e per la determinazione
del soggetto attivo e per la individuazione della natura del segreto
tutelabile.
Nel complesso queste codificazioni, però, apparivano figlie del
Codice napoleonico del 1810 che, nel delineare le fattispecie
incriminatici delle violazioni del segreto di Stato, si ispirava a criteri
restrittivi sia con riferimento ai comportamenti incriminati sia
14