INTRODUZIONE Le migrazioni internazionali sono uno dei maggiori oggetti di ricerca
empirica e di analisi teorica avviate e sostenute oggi dalle scienze sociali.
Esiste ormai un'opinione pubblica sensibile a tali studi e non mancano
committenti (enti pubblici e privati) da tempo impegnati a sostenere la
ricerca in questo campo. Il crescente interesse per tali fenomeni ha avuto
l'effetto di stimolare la ricerca sociologica ad adattare a questo settore
metodi e tecniche già sperimentati in altri ambiti, o a svilupparne di
nuovi.
Fare considerazioni a fronte di ciò che si è venuti a scoprire e a ricercare,
in una seppur piccola indagine, vuol dire venire a conoscenza di alcune
sfaccettature all'interno di una complessa tematica, quale è quella
dell'immigrazione.
Vivendo da sempre nella borgata Finocchio ho visto negli anni un
incremento esponenziale di stranieri al quale non corrisponde, a mio
sentire, una totale accettazione da parte degli abitanti del luogo.
Presupponendo da parte della comunità, una certa simpatia per i bambini
e per gli adolescenti, come mai quando questi diventano adulti non si
riscontra un loro totale inserimento nel tessuto sociale? Partendo da tali considerazioni ho voluto svolgere una ricerca nell'ambito
della scuola secondaria di primo grado della mia borgata per meglio
comprendere come viene affrontato in questo territorio il fenomeno
dell'educazione interculturale che consente l'inserimento sia in ambito
scolastico che sociale.
Il campo di indagine scelto è stata la scuola S.M.S. Domenico Savio
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(borgata Finocchio), scuola che ho frequentato negli anni della mia
adolescenza, quando il fenomeno dell'immigrazione non si era ancora
manifestato appieno.
Nel primo capitolo verranno approfonditi i concetti di multiculturalità e
intercultura e i fenomeni che li hanno stimolati attraverso un percorso
storico ricavato dagli studi sociologici. Sarà anche messa in luce la
situazione dei minori stranieri in Italia attraverso lo studio della
legislazione e delle istituzioni sociali che hanno contribuito al loro
sostegno; inoltre saranno analizzate in maniera sintetica le politiche
dell'immigrazione per l'ammissione degli alunni stranieri in Europa e in
Italia e gli elementi più significativi che emergono da alcuni rapporti del
MIUR.
Nel secondo capitolo verrà fatto cenno all'analisi teorica riguardante la
scuola e l'immigrazione, i percorsi di accoglienza e progettazione
multiculturale attraverso letture di studiosi che hanno affrontato
l'argomento per ricavarne informazioni utili.
Nel terzo e ultimo capitolo, verrà descritta la ricerca da me effettuata
attraverso una intervista qualitativa semi-struttutata sottoposta a 20
insegnanti e l'analisi dei documenti relativi ai progetti multiculturali
attuati nella scuola scelta.
Quindi scopo di questo lavoro è stato quello di conoscere più da vicino il
mondo dell'educazione interculturale e la relativa realtà sociale anche se
in un piccolo ambito.
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1. MULTICULTURALITA' E INTERCULTURA
1.1 Multiculturalità
In Italia, negli ultimi decenni, il flusso migratorio è andato aumentando e
la nostra società si è arricchita di nuove culture: la multiculturalità è
quindi divenuto il termine per indicare la nuova situazione socio-
culturale (Maggioni, Vincenti 2007)
1
. Ma con questo termine dobbiamo
intendere anche la molteplicità di cittadinanze diverse e quindi di stili di
vita, di orientamenti, comportamenti diversi da quelli italiani e quindi la
trasformazione dell'Italia da paese di emigrazione in paese di
immigrazione (Besozzi, 2006).
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Si è verificato nel corso del tempo un
mutamento della migrazione, sono cambiati i paesi di provenienza e in
questa seconda fase è aumentato notevolmente il numero delle donne che
trainano nuovi arrivi.
Le motivazioni che determinano la migrazione rimangono uguali:
solitamente sono cause economiche e sociali precarie dei paesi di
provenienza. Si può dire che con il tempo si è diversificato il flusso
migratorio e parallelamente la durata della permanenza.
In chiave sociologica, la nozione di differenza è insita nel termine
multiculturalità. Questo termine contrasta con quello di uguaglianza , uno
dei principi su cui si basano le società democratiche dall'illuminismo al
XIX secolo. Nella disuguaglianza era individuato un fattore che
permetteva il dominio di alcune parti della società su altre.
1 Maggioni G., Vincenti A., (a cura), 2007, Nella scuola multiculturale. Una ricerca
sociologica in ambito educativo, Roma, Donzelli, p.5
2 Besozzi E., 2006, Società, cultura, educazione , Roma, Carocci, p.248
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Sull'uguaglianza, gli stati nazionali europei hanno basato i diritti e la
convivenza sociale mantenendo al loro interno una forte coesione tra
istituzioni statali e identità nazionali, criterio attraverso cui determinare e
riconoscere gran parte dell'identità di un popolo. Le diversità culturali
delle minoranze etniche e religiose presenti negli stati-nazione vennero
gestite attraverso politiche di assimilazione. La diversità era pertanto
associata ad un significato negativo, portatrice quindi d'instabilità e
minaccia dei valori, delle regole, delle tradizioni che legittimavano la
vita sociale e l'identità collettiva su cui si fondavano la nazione e lo stato.
In epoche successive, dopo la seconda guerra mondiale, le minoranze
culturali furono protette garantendo a tutti il riconoscimento dei diritti
umani fondamentali. I gruppi con identità diverse da quelle della
maggioranza non avevano quindi bisogno di tutele specifiche perché le
appartenenze culturali, etniche e religiose furono considerate parte della
sfera personale. Il paese che per primo fu costretto a mettere in
discussione il valore assoluto dell'uguaglianza fu gli Stati Uniti; infatti da
sempre aveva dovuto porsi il problema della regolazione della
convivenza tra gruppi etnici e culturali diversi ma malgrado ciò per
molto tempo la società americana aveva imposto essenzialmente la
cultura dei bianchi di origine anglosassone, di religione protestante e di
tradizione liberale. Le contraddizioni e le rivendicazioni trovarono in
questo paese il più adatto scenario in quanto nato e costituito, per ragioni
storiche, multietnico e multiculturale; infatti negli anni Sessanta furono i
movimenti per i diritti civili a denunciare apertamente le contraddizioni
del modello americano. Questo paese, con un'immagine di apertura
all'uguaglianza, nel quale il “sogno americano”, in cui era possibile
l'ascesa nella stratificazione sociale in base al merito e alle capacità
personali, era in realtà il tentativo dei modelli culturali egemoni di
assimilare a sé le differenze. Divenne sempre più evidente che le uguali
opportunità erano intrise di retorica perché poco attuabili per i gruppi
sociali minoritari. I movimenti per i diritti civili denunciarono che era
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necessario tenere conto delle diverse condizioni materiali e culturali di
partenza degli individui e di conseguenza anche prevedere vie
privilegiate di accesso per chi partiva da condizioni di svantaggio; solo
cosi' si arrivava al raggiungimento dell'uguaglianza di diritto. Si chiedeva
quindi il rispetto dei diritti dei gruppi con una propria identità e cultura e
non solo dei singoli individui. Questo segnò la grande novità rispetto al
passato e per la prima volta, la diversità, fu considerata come un valore
da salvaguardare e tutelare. Da questo momento in poi oltre alle
minoranze etniche, rivendicarono la loro diversità e specificità, i
movimenti femministi, successivamente quelli degli omosessuali e poi
molte altre categorie sociali che erano state fino ad allora discriminate o
emarginate.
Nel tempo il fenomeno della migrazione, ha portato altre nazioni a
confrontarsi sul valore della multiculturalità, interrogandosi sulla
necessità di salvaguardare le minoranze culturali. Oggi la lettura del
multiculturalismo sembra andare in una direzione meno radicale rispetto
alla precedente e si avvicina ad un approccio costruttivista, dove la
differenza non è più presentata come una dimensione fissa ma
negoziabile.
Il fenomeno della globalizzazione ha introdotto il cambiamento, la
molteplicità e la velocità, come simboli della nostra società che rendono
vano interpretarla in modo universalistico e assoluto. La realtà diventa
una esperienza quotidiana e non esiste un modo unico e universalmente
riconosciuto per interpretare la molteplicità dello spazio sociale; cosi'
l'individuo fa se stesso interprete della nuova realtà (D'Alessandro,
Sciarra, 2005)
3
.
In Italia, il fenomeno dell'immigrazione si è andato intensificando ed
evolvendo nell'ultimo ventennio; per la sua complessità e per l'impatto
sulla società italiana che aveva esperienza opposta all'immigrazione ha
portato ad una serie di ricerche da parte di organi istituzionali come
3 D'Alessando V., M. Sciarra, 2005, Multietnicità, pregiudizi e intercultura, Nuovi scenari e
problematiche per le istituzioni formative , Milano, Angeli, pp. 53-62
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l'ISTAT, la Caritas, la Fondazione ISMU, il ministero degli Interni, il
MIUR per monitorarne l'evoluzione e stabilire i dovuti accorgimenti. In
particolare, sono stati analizzati dal MIUR gli aspetti riguardanti
l'inserimento dei minori con cittadinanza non italiana nella scuola
(Besozzi, 2006).
1.2 I minori stranieri in Italia Tra i migranti, i soggetti più deboli, sono sicuramente i minori che
devono inserirsi in un ambiente diverso dal proprio e superare diversi
ostacoli con un bagaglio emotivo e psicologico più debole rispetto agli
adulti, per questo motivo è necessaria una legislazione attenta e di tutela.
Il diritto all'istruzione costituisce un punto fermo per le politiche e gli
interventi rivolti a bambini, ragazzi e adolescenti di ogni provenienza, a
prescindere dalla loro condizione giuridica . Le modalità dell'inserimento
degli alunni stranieri nella scuola risultano, dunque, un chiaro
evidenziatore del modello di ammissione degli immigrati nelle società
ospitanti.
Straniero è colui che non possiede la cittadinanza del paese in cui abita e
minore è colui che ha un'età inferiore ai 18 anni. In Italia, i figli di
genitori immigrati sono cittadini stranieri, con le sole eccezioni dei figli
di coppie miste con un genitore italiano, dei bambini adottati da coppie
italiane, degli apolidi e di quei bambini nati in Italia, cui i genitori non
possono trasmettere la propria cittadinanza. La legge n. 91 del 1992,
s'ispira allo ius sanguinis , un principio che premia l'ereditarietà del diritto
di cittadinanza a scapito della residenza sul territorio; tuttavia, in seguito
ad un' esplicita richiesta, un figlio di genitori stranieri e nato in Italia può
richiedere di diventare cittadino italiano al compimento della maggiore
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età, se dimostra di aver vissuto ininterrottamente nel paese e se i genitori
sono in possesso di regolare permesso di soggiorno. Tutti i minori, nati
all'estero o nati in Italia da genitori immigrati, rimangono, tuttavia,
stranieri per la legislazione italiana. Si tratta di minori con un vissuto
personale o familiare di migrazione di cui fanno parte diverse tipologie
di soggetti: una seconda generazione vera e propria, costituita dai nati sul
suolo italiano, figli di genitori stranieri; i nati in un altro paese ma
emigrati in età prescolare, che hanno iniziato il loro processo di
maturazione nel sistema sociale e scolastico italiano; i ragazzi che hanno
interrotto il percorso formativo, iniziato nel paese d'origine e si trovano a
vivere l'adolescenza in un contesto socioculturale differente.
Secondo gli ultimi dati della Cartitas (2004), la metà dei minori stranieri
è nata in Italia con un'origine plurima, la maggior parte di questi parla
italiano ed è inserita in un contesto scolastico ma rispetto ai coetanei
italiani è estranea al modello culturale del paese d'accoglienza e a quello
della patria dei genitori. Oltre a questa realtà, si aggiungono i minori non
accompagnati, cioè quelli che migrano irregolarmente, in cerca di lavoro
o inseriti in circuiti di sfruttamento per i quali sono maggiori le difficoltà
di inserimento.
La presenza dei familiari si rivela un fattore determinante nel supportare
l'inserimento dei figli, come emerge dalla comparazione tra i minori che
vivono con la famiglia e gli adolescenti che emigrano soli. Le famiglie
immigrate, infatti, oltre ad offrire sostegno assolvono ad una funzione
culturale, rappresentano la continuità con il paese d'origine e con le
radici della propria appartenenza e una funzione sociale di apertura al
contesto esterno. Anche se storicamente i diritti sociali sono privilegio
dei cittadini residenti sul territorio, la presenza delle famiglie dei
lavoratori stranieri ha posto il problema di estendere tali diritti a tutti.
La scuola è l'istituzione sociale che può maggiormente dare le
opportunità di riuscita, ma che può, se non adeguata alle esigenze, per
l'estrema diversificazione delle provenienze, per il consistente ritardo
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scolastico e la minore presenza di alunni stranieri nelle scuole secondarie
di II grado e l'orientamento verso gli istituti e la formazione
professionale, portare a confinare i figli degli immigrati ai margini della
società . Quindi le politiche socio-educative, richiamano non solo il ruolo
della scuola ma anche di tutte le organizzazioni che rappresentano una
importante risorsa nei processi di socializzazione di tutti i minori.
Alle «politiche dell'immigrazione», che definiscono le condizioni
affinché il minore possa risiedere legalmente sul territorio nazionale, si
affiancano le «politiche di welfare o per l'immigrazione», che riguardano
l'accesso effettivo degli immigrati ai benefici previsti dal sistema
normativo. Dagli studi finora condotti in Europa, si evidenziano
sostanzialmente tre modi di operare rispetto all’ammissione degli alunni
stranieri e della loro conseguente integrazione occupazionale:
Il modello assimilazionista, adottato in Francia, prevede una
scolarizzazione con l’omologazione del modello linguistico e culturale,
con appositi interventi formativi compensativi e un periodo di transizione
in classi di accoglienza per soli stranieri. Questo modello ha ottenuto
buone realizzazioni nell'istruzione e nell'acculturazione ma una scarsa
capacità di integrazione lavorativa.
Il modello dell’integrazione pluralista, adottato in Germania, si basa sulla
convivenza di gruppi con culture diverse che ottengono gli stessi diritti.
Con questo modello la Germania ha conseguito discreti risultati
occupazionali ma difficoltà di integrazione sul piano legale e identitario
causate da specifici meccanismi di selezione e di orientamento.
Il modello interculturale, adottato in Inghilterra, considera la differenza
fra culture una risorsa per la società perché fondamentali per la
costituzione di un contesto interculturale; il modello inglese ha prodotto
nel tempo buoni risultati nel sistema formativo, presentando tuttavia
ineguaglianze a base etnica nel mercato del lavoro.
Il modello interculturale è stato assimilato dall’Italia, prendendo come
punto di partenza, le esperienze degli altri paesi, nei quali il problema si
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era precedentemente posto e ha seguito le raccomandazioni della
Comunità Europea che ha scelto l'interculturalità come orizzonte
privilegiato e orientamento valoriale rispondente ai nuovi bisogni
formativi della società multiculturale.
La costruzione del sistema di rilevazione delle presenze degli alunni
stranieri ha rappresentato un passo significativo nella conoscenza del
fenomeno ed è stata una delle prime azioni compiute dal Ministero della
Pubblica Istruzione. Dal 1996, il monitoraggio si concretizza nella
pubblicazione del rapporto annuale «Alunni con cittadinanza non
italiana» che offre un quadro degli aspetti distintivi dei minori stranieri in
Italia, da conoscere per progettare e realizzare politiche educative
adeguate alle trasformazioni del fenomeno. Tra gli elementi più
significativi che emergono nel rapporto relativo all' a.s. 2003/04 (MIUR,
2004), si sottolineano: la rapidità nell'aumento della popolazione
scolastica straniera; una distribuzione non uniforme sul territorio
nazionale, concentrata in alcune zone geografiche, città, territori, scuole;
una distribuzione policentrica e diffusa, in cui anche i centri di piccola e
media dimensione costituiscono i poli d'attrazione.
A livello di accesso all'istruzione, la scuola italiana, fin dall'arrivo dei
primi flussi migratori, ha aperto le porte a tutti i minori stranieri,
indipendentemente dalla posizione giuridica, garantendo il diritto/dovere
allo studio: «i minori stranieri sul territorio sono soggetti all'obbligo
scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di
diritto all'istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla
vita della comunità scolastica». Dal 1989, le numerose circolari del
Ministero hanno progressivamente eliminato i limiti all'ammissione degli
alunni stranieri, per arrivare nel 1995 al superamento della formula
contraddittoria dell'ammissione «con riserva» per i figli di immigrati
irregolari, che implicava l'incertezza di ottenere certificati di frequenza o
titoli di studio, al termine del proprio percorso scolastico. Dall'analisi
della normativa italiana e delle strategie didattiche messe in campo per la
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