Introduzione La recente crisi finanziaria, che per intensità e durata è stata paragonata alla recessione
degli anni ’30, ha generato tra studiosi e autorità il consenso a rivedere l’attuale disciplina
prudenziale nota come Basilea II.
A differenza delle altre crisi più recenti, quali quella che ha colpito il Sud-Est asiatico
nel 1997 e le altre crisi regionali o nazionali (Russia, Messico e Argentina), l’attuale crisi
partita dai mutui subprime, ha caratteristiche del tutto peculiari in quanto non parte ne da un
shock esogeno di un paese o una regione che poi si è propagato ad altri sistemi economici,
ne legata ad un particolare fenomeno geopolitico o a seguito di un fenomeno naturale
particolarmente distruttivo, ma è del tutto endogena al sistema finanziario.
Infatti se tutto questo si è verificato, evidentemente c’è stata una cattiva valutazione dei
rischi propri dell’attività finanziaria, sia da parte degli analisti, sia da parte delle autorità di
vigilanza. Ciò ha avuto risvolti negativi sull’intera economia, minando alla base i rapporti
fiduciari che legano le banche tra loro, soprattutto tra datori e prenditori di fondi. Sotto tutti
questi aspetti gioca un ruolo cruciale l’attuale normativa che impone la costituzione di
riserve di capitale per far fronte ai rischi a cui è esposta l’attività bancaria.
L’obiettivo principale di questo lavoro è quello di analizzare la prociclicità. Tale
fenomeno è già da noto da tempo in letteratura è si basa sull’idea che il sistema finanziario
sia intrinsecamente prociclico accentuando così le fluttuazioni del ciclo economico. Più
specificamente, nel caso delle banche, la presenza all’interno del sistema bancario di
requisiti patrimoniali previsti dall’attuale normativa di Basilea II, fa sì che tale fenomeno sia
ulteriormente accentuato.
Il Capitolo I analizza l’evoluzione della normativa sui requisiti patrimoniali, che va dal
primo Accordo del 1988, passando per l’Accordo del 2004, fino ad arrivare ai recenti
sviluppi che hanno portato a rivedere l’attuale disciplina producendo Basilea III.
Il Capitolo II analizza gli aspetti tecnici di Basilea II evidenziando i rischi dell’attività
bancaria e descrivendo i passaggi fondamentali che portano alla costituzione del patrimonio
regolamentare, strumento fondamentale a presidio contro eventuali perdite future, sia attese
che inattese.
Il Capitolo III rappresenta il cuore di questa lavoro ed espone dettagliatamente il
problema della prociclicità. Nella prima parte si analizzano gli aspetti della recente crisi
finanziaria alla luce di tale fenomeno e i fattori che determinano la prociclicità del sistema
1
finanziario. Nella seconda parte vengono presentati una serie di studi che possono essere
divisi in due filoni: il primo filone di studi mostrano le evidenze empiriche del legame tra
riserve patrimoniali imposte da Basilea II e ciclo economico; il secondo filone di studi, che
data la natura dell’argomento mostra delle lacune dal lato delle evidenze empiriche ma che
vengono compensate da esercizi di simulazione, mostra la relazione dinamica tra sistema di
rating adottato dalle banche e requisiti patrimoniali. Il capitolo si conclude con alcuni studi
svolti nell’ambito di mitigazione degli effetti prociclici di Basilea II dando vita al recente
Accordo noto come Basilea III. Anche qui sono stati fatti una serie di studi che rivelano la
difficoltà di calibrazione delle opportune riserve patrimoniali che dato il momento vengono
calcolate “sul fondo del ciclo”, e soprattutto l’applicazione di alcune correzioni alla formula
per calcolare i requisiti patrimoniali previsti in Basilea II.
2
Capitolo I 1. La normativa prudenziale bancaria Prima di andare ad analizzare gli interventi normativi che hanno investito il settore
bancario, è bene ricordare che ogni regolamentazione è il risultato di fallimenti del
mercato come esternalità negative, situazioni di monopolio o asimmetrie informative. Nel
caso particolare delle banche, si possono individuare tre motivi che hanno portato le
autorità di vigilanza ad adottare misure regolamentari per il capitale bancario:
• Intrinseca vulnerabilità di alcune attività bancarie (ad esempio per quanto
riguarda i crediti che hanno una durata più lunga dei depositi, le banche possono
perdere una grossa fetta dei loro depositi molto in fretta mentre i loro crediti
rimangono costanti );
• Fenomeni di contagio del sistema finanziario;
• Gestione del sistema dei pagamenti e erogazione dei crediti alle piccole e
medio imprese (SME) e ai singoli privati.
Per quanto riguarda le asimmetrie informative, esse comportano sostanzialmente moral
hazard e selezione avversa, il che richiede che gli investitori debbano monitorare l’attività
delle banche. Solitamente il debito delle banche è affidato ad una miriade di soggetti i quali
non hanno a disposizione le informazioni necessarie sulle attività delle stesse, o ritengono
che tale processo di monitoring sia troppo costoso o dispendioso in termini di tempo, per cui
si assistono a fenomeni di free riding da parte degli investitori.
Altro problema al quale la regolamentazione bancaria è chiamata a risolvere è la
prevenzione del rischio sistemico 1
. Il panico dei depositanti o il rilascio di notizie quando
essi hanno un’informazione asimmetrica riguardo gli utili, può portare a una prematura
liquidazione delle attività e far scattare una corsa agli sportelli, portando così al fallimento
del sistema bancario attraverso fenomeni di contagio
2
.
Per evitare fenomeni di panico e costi sociali elevati, le autorità di molti paesi hanno
stabilito degli schemi di assicurazione (deposit insurance) , attraverso i quali i depositanti
sono assicurati in caso la banca fallisca. La creazione di una rete governativa di sicurezza,
1
Per rischio sistemico si intende la possibilità che l’insolvenza di un’istituzione finanziaria crei un effetto domino
(ripple effect) che porti all’insolvenza di altre istituzioni finanziarie e minacci la stabilità del sistema finanziario.
2
DRUMOND Ines, “Journal of Economics Surveys vol. 23 n. 5 ” Bank capital requirements, business cycle
fluctuations and the Basel Accords: A synthesis. p. 808 – 809
3
porta i manager delle banche a ad assumere dei rischi maggiori costringendo l’intervento dei
governi attraverso la regolamentazione ad un ulteriore intervento normativo.
Per questi motivi gli standard di capitale sono visti come un importante strumento per
promuovere la gestione corretta delle banche, e possono essere usati per definire la soglia
per il trasferimento del controllo dagli azionisti delle banche ai regolatori, utilizzando così i
requisiti di capitale come strumento per isolare le banche cattive dal sistema così da
risolvere i problemi di selezione avversa
3
. Tutti questi fattori sono emersi con i recenti
avvenimenti.
2. Gli accordi del 1988: Basilea I Per capire come si è giunti ai primi accordi del 1988 che hanno dato via al quadro
normativo di riferimento noto come Basilea I, occorre fare luce sullo scenario di
riferimento, in particolar modo tra la metà degli anni '60 e la prima parte degli anni '70, in
cui ci furono fenomeni macroeconomici e finanziari a livello internazionale che favorirono
la convergenza verso un processo regolativo a carattere sovranazionale avendo per oggetto
l'attività bancaria.
Da un lato vi era la crescente operatività cross border delle banche le quali non
rispondevano ad una regolamentazione omogenea, dall'altro lato, soprattutto a inizio degli
anni '60, ci fu lo sviluppo dei cosiddetti “Euromercati”, cioè mercati non ufficiali, noti anche
con il termine OTC (Over The Counter), dove gli strumenti negoziati non rispondono a
nessuna disciplina di controllo normativo e regolamentare. Successivamente negli anni '70
ci furono la comparsa dei primi strumenti derivati, contestualmente all'improvviso aumento
dell'instabilità dei mercati finanziari mondiali dovuta ai rialzi del prezzo delle materie prime
e dei tassi d'interesse, unitamente all'abbandono nel 1971, del sistema valutario scaturito
dagli accordi di Bretton Woods.
Ad completare tale quadro, bisogna ricordare l'insorgere di crisi bancarie, in particolar
modo quella della tedesca Bankhaus Herstatt de quella della statunitense Franklin National
Bank, aumentarono la consapevolezza sui meccanismi di trasmissione delle crisi e di
3
DRUMOND Ines, “Journal of Economics Surveys vol. 23 n. 5 ” Bank capital requirements, business cycle
fluctuations and the Basel Accords: A synthesis. p. 809.
4
conseguenza della necessità di stabilire delle regole comuni in modo da prevenire possibili
eventi di difficoltà a livello sistemico 4
.
In questo contesto posso essere inseriti due mutamenti d'indirizzo caratterizzanti gli anni
'70:
a) Cambia l'ottica di valutazione del ruolo della vigilanza bancaria, che fino agli anni
'60 era percepita come una componente meramente domestica, ma che con
l'espandersi dell'attività cross border si inizia ad avvertire la necessità di regole
uniformi a livello sovranazionale.
b)Si riapre il dibattito sugli obiettivi e sugli strumenti operativi della vigilanza bancaria
e più in generale sulla regolamentazione finanziaria, con la visione di prevenire
comportamenti criminali e frodi, ma soprattutto di assicurare la concorrenza in modo
da ridurre le inefficienze del mercato 5
.
I vari contributi teorici portano ad elaborare tre distinte modalità di applicazione della
vigilanza bancaria a prescindere dall'autorità a cui è affidata e possono essere sintetizzate
nel seguente modo:
• Vigilanza strutturale tramite la quale l'autorità preposta incide direttamente sulla
struttura, l'impostazione dell'intero sistema e dei singoli intermediari, influenzando
così l'organizzazione e le modalità di svolgimento delle attività.
• Vigilanza prudenziale che adotta regole e principi di massima volti a salvaguardare la
solidità dei singoli intermediari e la stabilità del sistema.
• Vigilanza protettiva intendendo con essa l'organizzazione e la gestione degli
strumenti tesi ad assicurare la salvaguardare la tutela dei depositanti (classico
esempio è quello del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti).
Si giunge così alla nascita, nel 1974, del Comitato di Basilea, composto dai governatori
delle banche centrali dei paesi appartenenti al gruppo del G-10. Le delibere del Comitato
pur non avendo potere vincolante di natura normativa o legislativa, vengono uniformemente
riconosciute ed applicate nei paesi membri con la finalità di migliorare l'efficacia ella
regolamentazione di vigilanza a livello nazionale, assicurare le condizioni per una
concorrenza equa tra i diversi sistemi bancari internazionali, evitando situazioni di
4
IACOPOZZI Cristiano, L'applicazione di Basilea II in Italia, aspetti tecnici ed elementi di riflessione. CEDAM, 2009, pp. 1-
2.
5
IACOPOZZI Cristiano, op. cit. L'applicazione di Basilea II in Italia, aspetti tecnici ed elementi di riflessione. CEDAM,
2009,pp. 2-3.
5
distorsione competitiva ed estendere a un numero crescente di paesi la regolamentazione di
vigilanza adeguandola al passo con i tempi ed evitando situazioni di gap normativo e/o
disciplinare. L'accordo del 1988 giunse dopo una serie di fallimenti dei precedenti accordi
che presentavano diverse lacune, dovute anche dal fatto che si era in presenza di rapidi
cambiamenti per quanto riguarda la crescita dimensionale delle attività bancarie.
Tale accordo noto anche come Basilea I, aveva l'intento di rappresentare un'evoluzione
rispetto alla precedente disciplina che imponeva un requisito patrimoniale minimo a fronte
del complesso delle attività non ponderate per il rischio, generava comportamenti distorsivi
nell'allocazione del credito da parte delle banche, spingendo queste ultime, a parità di
assorbimento patrimoniale, a scelte di impiego più rischiose, ma caratterizzate nello stesso
tempo da un maggiore profilo di rendimento atteso. Tale problema è noto anche come
arbitraggio regolamentare ed è doveroso anticipare che ciò non viene risolto con l'Accordo
del 1988 ma finisce per diventare una delle ragioni che hanno spinto alla stesura di Basilea
II.
3. Il patrimonio netto di vigilanza con Basilea I L'aspetto centrale di Basilea I è costituito dalla previsione di un requisito patrimoniale
pari all'8% dell'attivo ponderato per il rischio di credito, dove ogni attività viene valutata per
la sua rischiosità e alla quale viene assegnato un coefficiente, frutto dall'interazione di tre
variabili: la natura della controparte debitrice, il paese di residenza e la gamme delle
eventuali garanzie prestate.
L'assegnazione del coefficiente è la prima fase, ed è fondamentale in quanto viene
determinato il grado rischiosità degli impieghi. Esistono 4 classi di rischio previste da
Basilea I:
1) RISCHIO BASSO: dove il coefficiente di ponderazione è pari a 0 e ne fanno parte
quegli impieghi a scadenza contenuta (inferiore ad un anno) oppure l'elevata affidabilità
della controparte (ad esempio in un governo OCSE, titoli di stato di un governo OCSE,
crediti verso governi OCSE);
2)RISCHIO MEDIO/BASSO: agli impieghi appartenenti a questa classe viene attribuito
un coefficiente di ponderazione pari al 20%. Fanno parte quegli impieghi verso banche
multilaterali di sviluppo, crediti verso banche di paesi OCSE, crediti verso enti del
6
settore pubblico e presti di firma irrevocabili confermati.
3)RISCHIO MEDIO/ALTO: agli impieghi di questa classe viene attribuito un coefficiente
pari al 50%, dove sono compresi i crediti ipotecari per l'acquisto di immobili, crediti
garantiti da ipoteche su locali ad uso commerciale, strumenti finanziari emessi a fronte
di crediti ipotecari.
4) RISCHIO ALTO: in questo caso viene attribuito un coefficiente del 100% agli impieghi
appartenete a questa classe, nella quale vengono inclusi i crediti verso private, nelle
esposizioni creditizie verso governi non OCSE, le partecipazioni in imprese private, gli
strumenti ibridi di capitale e le attività non dedotte dal patrimonio di vigilanza
6
.
5)
Classi di esposizione Ponderazioni Cassa, valori assimilati e crediti verso governi centrali, banche centrali e
Comunità Europea.
0%
Valori all’incasso e attività di rischio verso enti centrali e locali del settore
pubblico, attività verso banche con sede nell’area OCSE e verso enti del
settore pubblico di paesi compresi nell’area OCSE.
20%
Crediti ipotecari e operazioni di leasing su immobili. 50%
Crediti verso il settore privato, stabili, impianti ed attrezzature, banche
con sede all’esterno dell’area OCSE , obbligazioni emesse dai Paesi
meno sviluppati.
100%
Figura 1: Classi di ponderazione Una volta assegnata la classe di ponderazione più consona alle caratteristiche dell'attività
e trasformate in equivalente creditizio le attività fuori bilancio (tale operazione consiste nel
moltiplicare le attività fuori bilancio per un fattore di conversione indicato dal Comitato di
Basilea, che consente di trasformare l'esposizione derivante da un'attività non in bilancio,
nel cosiddetto equivalente creditizio cioè in quella che è presumibilmente l'esposizione
creditizia), si procede al calcolo vero e proprio del requisito patrimoniale. Per la
determinazione del coefficiente di solvibilità, il percorso si articola in tre fasi.
Nella prima si moltiplica l'esposizione creditizia (EC) per il coefficiente di ponderazione
(CP), ottenendo in tal modo l'attivo ponderato per il rischio di credito relativo alla singola
esposizione (AP
i
). Esprimendo tutto con una formula avremo:
6
IACOPOZZI Cristiano, op. cit. L'applicazione di Basilea II in Italia, aspetti tecnici ed elementi di riflessione. CEDAM,
2009, pp. 6-7.
7
ECxCP AP
i = ECxCP AP
i =
dove avremo:
CP = coefficiente di ponderazione;
EC = esposizione creditizia;
AP
i
= attivo ponderato per il rischio di credito relativo all'esposizione i-esima.
In seguito si moltiplica l'attivo ponderato per il rischio di credito relativo alla singola
esposizione, per l'8%, che indica l'effettivo assorbimento patrimoniale (K
i
) dell'esposizione
al rischio di credito
7
.
In sintesi si ottiene questa formula:
=
i i xAP K % 8
dove:
K
i = assorbimento patrimoniale provocato dall'esposizione i-esima;
L'ultimo passaggio è rappresentato dal calcolo del requisito patrimoniale complessivo
(K), dato dalla somma dei requisiti patrimoniali K
i
riferiti alle singole esposizioni, senza
tener conto dell'eventuale beneficio prodotto dalla diversificazione del portafoglio di seguito
rappresentato come:
=
i i K K
dove:
K = requisito patrimoniale complessivo K
i = requisito patrimoniale relativo all'i-esima attività.
Un esempio può chiarire il procedimento del calcolo delle attività complessive ponderate
per il rischio: le attività di una banca sono composte da €100 milioni di prestiti a società
private, €10 milioni di titoli di Stato emessi dai paesi OCSE e da €50 milioni di mutui
ipotecari su immobili residenziali (senza garanzie statali), il valore delle attività complessive
ponderate per il rischio sarà pari a:
125 € 50 € 5 , 0 10 € 0 , 0 100 € 0 , 1 = · + · + · 125 € 50 € 5 , 0 10 € 0 , 0 100 € 0 , 1 = · + · + · ossia a €125 milioni
8
.
7
IACOPOZZI Cristiano, op. cit.L'applicazione di Basilea II in Italia, aspetti tecnici ed elementi di riflessione. CEDAM,
2009, p.8.
8
HULL C. John , Risk management e istituzioni finanziarie, pp. 159 – 160.
8
Per gli strumenti derivati erano previsti erano previsti degli “add-on factors” che
possono essere sintetizzati come segue:
Vita
residua (anni)
Tasso
d’interesse Valute e
oro Azioni Altri metalli
preziosi Altre
merci < 1 0,0 1,0 6,0 7,0 10,0
da 1 a 5 0,5 5,0 8,0 7,0 12,0
> 5 1,5 7,5 10,0 8,0 15,0
Figura 2: Add-on factors per i derivati (in percentuale del valore nominale).
Nel caso dei derivati trattati ne mercato OTC, come i forward o gli interest rate swaps,
l’equivalente creditizio veniva calcolato in base alla seguente formula:
aL V + ) 0 , max( aL V + ) 0 , max(
dove V è il valore corrente del derivato, a è una maggiorazione cioè l’add-on factor e L è
il valore nominale. Il primo termine misura l’esposizione corrente e il secondo la possibile
crescita dell’esposizione
9
.
Per le attività fuori bilancio (off – balance – sheet items) il calcolo dell’attività ponderate
per il rischio è identico, cambiano solo i “risk weights” cioè il fattore di ponderazione simile
alla tabella precedente fatta eccezione per la parte relativa al peso dato ad attività verso il
settore privato pari al 50% anziché al 100%. Indicando con N il numero delle voci di
bilancio, con M il numero delle voci fuori bilancio, avremo:
= =
+
N
i M
j j j i i C w L w 1 1
*
= =
+
N
i M
j j j i i C w L w 1 1
*
dove:
w i
= coefficiente di ponderazione dell’attività in bilancio
C
j = l’equivalente creditizio dell j-esima voce
*
j w = è il coefficiente di ponderazione della contro parte dell’attività fuori bilancio
i L
= è il valore dell’i – esima voce di bilancio
Per cui tale formula indica il totale delle voci in bilancio e fuori bilancio. Il patrimonio
rappresenta un vero è proprio presidio costituito per fronteggiare i rischi impliciti nello
9
HULL C. John , Risk management e istituzioni finanziari,e, Torino : Pearson Paravia Bruno Mondadori, 2008
p. 161.
9
svolgimento dell'attività bancaria. In Basilea I la banca deve possedere un patrimonio
minimo pari all'8% dell'attivo ponderato per il rischio di credito:
%) 8 ( ‡ credito di rischio il per ponderato Attivo vigilanza di Patrimonio %) 8 ( ‡ credito di rischio il per ponderato Attivo vigilanza di Patrimonio prevedendo due diverse definizioni di patrimonio:
1 .PATRIMONIO di BASE o TIER 1;
2 .PATRIMONIO SUPPLEMENTARE o TIER 2;
A partire dal 1996 esiste anche io il TIER 3 che sommanto al TIER 1 e TIER 2 portano al
Total Capital.
Il Total Capital Ratio, è dato dal rapporto tra numeratore costituito dalla somma di
patrimonio base, patrimonio supplementare e prestiti subordinati di III livello (Tier 1 + Tier
2 + Tier 3) ed il denominatore rappresentato dall'Attivo Ponderato per il rischio che deve
essere maggiore o uguale dell'8%
10
.
1. Il patrimonio Base così come il patrimonio Supplementare prevedono la distinzione
tra elementi positivi e negativi. Gli elementi positivi del Tier 1 sono:
2.Capitale sociale;
3.Sovrapprezzi di emissione;
4.Riserve;
5.fondo rischi bancari generali;
6.Strumenti innovativi di capitale;
Mentre gli elementi negativi sono:
1. Capitale sottoscritto non versato;
2.Azioni o quote proprie;
3.Avviamento;
4.Altre immobilizzazioni immateriali;
5.Perdita di esercizio.
La somma algebrica degli elementi positivi e negativi permettono di giungere al calcolo
del Tier 1.
10
Almeno il 50% dei requisiti patrimoniali, ossia il 4%, deve essere rappresentato dal patrimonio primario.
10
Allo stesso modo è suddiviso il patrimonio Supplementare, ovvero distinto in elementi
positivi e negativi.
Tra le prime rientrano:
1. Riserve valutarie;
2.Strumenti innovativi non computabili nel patrimonio base;
3.Strumenti ibridi di patrimonializzazione o Upper Tier 2;
4.Passività subordinate di secondo livello o Lower Tier 2;
5.Plus valenze nette su partecipazioni;
6.Fondo rischi su crediti.
Mentre come elementi negativi vengono considerati:
1. Minusvalenze nette su titoli;
2.Minusvalenze nette su partecipazioni;
3.Altri elementi negativi.
Il patrimonio totale lordo viene dunque individuato dalla somma di Tier 1, Tier 2 e Tier 3,
per pervenire al patrimonio netto di vigilanza è necessario procedere al calcolo delle
deduzioni, che sono di due tipologie:
1. partecipazioni in enti creditizi e finanziari, che vengono sottratte qualora risultino
superiori al 10% del capitale sociale dell'ente partecipato in cui vanno comprese
anche le deduzioni in strumenti innovativi di capitale, gli strumenti ibridi di
patrimonializzazione e le passività subordinate di secondo livello nei confronti degli
enti creditizi e finanziari partecipati in misura superiore al 10% del loro capitale
sociale;
2.partecipazioni inferiori al 10%, dedotte esclusivamente per la quota che eccede il
10% del valore del patrimonio di base supplementare;
Tale relazione può essere espressa attraverso la seguente formula:
. 3 2 1 deduzione in Elementi Capital Tier Capital Tier Capital Tier PV - + + =
. 3 2 1 deduzione in Elementi Capital Tier Capital Tier Capital Tier PV - + + =
I patrimonio netto di vigilanza rappresenta sia in Basilea I che in Basilea II il
“cuscinetto” richiesto per fronteggiare le perdite impreviste, uno strumento indispensabile
per il funzionamento dell'attività bancaria
11
.
11
IACOPOZZI Cristiano, op. cit.L'applicazione di Basilea II in Italia, aspetti tecnici ed elementi di riflessione.
CEDAM, 2009, pp. 10 – 12.
11
3.1. L’emendamento dell’ Accordo (1996)
Negli anni successivi all'applicazione dell'Accordo del 1988 emerse l'esigenza di
procedere all'adeguamento delle disposizioni introdotte. Tele esigenza era dovuta dalla
necessità di tenere in considerazione il rischio di mercato, evitare un eccessivo
disallineamento tra il patrimonio assorbito per motivi di vigilanza e quello che è l'effettivo
capitale economico impiegato nello svolgimento dell'attività bancaria. In merito a ciò nel
1996 viene presentato un Emendamento che va a modificare le prime proposte di vigilanza
in merito al cosiddetto Building Block Approach come metodo di misurazione
dell’assorbimento patrimoniale causato dall’esposizione al rischio di mercato. Tale
approccio considerava il rischio di mercato come una combinazione di più fattori
classificabile in quattro tipologie:
1. Tassi d’interesse;
2.Tassi di cambio;
3.Quotazioni azionarie;
4.Merci/materie prime.
Per ciascuna tipologia, il rischio viene rilevato senza che siano ammesse compensazioni e
adottando coefficienti diversi a seconda dello specifico fattore di
rischio. Il ricorso a tale metodologia deve rispondere a vincoli di natura qualitativa e
quantitativa, per i primi vi è la condizione di una registrazione giornaliera delle stime di
Value at risk affiancate da test di stress il livello di confidenza deve essere pari al 99%; era
consentita la facoltà di tenere conto delle correlazioni esistenti all’interno di ciascun fattore
di rischio ma anche tra le diverse categorie di fattori di rischio
12
.
Le banche dotate di un sistema di risk management più efficiente su consentito di adottare
un metodo basato sui modelli interni (internal model based approach) per la determinazione
dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di mercato. Esse calcolavano il valore a rischio
(VaR) del trading book e trasformarlo nel market risk capital charge sulla base della
seguente formula:
SRC VaR k + · SRC VaR k + · 12
IACOPOZZI Cristiano, op. cit.L'applicazione di Basilea II in Italia, aspetti tecnici ed elementi di riflessione. CEDAM,
2009, p. 16.
12
dove k è un fattore moltiplicativo, VaR è il value at risk e SRC è il requisito patrimoniale a
fronte dei rischi specifici propri della singola società.
Il Var della formula sopra esposta è il valore a rischio del giorno precedente e la media
dei valori a rischio osservati negli ultimi 60 giorni . Il valore minimo di k è 3, e valori più
alti possono essere disposti dall’autorità di vigilanza. Se si parla di attività come le
obbligazioni societarie, allo si può distinguere fra rischio di tasso d’interesse misurato dal
Var e rischio di credito misurato da SRC
13
.
Le banche che adottano l’internal model based approach furono tenute ad avere un
patrimonio pari alla somma di sue componenti: Il patrimonio a fronte del rischio di credito
pari all’8% delle attività ponderate per il rischio (RWA
C
) e una quota di patrimonio a
copertura del rischio di mercato (RWA
M
) ottenendo così:
( )
M C
RWA RWA o Complessiv Patrimonio + · = 08 , 0
( )
M C
RWA RWA o Complessiv Patrimonio + · = 08 , 0
Ben presto sono emersi i limiti di tale approccio, sotto il profilo dell’efficacia e
dell’efficienza.
Per quanto riguarda il primo profilo le carenze sono ravvisabili in ordine:
• All’eccessiva arbitrarietà della fissazione dei coefficienti di capitale a fronte
delle posizioni in cambi, in titoli azionari e in oro, caratterizzate da livelli di
rischiosità ben distanti fra loro;
• Viene trascurato completamente l’aspetto della diversificazione, poiché i
coefficienti di correlazione tra i vari fattori di rischio erano considerati pari a 1;
• Non si affrontava il problema della valutazione delle opzioni derivante dalla
non linearità del prezzo delle medesime.
Sotto il profilo dell’efficienza, invece, non si considera il fatto che potevano esserci
differenze fra la quantificazione del rischio a fini interni e la valutazione del rischio a fini di
vigilanza. Ciò avveniva perché per una valutazione del rischio interno veniva usato un altro
modello dei valutazione, vale a dire il Var, e quindi tutto questo creava un effetto discorsivo
13
HULL C. John , Risk management e istituzioni finanziarie, Torino : Pearson Paravia Bruno Mondadori, 2008
pp. 166 – 167.
13
che coinvolgeva l’allocazione degli impieghi dovuti dal fatto che le combinazioni di rischio
dovevano soddisfare entrambi i modelli (Building Block Approach e modelli Var)
14
.
4. I punti critici di Basilea I Analizzati i tratti salienti che hanno caratterizzato i primi venti anni dall’applicazione
dell’ Accordo, occorre dare un giudizio in merito ai risultati conseguiti e agli obiettivi
raggiunti. E’ indubbio che un parziale successo sia dovuto dal fatto che Basilea I abbia
rappresentato un primo tentativo di fissazione di regole che obbligano le banche a fissare
un livello minimo di patrimonio, assicurando al tempo stesso sufficiente omogeneità di
trattamento alle quelle che operano su scala internazionale, ciò però, non toglie che
l’Accordo presenti diversi limite che hanno indotto il Comitato a rivederlo e a migliorarlo.
In questa ottica occorre fare delle opportune distinzioni tra capitale proprio versato dagli
azionisti e detenuto sotto forma di capitale sociale o riserve, e patrimonio di vigilanza, che è
dato da varie poste patrimoniali frutto di dettami regolamentari.
A queste se ne aggiunge un'altra che è quella di capitale economico, importante risorsa
per la gestione strategica delle banche in quanto rappresenta la quota di capitale che decide
di voler detenere per far fronte alle sue perdite inattese o attese
15
.
Può accadere quindi che il patrimonio utile a fini di vigilanza risulti diverso in termini
quantitativi dal suddetto capitale economico, generando così situazioni di potenziale
arbitraggio regolamentare o un'inefficiente allocazione del capitale disponibile in termini di
redditività attesa. Si possono quindi verificare situazioni di scarsità patrimoniale o situazioni
di eccesso patrimoniale.
L’aspetto più controverso è dato dalla possibilità di effettuare i cosiddetti “arbitraggi
regolamentari”. Tale fenomeno è spiegato dal fatto che in Basilea I non si effettua
un’adeguata distinzione del rischio creditizio, ricorrendo a coefficienti di ponderazione
standard per categorie omogenee di debitori senza individuare l’effettiva rischiosità di ogni
singola controparte. Ciò comporta che a fronte di un uguale assorbimento patrimoniale
generato da un impiego generato dalle controparti di una stessa categoria di prenditori di
fondi, ma caratterizzate da una rischiosità specifica diversa, le singole banche sono
14
IACOPOZZI Cristiano, op. cit.L'applicazione di Basilea II in Italia, aspetti tecnici ed elementi di riflessione.
CEDAM, 2009, pp. 13 – 15.
15
SABATO Gabriele, Aprile 2003, La nuova regolamentazione sula capitale e l'efficienza nelle banche, p. 6.
14