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Introduzione
I l g i o r n a l i s t a r i c o p r e u n r u o l o f o n d a m e n t a l e a l l ’ i nterno della società attuale
e la sua attività è parte integrante delle nostre vite: leggere o anche solo sfogliare
un quotidiano, guardare il telegiornale della sera o seguire in TV un programma di
approfondimento politico sono tutte azioni che fanno parte della nostra
quotidianità. Tuttavia non è sempre stato così e, soprattutto, sin dall’invenzione
della stampa, nei diversi paesi si sono andati sviluppando modelli assolutamente
differenti di giornalismo. In particolare, nel mondo occidentale, si può parlare di
quello di impronta anglosassone e quello dei paesi latini. Nel primo caso siamo di
fronte ad un giornalismo che distingue nettamente i giornali di qualità da quelli
popolari, con un continuo richiamo all’eredità della riforma protestante e dei
fondamenti di libertà nati in Gran Bretagna e trapiantati negli Stati Uniti; nei paesi
latini, il giornalismo risente di grandi tradizioni letterarie e forti passioni politiche.
Tradizioni storiche, culturali e sociali, nonché i rapporti con le situazioni politiche
ed economiche nelle quali si sono sviluppati i quotidiani, hanno determinato,
inoltre, significative differenze nei tempi e modi di evoluzione delle testate
giornalistiche e del ruolo del giornalista nei vari Paesi.
Partendo da questo presupposto, in questo lavoro si è v o l u t o r i c o s t r u i r e
l’evoluzione storica della figura del giornalista in Italia all’interno della società.
Nel farlo si è reputato fondamentale tenere costantemente un occhio puntato sul
sistema informativo degli Stati Uniti, storicamente riconosciuti come patria del
giornalismo libero e indipendente, ma soprattutto si è deciso di affrontare
l’argomento avvalendosi del prezioso contributo di forme di espressione
artistiche, il cinema in particolare, che spesso si rivelano essere uno specchio
fedele di particolari aspetti della società che si vogliono analizzare. In questo
senso il confronto con il giornalismo americano si fa doppiamente significativo:
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se, infatti, in Italia la cinematografia ha concesso uno spazio marginale al mondo
della stampa e ha affrontato le problematiche legate all’informazione
subordinandole quasi sempre alle esigenze della commedia, negli Stati Uniti è
fiorito un vero e proprio genere cinematografico, il newspaper movie, composto
da centinaia di pellicole di ambientazione giornalistica, utilissime per una analisi
più ampia. Questa caratteristica, sicuramente imputabile anche ad esigenze e
particolarità proprie del diverso grado di sviluppo dell’industria cinematografica
nei due diversi paesi, è sintomatica già di per sé, al di là del mito, della centralità
della professione di giornalista nella società statunitense rispetto a quella italiana.
Il dibattito corrente sull’argomento si muove su queste linee: negli ultimi anni in
Italia sono state numerose le rassegne cinematografiche e le retrospettive che
hanno riportato nelle sale dei cinema, in particolare in quelli d’essai, alcune pietre
miliari del cinema di argomento giornalistico. In questo tipo di eventi le pellicole
sono state utilizzate come spunto per possibili e necessarie riflessioni sul mondo
della stampa, cercando altresì di fornire diverse chiavi di lettura dell’attuale
periodo storico, fortemente segnato da una epocale crisi economica, politica e
sociale. In diverse occasioni queste iniziative culturali hanno dato vita a
pubblicazioni sull’argomento: è, per esempio, quello che è avvenuto in occasione
del 57° Festival internazionale del film di Locarno nel 2004, la cui retrospettiva
sul newspaper movie ha reso possibile la pubblicazione del volume Print the
Legend, cinema e giornalismo (Milano, 2005), una interessantissima raccolta di
contributi di cineasti, giornalisti, filosofi e critici.
Prendendo spunto da iniziative di questo tipo, quello che ci si ripropone di
compiere con questo lavoro è di circoscrivere l’attenzione sul sistema informativo
italiano nella convinzione che la sua rappresentazione sul grande schermo possa
offrire validi spunti di discussione per metterne in luce le caratteristiche
principali. L’obbiettivo è anche quello di porre in rilievo determinate particolarità
che spesso rimangono in ombra in altro tipo di ricerche svolte sulla carta
stampata; di prestare attenzione cioè agli aspetti più individuali del lavoro del
giornalista, dai rapporti che si possono instaurare in redazione tra colleghi, alle
ripercussioni della professione nella vita privata. È i n q u e s t i c a s i c h e , i n
particolare, il contributo delle produzioni cinematografiche si è rivelato utilissimo
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e, per certi versi, affascinante; ed è per questa ragione che talvolta si è deciso di
rallentare la ricostruzione storica degli eventi per indugiare su questo o su quel
personaggio, o su particolari vicende, senza tuttavia abbandonarsi mai ad analisi
strettamente tecniche sui film in questione.
Nel farlo si è deciso di risalire alle origini della professione di giornalista, a
quando cioè l’invenzione della stampa a caratteri mobili, perfezionata in seguito
all’intuizione dell’orafo tedesco Johann Gutenberg, ha dato il là a una rivoluzione
radicale nella storia dell’umanità, rendendo disponibile alla maggioranza dei
cittadini, prima assolutamente esclusi dal dibattito pubblico, un flusso sempre
maggiore di informazioni.
Nel primo capitolo si sottolineano le differenze che marcarono, sin dagli inizi
dell’Ottocento, lo sviluppo dei sistemi informativi m o d e r n i ; i l f a t t o p i ù
significativo e che ha costituito una separazione insanabile tra la stampa
americana e quella italiana fu il rapido sorgere negli Stati Uniti della stampa
commerciale. La penny press, finanziata attraverso le inserzioni pubblicitarie,
consentì infatti lo sviluppo di un giornalismo basato sui fatti, indipendente dal
potere politico, il cui scopo principale era quello di allargare il più possibile il
numero dei lettori per incrementare i profitti dell’azienda giornalistica. Un
giornalismo vicino all’uomo comune, attento alla cronaca e veicolato attraverso
un linguaggio piano che risultasse comprensibile alla maggior parte della
popolazione.
In Italia le cose andarono diversamente: il giornalismo commerciale non trovò
mai il suo spazio, le pubblicazioni e chi vi scriveva furono sempre legate a
personaggi politici e, anche dopo l’ Unità, il linguaggio utilizzato restò per lungo
tempo quello proprio delle élites. La stampa rimase così un affare di pochi, gestito
dai poteri forti e rivolto ad una minoranza, con una scarsissima attenzione verso la
cronaca e le problematiche che avrebbero potuto interessare le masse.
L’esperienza di Dario Papa, giornalista che, dopo un lungo viaggio di studi negli
Stati Uniti, tentò invano di introdurre in Italia le caratteristiche principali del
giornalismo commerciale americano, è sintomatica dei problemi strutturali del
sistema informativo italiano, espressione di una società arretrata, frammentata e
fortemente condizionata dalle élites politiche e culturali.
7
In quest’epoca, vale a dire nell’Ottocento, quando il cinema era appena agli inizi
del suo cammino, il principale mezzo di espressione artistico in grado di fornire
una figurazione della realtà era la letteratura. Si è voluto perciò impiegare un
paragrafo del primo capitolo per rendere omaggio a Matilde Serao, giornalista e
scrittrice di grande spessore, che, con il suo Vita e avventure di Ricardo Joanna,
ha affidato alla storia una delle più grandi rappresentazioni della vita del
giornalista e del mondo della carta stampata quegl’anni. Il racconto della Serao,
che Benedetto Croce ebbe modo di definire il romanzo del giornalismo, è
utilissimo per comprendere la vita di redazione nei quotidiani di fine Ottocento e,
allo stesso tempo, è una lucida accusa nei confronti di quelle idiosincrasie italiane
che rendevano complicata e velleitaria la fondazione e la sopravvivenza in Italia
di pubblicazioni indipendenti e moderne.
Seguendo la ricostruzione storica, nel secondo capitolo ci si occupa dell’Italia di
inizio Novecento: nonostante piccoli segni di cambiamento, che videro il
rinnovamento di alcune testate sotto il profilo dello stile e dei contenuti proposti,
la debolezza del sistema informativo italiano restò lampante. Se negli Stati Uniti,
con il fiorire dei giornali indipendenti e con il successo di un giornalismo
d’inchiesta in grado di svolgere il fondamentale ruolo di cane da guardia nei
confronti del potere costituito, si parlò di epoca d’oro della carta stampata, l’Italia
si apprestava ad entrare in uno dei periodi storici più bui della sua storia. L’ascesa
al potere da parte di Benito Mussolini, la violenza delle squadracce fasciste e il
graduale approdo verso uno stato totalitario non trovarono il coraggioso contrasto
di un giornalismo indipendente in grado di informare e formare l’opinione
pubblica e denunciare in modo forte gli abusi di potere. Il fatto che, nella
stragrande maggioranza, la proprietà delle testate fosse nella mani dei grandi
gruppi industriali rese poi ancora più flebile qualsiasi tipo di opposizione; in
un’epoca in cui le rivolte degli operai insidiavano i padroni e il vento socialista
soffiava forte in tutto il vecchio continente, furono bene accolte quelle forze che si
mostravano in grado di smorzare gli entusiasmi dei lavoratori ed evitare derive
sovietiche.
Il regime fascista mostrò di possedere grande lucidità in materia di organizzazione
del consenso; da subito infatti si rese conto dell’importanza di assoggettare ai suoi
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voleri i mezzi di espressione, in particolare la stampa e il cinema. Le leggi
fascistissime e la costituzione di apparati dello stato che gestissero direttamente i
flussi di informazione e la produzione di cultura in un ottica di propaganda di
regime ottennero risultati più che soddisfacenti nella costruzione del mito del
duce e nell’eliminare la libertà di espressione. La politica di Mussolini mirò al
progressivo controllo di ogni settore della società italiana, dall’educazione, alla
stampa, alla produzione di cultura. In questo senso è stato significativo verificare
come la cinematografia italiana, fortemente occupata a confezionare un’immagine
del regime forte e vittoriosa, fatti salvi un paio di esempi marginali, praticamente
ignorò il settore dell’informazione – quasi non avesse rilevanza sociale – sulla cui
attività gestita dal potere centrale si fondava in realtà gran parte del suo consenso.
Fu con la Liberazione che nel mondo del giornalismo italiano vi fu un grande
scatto d’orgoglio e, più in generale, l’intera società fu attraversata da un’esigenza
di rinnovamento destinata a segnare in modo significativo il secondo dopoguerra.
La lotta partigiana e l’intervento degli Alleati liberarono il paese dall’oppressione
fascista e, nel 1946, l’Italia divenne una Repubblica. Tuttavia, nella sostanza, il
rinnovamento sperato non vi fu e, presto, anche gli entusiasmi di coloro che
avevano creduto in un radicale punto di svolta nella storia d’Italia vennero
smorzati: la mancata epurazione di coloro che avevano collaborato con il regime
fascista – che interessò da vicino anche le redazioni dei giornali – fu il simbolo di
una forte spinta conservatrice che, sostenuta dai grandi poteri economici
intenzionati a mantenere le loro posizioni di privilegio e avvallata da personaggi
politici appartenenti alle correnti più disparate dell’arco istituzionale, limitò
fortemente la portata rivoluzionaria del secondo dopoguerra.
La cinematografia italiana si è dimostrata abile nel dare voce a questo sentimento
di rinnovamento tradito con pellicole dello spessore di C’eravamo tanto amati (di
Ettore Scola, 1974) e di Una vita difficile (di Dino Risi, 1961). In particolare il
film di Risi, che racconta le disavventure del giornalista Silvio Magnozzi,
interpretato da Alberto Sordi, dalle lotte partigiane agli anni del boom economico,
descrive con sicura efficacia il fallimento di un giornalismo battagliero e
indipendente di fronte allo strapotere dei grandi gruppi editoriali, spesso nelle
mani di faccendieri legati al mondo della politica e con interessi in moltissimi
9
settori dell’economia. La marginalità dell’editoria cosiddetta pura nel mercato
editoriale è stata, e per certi versi lo è tutt’ora, uno dei tratti distintivi del mondo
dell’informazione in Italia; a testimoniarlo vi sono anche altre iniziative di quegli
stessi anni, come quella di Enrico Mattei che, seppure in controtendenza rispetto
alla sostanziale piaggeria di larga parte della stampa dell’epoca, con la
fondazione de “Il Giorno” mosse un ulteriore passo nella direzione di
un’informazione strettamente legato ad interessi di altro tipo. Anche in questo
caso la cinematografia italiana, sensibile alla celebrazione di grandi personaggi o
di importanti eventi storici, ha saputo lasciare testimonianza della complessa
figura del presidente dell’ENI, capace di sfide coraggiose e politicamente
rivoluzionarie. Come seppe anche rievocare le prime grandi inchieste degli anni
Cinquanta e Sessanta, grazie ai film di grande impegno civile di Francesco Rosi
come Salvatore Giuliano – c h e r i p r e n d e l ’ i n c h i e s t a s u l l a m o r t e d e l b a n d i t o
pubblicata su “L’Europeo” da Tommaso Besozzi con il titolo Di sicuro c’è solo
che è morto – e Le mani sulla città, o rendere omaggio all’attività di giornalisti,
come Tina Merlin in occasione della strage del Vajont, che si distinsero per
l’intuizione e il forte senso di responsabilità.
Nel quarto capitolo si affronta invece il difficile periodo storico degli anni di
piombo, contraddistinto da violentissimi scontri tra Stato e gruppi contestatari
operai e studenteschi che sfociarono negli anni Settanta e Ottanta nell’attività
terroristica delle Brigate Rosse e di altre compagini eversive riconducibili all’area
neofascista. La stampa di quegl’anni visse cambiamenti significativi: da un lato vi
fu lo svilupparsi di un processo di personalizzazione dell’informazione che si
concretizzò con la nascita de “Il Giornale” nel 1974 e, due anni dopo, de “la
Repubblica”, fondati rispettivamente da Indro Montanelli e da Eugenio Scalfari,
personalità di spicco del giornalismo italiano; dall’altro iniziarono aspre lotte di
potere per acquisire il controllo dei maggiori quotidiani – in particolare il
“Corriere della Sera” –, che avrebbero portato nel giro di pochi anni a scandali
che smascheravano progetti eversivi da parte di servizi segreti deviati, logge
massoniche e altri personaggi equivoci che miravano alla dissoluzione dello stato
italiano nella direzione di nuove derive totalitarie. L’attacco dei terroristi nei
confronti dei giornalisti fu frontale: molti di loro vennero gambizzati, nel pieno di
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una lotta senza quartiere nella quale si faceva sempre più chiara la consapevolezza
dell’importanza dei mezzi di comunicazione per poter veicolare i messaggi della
propria lotta e condizionare in qualche modo l’opinione pubblica. Ma le difficoltà
che la stampa dovette affrontare in quegl’anni furono anche e soprattutto di natura
etica. In occasione del sequestro Moro, e successivamente di quelli di altre
personalità importanti, i quotidiani si dovettero interrogare sul fatto se dialogare o
meno con le Brigate Rosse, se cercare di portare avanti alcuni tentativi di
trattativa e se, cedendo a compromessi, mettere a disposizione le proprie pagine
per i comunicati dei brigatisti la cui pubblicazione, in certi casi, avrebbe
consentito la liberazione di ostaggi ed evitarne così l’esecuzione. Su queste
problematiche, lungamente discusse con toni talvolta aspri, che portarono anche
alcuni direttori ad assumere forti prese di posizione nei confronti degli editori, la
cinematografia italiana purtroppo ha offerto contributi scarsi e poco convincenti.
In relazione a questo periodo storico sono senz’altro più riuscite le testimonianze
relative ad un altro aspetto caratteristico dell’Italia degli anni Settanta: l’enorme
successo delle radio libere, mezzo di espressione rivoluzionario nello stile e nei
contenuti. Film come Radiofreccia (di Luciano Ligabue, 1998), I cento passi (di
Marco Tullio Giordana, 2000) e Lavorare con lentezza (di Guido Chiesa, 2004)
hanno il merito di fissare una stagione politica e culturale nella quale, al di là del
clima di violenza che attraversava la società italiana, fiorirono significative
esperienze individuali e collettive di grande spessore civile ed umano. La vicenda
di Peppino Impastato, attivista politico e culturale giustiziato dalla mafia nel 1978
il giorno in cui venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro, raccontata nel film di
Marco Tullio Giordana, è sintomatica dei grandi problemi – come quello della
criminalità organizzata – che attraversavano il paese, ma allo stesso tempo anche
del coraggio e della determinazione che è sempre possibile trovare nella società
civile.
E, per certi versi, lo spirito che ha contraddistinto una parte significativa del
giornalismo italiano dagli anni Ottanta in poi si rifà a quest’ansia di verità, ai
tentativi di approfondire il più possibile determinati fatti e a sostenere la
possibilità di un radicale cambiamento sociale e politico. È per queste ragioni, che
tuttavia non devono in nessun modo far pensare a una diffusione generalizzata di
11
un giornalismo forte coraggioso ed indipendente, che si è deciso di chiamare il
quinto capitolo di questo lavoro esordi del giornalismo di inchiesta: per
omaggiare, come ha fatto anche il cinema italiano, l’attività di giornalisti come
Giancarlo Siani, messo a tacere dalla camorra, Andrea Purgatori, che per lunghi
anni ha condotto la difficile inchiesta sulla strage di Ustica, Ilaria Alpi, uccisa in
Somalia assieme all’operatore Miran Hrovatin, sino a dare conto di esperienze più
recenti, tra informazione e spettacolarizzazione della notizia, come quella di
Fabrizio Gatti, giornalista dell’“Espresso” infiltratosi nel CPT di Lampedusa per
denunciare le condizioni di violenza e di malessere all’interno dell’istituzione di
accoglienza per clandestini.
Tuttavia è anche importante sottolineare come nel corso degli anni le condizioni
di scarsa indipendenza della stampa dal potere politico ed economico rimasero
sostanzialmente invariate. Negli anni Novanta la discesa in campo
dell’imprenditore Silvio Berlusconi, che negli anni aveva costruito un vero e
proprio impero mediatico tramite l’acquisizione di reti televisive e giornali,
rappresentò il simbolo delle difficoltà in Italia al costituirsi di un’editoria pura
forte, garanzia e sostegno di un giornalismo libero ed indipendente. In questo
senso le pressioni di Berlusconi sul direttore del “Giornale” di allora Montanelli,
affinché il quotidiano di sua proprietà sostenesse la sua candidatura alle elezioni
politiche, sono state l’esempio più illuminante delle storiche ingerenze da parte
degli editori, troppo spesso sostenitori di interessi extra-editoriali, sulla linea
editoriale dei quotidiani. D’altra parte Montanelli, abbandonando “Il Giornale”
berlusconiano per dedicarsi alla breve ma significativa esperienza de “La Voce”,
divenne il simbolo di un giornalismo che, tra mille difficoltà e continui abusi di
potere, ha saputo rivendicare la propria professionalità e mantenere alto l’onore di
tutta la categoria.
La storia del giornalismo in Italia è stata perciò, sin dalle sue origini, viziata da
alcune caratteristiche proprie della società italiana; l’arroccarsi su posizioni di
privilegio da parte del ceto politico e dirigente, una sostanziale arretratezza delle
classi subalterne e il perdurare lungo tutto il periodo storico analizzato di logiche
affaristiche e clientelari in netto contrasto con quelle basate sul libero mercato che
negli Stati Uniti crearono le condizioni per il successo di un giornalismo
12
commerciale, sono diverse sfaccettature di uno stesso quadro più complesso del
quale anche il mondo della stampa ha subito le conseguenze. Il cinema italiano in
un certo senso ha rispecchiato, anche in relazione alla quantità e qualità di spazio
dedicato ad argomento giornalistico, questo stato di cose; l’attività del giornalista
non è mai il centro della narrazione, ma sempre qualcosa di marginale.
Le uniche eccezioni sono quelle relative al racconto di storie particolari che il più
delle volte sono finite in modo tragico; si pensi alle vicende, cui si è già
accennato, di Peppino Impastato, di Giancarlo Siani o di Ilaria Alpi, o anche alla
strage di Ustica o al disastro del Vajont. Il cinema partecipa da sempre alla
costruzione e alla celebrazione del mito ed è spesso più suscettibile di far presa
sul grande pubblico con la narrazione di storie che r i g u a r d i n o p e r s o n a g g i
coraggiosi, eroi. D’altra parte però, affinché questa constatazione non venga
interpretata come una critica indiretta nei confronti di film di grande impegno
civile, bisogna sottolineare l’importanza strategica del discutere di individualità e
collettivi che hanno svolto con coraggio e determinazione il proprio lavoro, anche
a costo di pagare con la vita la propria fiducia nel mondo: importanza strategica
nel senso che è fondamentale – ancor più oggi, in epoca di revisionismo e
disimpegno – non dimenticare, per poter guardare a testa alta verso l’orizzonte.
Certo sarebbe stato auspicabile – e sono queste le sfide che, in questo lavoro, si
intendono lanciare al mondo del cinema – riscontrare nella produzione
cinematografica italiana un discorso di analisi più s t r u t t u r a t o s u i r a p p o r t i t r a
stampa e potere e sulla rilevanza dei media nel mondo attuale; sulla rivoluzione
nel mondo del giornalismo in seguito al successo del mezzo televisivo, in un
mercato italiano viziato da fortissimi interessi politici ed economici, e sulle
possibili sfide di un futuro incerto, nel quale internet potrebbe giocare un ruolo
fondamentale nello sminuire ulteriormente la figura d e l g i o r n a l i s t a c o m e
selezionatore e interprete delle notizie. È principalmente in questa direzione che
l’indagine comparativa svolta in questo lavoro potrebbe trovare un possibile
seguito, ampliando tuttavia il campo di ricerca dal cinema alla produzione di
fiction e serie televisive, e continuando il parallelismo con gli Stati Uniti,
assolutamente utile, seppure con le sue imperfezioni e contraddizioni, come
termine di paragone.
13
1. Origini del giornalismo moderno
“E così avviene che i giornali là hanno tutti fra loro un
tipo diverso, e se ne possono leggere parecchi in un
giorno, sicuri di trovarvi sempre del nuovo. Da noi
invece si rassomigliano tutti, eccetto che per le opinioni
propugnate. Ci rassomigliamo nelle parlate lunghe e
retoriche e magari irte di erudizione presa
dall’Enciclopedia.”
Dario Papa
Rispetto a quanto avvenne negli Stati Uniti, in Italia il giornalista faticò
molto di più ad ottenere rispettabilità sociale e il riconoscimento pubblico della
sua professione. Il processo di professionalizzazione della categoria, che negli
Stati Uniti ebbe inizio a partire dalla seconda metà dell’Ottocento facendo
acquistare nuova autonomia e rilevanza pubblica alla stampa, in Italia ebbe modi
e tempi diversi; gli intrecci del sistema informativo italiano con il mondo politico,
la mancanza assoluta di scuole di giornalismo, la prassi che prevedeva un periodo
di praticantato all’interno di una redazione per poter accedere alla categoria,
accompagnati dal sostanziale immobilismo che contraddistinse il mercato
editoriale italiano per lungo tempo, impedirono alla figura del giornalista di
assurgere al ruolo di cane da guardia del potere, tipico dell’immaginario
americano, e di acquistare così dignità all’interno della società
1
.
Queste caratteristiche particolari, che mostrano una differenza sostanziale tra il
mondo della stampa negli Stati Uniti e quello in Italia, si manifestano anche nella
loro rappresentazione attraverso la letteratura e il cinema. La necessità di
rappresentare il mondo in cui si vive, i suoi protagonisti, le proprie aspirazioni e le
proprie paure, è da sempre una qualità specifica della storia dell’uomo sin dalle
1
In particolare sulla debolezza del sistema informa tivo italiano si veda P. Mancini, Il sistema
fragile. I mass media in Italia tra politica e mercato, Carocci, Roma, 2002.
14
società più antiche e meno sviluppate. Prima dell’avvento del cinema, che assunse
un ruolo di primo piano nella rappresentazione della società, questa funzione
spettò per lungo tempo ad altre forme di espressione come l’arte e la letteratura
2
.
Gli esempi nell’ambito letterario italiano di tale rappresentazione, anche a causa
dell’arretratezza del sistema informativo a cui brevemente si è accennato, sono
però scarsi; bisognerà attendere sino alla fine dell’Ottocento per incontrare un
giornalista protagonista di un romanzo e, più tardi, anche in ambito
cinematografico, mentre negli Stati Uniti ali inizi del Novecento fioriva il genere
del Newspaper Movie, è da rilevare una scarsissima attenzione verso il mondo
della stampa in Italia, almeno fino al secondo dopoguerra.
Ma per poter comprendere a fondo una tale differenza di trattamento da parte
delle forme di espressione artistiche nei confronti di giornali e giornalisti è utile
ripercorrere la storia della stampa nei due diversi P a e s i , v a l u t a r n e l e r a g i o n i
politico-sociali, dedicando un’attenzione particolare all’evoluzione della figura
del giornalista all’interno della società.
1.1 L’alba dell’informazione negli Stati Uniti e in Italia
1.1.1 La stampa americana di fine Settecento
L a f i g u r a d e l g i o r n a l i s t a f o n d a l e s u e o r i g i n i n e l X V s e c o l o , m a i l
percorso che portò a un pieno riconoscimento della sua professione fu lungo e
contraddistinto da profonde differenze a seconda delle zone geografiche a cui si fa
riferimento. Queste particolarità, che sin dall’inizio diversificarono il sistema
informativo mondiale, nel corso degli anni condussero al riconoscimento di due
diversi modelli di stampa: quella di impronta anglosassone, e quella dei paesi
latini. Nel primo caso siamo di fronte ad un giornalismo che distingue nettamente
i giornali di qualità da quelli popolari, con un continuo richiamo all’eredità della
riforma protestante e dei fondamenti di libertà nati in Gran Bretagna e trapiantati
negli Stati Uniti; nei paesi latini, il giornalismo r i s e n t e d i g r a n d i t r a d i z i o n i
2
S u l l a r a p p r e s e n t a z i o n e d e l m o n d o d e l l a s t a m p a n e l l a letteratura dell’Ottocento si veda G.
Pagliano, L’immagine del giornalismo nel romanzo dell’Ottocento: Balzac, Maupassant, Serao,
James, in Terza pagina. La stampa quotidiana e la cultura, a cura di A. Neiger, Edizioni Quadrato
Magico, Trento, 1994, pp. 31-44.
15
letterarie e forti passioni politiche
3
. Tradizioni storiche, culturali e sociali, nonché
i rapporti con le situazioni politiche ed economiche nelle quali si svilupparono i
quotidiani, crearono, inoltre, significative differenze nei tempi e modi di
evoluzione delle testate giornalistiche e del ruolo del giornalista nei vari Paesi.
Fu l’invenzione della stampa a caratteri mobili a cambiare la storia della
comunicazione. Gutenberg, incisore e orafo tedesco, ebbe infatti l’intuizione di
costruire caratteri tipografici singoli che potevano essere velocemente assemblati
per formare una pagina di testo. Grazie a questa invenzione tecnologica divenne
perciò possibile stampare libri in serie e pubblicare fogli di notizie attraverso i
quali far conoscere fatti e idee rendendoli accessibili ad un vasto pubblico. Il
limite delle opere manoscritte era appunto quello della scarsa diffusione
4
.
Fu l’inizio di una nuova epoca: la produzione di cultura e la diffusione
generalizzata di fatti e notizie, sino a quel momento confinati all’interesse di
piccoli gruppi di potere, ricevettero un impulso grandioso destinato a favorire il
nascere di un dibattito pubblico e, quindi, potenzialmente, di un’opinione
pubblica. I limiti strutturali al rapido evolversi di questa potenziale situazione
furono: l’analfabetismo della maggioranza, la lentezza con la quale si diffusero le
nuove tecnologie e l’interesse delle autorità civili e religiose a sviluppare un
sistema di controllo per contenere la diffusione di i d e e e i n f o r m a z i o n i c h e
potessero intaccare i loro privilegi e l’esercizio del loro potere sulle masse
5
.
Fu con le grandi rivoluzioni borghesi di fine Settecento che la libertà di stampa
iniziò ad essere considerata un diritto inalienabile dei cittadini. Esercitarla, in
epoche precedenti, era un privilegio c onc e sso da l sovr a no a ttr a ve r so una sua
autorizzazione di volta in volta assegnata ad individui che avevano la sua fiducia,
e che la ripagavano pubblicando solo il materiale ritenuto opportuno per motivi
religiosi o politici. Le rivoluzioni liberali permisero invece il progresso della
libertà di informazione e lo sviluppo di un’opinione pubblica; la partecipazione
3
Cfr. P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, dalle prime gazzette ai telegiornali, Gutenberg
2000, Torino, 1986, p. 35.
4
Cfr. O. Bergamini, La democrazia della stampa. Storia del giornalismo, Laterza, Roma-Bari,
2006, p. 8.
5
Ibidem.
16
dei cittadini alla vita pubblica quindi, da iscriversi in un più ampio processo
politico che portò alla trasformazione degli Stati in senso democratico
6
.
La stampa perciò dall’inizio non fu libera, e non fu nemmeno stampa nel senso in
cui la intendiamo oggi. La maggior parte delle pubblicazioni inizialmente furono
commerciali, altre politiche. Quelle commerciali riferivano del movimento delle
navi e delle merci nel porto, mentre quelle politiche erano finanziate dai partiti o
da candidati a incarichi pubblici che ne dettavano la linea. Uno scenario nel quale,
come scrisse Isaac Clark Pray, un biografo contemporaneo di James Gordon
Bennett, fondatore nel 1835 del New York Herald , “i giornalisti erano poco più
che segretari alle dipendenze di gruppi di politici, commercianti, mediatori
d’affari e individui in cerca di cariche ufficiali…”
7
. Bennett fu invece uno dei
primi direttori della free press americana; figlio e promotore della rivoluzione
della stampa possedeva già la capacità di esprimere se stesso sulle pagine del
giornale attraverso gli editoriali, l’intraprendenza e le innovazioni introdotte nella
raccolta delle notizie. Questo particolare percorso avvenne negli Stati Uniti dove,
come vedremo, l’avvento della penny press e dello stato liberale si intrecciarono
in un processo di democratizzazione politica ed economica.
Percorso che era iniziato negli anni immediatamente precedenti la Rivoluzione
americana e l’indipendenza; anni di discussioni su diritti, leggi, costituzioni,
condotte da giornali e pamphlet che coinvolsero la grande maggioranza della
popolazione, e non solo i ceti benestanti come avvenne nel vecchio continente.
Come si vedrà, negli Stati Uniti la stampa fu uno strumento decisivo per formare
e affermare un’identità e una coscienza nazionali.
1.1.2 L’epoca dei “gazzettieri”
Per cercare di comprendere le profonde differenze tra il modello di stampa
anglosassone e quello italiano è significativo risalire alle condizioni geopolitiche
in cui versava l’Italia alle soglie della rivoluzione della stampa, cioè al periodo in
6
Cfr. M. Schudson, La scoperta della notizia. Storia sociale della stampa americana, Liguori,
Napoli, 1987, p. 22.
7
Ibidem, p. 27.