~ 4 ~
Introduzione
Corpi materni, corpi di madri.
Come si modifica il corpo con la gravidanza? Come vengono vissuti i
cambiamenti che il corpo attraversa con la gestazione? Come viene
rappresentata, e percepita, la maternità nell‟esperienza concreta delle
donne?
Quando ho avuto per la prima volta l‟idea per questo lavoro di tesi, non
avevo idea di cosa avrei trovato. Mi era venuta una curiosità, uno spunto
che ho pensato sarebbe stato interessante approfondire, ma onestamente
senza avere una,né vaga, né chiara, idea di quello che stessi per incontrare.
L‟idea di studiare il corpo, tuttavia, è stata spontanea: è nel corpo – e col
corpo – che, prima che con ogni altra cosa, esprimiamo la nostra
appartenenza culturale; è nel corpo che vengono iscritti i significati sociali
– mi è risultato immediato andare, per così dire, alla fonte. Perché, seppure
immediato – nell‟uso che facciamo del corpo c‟è ben poco di “naturale”.
Il corpo è il mezzo primo di espressione, in quanto non si può trascendere.
I corpi non sono mai neutri, come l‟antropologia ci insegna. Vengono
modificati, plasmati, interpretati.
In effetti, possiamo distinguere due corpi – o due usi che vengono
fatti del corpo. Uno, è il corpo naturale – l‟involucro corporeo che ci
racchiude, e che è il nostro mezzo di espressione nel mondo. L‟altro, è un
corpo sociale: l‟insieme di tutte le rappresentazioni che facciamo e che
vengono fatte del corpo naturale; e le interpretazioni che ne vengono date.
In effetti, la stessa contrapposizione corpo naturale vs. corpo sociale è una
rappresentazione culturale. Non si può trascendere il proprio corpo. Allo
stesso modo, ogni comportamento che lo riguarda, ha origine culturale. È
difficile trovare un‟espressione, un atteggiamento o una funzione che non
~ 5 ~
siano interpretati – o interpretabili – culturalmente. I nostri atteggiamenti
corporei, le modificazioni corporee (tatuaggi, scarificazioni, rimozione o
tintura dei capelli, allungamento, asportazione, modifica di parti del corpo
– e potremmo continuare a lungo) hanno tutte sempre significato culturale,
anche se e quando non ne siamo coscienti o lo facciamo volontariamente.
E questo vale anche (o soprattutto) per quelle funzioni o comportamenti
“naturali”, cioè imprescindibili – bere, mangiare, tutte le funzioni
corporali, tra cui anche, per tornare all‟argomento di questa tesi, la
riproduzione, il parto, la gravidanza e l‟allattamento.
Ma i corpi sono anche utilizzati, sottomessi.
Il primo a trattarne in ambito antropologico è Marcel Mauss,
quando parla di tecniche del corpo (nel 1936, nel saggio “Tecniche del
corpo”); ovvero dei modi in cui gli uomini, attraverso il proprio corpo si
uniformano ai mandati sociali e alle norme proprie della loro cultura.
Questa tecnica, prende il nome di habitus. Il concetto di habitus sarà
ripreso molte volte, e da innumerevoli punti di vista – uno fra tutti, quello
di Pierre Bourdieu, che prenderò in considerazione più avanti. Ritornando
tuttavia alla concezione maussiana, “ “Tecnica del corpo” indica, infatti, la
capacità del corpo di “naturalizzare” la tecnica appresa, di assorbirla fino
al punto da non riconoscerne più il carattere socioculturale.”
1
.
In antropologia, il corpo viene dunque visto come strumento di
espressione del mondo sociale. Nancy Scheper-Hughes (antropologa, si
occupa di antropologia medica e di questioni inerenti al corpo: la fame, la
malattia, medicina, psichiatria, malattia mentale ma anche violenza,
genocidio etc. Insegna presso l‟Università di Berkeley, in California –
U.S.A.) fa notare come, tradizionalmente, il corpo venga visto come
supporto passivo, una sorta di lavagna espressiva su cui la mente – attiva –
esprime i significati culturali
2
. Nell‟interpretazione dell‟antropologia
medica, il nostro corpo è in realtà formato dall‟intersezione di tre corpi: “il
1
G. Pizza, “Antropologia medica”, p. 31
2
Nancy Scheper-Hughes, in Robert Borofsky, “L‟antropologia culturale oggi”, p. 283
~ 6 ~
corpo sociale delle rappresentazioni, il controllo esercitato dalle forze del
biopotere sul corpo politico, e, non indipendente dai primi, la consapevole,
più o meno alienata, attribuzione di significati all‟individuale ed
esistenziale corpo personale.”
3
. Dunque, non un solo corpo, ma tre?
Questo non vuole certamente dire che siamo formati da tre corpi distinti. Il
corpo sociale, il corpo politico e il corpo personale sono tre modi di
attribuire significato, di vivere e di “manipolare” – per così dire – lo stesso
corpo fisico. Chiaramente, il “controllo esercitato dalle forze del
biopotere” non è un controllo espresso attraverso mezzi coercitivi reali,ma
simbolici.
Biopotere è un concetto introdotto da Michel Foucault che
esprime l‟idea che il corpo sociale – quello delle rappresentazioni – sia in
realtà il risultato delle lotte di potere in cui l‟individuo è coinvolto. Parla,
dunque, di corpi docili cioè di un corpo che può essere “…sottomesso,
utilizzato, trasformato e perfezionato”
4
attraverso metodi che vadano a
controllare le operazioni corporee, “nel senso della normalizzazione e della
omogeneizzazione”
5
. Il corpo, quindi, come strumento ma anche luogo
delle lotte di potere e di controllo sociale, in cui siamo coinvolti in un certo
senso nostro malgrado. Con questo intendo dire che non ne siamo
consapevoli – né dell‟esistenza di queste lotte di potere, né dell‟uso che del
corpo viene fatto all‟interno di queste. Quando passerò all‟analisi delle
testimonianze da me raccolte, emergerà chiaramente come le donne da me
intervistate sono state fatte oggetto di disputa fra saperi alternativi, tra
interpretazioni contrapposte, e il campo di battaglia era rappresentato dai
loro corpi. Eppure, esse non avevano cognizione di questo, e forse in
alcuni casi avrebbero volentieri fatto a meno – sapendolo – di essere
oggetto di tale lotta.
3
Nancy Scheper-Hughes, in Robert Borofsky, “L‟antropologia culturale oggi”, p. 283, p.
282 [corsivo nel testo]
4
P. Borgna, “Sociologia del corpo”, p. 41
5
Ibidem, p. 35
~ 7 ~
Pierre Bourdieu riprende il concetto maussiano di habitus, che ho
illustrato precedentemente. Per Bourdieu, l‟ habitus è “…il sociale
incorporato”
6
, ovvero “il prodotto dell‟incorporazione delle regolarità e
delle tendenze immanenti nel mondo”
7
. Il corpo, socializzato, dunque,
percepisce i rapporti di potere in cui siamo immersi, e fornisce una risposta
immediata e istintiva – nel senso di non controllata, perché entrata a far
parte dei nostri meccanismi di controllo.
Essendo l‟habitus il sociale incorporato, è «di casa» nel campo che abita, e lo
percepisce immediatamente come dotato di senso e d‟interesse. […] porta
l‟agente a fare quello che deve fare senza che se lo ponga esplicitamente come
scopo, al di qua di ogni calcolo e persino coscienza, al di qua del discorso e
della rappresentazione.
8
Tenendo alla mente questi concetti, mi sono avvicinata alle
rappresentazioni della gravidanza. In che modo sono vissuti, interpretati,
percepiti; i corpi gravidi? Che uso, ci si può chiedere, ne viene fatto?
Certamente, il modo in cui una donna vive la propria gravidanza si
discosta anche profondamente dalla concezioni sulla gravidanza elaborate
dalla cultura di riferimento. E, ancora, in che modo il vissuto delle donne
viene condizionato, plasmato, modificato da queste concezioni? La loro
percezione dei loro propri corpi è influenzata da queste rappresentazioni?
Se sì, in che modo? E questo, emerge? Questo è ciò che ho provato ad
indagare tramite le interviste effettuate nel mio lavoro di campo.
Quando mi sono accostata alle donne protagoniste della mia
ricerca, alle mie informatrici, mi ero già formata diverse idee.
Come sempre, accostarsi al lavoro di ricerca essendosi già informati
tramite la letteratura di riferimento, è una lama a doppio taglio. Se lo si fa,
il rischio è quello di formarsi dei preconcetti che influenzeranno la nostra
6
P. Bourdieu, “Risposte”, p. 95
7
P. Bourdieu, “Risposte”, p. 103
8
Ibidem, p. 95
~ 8 ~
indagine. D‟altronde, non farlo avrà in ogni caso delle ricadute, perché non
si sarà in grado di gestire le informazioni che si ricavano, né di orientare la
ricerca. Tuttavia, come il postmodernismo ci insegna, nessuno di noi è
neutro, e non ci si può liberare mai dei proprio preconcetti; quindi tutto ciò
che ci resta da fare è prenderne coscienza e cercare di neutralizzarli per
quanto possibile. Questo si avvicina abbastanza, almeno nella mia idea, a
ciò che Bourdieu dice quando sostiene che l‟intellettuale debba operare
una riflessione sul proprio ruolo, prima di accostarsi al proprio oggetto
della ricerca, e durante la ricerca stessa. È necessaria un‟indagine sul
proprio ruolo, e sullo statuto scientifico delle scienze sociali perché anche
il sociologo – come chiunque altro – è inserito in relazioni di interesse, che
coinvolgono habitus e campi, e non ne è certo immune.
Per quanto mi riguarda, questo è stato vero fino ad un certo punto. Questo
non vuole certo dire che non ho operato una riflessione critica sul mio
ruolo nella ricerca. Ma, sebbene mi fossi fatta – come ho detto – delle idee
piuttosto chiare e nette circa l‟uso e l‟interpretazione del corpo delle donne
in gravidanza, come sempre le cose nella realtà sono ben diverse. Le
opinioni che mi ero formata tramite la letteratura di riferimento erano sì
rintracciabili, ma solo in seconda analisi, ad un livello più puramente
interpretativo e riflessivo. Dunque, da questo punto di vista, credo di non
essere stata particolarmente influenzata, almeno da un punto di vista di
conduzione della ricerca. Con questo intendo dire che, nel porre le
domande e condurre le interviste, non sono stata influenzata dalle mie idee
preconcette e personali circa la condizione della donna in gravidanza.
Certamente, i cambiamenti nel modo in cui si è modificata l‟assistenza al
parto negli ultimi cinquant‟anni circa sono rilevabili nell‟analisi del
vissuto delle mie informatrici. Tuttavia, ciò che – per me – è emerso
innanzitutto, e che è anche il modo a cui mi sono ad esse approcciata, è
che queste sono storie di vita, racconti di esperienze personalissime e solo
fino ad un certo punto sovrapponibili e confrontabili l‟una con l‟altra.
~ 9 ~
Prenderò ancora in considerazione successivamente le questioni legate
all‟uso che ho fatto delle testimonianze, o l‟approccio al lavoro di ricerca.
Per capire com‟è qualcosa (oggi), bisogna anche capire com‟era
(ieri, in passato) – poiché niente compare dal nulla, ma è sempre il punto
di arrivo di un processo. Poiché, come abbiamo visto, le concezioni del
corpo sono interpretate ed interpretabili culturalmente; e come sappiamo le
concezioni e le idee si susseguono e si modificano nel corso del tempo. Per
comprendere le elaborazioni attuali, dobbiamo sapere come queste si sono
generate, da dove e come.
Per questo motivo, la tesi è suddivisa in due parti.
La prima parte è di introduzione e concettualizzazione storica. Per
analizzare – che è lo scopo del mio lavoro – come sia strutturata, e da cosa
sia influenzata l‟assistenza alla gravidanza oggi, era necessario
ripercorrere le tappe che hanno portato, nella cultura occidentale, nel corso
dei secoli, alla situazione attuale – di parto completamente medicalizzato
ed ospedalizzato. Tuttavia, non era sufficiente mostrare come fosse
cambiato il modo di partorire delle donne. Le nostre pratiche non sono
altro che espressioni di concezioni culturali. Dunque, come veniva
concettualizzata, pensata la gravidanza in passato? Per questo motivo, i
primi due paragrafi sono dedicati all‟analisi delle concezioni della
gravidanza – a livello della cultura accademica (con particolare
considerazione alla nascita dell‟embriologia, a partire dal XVIII secolo) e
di quella popolare (italiana). Questa contestualizzazione è necessaria per
comprendere le pratiche di assistenza al parto – prese in considerazione nel
paragrafo 1.3 – dal Settecento ad oggi. Un paragrafo è inoltre dedicato
all‟analisi dell‟importanza sempre maggiore che assume la vista nel
processo di concettualizzazione della gravidanza; fino ad arrivare al
culmine rappresentato dalla tecniche diagnostiche di visualizzazione
disponibili oggi, che permettono di oltrepassare la barriera imposta dalla
pelle e “scrutare l‟invisibile” (par. 1.4). Questo processo. di capitale
~ 10 ~
importanza per la situazione attuale, in cui il feto ha raggiunto uno status
indipendente dal corpo della madre – “innalzato a soggetto giuridico”
9
– e
che rischia, talvolta, di oscurarla.
Gli ultimi due paragrafi sono invece dedicati all‟analisi specifica del
configurarsi dell‟assistenza al parto negli ultimi decenni, e dell‟emergere
di due modelli alternativi di assistenza al parto: quello medico e quello
sociale.
La seconda parte della tesi riguarda più propriamente il lavoro di
ricerca sul campo che ho svolto, nell‟arco di cinque mesi, intervistando un
campione di quindici donne, suddivise nell‟arco di tre generazioni.
Attraverso interviste non strutturate, ho cercato di indagare come si sia
modificata, nella percezione e nel vissuto della donna, l‟esperienza della
gravidanza. Una messa a confronto delle interviste ha cercato di mettere in
luce i cambiamenti avvenuti – perché non sempre (anzi) la teoria
corrisponde con il vissuto concreto. Nella prima parte della tesi, ho preso
in analisi sì dei modi di pensiero, delle concezioni teoriche. Ma, in tutto
questo, mancava sempre qualcosa: qual‟era il punto di vista delle donne
(sulle loro stesse gravidanze, sulla maternità, sul parto?). A questo
interrogativo cerco di rispondere in questa seconda parte.
Per quanto riguarda la scelta di campo, e dei soggetti da
intervistare, sono stata guidata da un criterio meramente pratico, di
possibilità di raggiungimento e di contatto con le potenziali informatrici.
Infatti, dopo un primo momento in cui ho definito la maniera di procedere
– un‟analisi, appunto, intergenerazionale (influenzata, in questo, dal testo
di Renate Siebert “È femmina però è bella” (Rosenberg & Sellier Ed.,
1991); che procede, nella sua ricerca nel Meridione italiano, secondo lo
stesso principio intergenerazionale) – si trattava di individuare il campione
di donne da intervistare. Per motivi pratici, tutte le mie informatrici sono a
me legate da un rapporto di conoscenza, anche indiretto. Con alcune ho un
9
B. Duden, “I geni in testa e il feto nel grembo”, p. 217
~ 11 ~
legame in prima persona, mentre con altre è indiretto – tramite una persona
comune da me conosciuta. Per quanto possibile, ho cercato inoltre di
mantenere intatti i rapporti fra generazioni (cioè, di salvaguardare il
legame nonna-madre-figlia fra le tre generazioni di donne. Approfondirò
questo punto nel par. 2.1). Questa scelta – di un ambito familiare anziché
un campione casuale – è inoltre motivato dal particolare argomento della
mia tesi. Trattandosi di faccende personali – se non intime – come la
maternità e l‟uso del corpo, vedere in me una persona (anche se
indirettamente) conosciuta avrebbe abbassato almeno parzialmente – se
non annullato, il che era impossibile – le barriere che mi separavano, in
quanto ricercatrice, da queste donne, informatrici. Già separate da questo
diverso livello – percepito e vissuto forse più da loro che da me –
aggiungere anche l‟estraneità avrebbe reso più arduo il reperimento delle
informazioni.
Per le stesse ragioni (di comodità e praticità) il campione individuato si
colloca nella mia zona di residenza. In questo modo, è stato più semplice
concordare ed effettuare gli incontri per le interviste.
Come ho detto in precedenza, affrontare l‟argomento dell‟uso che
viene fatto e delle interpretazioni che vengono date del corpo in
gravidanza porta con sé diverse implicazioni teoriche. Io mi ero già
formata diverse idee sull‟argomento prima di accostarmi in prima persona
alle storie di vita delle mie informatrici. Inizialmente, temevo che queste
idee avrebbero influenzato il mio lavoro di ricerca ma, come detto, le
esperienze personali di queste donne sono emerse in maniera differente
dalle idee che mi ero formata. Dalle conversazioni che abbiamo avuto, non
sono affiorati i temi che avevo incontrato nella letteratura di riferimento.
Anzi, le categorie interpretative che utilizzavamo erano completamente
differenti (soprattutto per quanto riguarda la prima generazione, composta
da donna anziane la cui esperienza di vita si distacca in maniera notevole
dalla mia personale), causando piuttosto talvolta dei problemi di
comprensione, dal momento che la mia visione dei fatti risultava loro poco
~ 12 ~
comprensibile: ponevo delle domande di cui non intendevano, talvolta, la
rilevanza, o il senso. Certamente, in un secondo momento – di riflessione e
valutazione del materiale raccolto – mi è stato possibile rintracciare, in
queste storie di vita, le stesse tappe che avevo evidenziato nella
ricostruzione storica effettuata per la prima parte del lavoro.
Questo iato (tra me e le mie informatrici) è stato probabilmente
anche sottolineato – se non prodotto – dalla mia condizione personale, di
giovane donna nubile e non madre. Questo fatto, in particolare, mi ha
tenuto irrimediabilmente separata dall‟esperienza di queste donne,
soprattutto nella loro percezione: non avendo condiviso con loro
l‟esperienza della maternità, non avrei mai potuto comprenderle. Allo
stesso tempo, mi ha anche permesso un‟obiettività che difficilmente avrei
avuto se fossi stata madre a mia volta.
Al momento della riflessione e dell‟interpretazione sulla mia
esperienza di campo, ho scelto volontariamente e coscientemente di
lasciare fuori certe tematiche interpretative (circa i rapporti di autorità tra
le “pazienti” – le donne gravide – e il personale medico, l‟uso
dell‟ecografia etc.). Come ho già detto, mi sono formata – tramite la
letteratura di riferimento – un‟opinione ben precisa nel dibattito che
riguarda il corpo della donna in gravidanza, e in particolare lo status
dell‟embrione durante la gravidanza (per fare solo un esempio). Sarebbe
stato possibile portare avanti l‟indagine e l‟analisi del materiale da me
acquisito tramite le interviste, indagando anche questi temi. Ma ho scelto
consapevolmente di non farlo. Si tratta di argomenti tutt‟oggi
profondamente dibattuti, su cui si sprecano, talvolta, gli interventi; e sono
argomenti inoltre profondamente politicizzati. Ritengo, tuttavia, che questo
non sia il contesto opportuno per interventi di questo genere. Questo che
presento è un lavoro di approfondimento, e per quanto non sia mai
possibile mantenere una completa neutralità (d‟altronde, rischierei di non
dire nulla di interesse, se dovessi astenermi da qualsivoglia opinione) ho
~ 13 ~
cercato tuttavia di non sostenere la mia personale posizione in merito ai
molteplici dibattiti che l‟argomento di questo lavoro tocca.
Questioni di bioetica e di politica non sono avulse
all‟antropologia, e io penso anzi che questa possa offrire uno sguardo
interessante su questi problemi. Tuttavia, non è questo il luogo per offrire
convinzioni personali o suscitare dibattiti su temi, per di più, così
controversi.
Per quanto riguarda l‟uso delle interviste, è necessario fare
un‟ulteriore specificazione. Come ho già detto, sono stati trattati argomenti
di carattere molto personale e delicato: la maternità, la gravidanza, la
concettualizzazione e l‟uso del corpo. Per ragioni di ricerca, tutte le
interviste sono state registrate in maniera digitale, quindi trascritte. Tutte le
informatrici, tuttavia, sono state informate in maniera preventiva circa gli
scopi e le modalità del lavoro, e hanno tutte dato il loro consenso
all‟utilizzo della loro testimonianza. Le mie fonti rimarranno, ovviamente,
anonime. È stata inoltre offerta la possibilità (tuttavia non utilizzata) di
poter spegnere il registratore quando si fossero toccati argomenti ritenuti
particolarmente privati o sensibili. Come detto, nessuna delle mie
informatrici si è avvalsa di questa possibilità. Tutte le interviste sono state
eseguite in maniera non strutturata, in quanto questo metodo ha risultato
produrre risultati migliori, creando un rapporto più disinvolto tra me e le
mie informatrici, contribuendo inoltre a metterle maggiormente a loro
agio, e perciò in grado di esprimersi con maggiore libertà e anche
sicurezza. Viene dunque evidenziato, nel corso di tre generazioni, un
cambiamento profondo nel vissuto delle donne: non solo cambia –
profondamente – lo stile di vita e il contesto di riferimento (soprattutto nel
passaggio fra la prima e la seconda generazione) ma anche l‟approccio alla
maternità e alla gravidanza. Fra la seconda e la terza generazione, il
cambiamento appare forse, a prima vista, più sfumato, meno netto: il
contesto di riferimento è ormai in qualche modo consolidato. Tuttavia, il
cambiamento permane – non solo nei riguardi dei temi della maternità, ma,
~ 14 ~
soprattutto, nel genere di assistenza fornito alla donna in gravidanza (in
termini di cure assicurate a livello statale, rapporto con il personale
medico, disponibilità di mezzi diagnostici etc.). Cambia inoltre l‟approccio
delle donne a questi temi, la riflessione ad essi legata, e l‟uso che ne viene
fatto.
Per un approfondimento del metodo di ricerca utilizzato e
all‟approccio da me tenuto nel corso della ricerca, rimando al par. 2.1,
mentre per l‟analisi specifica delle tre generazioni, rimando ai par. 2.2, 2.3
e 2.4.
Potrà sembrare che questa tesi non segua un percorso preciso e
lineare. In un certo senso, questo è vero. La mia modalità di approccio è
piuttosto, per così dire, “a raggiera”. Per comprendere un fenomeno, o una
manifestazione io credo sia importante prenderla in considerazione da tutti
i punti di vista. E questi non sono sempre o necessariamente
consequenziali. Sono piuttosto simultanei e sovrapponibili – quantomeno
parzialmente. Sono diverse sfaccettature che contribuiscono alla
definizione dell‟oggetto di ricerca. Per questo motivo, la prima parte della
tesi non segue sempre un percorso diacronico, ma prende in esame diversi
aspetti – le credenze popolari, le concezioni accademiche, le pratiche
effettive – della gravidanza nei secoli passati. Ho cercato di ricostruire –
ribadisco la mia formazione che non è storica; e il necessariamente
lacunoso lavoro che ne è risultato. Non pretendo di essere stata né del tutto
accurata né completamente esaustiva. – come doveva essere l‟esperienza
del parto nei secoli passati. Tuttavia, anche questa non è che
un‟introduzione: alla seconda parte della mia tesi. Che prende in
considerazione quello che è, in un certo senso, l‟oggetto effettivo del mio
lavoro. La gravidanza dal punto di vista delle donne, delle protagoniste.
Per lungo tempo, troppo tempo, le donne sono state, paradossalmente,
escluse da questo ambito. Questo può sembrare un nonsense – dal
momento che, prima dell‟ospedalizzazione, la scena del parto era declinata
in maniera esclusivamente femminile, ed era esclusa la presenza degli
~ 15 ~
uomini. Tuttavia, i comportamenti erano regolati da norme sociali che
prevedevano il ruolo subordinato della donna, e la sua sottomissione. Non
intendo certo fare femminismo spicciolo. Semplicemente, cerco di dare
voce alle donne – per tutte coloro che rimangono inascoltate, qui riporto
l‟esperienza di maternità di tredici donne. Per mettere in luce il punto di
vista femminile, seguendo le linee che legano donna a donna, madre a
figlia.
~ 16 ~
Capitolo 1
1.1 Teorie sulla generazione
Le idee cambiano, mutano le filosofie e le credenze, e con esse le
pratiche loro associate. Siamo esseri culturali, e il nostro modo di
comportarci dipende in maniera rilevante dal nostro modo di pensare.
Come espresso efficacemente nelle parole di David Le Breton: “…[il]
sapere applicato al corpo è, in prima istanza, culturale.”
10
Fin dall‟antichità gli uomini si sono interrogati sui fatti del corpo,
proponendo teorie che erano conformi ad altrettante cosmologie e visioni
del mondo.
Questo include, ovviamente, il mistero della generazione e della nascita.
Diverse teorie sono state proposte, sostenute e scartate nel corso dei secoli.
A loro volta queste hanno influito sul modo di percepire la gravidanza, sul
modo di comportarsi della donna incinta e nei confronti della creatura che
cresceva nel suo grembo, invisibile ma presente. Non solo teorie di tipo
medico, ma anche filosofie sociali ed interpretazioni religiose; e tutte
queste sono rilevanti nell‟interpretazione e nella comprensione del modo
in cui è cambiato l‟approccio alla gravidanza e al parto che ha portato alla
situazione odierna di parto medicalizzato.
Un breve excursus di queste idee sarà dunque utile per
contestualizzare i cambiamenti che si sono verificati nell‟ambito
dell‟assistenza alla gravidanza e al parto e il processo che conduce
all‟contesto attuale di riferimento.
10
D. Le Breton, “Antropologia del corpo e modernità”, p. 11
~ 17 ~
Uno dei punti cruciali del dibattito è forse sempre stato quello
riguardante le modalità del concepimento e di sviluppo dell‟embrione
all‟interno del corpo materno durante la gravidanza. Per quanto riguarda
l‟antichità, il dibattito – per ragioni pratiche, legate alla capacità e alla
mancanza di strumenti adatti all‟osservazione – rimase necessariamente
legato ad un piano teorico e filosofico, con punto cruciale del dibattito, il
ruolo e il coinvolgimento attivo della donna nel processo riproduttivo. Se
nelle civiltà pre-elleniche la riproduzione è una funzione esclusivamente
femminile
11
, con lo sviluppo della civiltà greca, la donna perde via via il
suo ruolo attivo, venendo ridotta a meno contenitore, senza alcuna
funzione attiva nello sviluppo – e, tantomeno, nel concepimento –
dell‟embrione. Questo relegamento in secondo piano e alla passività della
donna perdurerà nel tempo, più di quanto non faranno le teorie che di volta
in volta, si oppongono. Come Bourdieu
12
ci ricorda, siamo immersi in un
cosmo sessualizzato che associa al maschile l‟attivo (l‟aperto, l‟esterno, la
destra, la dominanza...) e al femminile il passivo (il chiuso, l‟interno, la
sinistra, la sottomissione etc.), e questa serie di opposizioni vengono
costantemente riproposte e rafforzate nella pratica quotidiana –
emergendo, conseguentemente, anche nelle concezioni filosofiche.
Nell‟antica Grecia dunque, emergono due scuole contrapposte di pensiero:
Ippocrate con il criterio della «visibilità debole» da una parte, e Aristotele
e la sua logica della «visibilità forte» dall‟altra
13
. Secondo il primo,
determinate strutture organiche sarebbero presenti fin dal momento del
concepimento, ancorché non visibili – sostenendo, quindi, la “formazione
simultanea di tutti gli organi dell‟embrione”
14
. Il secondo sosteneva invece
la visibilità appunto come unico criterio determinante e discriminante
dell‟esistenza di quelle stesse strutture, che sarebbero dunque risultate
11
R. Martorelli Vico, “Medicina e filosofia”, p. 14
12
P. Bourdieu, “Il dominio maschile”
13
W. Bernardi, “Le metafisiche dell‟embrione”, p. 33-34
14
Ibidem, p. 34
~ 18 ~
essere esistenti solo dal momento in cui sarebbero state visibili
15
. L‟unico
punto in comune fra le due concezioni, è la teorizzata passività della
donna, responsabile unicamente di fornire il materiale per la generazione –
identificato da Aristotele come il mestruo, mentre da Ippocrate come la
secrezione vaginale
16
.
Galeno tenterà di conciliare le due posizioni finora contrapposte,
sostenendo Aristotele nell‟affermare che alcuni organi compaiono prima di
altri, ma dando ragione ad Ippocrate nel sostenere che gli organi che
compaiono prima sono quelli di maggiori dimensioni. Ora, in realtà
secondo Ippocrate sarebbero visibili prima appunto poiché di dimensioni
più estese, ma come già detto, comparirebbero tutti nel medesimo
momento
17
. L‟epoca classica ci consegna dunque due teorie opposte sulla
generazione, fondate rispettivamente su due principi opposti di sviluppo:
simultaneo secondo Ippocrate, per importanza secondo Aristotele.
Entrambi sostengono la vista come criterio discriminante, e la visibilità
come canone per determinare l‟importanza o meno degli organi (quelli che
compaiono prima sono più importanti; o di maggiori dimensioni, quindi
maggiormente visibili, rispettivamente secondo la scuola aristotelica o
quella ippocratica). Il tentativo di compromesso galenico cerca di
conciliare le due posizioni. la mediazione galenica trae inoltre il meglio
dalle due posizioni, applicando alle sue teorie la rigorosa metodologia
scientifica inaugurata da Aristotele – basata sull‟osservazione
18
. Galeno è
inoltre il primo a introdurre – con la dottrina detta “dei due semi” – l‟idea
di un doppio principio generativo, cioè di un contributo attivo sia
dell‟uomo (con lo sperma) che della donna (in accordo con Ippocrate,
individua il principio femminile nella secrezione vaginale) al
concepimento
19
. L‟altro contributo fondamentale di Galeno viene dal
15
W. Bernardi, “Le metafisiche dell‟embrione”, p. 34
16
R. Martorelli Vico, “Medicina e filosofia”, pp. 14-15
17
W. Bernardi, “Le metafisiche dell‟embrione”, p.35
18
R. Martorelli Vico, “Medicina e filosofia”, p. 16
19
Ibidem