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Introduzione
Questa tesi ha come obiettivo di esporre ed analizzare criticamente le conoscenze,
derivanti dalla letteratura internazionale, circa il Disturbo da attacchi di panico
(DAP). Questo disturbo si caratterizza essenzialmente per il ricorrere di episodi
acuti d’ansia ad insorgenza improvvisa e di breve durata, eterogenei per quanto
riguarda l’intensità e le manifestazioni neurovegetative associate. Nella maggior
parte dei pazienti, gli attacchi di panico conducono allo sviluppo di manifestazioni
ansiose a decorso protratto (ansia anticipatoria) e di condotte di evitamento di tipo
agorafobico.
Nel primo capitolo, seguendo l’impostazione del Manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali (DSM), saranno esposti i criteri diagnostici e gli aspetti clinici
del disturbo. Inoltre, analizzandone le caratteristiche di familiarità, sarà
evidenziata la possibile origine genetica, anticipando il tema dell’eziopatogenesi,
che però sarà ad appannaggio del secondo capitolo. Infine, un’attenzione
particolare sarà riservata al tema della comorbilità e della diagnosi differenziale,
poiché il DAP si manifesta frequentemente in associazione con altre patologie e
attraverso un corredo sintomatologico che può essere facilmente confuso con
quello di altri disturbi di tipo psicopatologico o medico.
Il secondo capitolo, è dedicato interamente all’eziopatogenesi del DAP.
Nella prima parte, saranno esaminati i correlati biologici: alterazioni fisiologiche,
neuroanatomiche, neurofunzionali e neuroendocrine. Nella seconda parte saranno
presi in considerazione i fattori ambientali e psicologici; questi ultimi saranno
valutati in funzione di diversi modelli interpretativi: etologico, cognitivo,
psicodinamico. L’obiettivo sarà di evidenziare l’origine multifattoriale del
disturbo intesa come influenza di una serie di fattori stressanti (“life events”) su
soggetti con una predisposizione genetica, biologica e psicologica allo sviluppo
della patologia in questione.
Il terzo ed ultimo capitolo affronterà il tema della terapia del DAP; saranno quindi
presentati i metodi terapeutici che, ad oggi, risultano i più utilizzati ed efficaci:
psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale, farmacoterapia e terapia integrata
farmacologica e psicoterapeutica.
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CAPITOLO 1 - Il Disturbo da attacchi di panico
1.1. Le origini storiche e i criteri diagnostici
1.1.1. Cenni storici
La storia del Disturbo da attacchi di panico nella moderna medicina, è stata
caratterizzata dalla difficoltà di separare questo disturbo da sindromi
cardiologiche, neurologiche ed endocrinologiche, tanto che la combinazione di
sintomi psichici e di importanti sintomi fisici, che caratterizza il suo quadro
clinico, ancora attualmente ne complica la valutazione diagnostica. Per il Disturbo
da attacchi di panico, come per altri disturbi mentali, la denominazione è
continuamente cambiata nel corso dei secoli.
Il termine “panico” deriva dal dio greco Pan; Pan era il dio dei pastori, dei
pescatori e dei cacciatori che poteva apparire in qualsiasi luogo ed in qualsiasi
momento, provocando intensa paura, per cui le persone fuggivano cercando
rifugio in luoghi più sicuri (Pichot, 1996; Albanesi, 1998; Papakostas et al., 2003).
Nel IV secolo a.C., Ippocrate descrisse disturbi caratterizzati da sintomi quali
palpitazioni e senso di soffocamento, con il termine di “isteria”. Dopo di lui
Galeno (200-130 a.C.), individuò le cause della cosiddetta isteria nel disequilibrio
dello stato degli umori, che identificava in bile gialla, bile nera, sangue e flegma.
Nel XVIII secolo, Boissier De Sauvage (1700) utilizzò il concetto di “vertigine
isterica” e Cullen, cinquant’anni più tardi, coniò il termine di “nevrosi
funzionale”.
Nel XIX secolo gli attacchi di panico furono ampiamente descritti da medici non
psichiatri e definiti in diversi modi. Morel, nel 1866, ricorse all’accezione di
“nevrosi vegetativa” e Krishaber, nel 1872, a quella di “neuropatia cerebro-
cardiaca”. Nello stesso periodo, il medico militare De Costa, chiamò “cuore
irritabile” una sindrome caratterizzata da attacchi di panico e sintomi
cardiorespiratori che aveva osservato in alcuni soldati. Beard, nel 1880, inglobò
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gli attacchi di panico nel concetto di “nevrastenia”, che includeva tutti i disturbi
d'ansia descritti nei sistemi classificativi attuali.
Freud, nel 1894, separò dalla nevrastenia, una categoria di disturbi che definì
“nevrosi d'angoscia”. Tale categoria era caratterizzata da una più limitata ed
omogenea sintomatologia che includeva sia l'ansia libera e cronica, che l'ansia
acuta caratterizzata da sintomi psicofisici molto vicini all’attuale descrizione
dell'attacco di panico (Frances et al., 1993).
Nei primi anni del XX secolo, Oppenheimer utilizzò il termine di “astenia
neurocircolatoria” e Lewis quello di “sindrome da sforzo”.
Solo nel 1980, con la pubblicazione della terza edizione del Manuale diagnostico
e statistico dei disturbi mentali (DSM-III), il Disturbo da attacchi di panico fu
identificato come entità nosografica autonoma nell'ambito dei Disturbi d'ansia. Il
superamento del concetto freudiano di nevrosi d’ansia è stato principalmente reso
possibile dagli studi di Donald Klein che, nel 1964, ha descritto la differente
risposta farmacologica del DAP, efficacemente trattato con gli antidepressivi
triciclici ma non con ansiolitici benzodiazepinici, rispetto al Disturbo d’ansia
generalizzato.
La separazione tra gli attacchi di panico (ansia acuta) e l’ansia generalizzata (ansia
cronica), fondata su differenti caratteristiche sintomatologiche, di decorso e di
risposta al trattamento, è alla base dell’attuale modello nosografico dei Disturbi
d’ansia (Troiano, 2001; Gabbard, 1995; Cassano et al., 1993).
Per concludere, la vasta gamma di termini, medici e psichiatrici, che nel corso
della storia sono stati utilizzati per descrivere gli stati d’ansia acuta, attualmente,
confluiscono nei concetti di attacchi di panico e Disturbo da attacchi di panico
1.1.2. I criteri diagnostici del Disturbo da attacchi di panico
Il DSM-IV-TR colloca il Disturbo da attacchi di panico (DAP) ed il Disturbo da
attacchi di panico con agorafobia (DAP-A) sull’asse I, nella categoria dei Disturbi
d’ansia.
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- Il Disturbo da attacchi di panico -
La diagnosi di DAP viene posta quando sono presenti attacchi di panico ricorrenti
che insorgono inaspettatamente nelle fasi iniziali, e si manifestano con almeno
quattro dei seguenti sintomi:
- palpitazioni;
- sudorazioni;
- tremori fini o grandi scosse;
- sensazioni di dispnea o soffocamento;
- sensazione di asfissia;
- dolore o fastidio al petto;
- nausea o disturbi addominali;
- vertigini o sensazioni di testa leggera;
- derealizzazione o depersonalizzazione;
- paura di perdere il controllo o di impazzire;
- paura di morire;
- parestesie (sensazioni di torpore o formicolio);
- brividi o vampate di calore.
Gli attacchi devono essere almeno due e per lo meno uno di questi deve essere
seguito da un periodo di un mese o più con la costante paura di avere un’altra crisi
o con preoccupazioni relative alle possibili conseguenze degli episodi critici
(perdita di controllo, della salute mentale, infarto del miocardio) o con modifiche
comportamentali significative riconducibili agli attacchi.
Gli attacchi non devono essere una conseguenza fisiologica diretta di una sostanza
o di una condizione medica generale e non devono essere meglio giustificati da un
altro tipo di disturbo mentale.
- Disturbo da attacchi di panico con agorafobia -
I criteri diagnostici sono gli stessi del DAP, in più deve essere presente
l’agorafobia.
Il termine agorafobia deriva dal greco “agorà” (piazza) e “phobos” (paura).
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Per il DSM-IV-TR, la caratteristica essenziale dell’agorafobia è l’ansia relativa al
trovarsi in luoghi o situazioni dai quali potrebbe essere difficoltoso (o
imbarazzante) allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto nel
caso di un attacco di panico o sintomi simili; tale condizione è nota come
“fobofobia” o “paura della paura”.
I timori agorafobici riguardano situazioni che includono essere fuori casa da soli,
essere in mezzo alla folla (o in coda), essere su un ponte e il viaggiare in autobus,
treno o automobile.
I pazienti con agorafobia, evitano, le suddette situazioni oppure le tollerano con
grande disagio grazie anche alla presenza di un “compagno”, verso il quale spesso
viene sviluppato un rapporto di estrema dipendenza (Albanesi, 1998; Rovetto,
2003). Quando i pazienti DAP soddisfano anche i criteri per l’agorafobia è
possibile diagnosticare il Disturbo di panico con agorafobia (DAP-A).
- Gli attacchi di panico -
Gli attacchi di panico rappresentano la manifestazione nucleare del DAP; sono
episodi acuti d’ansia, che insorgono, improvvisamente (“a ciel sereno”), la loro
durata è breve, raggiungono l’intensità massima in 10 - 15 minuti e regrediscono
in circa mezz’ora.
La sintomatologia delle crisi può essere diversa da caso a caso ed anche nello
stesso paziente in tempi successivi. Si possono distinguere quattro tipi di
manifestazioni: soggettive, somatiche, psicosensoriali e comportamentali
(Cassano 1994, Albanesi, 1998; Di Salvo, 2003)
Soggettivamente il paziente esperisce un vissuto d’ansia durante il quale
concomitano sensazioni di impotenza, di estremo disagio e di terrore, culminanti,
spesso, nella paura di morire, di impazzire o di perdere il controllo delle proprie
azioni.
Le manifestazioni somatiche includono sintomi cardiorespiratori (tachicardia,
palpitazioni, aumento della pressione arteriosa, vampate di calore e brividi di
freddo, dispnea, aumento del ritmo respiratorio e conseguente iperventilazione),
neurologici (tremori fini o a grandi scosse, parestesie, cefalee ed emicrania),
vestibolari (sbandamenti e sensazioni di instabilità o pseudo-vertigini),
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gastrointestinali (nausea, dolori o crampi intestinali e diarrea). I sintomi
cardiorespiratori e vestibolari sono i più frequenti, mentre quelli gastrointestinali
sono rari.
I fenomeni psicosensoriali più frequenti sono la depersonalizzazzione,
derealizzazione, “deja-vu”, “deja-vecu”, “jamais-vu”, “jamais-vecu”; inoltre
l’ipersensibilità alla luce e ai suoni sono presenti in circa 1/3 dei pazienti sia
durante le crisi sia in fase intercritica; altre manifestazioni psicosensoriali sono la
modificazione della percezione visiva, uditiva e della nozione di tempo trascorso.
Le manifestazioni comportamentali sono rare tanto che, spesso, la crisi passa
inosservata ai presenti; a volte, invece, vi è l’arresto improvviso delle attività in
corso, grida, agitazione, fuga dal luogo in cui si è manifestata la crisi.
Non sempre le suddette manifestazioni sintomatologiche si presentano in maniera
completa. Esistono, infatti, episodi critici detti paucisintomatici, che si esprimono
con meno di quattro sintomi (APA, 2001). Questo tipo di attacchi vengono definiti
“attacchi minori”e si distinguono da quelli “maggiori”oltre che per il numero
limitato di sintomi, anche per un’intensità ridotta dell’esperienza ansiosa
soggettiva.Tra i sintomi caratteristici degli attacchi minori sono da ricordare le
vertigini, spesso isolate, le palpitazioni, i sentimenti di irrealtà, le vampate di
calore ed i brividi di freddo (Cassano, 1994; Di Salvo). Le crisi
paucisintomatiche, alcune volte, possono precedere il primo “vero” attacco. Altre
volte, possono comparire durante l’iter terapeutico di un paziente con una storia di
attacchi di piena entità (Rovetto, 2003). In generale sono comuni nei soggetti con
DAP (APA, 2001).
Ogni crisi è seguita da un “periodo refrattario” (Radomsky et al., 1998;
Radomsky et al., 2002) durante il quale è praticamente impossibile avere un’altra
crisi. Questa fase post-critica è caratterizzata dalla persistenza di sensazioni
fastidiose di vuoto alla testa, tensione muscolare, apprensione, vertigini, e astenia
che possono protrarsi anche per molte ore (Di Salvo, 2003);
Gli attacchi di panico sono detti causati dalla situazione (provocati) quando il
loro insorgere è quasi invariabilmente associato a dei fattori scatenanti
situazionali.
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Quando tra l’esposizione allo stimolo e l’attacco esiste si una relazione, ma meno
forte rispetto al caso precedente, si parla di attacchi di panico sensibili alla
situazione.
Infine, gli attacchi possono verificarsi anche in situazioni in cui appaiono essere
del tutto ingiustificati, cioè in situazioni in cui il soggetto non né associa l’esordio
con un fattore scatenante interno o esterno; in questi casi si parla di attacchi di
panico inaspettati (non provocati) (APA, 2001).
1.2. Epidemiologia
- Prevalenza ed età d’esordio -
La prevalenza “lifetime” del DAP (con o senza agorafobia), nella popolazione
generale, oscilla tra 1,5% e 3,5% (Weissman, et al., 1997; Katschnig, 1998; APA,
2001; Andrews e Slade, 2002).
L’incidenza nelle popolazioni cliniche è molto più elevata; per esempio il DAP è
diagnosticato in circa il 10% dei soggetti inviati per un consulto psichiatrico
(Rouillon e Martineau, 1997; APA, 2001).
La prevalenza “in un anno”, varia dallo 0,5% all’1,5% (APA, 2001).
L’età d’esordio è variabile ed oscilla tra i 15 ed i 35 anni. Ci sono due picchi: il
primo, considerevole, nella tarda adolescenza ed il secondo, meno marcato, verso
i 35 anni (APA, 2001). Le prime crisi di panico, avvengono mediamente intorno
ai 22,5 anni (Rovetto, 2003).
Il fatto che il disturbo insorga durante questo periodo, denso di cambiamenti
nell’esistenza dei pazienti (distaccamento dalla famiglia, inizio dell’attività
lavorativa, ecc.), enfatizza l’associazione esistente tra esperienze di vita
particolarmente stressanti ed il presentarsi della patologia.
Solo un esiguo numero di casi, invece, inizia nell’infanzia e l’esordio dopo i 45
anni è insolito (APA, 2001).
I pazienti con esordio tardivo, in genere, manifestano un quadro clinico meno
grave. Questo è caratterizzato da un numero inferiore di sintomi durante gli
attacchi di panico, da una minore comorbilitità con i disturbi dell’asse II e con la
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depressione, e una più bassa frequenza di tentativi di suicidio (Iketani et al., 2004;
Sheikh et al., 2004).
Sembra quindi che l’età d’esordio sia un fattore predittivo della gravità clinica
del disturbo.
- Caratteristiche legate alla cultura ed al genere -
Il DAP e disturbi simili o sovrapponibili, sono presenti nelle diverse culture. In
uno studio condotto in Africa è stato diagnosticato in circa l’1% degli uomini e il
6% delle donne (Hollifield, et al., 1990). Tra gli eschimesi della Groellandia
occidentale attacchi di “kayak-angst” (intensa paura, senso di disorientamento, e
timore di affogare) si manifestano tra i cacciatori di foche che si trovano in mare
aperto (Davison e Neale, 2000). Una condizione detta “ataque de nervios”,
identificata originariamente a Portorico e molto frequente tra i soggetti ispanici,
comprende sintomi fisici e paura di impazzire in conseguenza di qualche grave
evento stressante (Lewis-Fernandez et al., 2002).
Il DAP si presenta più frequentemente nelle aree urbane e nelle civiltà più
complesse e competitive, piuttosto che nelle aree rurali e nelle società tradizionali
(Rovetto, 2003), nelle quali verosimilmente i fattori stressanti sono assai minori.
Quando colpisce pazienti che vivono in situazioni culturali molto arretrate, la
patologia è frequentemente associata al malocchio o alla magia (APA, 2001).
Sembra quindi, che il disturbo in questione sia un fenomeno trasversale ai diversi
contesti culturali, anche se in ognuno di questi si manifesta in modalità
sensibilmente differenti.
Il DAP appare distribuirsi uniformante in tutte le classi sociali, mentre
l’agorafobia è più presente in quelle meno abbienti (Rouillon e Martineau, 1997).
E’ verosimile che alcuni fattori ambientali possano contribuire allo strutturarsi di
gravi condotte di evitamento.
Per quanto concerne le differenze di genere, tutti gli studi epidemiologici
riscontrano una maggiore presenza nelle donne. Più precisamente, il DAP viene
diagnosticato con una frequenza doppia e, il DAP-A con una frequenza tripla nelle
donne rispetto agli uomini (APA, 2001).
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1.3. Familiarità
Numerose sono le ricerche che hanno messo in evidenza la “familiarità” del DAP
(Finn e Smoller, 2001; Westemberg e Liebowitz, 2004). E’ stato rilevato che i
parenti di primo grado dei pazienti con questo disturbo, presentano una probabilità
da 4/6 (Hettema et al., 2001) a 8 volte (APA, 2001) maggiore di sviluppare la
stessa patologia. Tale probabilità sale fino a 20 volte, se l’età d’esordio del
disturbo è inferiore ai 20 anni (APA, 20021).
Inoltre, ricerche effettuate su campioni di gemelli, hanno verificato una maggiore
concordanza del DAP per le coppie monozigote (30%-50%) rispetto a quelle
dizigote (05-10%) (Hettema et al., 2001). Gli stessi risultati sono emersi anche da
studi sull’induzione del panico tramite l’inalazione di anidride carbonica (Bellodi
et al., 1998),
La genetica molecolare si sta concentrando su intere famiglie in cui vi sia più di
un membro che soffra di DAP, allo scopo di identificare un “gene” che, possa
essere ritenuto alla base di questa condizione. Ad oggi, tali studi, hanno ipotizzato
l’implicazione di diverse regioni cromosomiche (e relativi geni) (Finn e Smoller,
2001).
Hamilton et al. (2003) hanno riscontrato una significativa correlazione tra la
presenza di alcuni “loci” sul cromosoma 13 e 22 e la predisposizione dei soggetti
a sviluppare una condizione clinica nota come “panic disorder syndrome”
(sindrome che implica la presenza di DAP, severi mal di testa, prolasso della
valvola mitralica, disfunzioni tiroidee ed altri disturbi).
Una ricerca condotta su un campione di famiglie islandesi, ha rilevato
un’associazione tra i disturbi d’ansia in generale, ed il DAP in particolare, ed un
“locus” sul cromosoma 9 (Thorgeirsson et al., 2003).
Gratacos et al. (2001) studiando di generazione in generazione alcune famiglie, i
cui componenti erano colpiti da attacchi di panico, agorafobia, e altre fobie, hanno
scoperto che nove su dieci pazienti, affetti da questi disturbi, erano portatori della
duplicazione di una piccola regione del cromosoma 15, denominata “Dup 25”. Da
questa zona cromosomica, vengono codificate le proteine deputate al controllo
della comunicazione fra neuroni. Verosimilmente, una concentrazione elevata di