Parte I Ansia, termalismo, stress
CAPITOLO 1: L’ansia e le patologie correlate
1.1) Introduzione
Come prima cosa sembra utile menzionare quanti in campo scientifico hanno
trattato il problema dell’ansia.
Tra gli studiosi che si sono occupati del fenomeno ricordiamo innanzitutto
Sigmud Freud a cui risale la prima, e tra le più importanti formulazioni
teoriche sul tema, che descriverò nel dettaglio nel paragrafo successivo.
Horney, Fromm e Sullivan hanno sviluppato il problema dell'ansia dal punto
di vista sociale. Per Horney l'ansia di base consiste nella sensazione
sgradevole che un soggetto ha di essere isolato ed impotente in un mondo
ostile. Fromm ricollega l'ansietà alle esperienze di isolamento conseguenti ai
mutamenti sociali dovuti allo sviluppo economico e politico. Secondo la sua
teoresi i progressi nella nostra società hanno contribuito all'alienazione
dell'individuo e l'ansietà è quindi uno stato che deriva dalla constatazione di
non poter soddisfare le proprie esigenze in un modo socialmente accettabile.
M.Klein, Winnicott e Bowlby hanno analizzato le reazioni di angoscia
connesse al rapporto madre/bambino, dove Bowlby si è occupato dell'ansietà
nelle prime fasi di vita ed ha messo in evidenza come essa nasca ogni qual
volta il bambino avverte una possibilità di separazione dalla propria figura di
attaccamento.
Pavlov in ambito psicometrico attraverso i suoi pionieristici studi sperimentali
ha evidenziato come le reazioni di ansia possono essere indotte ed acquisite:
riuscì a far sviluppare a cani da laboratorio delle nevrosi sperimentali
attraverso l’impiego di figure geometriche come stimoli condizionanti (delle
quali alterava la forma in modo graduale). Per Pavlov queste nevrosi
sperimentali possono essere accostate a quelle di individui umani che non
riescono a distinguere gli stimoli neutri da quelli significativi e cadono in preda
a stati acuti di ansia, angoscia e panico ogni qualvolta si trovano davanti a
situazioni che in passato erano loro del tutto indifferenti.
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1.2) Definizione
Va innanzitutto chiarito quali siano le radici etimologiche dei termini ansia e
angoscia, perché sono in alcuni casi usati come sinonimi, mentre in altri
vengono impiegati in maniera diversificata.
La parola ansia viene dal latino tardo anxia (angere =stringere) mentre
angoscia deriva dal termine tedesco, introdotto tra i primi da Sigmud Freud,
ängst che viene spesso utilizzato dagli psicoanalisti come sinonimo di ansia e
paura. La psichiatria invece utilizza il termine ansia in riferimento alle
componenti puramente psichiche dell’ emozione in questione, mentre si
riferisce all’angoscia quando si tratta delle relative manifestazioni somatiche
che differiscono da quelle dell’ansia per intensità, modalità d’insorgenza e
durata.
L’ansia può essere definita come uno “stato d’animo di tonalità sgradevole,
penoso, continuo o subcontinuo; è un sentimento di minaccia alla propria
integrità fisica o morale; un disagio psichico che deriva dall’attesa dolorosa di
un pericolo di un danno imminente, sempre possibile…”(Reda Gian Carlo,
Psichiatria,UTET,1993 pag.141)
Da questa definizione è possibile trovare un punto fondamentale che ci aiuti a
distinguere sul piano psicopatologico l’ansia dall’angoscia, perché in
quest’ultima non c’è il vissuto d’attesa della minaccia incombente, ma è come
se la minaccia fosse già presente e non ci fosse più né scampo né possibilità
di difesa alcuna.
1.2) Descrizione
L’ansia, in condizioni normali è uno stato di attivazione, una tensione positiva
e creativa necessaria per agire con efficienza, che implica una messa in atto
generalizzata delle risorse individuali diretta contro uno stimolo reale: è la
reazione d’allarme. La reazione d’allarme pur provocando un disagio legato
all’attesa della risoluzione dello stimolo, non interferisce ma potenzia le
capacità del soggetto nel risolvere la situazione. Nell’ansia patologica invece,
come ad esempio nelle nevrosi d’ansia, il vissuto diventa un forte disagio
interiore ed il soggetto presenterà un quadro sintomatologico che lo metterà
nell’impossibilità di far fronte alle richieste dell’ambiente.
I sintomi dell’ansia possono essere divisi, riprendendo la classificazione
proposta da Farnè, in (TAB1.1):
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a) psico-emotivi (ansia, tensione, indecisione)
b) organici (debolezza, capogiri, vertigini)
c) psico-comportamentali (agitazione, suscettibilità, isolamento)
Come si vede l’ansia non può essere ridotta al puro aspetto psicologico ma
presenta dei concomitanti somatici abbastanza diversificati. Tuttavia per una
più precisa trattazione degli aspetti neurobiologici delle sindromi ansiose
rimando al secondo capitolo, quando si parlerà degli effetti dell’ansia e dello
stress sui sistemi nervoso vegetativo, immunitario e neuroendocrino.
Ovviamente il variare per numero di sintomi, loro esordio, intensità e decorso
darà luogo a quadri psicopatologici diversificati.
1.3) Le teorie freudiane dell’angoscia
Per quanto riguarda il contributo freudiano allo studio dell’ansia, in genere ci
si riferisce alla genesi e fenomenologia dell’angoscia utlizzata, come già
precedentemente accennato, quale sinonimo dell’ansia, come del resto
anche una parte importante degli psicoanalisti moderni.
La concezione freudiana dell’angoscia è rappresentata da un’elaborazione
teorica che consta di due fasi, nelle quali viene elaborata una prima e poi
successivamente una seconda teoria dell’angoscia.
a) Prima teoria dell’angoscia
Nei Tre saggi sulla teoria sessuale Freud ne dà la seguente spiegazione:
“ …nell’adulto come nel bambino la libido si trasforma in angoscia
quando la pulsione non può ottenere soddisfazione.”
In una prima teorizzazione la genesi e lo sviluppo dell’angoscia sarebbero
quindi strettamente legati alla pulsione libidica (energia psichica sessuale) ed
al suo mancato soddisfacimento.
Successivamente nell’Introduzione alla psicoanalisi Freud affronta la
differenziazione tra l’angoscia reale e quella nevrotica: la prima è “…la
reazione alla percezione di un pericolo esterno, cioè di un danno atteso,
previsto; che è collegata al riflesso della “fuga”, e che può essere considerata
un’espressione della pulsione di autoconservazione.” (S. Freud,Introduzione
alla psicoanalisi,2,Bollati Boringhieri,1993,pag.355); la seconda, l’angoscia
nevrotica, sarebbe presente sia nella forma di “angoscia d’attesa” (un
generale stato di ansietà liberamente fluttuante), sia come fobia, che al
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contrario della prima è legata a oggetti e situazioni concrete ed
estremamente variegate.
Nell’angoscia d’attesa il soggetto sperimenta uno stato affettivo che qui
secondo Freud, riprendendo la teoresi di Otto Rank, è la ripetizione dell’atto
della nascita (misto di sentimenti di dispiacere e sensazioni corporee
prototipo del pericolo mortale), il quale stato affettivo è dovuto
sostanzialmente ad un mancato soddisfacimento della scarica pulsionale per
il fatto dell’avvenuta separazione traumatica dall’ oggetto/madre. Nelle
nevrosi fobiche invece non c’è produzione d’angoscia fintantoché il soggetto
non entra in contatto con l’oggetto fobico, e ,grazie all’avvenuta proiezione
dell’angoscia all’esterno, ha luogo tutta una formazione di sintomi che hanno
il ruolo appunto di impedire il contatto con l’oggetto/situazione fobogeno.
Quest’ultima situazione si avvicina al significato dei sintomi isterici e
ossessivi, la quale formazione ha sostituito di fatto l’angoscia primitiva.
b) Seconda teoria dell’angoscia
Successivamente Freud nella formulazione di quella che viene definita la
seconda teoria dell’angoscia aggiunge elementi nuovi ad altri mantenuti e
meglio definiti.
In Inibizione, sintomo e angoscia Freud di fatto ritorna sui suoi passi
affermando:
“ La nostra precedente ipotesi di una trasformazione diretta della libido in
angoscia è diventata ai nostri occhi meno interessante…. Essa non entra
considerazione per l’angoscia che l’Io provoca come segnale…
L’investimento bidico del moto pulsionale rimosso sperimenta – come si vede
nel modo più chiaro nell’isteria di conversione – una utilizzazione diversa
dalla trasformazione in angoscia e dalla scarica come tale.” (S. Freud,
Inibizione, sintomo e angoscia, Bolati Boringhieri, 1989, pag. 308).
Freud dunque smentisce se stesso scrivendo che c’è un angoscia diversa da
quella che deriva dalla trasformazione della pulsione libidica, un’ angoscia
che compare come funzione dell’Io (polo difensivo) (TAB 1.2). E’ un segnale
di dispiacere che mobilita le energie disponibili al fine di lottare contro la
pressione pulsionale originata dall’Es (polo pulsionale dell’apparato psichico)
(TAB 1.2).
Facendo delll’Io ora la sede dell’angoscia, viene respinta la concezione
anteriore secondo la quale l’energia pulsionale rimossa (TAB 1.3) veniva
automaticamente trasformata in angoscia.
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E si ripropone di fatto il nucleo centrale della teoria freudiana sull’angoscia,
rielaborata e con nuove acquisizioni: angoscia come segnale di pericolo
difronte alla minaccia della perdita dell’oggetto per eccellenza che è
rappresentato dalla madre.
Dunque angoscia divenuta ora elemento funzionale della difesa dell’Io come
segnale di allerta che entra in gioco ancora una volta difronte alla minaccia di
ritorno alla situazione/trauma della nascita, nella quale il bambino sperimenta
la maggiore delle frustrazioni nella perdita del soddisfacimento originario.
In conclusione della sua opera Freud aggiunge nuovi elementi alla definizione
di angoscia precisando meglio la distinzione tra situazione traumatica e
situazione di pericolo: la prima è una situazione vissuta di impotenza, la
seconda è caratterizzata dall’attesa prevista di una situazione traumatica
ricordata e riconosciuta.
Ed è proprio nella situazione di pericolo che viene sperimentata l’angoscia, la
quale è una riproduzione attenuata di quella vissuta nell’esperienza
traumatica d’impotenza originaria.
1.4) I Disturbi d’ansia
Le condizioni di disturbo d' ansia sono in genere molto variabili e intimamente
correlate alla persona nella sua unicità. Di fronte ad un soggetto ansioso è
sempre importante valutare oltre al vissuto d’ansia anche il contesto in cui
questo stato si manifesta: se cioè il soggetto ha scarse capacità adattive con
l’ambiente circostante e se si può rilevare la presenza di eventi che possono
in qualche modo essere correlati con l’insorgenza o l’acuirsi dello stato
ansioso.
Segue una breve descrizione dei principali quadri clinici che vanno sotto il
nome di disturbi d’ansia, i quali possono essere presenti simultaneamente
nello stesso paziente e possono evolvere in forme differenti con il passare del
tempo.
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1.4.1) Il disturbo d’ansia generalizzato (GAD)
Considerato come una categoria residua fino a qualche anno fa, il disturbo
d'ansia generalizzato (GAD) è entrato a pieno titolo tra le patologie
psichiatriche solo recentemente. Si distingue per una presenza d’ansia
pervasiva, diffusa e persistente ad andamento cronico con segni di attesa
apprensiva, aumentata vigilanza, tensione motoria (TAB4). Il GAD non ha un
decorso stabile ma si alternano fasi acute (fino agli attacchi di panico) spesso
dovute a qualche fattore ambientale stressante, a fasi che fanno rientrare la
sintomatologia quasi nella norma. L’ansia diventa qui come un Leitmotiv, una
componente della vita del paziente che diviene possibile in ogni momento,
pur rimanendo liberamente fluttuante, non legata cioè ad alcuna situazione
specifica; difronte a qualsiasi sollecitazione anche minima dell’ambiente il
soggetto reagisce con preoccupazione ed allarme, e tenderà a passivizzarsi
mettendo in atto condotte di evitamento.
Il disturbo è frequentemente associato a quadri depressivi con la presenza di
umore triste, vissuto di scoraggiamento ed idee di impotenza dovute alla
sofferenza psicologica che il GAD comporta. La situazione depressiva di
solito comunque migliora con la remissione dei sintomi ansiosi.
L' età di esordio, indicata nella fanciullezza e nell'adolescenza, è tuttavia
difficile da definire con esattezza in quanto la maggior parte dei pazienti ha la
sensazione di "essere stato sempre ansioso"; inoltre circa il 60% di coloro
che ne soffrono sono donne.
La struttura di personalità dei soggetti con disturbo d’ansia generalizzato non
può essere diagnosticata come disturbo di personalità, né tantomeno sono
rintracciabili disturbi particolarmente evidenti nell’infanzia (eccezion fatta per
le possibili manifestazioni di tipo nevrotico), ma si tratta in effetti di una
personalità con scarse capacità adattive.
1.4.2) L’ansia fobica e le fobie
Come già detto la nevrosi d’ansia si distingue per il fatto che qui non si ha,
come nel GAD una sensazione di minaccia per una causa ignota, ma il
vissuto di tensione emotiva tende a concretizzarsi su un oggetto o una
situazione ben precisa.
Ogni esperienza fobica è composta da tre aree sintomatologiche: 1) il timore
di entrare in contatto con l’ggetto/situazione fobico, che viene vissuto in modo
anticipatorio come, cioè, se fosse già presente; 2) la risonanza ansiosa
emozionalmente acuta difronte all’effettivo contatto con l’oggetto/situazione
fobogeno; 3) la messa in atto del comportamento di evitamento.
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Tra le numerose classificazioni possibili delle varie fobie una valida potrebbe
essere quella di stampo psicodinamico che si basa sulla reale pericolosità
degli oggetti e delle situazioni fonte di paura; per cui si va da oggetti e
situazioni obbiettivamente innocue a quelle di pericolo reale.
Mentre il DSM-IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali 4°
edizione) propone la seguente classificazione delle cosiddette fobie
specifiche: a) tipo animali: paura provocata da animali o insetti; b) tipo
ambiente naturale: paura attivata da elementi dell'ambiente naturale, come
temporali, altezze, acqua; c) tipo sangue-iniezioni-ferite: paura provocata
dalla vista di sangue o di una ferita, o dal ricevere un'iniezione od altre
procedure mediche invasive; d) tipo situazionale : paura generata da una
situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare,
guidare, oppure luoghi chiusi; e) altro tipo: paura o l'evitamento di situazioni
che potrebbero portare a soffocare, vomitare o contrarre una malattia; la fobia
dello "spazio" (cioè il timore di cadere giù se si è lontani dai muri o da altri
mezzi di supporto fisico).
A scopo sintetico comunque le fobie che dimostrano di avere una maggiore
incidenza sulla popolazione in generale, sono:
a) la zoofobia (dal greco zóon, "animale") significa paura, avversione istintiva
e morbosa nei confronti degli animali o di certe specie animali. Sigmud Freud
in Inibizione, sintomo e Angoscia (1925), analizzando due casi clinici storici
(quello del piccolo Hans e quello dell’uomo dei Lupi) scrive che l’angoscia
delle zoofobie è angoscia di fronte ad un pericolo che realmente incombe o
che viene giudicato reale: la minaccia d’evirazione. Altro elemento importante
e che qui nelle zoofobie l’angoscia dovuta alla minaccia del danno genera, a
scopo difensivo, la rimozione (TAB 1.3): così il piccolo Hans sviluppa la fobia
del cavallo (simbolo paterno) perché egli rimuove l’impulso ostile nei confronti
del proprio padre, e la pulsione viene quindi trasformata nel suo contrario: da
ostilità verso il padre diventa vendetta del padre contro la propria persona. La
stessa cosa vale per L’uomo dei lupi, dove l’idea angosciosa di essere
divorato dal lupo è ancora una volta il risultato dell’avvenuta rimozione della
propria ostilità verso la figura paterna, oltre ad essere anche espressione di
una regressione dalla fase fallica a quella orale che contiene un impulso
passivo che fa inconsciamente desiderare al paziente di essere amato dal
proprio padre nel senso dell’erotismo genitale;
b) la claustrofobia (dal latino "claustrum"= luogo chiuso) fa riferimento alla
paura irrazionale di essere costretto in luoghi chiusi od angusti. Solo
raramente si presenta come un timore specifico, selettivo ed isolato, per
esempio l’ascensore, il bagno, lo studio di un medico. Più frequentemente la
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fobia è diffusa e può riferirsi a tutti i luoghi chiusi, specialmente se affollati
come negozi, supermercati, autobus, treni, cinema;
c) la paura di volare o aereofobia è molto diffusa e può manifestarsi con
diversi livelli di intensità, dal lieve disagio all’ansia acuta che impedisce a chi
ne soffre di affrontare il volo o la rende comunque un’esperienza
estremamente penosa. I sintomi si manifestano in maniera più intensa prima
dell’imbarco,in tutte le fasi del volo o in altre vissute come “più problematiche”
come il decollo, l’atterraggio o in caso di turbolenze, temporali o forte vento;
d) l’agoràfobia (dal greco "Agorà"=piazza e fobia) letteralmente: fobia della
piazza. Anche se in realtà per agorafobia s’intende la paura degli spazi aperti,
soprattutto piazze, strade, luoghi di campagna, o di montagna e per
estensione anche la paura di uscire di casa, specialmente da soli. In
particolare è il timore circa l'essere in luoghi o situazioni da cui la fuga
potrebbe essere difficile o nelle quali l' aiuto non potrebbe essere disponibile
nel caso si avesse un attacco inatteso. Sigmud Freud, ammettendo di averla
studiata meno a fondo delle zoofobie, la inquadra come paura di tentazioni
sessuali geneticamente connessa col timore dell’evirazione;
e) la fobia sociale. Secondo il DSM-IV è definita dalla paura marcata e
persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali il soggetto
è esposto a persone non familiari od al possibile giudizio degli altri.
L'individuo teme di agire (o di mostrare sintomi di ansia) in modo umiliante od
imbarazzante. Infatti il soggetto affetto da questo tipo di timore presenterà
ansia anticipatoria qualora abbia soltanto il presentimento di dover affrontare
le temute situazioni sociali; proverà una sensazione di disagio estremo che
può sfociare spesso in veri e propri attacchi di panico nelle situazioni
pubbliche reali e sarà costretto a ricorrere all’evitamento fobico per non
cadere nell’intenso malessere, i penosi sentimenti di inadeguatezza ed
umiliazione, nonché lo sgradevole correlato somatico.
Mario Farnè in L’ansia (2003) scrive:
“Philip G. Zimbardo, che alla Stanford University ha condotto importanti
ricerche su questo problema, conclude che il timido, tra l’altro, non ha
difficoltà nel farsi amici o nel godere vari tipi di espe rienze sociali, ma anche
nell’imporsi adeguatamente, nel parlar e apertamente e nel manifestare le
proprie idee. Tra l’altro, egli non riesce a mettersi in buona luce e dà
l’impressione di essere lento e poco in telligente. Gli altri trovano difficile
capire la sua reale personalità, e posso no farsi l’idea che sia un tipo freddo,
ostentato, burbero o debole. Il timi do ha un comportamento pubblico che può
venire considerato come una specie di non comportamento; la sua vita intima,
invece, è un gran tumulto di pensieri, di sensazioni e di reazioni organiche.”
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1.4.3) Il disturbo da attacchi di panico
Il Disturbo da attacchi di panico è una condizione debilitante che colpisce
almeno 1 ogni 75 persone a livello mondiale durante il corso della loro vita.
Approssimativamente un terzo degli individui con disturbo di panico presenta
anche agorafobia. L'età più comune d’esordio è nell’adolescenza e nella
prima età matura, anche se può manifestarsi in qualunque età. Un attacco di
panico è un periodo discreto (15-30 minuti) di disagio intenso, di paura fino al
terrore vero e proprio, che ha come caratteristica distintiva quella di
comparire inaspettatamente e spontaneamente senza essere associato ad
alcuna situazione specifica. Il DAP è associato a numerosi sintomi somatici e
cognitivi come sensazioni di soffocamento, palpitazioni, capogiri o vertigini,
intensa sudorazione, tremori, difficoltà respiratorie, dolore toracico, nausea,
acuto malessere generalizzato, sensazioni di formicolio di caldo-freddo,
arrossimento e disturbi gastrointestinali.
I soggetti riferiscono il timore di morire, di impazzire e di perdere il controllo
delle emozioni o del comportamento. Può insorgere in situazioni
apparentemente normali come per la strada, al lavoro e spesso durante il
sonno in cui i pazienti si svegliano di soprassalto oppure in seguito ad eventi
particolarmente traumatici come la morte di una persona cara od un incidente
grave. Le circostanze in cui si verificano gli attacchi e le penose senzazioni
psichiche e neurovegetative sperimentate spesso portano questi soggetti a
sviluppare comportamenti di evitamento fobico.
In genere si riscontra un’elevata comorbidità del DAP con almeno un episodio
di Depressione Maggiore nel corso della vita del soggetto. Al DAP risultano
frequentemente associati anche il disturbo d'ansia generalizzato, la fobia
sociale, il disturbo ossessivo-compulsivo, i disturbi da abuso di sostanze
come l'abuso di alcolici e di farmaci. La stragrande maggioranza dei pazienti
con attacchi di panico presenta agorafobia più o meno marcata. Attualmente
due sottotipi principali di disturbo di panico sono riconosciuti e codificati nel
DSM-IV che variano nella gravità dell'evitamento fobico: disturbo di panico
senza agorafobia e disturbo di panico con agorafobia. Nei casi di disturbo di
panico con agorafobia si verifica un evitamento di luoghi o situazioni dai quali
la fuga sarebbe difficile, o in cui l'aiuto non sarebbe disponibile. Il grado di
evitamento può variare da moderato fino ad uno stile di vita restrittivo
caratterizzato da un pesante evitamento, che fa sì che l'individuo, stia quasi
sempre chiuso in casa preda di un comportamento gravemente patologico.
Inoltre il soggetto agorafobico diventa estremamente dipendente dalle
persone care (parenti, amici) come aiuto nell’affrontare le situazioni temute.
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