4
INTRODUZIONE
Vi incontreremo continuamente il nuovo altro,
lentamente emergente dal caos e dalla confusione del mondo contemporaneo.
Può darsi che questo altro scaturisca dall’incontro tra le due opposte correnti
che formano la cultura del mondo moderno:
la corrente che globalizza la nostra realtà
e quella che conserva le nostre diversità, la nostra unicità e irripetibilità.
Può darsi che egli ne sia il frutto e l’erede.
Per questo dobbiamo cercare di stabilire con lui un dialogo e un’intesa.
R. Kapuściński
Sono passati ormai vent’anni da quando l’Italia è passata da paese d’emigrazione a
paese di destinazione. Nonostante sia chiaro ormai che i paesaggi sociali e culturali
delle città italiane si siano modificati, diventando multiculturali e plurilingui,
l’immigrazione continua ad essere trattata come un fenomeno da eliminare e gli
immigrati vengono sovente visti dalle istituzioni politiche, dai media e dall’opinione
pubblica come una componente “temporanea e indesiderata” da trattare come
“emergenza”. Le istituzioni ed associazioni che si occupano di immigrazione, hanno
tuttavia da tempo dimostrato che il fenomeno migratorio ha ormai assunto un carattere
strutturale, e che la maggior parte degli immigrati giunti in Italia, vogliono stabilirvisi
definitivamente. Anziché come “problema”, la nuova componente straniera, dovrebbe
essere trattata come risorsa. Solo a partire da questa prospettiva sarà possibile realizzare
efficaci azioni di integrazione tra gli stranieri e gli autoctoni. La scelta di realizzare una
tesi basata sul progetto di apertura di uno spazio interculturale in provincia di Varese,
nasce dalla volontà di diffondere il messaggio interculturale nella provincia nella quale
vivo. Lo spazio interculturale è infatti un chiaro segnale di accoglienza nei confronti
degli stranieri, ma è anche un segno di “rinascita” culturale e sociale nei confronti di
tutta la popolazione della provincia. Per poter sviluppare questo ambizioso progetto è
necessario conoscere sia gli aspetti emotivi e sociali che portano gli individui sulla
strada del razzismo, che gli strumenti della pedagogia interculturale che tentano di
abbatterlo. Inoltre è indispensabile conoscere gli sviluppi del fenomeno migratorio nel
territorio sul quale si intende agire, e quali siano i bisogni e le risorse già in campo.
5
Infine bisogna essere a conoscenza di cosa fa e come funziona un centro interculturale.
La scelta metodologica è stata dunque quella di suddividere la tesi in tre parti.
La prima parte: “Dal razzismo all’integrazione” riporta alcune argomentazioni
teoriche che stanno alla base del razzismo e dell’integrazione, ed è suddivisa in due
capitoli. Il primo riporta lo studio dei motivi delle migrazioni, che sempre più stanno
assumendo un carattere globale, e le cause che portano al razzismo. Quest’ultimo si
manifesta in molti modi diversi, talvolta più visibili come l’etnocentrismo ed il
nazionalismo, altre volte si presenta in maniera meno esplicita, spesso mascherato dietro
discorsi apparentemente innocui. Tra le motivazioni che portano ai pregiudizi e al
razzismo ho riportato una serie di teorie che nel tempo sono state formulate e che
valutano questo problema da diverse angolazioni: psicologica, ideologica, storica,
sociale. Nessuna riesce a spiegare da sola un fenomeno così complesso, unite possono
dare un quadro più chiaro della situazione. Tutte hanno in comune il fatto che gli
stereotipi che si annidano nella nostra mente sono molto difficili sia da riconoscere che
da estirpare. Nessuna tuttavia nega la possibilità di riuscire a debellare questo male, un
lavoro lungo e tortuoso che dovrebbe portare l’uomo a rivedere concettualmente, sia a
livello cognitivo che sociale, i propri confini, riuscendo a renderli più sfumati e
permeabili. Il capitolo procede con l’analisi del neorazzismo culturale, del ruolo dei
mass media nella diffusione dei pregiudizi ed infine dei motivi che portano una parte
degli immigrati verso la devianza e la criminalità. Il secondo capitolo mostra invece i
metodi propri della pedagogia interculturale per attuare in Italia una via verso
l’integrazione delle persone immigrate. Dopo una spiegazione generale su come
possono essere rimossi i pregiudizi e sul perché della pedagogia interculturale, entrerò
più nello specifico delle scuole, che sono l’ambito privilegiato della pedagogia
interculturale, e poi esporrò come queste stesse tecniche siano state riprese da enti ed
associazioni per la promozione dell’intercultura anche in altri ambiti sociali. Infine ho
dedicato un paragrafo ad una nuova figura, molto importante in ambito interculturale,
che è quella del mediatore, ed ho concluso dando risalto ad una “tecnica” propria della
pedagogia, che è quella del metodo narrativo autobiografico, uno strumento utile per
dare voce alle migliaia di storie che stanno intorno a noi e ricostruire assieme la nostra
identità.
6
La seconda parte, “analisi del territorio” riporterà dati statistici inerenti il fenomeno
migratorio, ed uno studio sui bisogni e sulle risorse della provincia di Varese. Infatti
prima di intraprendere un qualsiasi progetto di integrazione, ed in particolar modo
pensare ad uno spazio interculturale, è necessario studiare a fondo, non solo i motivi e le
dinamiche del fenomeno migratorio e le diverse teorie su come eliminare i pregiudizi e
favorire l’integrazione, ma anche analizzare il territorio entro il quale lo spazio
interculturale dovrà operare. A tale scopo mi sono servita dei dati forniti
dall’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità della regione
Lombardia, per capire quanti sono gli stranieri, da dove provengono e come sono
inseriti nel contesto territoriale. In particolare per quanto riguarda quest’ultima voce,
l’Osservatorio ha costruito un “indice di integrazione”
1
in base al quale, migliori sono
le condizioni di status giuridico, iscrizione anagrafica, lavoro, alloggio, padronanza
della lingua italiana, livello di informazione e vita di relazione, maggiore è la possibilità
di una completa integrazione dell’immigrato. Visto che queste caratteristiche sono
molto disomogenee sul territorio nazionale, dopo un breve cenno sul quadro delle
immigrazioni in Italia, analizzerò nel dettaglio la regione Lombardia, per poi
addentrarmi nello specifico della provincia di Varese. Sempre per quanto riguarda la
Lombardia, dopo aver costruito l’indice d’integrazione, mi soffermerò sull’analisi dei
principali progetti di integrazione che sono stati sviluppati nella regione, sulle forme di
associazionismo tra immigrati ed infine delineerò alcune possibili politiche di
integrazione con le minoranze rom e sinte, che rappresentano un caso estremo di
esclusione sociale e mancata integrazione. Per l’analisi della provincia di Varese, oltre a
servirmi dei dati forniti dall’Osservatorio Provinciale sull’immigrazione della
Provincia di Varese, mi servirò anche di altri strumenti: innanzitutto traccerò una breve
storia del territorio di Varese, utile per capire alcune peculiarità di questa provincia, poi
descriverò il panorama politico, in seguito analizzerò personalmente i servizi per gli
immigrati offerti dal territorio, in particolare nel circondario di Varese, Gallarate e
Busto Arsizio, con visite ed interviste alle principali associazioni che si occupano di
immigrati e ad alcune associazioni di immigrati. Infine farò un’analisi di 25 numeri del
quotidiano locale “La Prealpina”
2
per un totale di un centinaio di articoli che riguardano
1
L’immigrazione straniera in Lombardia. La settima indagine regionale. Rapporto 2007, Osservatorio
regionale per l’integrazione e la multietnicità, ISMU, Milano, pp 180-198
2
http://www.prealpina.it
7
la popolazione straniera, per valutare come il principale media della zona affronta il
discorso dell’immigrazione.
La terza parte della tesi: “i luoghi dell’incontro” descriverà la funzione dei centri
interculturali in Italia, e riporterà infine il progetto, da me ideato, riguardante la
realizzazione di uno spazio interculturale in provincia di Varese. Anche questa parte
della tesi sarà strutturata in due capitoli: nel primo spiegherò cos’è e come funziona un
centro interculturale, citerò qual’è la politica italiana per il raggiungimento
dell’integrazione e quali fasi ha attraversato il nostro paese per raggiungerla, parlerò
delle reti dei centri interculturali, in particolare della rete nazionale, approfondirò alcuni
argomenti che dovranno essere affrontati nell’immediato futuro dai centri interculturali
ed infine riporterò un elenco di tutti i centri interculturali d’Italia, soffermandomi sulle
caratteristiche di quattro di essi che sono andata a visitare di persona, intervistando i
responsabili. Nel secondo capitolo esaminando tutto quello che è stato scritto fino ad
ora, stenderò un progetto inerente l’apertura di un centro interculturale nella provincia
di Varese. Questo centro si dovrà rivolgere alla pluralità delle differenze, inventando
nuove forme di socialità e sperimentando nuovi percorsi di convivenza. L’idea è quella
di creare uno spazio dove possa avvenire l’incontro tra culture diverse e dove possano
crearsi e svilupparsi relazioni stabili, in quanto lo scambio e la contaminazione possono
creare nuove e migliori opportunità di vita quotidiana.
8
PARTE PRIMA
DAL RAZZISMO ALL’INTEGRAZIONE
Capitolo 1
LE CAUSE DELLE MIGRAZIONI E DEL RAZZISMO
1.1 I motivi delle migrazioni
Cosa spinge un individuo a lasciare il proprio Paese, i propri affetti, la propria cultura
per iniziare un percorso fatto di difficoltà e solitudini, destinato a giocarsi a lungo tra la
memoria del passato ed un progetto per il futuro pieno di incertezze?
I motivi di una decisione così importante e sofferta sono senz’altro molteplici e
comunque interagenti tra loro. In ogni caso sembra certo che coloro che decidono di
emigrare siano sottoposti ad una notevole "pressione", risultante dall'azione congiunta
di alcuni fattori che li spingono ad uscire e di altri che li attraggono (push-pull factors).
Fattori di espulsione. Tra le cause attuali più rilevanti che spingono enormi masse di
individui a lasciare il proprio paese, ai primi posti vi è senza dubbio l'esplosione
demografica
1
in molti Stati del Terzo e Quarto Mondo: in altri parole si ripropone il
“problema malthusiano del rapporto tra popolazione e risorse”.
2
Mentre nel XVIII secolo la popolazione della Terra aumentava al ritmo di un quarto di
miliardo ogni 75 anni, oggi il medesimo incremento si verifica ogni tre anni. Nel 1825,
quando Malthus terminò il suo Saggio, gli abitanti del pianeta erano un miliardo e
diventarono due miliardi nei cento anni seguenti. Si noti come, al raddoppio della
popolazione del mondo negli ultimi 40 anni (da 2, 5 a 5, 3 miliardi), i Paesi sviluppati
1
G. Garelli, Minori extracomunitari. Diritti e problemi, in "Servizi Sociali", 1991, n. 6, p. 7
2
Thomas Robert Malthus aveva evidenziato il diverso ritmo di crescita tra la popolazione e le risorse
disponibili: la prima aumenta in progressione geometrica mentre i mezzi di sussistenza crescono solo in
progressione aritmetica. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Malthusianesimo
9
abbiano contribuito per soli 400 milioni, mentre i Paesi in via di sviluppo per ben 2,4
miliardi.
Questa esplosione demografica mette in moto una migrazione senza precedenti, dato
che il suo epicentro si trova nelle zone povere del pianeta, dalle quali masse di esseri
umani si spostano verso le zone più ricche e sviluppate. All’aumento della natalità è
unita una brusca caduta del tasso di mortalità anche nei Paesi sottosviluppati, sebbene
quest’ultimo resti molto elevato rispetto a quello dei Paesi Occidentali. Vi è poi il
fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione nei Paesi occidentali,
mentre quella dei Paesi non sviluppati diventa sempre più giovane. Ciò comporta una
contrazione relativa della popolazione in età produttiva nei Paesi sviluppati e, nel
contempo, l'aumento smisurato dell' "esercito di riserva" dei disoccupati nel Terzo
mondo. Il differenziale di crescita della popolazione in età lavorativa tra Paesi non
sviluppati e Paesi sviluppati è in continuo aumento (da 3 a 1 nel 1960, da 9 a 1 nel 1983,
a 13 a 1 nel 2000).
Secondo molti osservatori, la pressione migratoria per motivi strettamente demografici
non sarebbe un fattore di espulsione incontrollabile senza il concomitante
peggioramento delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione. Per la
crescente diversificazione interna nei Paesi poveri, ma anche in quelli a livello
intermedio, il numero delle persone in assoluta povertà è in aumento. D'altra parte, nel
rapporto Paesi poveri-Paesi ricchi, si constata un drammatico divario: l'80% della
popolazione mondiale ha a disposizione solo il 20% delle risorse, in quanto il 20% della
popolazione dei Paesi ricchi consuma l'80% delle risorse del mondo.
Molti abitanti dei Paesi del Terzo mondo sono sottoposti a forti migrazioni interne verso
le città; ciò determina un processo di urbanizzazione incontrollato, che provoca altra
povertà, degrado ambientale, tracollo dei trasporti e dei servizi essenziali.
In molti Paesi, l'unica risposta ai problemi sempre più gravi di tipo economico e sociale
è stata la dittatura al servizio di ristrette oligarchie o di posizioni di potere. Nei primi
anni '70, dall'America del Sud, dalle Filippine, ma anche dai Paesi a noi più vicini:
Grecia, Turchia, Polonia, milioni di esuli si sono riversati in Paesi a democrazia ed
economia consolidata.
Se la tipologia del "rifugiato politico" è ampiamente riconosciuta ed accettata, "non
rientrano, invece, nell'ambito delle protezioni internazionali i rifugiati economici, per i
10
quali vale lo stesso principio di espulsione dal paese di origine: l'impossibilità o l'incerta
possibilità di sopravvivenza fisica nel proprio territorio, questa a motivo della non
disponibilità di lavoro".
3
Ala crescita della popolazione nei paesi del Sud del mondo corrisponde in generale uno
sviluppo delle risorse economiche assolutamente modesto, con un incremento dello
squilibrio tra risorse e popolazione
4
. Non solo c’è un eccesso di forza lavoro
inutilizzata in generale, ma c’è anche l’impossibilità di assorbimento di forza lavoro
dotata di elevato capitale umano, di elevato livello di scolarizzazione. Tutto ciò
comporta un ulteriore spreco di risorse per i paesi di emigrazione, infatti attraverso la
scolarizzazione si valorizza un capitale umano che non può essere utilizzato in loco per
mancanza di opportunità occupazionali e che, in ultima analisi è costretto ad emigrare.
Si fa un investimento sulla formazione di un giovane in Egitto, in Senegal o nelle
Filippine per creare un tecnico agricolo, un economista o un insegnante e si ottiene il
risultato di avere in Italia un venditore ambulante, un cameriere o una domestica.
Ovviamente lo spreco di capitale umano si verifica anche se queste persone dotate di
elevato livello di qualificazione o scolarità non partono ma restano nel loro paese di
appartenenza disoccupati o inoperosi.
In alcune aree geografiche, ai fattori sopracitati, si aggiungono situazioni di grave
degrado ecologico. In generale, la situazione ambientale nei Paesi del Sud del mondo
sembra essere divenuta negli ultimi anni più grave di quella dei Paesi del Nord. "Il
problema che si presenta con maggiore evidenza è la diminuzione del suolo adatto allo
sfruttamento agricolo. Le cause di questo fenomeno sono molte: l'avanzata dei deserti
causata dai cambiamenti climatici e dalle attività umane, la progressiva salinizzazione
dovuta all'intensa vaporizzazione che avviene in un suolo tropicale sottoposto ad
irrigazione; l'erosione causata da un cattivo sfruttamento del territorio; l'urbanizzazione
che avviene in modo incontrollato; l'allevamento intensivo di animali destinati ai
consumatori del Nord; l'uso del territorio per la coltivazione di un unico prodotto.
Inoltre la distruzione delle foreste (specialmente in America Latina) per dare spazio ai
pascoli, per il commercio di legni pregiati o per lo sfruttamento delle ricchezze del
sottosuolo; le discariche ad alto rischio di materiale fortemente inquinante proveniente
3
CARITAS di Roma, Immigrazione. Dossier statistico '95, Anterem, Roma, 1995, p. 16
4
M.I. Maciotti, E. Pugliese, L’esperienza migratoria, Immigrati e rifugiati in Italia, Ed. Laterza, Bari,
2003, pp. 9 e 21
11
dalle industrie dei Paesi del Nord; l'uso di pesticidi tossici che negli Stati industrializzati
sono proibiti da tempo. Paradossalmente, molti dei problemi che riguardano le sorti
dell’agricoltura nei paesi poveri, dipendono non solo dallo sfruttamento del territorio da
parte dei paesi ricchi, ma persino dalle politiche di sviluppo messe in atto in passato: la
cosiddetta “rivoluzione verde
5
” rappresenta uno dei più chiari effetti contradditori delle
politiche di aiuto ai paesi del terzo mondo promosse dai paesi ricchi e dagli organismi
internazionali. Per “rivoluzione verde” si intende la diffusione su vasta scala di nuove
varietà agricole, ad alta produttività per ettaro, basata su sementi selezionate e ibride. Il
problema è che produzioni di questo tipo non sono praticabili dappertutto, ma solo in
terreni irrigui (o resi tali da interventi di miglioramento fondiario, di bonifica e
irrigazione). Inoltre per la coltivazione è necessario il ricorso sistematico e crescente ai
fertilizzanti, ai pesticidi e ai semi ibridi. Per i contadini più poveri l’accesso a questi
mezzi tecnici è economicamente impossibile. Di conseguenza, un’iniziativa che aveva il
compito di incrementare la produzione agricola e il reddito complessivo dei contadini ha
finito per tradursi in una fonte di accentuazione delle disparità sociali e di ulteriore
emarginazione dei contadini più poveri. Con la rivoluzione verde, più che un aumento
della produzione agricola nei paesi sottosviluppati, si è realizzata una sua
concentrazione nelle grandi aziende capitalistiche, con aumento della dipendenza dai
paesi più ricchi. La “rivoluzione verde” assieme agli altri aspetti di degrado ecologico
sopra citati, rappresentano alcuni degli aspetti della globalizzazione che hanno
aggravato la condizione dei paesi più poveri e accentuato la spinta al’emigrazione,
prima in direzione delle grandi città del Terzo Mondo e poi verso i paesi sviluppati,
tanto che nei più recenti studi si è iniziato ad individuare una nuova "categoria" di
emigranti: i profughi ambientali o ecologici".
6
Fattori di attrazione. Abbiamo considerato quanto siano determinanti i fattori demo-
socio-economici tra le cause di espulsione. Ora si sottolineerà quanto il fattore
economico si riveli importante anche quale elemento di attrazione.
Innanzitutto, rappresentano fonti di richiamo le forti differenze tra le retribuzioni delle
Nazioni sviluppate e quelle dei Paesi sottosviluppati: in Italia (che non vanta, tra i Paesi
5
M.I. Maciotti, E. Pugliese, L’esperienza migratoria, cit., pp. 7-10
6
G. BIANCARDI, P. GALEOTTI, G. PASQUINI (a cura di), Materiali didattici sull'immigrazione,
Cestim-Mlal, Verona, 1994, p. 15.
12
occidentali, le retribuzioni più alte) il salario di fatto nel lavoro domestico è anche 10
volte più alto dello stipendio di un diplomato o laureato in molti Paesi del Terzo mondo.
Un ulteriore fattore di attrazione è la domanda di manodopera da parte di alcuni Paesi
sviluppati, determinata dalla consistente contrazione della popolazione in età produttiva
nel mondo occidentale. La manodopera straniera, d’altro conto, è "a basso costo, ad alto
livello di ricattabilità e ad elevata flessibilità"
7
:
- a basso costo, in quanto sfugge alla contrattazione sindacale;
- ricattabile, in quanto spesso clandestina;
- flessibile, nel senso che è disposta ad accettare ritmi, orari da tempo non più
accettati dalla manodopera locale, ma anche disposta ad essere occupata in
lavori nocivi o molto pesanti.
Diversi studiosi dei movimenti migratori
8
, tra cui Nigel Harris e Saskia Sassen, hanno
sostenuto la necessità di tenere conto della domanda di lavoro, del bisogno di
manodopera dei paesi ricchi. Entrambi ritengono che la letteratura in materia abbia
sempre sottovalutato il ruolo della domanda di lavoro nell’attivare i movimenti
migratori, i quali, secondo le tesi presenti, sarebbero determinati solo da un effetto
spinta, ovvero dalla posizione poltico-economica dei paesi di provenienza. Se si parte da
questo assunto risulta naturale la politica di chiusura delle frontiere esercitata dai paesi
ricchi. Tuttavia le frontiere sono spesso chiuse solo a metà, nel senso che un certo
numero di immigrati riesce comunque a filtrare attraverso le maglie del protezionismo.
Ciò non avviene per caso ma perché nei paesi sviluppati c’è un crescente bisogno di
manodopera caratterizzata da salari e condizioni di lavoro modesti. “Un esercito di
ufficiali non può combattere”, quanto più la forza lavoro dei paesi sviluppati si
specializza, tanto più necessario diviene il supporto di lavoratori generici e, in
un’economia aperta, essi proverranno da paesi in via di sviluppo, legalmente o
illegalmente. La loro condizione di inferiorità, la loro bassa qualificazione
professionale, il reddito basso e la protezione minima, trova la base anche nella retorica
dell’invasione. Solo la presa di coscienza del loro ruolo positivo nell’economia dei paesi
sviluppati può favorire un processo di promozione sociale. Una politica di chiusura
determina ingressi illegali e condizioni di irregolarità.
5
G. GARELLI, Minori extracomunitari. Diritti e problemi, in "Servizi Sociali", p. 9.
8
M.I. Maciotti, E. Pugliese, L’esperienza migratoria, Cit, pp. 18-20
13
Inoltre, la pubblicizzazione di uno stato di benessere diffuso nei Paesi dell'occidente
industrializzato produce un sicuro fascino sugli abitanti dei paesi di provenienza dei
migranti. "Molto spesso chi parte è attratto dai modelli di vita e consumo delle società
occidentali, proposti attraverso i mass-media, il contatto con turisti e missionari, le
attività di promozione della propria immagine che i Paesi sviluppati svolgono tramite le
ambasciate e i propri centri culturali nei Paesi del Sud del Mondo. Così prende corpo
negli Stati poveri un'immagine stereotipata dei Paesi industrializzati: opulenti, modelli
di democrazia, aperti all'incontro con culture diverse, disposti ad accogliere chi è in
cerca di lavoro (la stessa immagine che avevano dell'America i nostri emigranti
all'inizio del novecento)".
9
Così scrive Bay Mademba
10
, un immigrato senegalese nel
suo libro:
Quando ero in Senegal, a otto anni ho sentito pronunciare da qualcuno il nome dell’Italia;
tuttavia il primo nome di un paese europeo che ho conosciuto è stata la Grecia. Il babbo di un
mio amico lavora sui pescherecci di armatori greci, i quali raccontavano delle cose meravigliose
su quel che accadeva lassù, in Europa. Io mi immaginavo chissà che, mentre, ora che ci vivo,
vedo che la realtà è ben diversa dai miei sogni.
A questo proposito scrive Enzesberger:
Nessuno emigra senza una promessa. In passato, i media della speranza erano le saghe e le
dicerie. La terra promessa, l'Arabia felix, la mitica Atlantide, l'EI Dorado, il Nuovo Mondo:
queste erano le magiche narrazioni che spingevano molta gente a partire. Oggi, invece, sono le
immagini ad alta frequenza, che la rete mondiale dei media porta fin qui nel più sperduto
villaggio del povero mondo. Il loro contenuto di realtà è ancora minore di quello delle leggende
degli inizi dell'età moderna, ma il loro effetto è incomparabilmente più forte. In particolare la
pubblicità, che nei Paesi ricchi dove è prodotta viene intesa senza problemi come un semplice
sistema di segni senza referenti reali, nel Secondo e Terzo Mondo passa per una descrizione
attendibile di un possibile modo di vita. Essa condiziona in parte l'orizzonte delle aspettative
legate alla migrazione.
11
Oltre alle aspettative proposte dai mass-media, un’ulteriore fonte di attrazione per i
migranti, è rappresentata dagli squilibri demografici fra i paesi ricchi e quelli poveri.
Nei paesi industrializzati si è manifestato l’abbassamento del livello di fecondità e
l’aumento degli anziani. Alla riduzione delle nascite e all’invecchiamento della
9
G. Binancardi, P. Galeotti, G. Pasquini (a cura di), Materiali didattici sull'immigrazione, p. 17
10
B. Mademba, Il mio viaggio della speranza, dal Senegal all’Italia in cerca di fortuna, Bandecchi e
Vivaldi editori, Pontedera, 2006, p. 7
11
H.M. Enzersberger, La grande migrazione, Einaudi, Torino, 1993, p. 14.
14
popolazione nei paesi sviluppati, soprattutto in Italia, si contrappone una crescita
incessante della popolazione nelle zone più povere.
Ciò comporta delle conseguenze rispetto alla ripartizione delle risorse, al funzionamento
del mercato del lavoro, alle politiche sociali, alla vita relazionale a livello individuale e
familiare.
Pertanto, anche nel prossimo futuro è improbabile un arresto dei flussi migratori: “Non
è realistico concepire un mondo globalizzato dal movimento sempre più veloce di
capitali, di informazioni, di turisti ed aspettarsi che la gran massa degli esseri umani
smetta di praticare la mobilità, che è una costante millenaria”
12
. In realtà, a fronte di una
diminuzione della popolazione attiva locale e di una crescente richiesta di servizi da
parte degli anziani, tali spostamenti dovrebbero essere considerati come delle vere
risorse e delle potenzialità. L’evoluzione dei rapporti tra singoli stati nazionali in
seguito al processo di globalizzazione, costituisce di certo la premessa perché il
fenomeno migratorio perda la connotazione di transitorietà, di marginalità o persino di
elemento “patologizzante”, e sia gradualmente riconosciuto nei suoi caratteri strutturali
e sistemici.
Da alcuni anni è sempre più fattore di attrazione anche il desiderio di ricongiungersi
13
con un familiare precedentemente emigrato. L’immigrazione sta diventando sempre più
un fatto strutturale, una componente sociale che attraversa la nostra vita quotidiana. I
nostri paesi si arricchiscono di nuovi arrivi, non si tratta più solamente del lavoratore
straniero, provvisorio e in transito ma anche dei coniugi e dei figli rimasti fino a questo
momento in patria. Il passaggio dallo stato di lavoratore immigrato a quello di capo di
famiglia, permette al padre non solo di creare la sua famiglia nel paese d’immigrazione,
ma di dotarla di un’unità e soprattutto, se possibile, di un progetto comune.
Da progetto e viaggio di singoli, l’immigrazione diventa, quindi, familiare, coinvolge
soggetti diversi e pone all’interno del nucleo familiare e nei servizi, nuove domande e
nuovi bisogni. E’ per la sua ricchezza, la sua diversità, la sua complessità che
“l’immigrazione familiare”
14
si distingue dal singolo lavoratore immigrato, e questo
12
L. Pati., Ricerca pedagogica ed educazione familiare, Studi in onore di Norberto Galli, Estratto, Vita e
Pensiero, Milano, 2003, p. 717.
13
Tesi di laurea in scienze dell’educazione di S. Longhi, Problematiche educative nell’emigrazione
femminile e familiare, anno accademico 2005/2006, pp. 18-25.
14
L’arrivo delle donne e dei figli costituisce un motivo di forte modificazione anche rispetto ai consumi:
i migranti singoli (soprattutto uomini), nella prima fase della migrazione sono volti al risparmio
15
certamente non manca di influire sul progetto migratorio, si pensi alla scolarizzazione
dei figli, alla ricerca di un alloggio adeguato, ai bisogni sanitari, alla modificazione dei
consumi, all’acquisizione, più tardi, della nazionalità sia da parte dei genitori sia dei
figli. L’acquisizione della nazionalità, se da una parte sancisce l’insediamento definitivo
nel paese di immigrazione e la rinuncia al ritorno nel paese natale, non esprime tuttavia
la dimenticanza delle proprie origini e della propria cultura, queste possono anzi
assumere forme tanto più simboliche nelle appartenenze e nei riferimenti identitari
quanto più è definitiva la rinuncia al ritorno. In effetti, mentre il singolo si può trovare
in una condizione di tendenziale “invisibilità”, la presenza dell’intero nucleo familiare
comporta un diverso tipo di relazione con l’ambiente circostante.
Nella storia, la migrazione non è affatto un fenomeno nuovo, al contrario, è un processo
fondamentale e ricorrente della mobilità e dell’amalgamarsi del genere umano. Le
grandi ondate migratorie
15
di popoli che muovevano da un luogo all’altro hanno avuto
un impatto enorme nel modellare il mondo. Attraverso tutta la storia la migrazione ha
creato popoli sradicati. Le stesse culture locali sono state spesso radicalmente cambiate
e modellate dalla migrazione: sono state trapiantate, distrutte, amalgamate. Si possono
ripercorrere molti processi migratori di grande portata nel passato, talvolta volontari,
spesso costrittivi: dall’occupazione di quasi tutti i territori emersi da parte dell’homo
sapiens al commercio degli schiavi e la conquista del nuovo mondo (tra il 1500 ed il
1800 si trasferirono in America circa due milioni di europei e sei milioni di schiavi),
dalle grandi migrazioni intercontinentali che fecero partire in cerca di fortuna 50 milioni
di europei tra il 1850 ed il 1914, fino alle migrazioni di manodopera nel dopoguerra.
Queste ebbero il massimo sviluppo dopo il 1945 e riguardarono milioni di lavoratori,
che dalle regioni periferiche dell’Europa e dai paesi coloniali o ex coloniali, si
trasferirono nei centri urbani e industrializzati dell’Europa.
sull’alloggio, sul cibo, sull’abbigliamento, etc., per dimostrare il proprio successo economico nel paese
d’origine. Con l’arrivo dei familiari, s’impongono nuovi comportamenti e nuovi consumi, e spesso la
contraddizione tra le condotte precedenti e quelle successive ai nuovi arrivi, può essere causa di conflitto,
poiché occorre prestare attenzione ai desideri e ai bisogni individuali. Fonte: Tesi di laurea in scienze
dell’educazione di S. Longhi, Problematiche educative nell’emigrazione femminile e familiare, anno
accademico 2005/2006, pp. 18-25.
15
D. Massey, P. Jess (a cura di) Luoghi, culture e globalizzazione, UTET libreria, Torino, 2001, pp. 3-32