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INTRODUZIONE
La scelta dell’argomento da trattare nel lavoro conclusivo del percorso di
studi universitari, rappresenta una tappa particolare. Sembra quasi sia uno
spartiacque tra un prima, pieno di momenti duri e indimenticabili, e un
dopo carico di aspettative. E’ un anello di congiunzione, a metà tra le
esigenze didattiche e le proprie aspirazioni; esso rappresenta la voglia di
approfondire qualcosa che sentiamo appartenerci, nel tentativo di trovare
una chiave di lettura valida, per proporre il proprio punto di vista. Nel mio
caso, appassionata di arti figurative, e nello specifico di fotografia, il mondo
della percezione visiva ha rappresentato un terreno fertile per avanzare una
proposta di tesi.
In questo lavoro affronterò un’analisi dei processi percettivi umani,
osservati attraverso l’occhio attento degli psicologi gestaltisti. I lavori di
Rudolf Arnheim rappresentano forse il principale punto di riferimento di
questa discussione.
Il primo capitolo aspira ad essere una degna introduzione dei principi
fondamentali della psicologia della Gestalt; regole che governano i processi
percettivi e che spiegano in parte una serie di fenomeni a cui spesso siamo
esposti, ma che non smettono di sorprenderci, come le illusioni ottiche. Più
in generale questa prima parte del lavoro delinea i passaggi fondamentali
del processo visivo, affrontato anche dal punto di vista strettamente
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fisiologico. La discussione continua nel secondo capitolo con un
approfondimento del processo evolutivo che accompagna la crescita di
ciascuno di noi, sin dalla nascita. In realtà lo sviluppo percettivo dei
bambini, con particolare attenzione ai vari stadi che scandiscono la
creazione grafica infantile, rappresenta un elemento di forte validità in un
contesto teorico come questo, in quanto si presta bene alla costruzione di
un’analogia con lo sviluppo delle arti grafiche nella storia.
Il terzo capitolo affronta l’intera linea di sviluppo dell’arte pittorica (intesa
come fondamento delle arti figurative), e ne descrive i passaggi che la
traghettano dalla linearità alla tridimensionalità. Abbiamo ritenuto
fondamentale riportare i passaggi storici determinanti per la nascita della
prospettiva isometrica e ancor più della prospettiva centrale, con un occhio
di riguardo all’epoca di riferimento. L’attenzione volta al periodo
rinascimentale ci consentirà infatti di scoprire che ad esso risale anche la
messa punto, da parte di Leonardo da Vinci, del primo esempio di camera
oscura, antenata della moderna fotografia. Infine, il quarto capitolo, è un
tentativo di approfondimento della pratica fotografica, considerata sotto vari
punti di vista. L’importanza del mezzo fotografico nella storia, e il dualismo
che ne ha definito il rapporto con la pittura (un rapporto di attrazione e
repulsione) risultano fondamentali per l’introduzione di un nuovo punto di
vista. Se accettata come arte, la fotografia può essere paragonata all’occhio
umano. Il tentativo di affermare questa idea, inciampa però nella critica che
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James Gibson muove proprio all’istantanea fotografica. Partiremo proprio
da qui: affrontando il problema della resa del movimento in fotografia,
cercheremo di dimostrare che le possibilità risolutive offerte da questo
mezzo, per ovviare ai disagi causati da quello che sembra un paradosso (il
movimento fotografico appunto), ci forniscono gli elementi necessari per
ascrivere la pratica fotografica nella famiglia delle arti. Nella versatilità di
entrambi i dispositivi, occhio e obiettivo fotografico, riusciremo infine a
trovare l’elemento comune che porremo a fondamento dell’analogia.
Al fine di creare un contesto discorsivo appropriato, riteniamo opportuno
inserire qui di seguito, qualche cenno sui processi percettivi umani ed in
particolare sulle teorie della percezione che orbitano intorno alla Teoria
della Gestalt.
Lo studio della percezione visiva poggia su quella che viene definita
scienza psicologica, ma che in realtà ha faticato non poco per acquisire
questo status. L’interesse per la percezione e i suoi meccanismi risale ai
tempi dei filosofi greci, ma dobbiamo attendere la seconda metà del XIX
secolo perché siano dedicati studi sistematici alla questione. Gli studi di cui
si parla prendono forma dall’intersezione di ricerche inerenti campi del
sapere completamente differenti: nell’ambito della fisica e in quello relativo
alla fisiologia si rintracciano i primordi di quella che, col tempo, sarebbe
divenuta una ricerca scientifica propriamente psicologica. Tuttavia alla
nascita della psicologia scientifica contribuirono anche studi di
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neurofisiologia, frenologia, persino di astronomia. La situazione culturale e
filosofica dell’Ottocento metteva in rilievo un’esigenza di rigore e
scientificità propria delle scienze matematiche, come elemento
fondamentale di ogni disciplina che ambiva al riconoscimento di scienza.
Per tale ragione la definizione della disciplina psicologica sembrava
convergere verso l’applicazione, anche in tale ambito, di procedimenti
scientifico- matematici. Tra i nomi che tentarono di dare alla psicologia un
volto nuovo, conferendole un carattere sperimentale, ritroviamo Weber,
Fechner, Müller ed Helmholtz. Nel tentativo di fornire una chiave di lettura
utile alla comprensione del lavoro che ci apprestiamo a svolgere sembra
necessario proporre un breve excursus tra le principali teorie che hanno
caratterizzato nel tempo lo studio sulla percezione.
Secondo la Teoria Empirista (che si associa generalmente a Hermann von
Helmholtz) la percezione della realtà è influenzata dal bagaglio di
conoscenza pregressa immagazzinato mediante l’esperienza. Inoltre essa è
concepita come il risultato dell’interazione di tale esperienza pregressa con
i dati sensoriali provenienti dall’esterno, di cui sono responsabili i processi
di associazione che agiscono come inferenze inconsce.
La Tesi Innatista attribuisce le capacità percettive a particolari strutture
proprie del sistema nervoso. Il padre fondatore di tale teoria è Ewald
Hering, che sosteneva con chiarezza l’esistenza di principi organizzatori
della percezione, precedenti l’esperienza e legati a strutture
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neurofisiologiche del sistema nervoso. Fondamentale nell’affrontare un
discorso sulla percezione visiva è la Teoria della Gestalt, punto di
riferimento costante per tutto il lavoro di analisi svolto in questa sede. Gli
psicologi cui si deve l'elaborazione della teoria della Gestalt sono Max
Wertheimer, Wolfgang Köhler e Kurt Koffka. La data di nascita del
movimento gestaltista è posta solitamente intorno al 1912, anno di
pubblicazione del lavoro svolto da Wertheimer sul movimento apparente.
La definizione di Gestalt ci riporta all’idea di una Forma, essenzialmente
un insieme strutturato, le cui parti non sono connesse casualmente, ma
legate l’una all’altra da un rapporto intrinseco e significativo, tale che la
visione d’insieme trascende la mera somma degli elementi costituenti,
divenendo un tutto che è più della somma delle sue parti. I Gestaltisti
intendono l’esperienza percettiva come un fenomeno basato su insiemi
percettivi precostituiti ed organizzati in maniera significante
1
: essi
affermano l’idea di una percezione gestaltica, vale a dire strutturata, non
atomistica, che non è più nettamente separata dalla sensazione. In tal modo
viene smantellata la teoria basata sui postulati associazionisti che
definivano la psicologia tradizionale. La percezione è ora intesa come un
fenomeno risultante dall’interazione dinamica delle forze componenti un
singolo stimolo. La distribuzione di queste forze percettive avviene grazie a
principi di organizzazione percettiva, che consentono di strutturare tutti i
fattori interagenti in un’unica totalità coerente e strutturata, definita
1
Arneheim R., Arte e percezione visiva, pag 11
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Gestalten. Ecco che le esperienze sensoriali non si riducono ad impressioni
caotiche, né alla somma di singoli elementi, ma divengono una struttura
organizzata gerarchicamente. Proprio gli studi di Wertheimer sul
movimento stroboscopico servirono a dimostrare che la percezione di unità
strutturate precede logicamente quella dei singoli elementi.
La Teoria della Gestalt giunge così ad affermare che la percezione avviene
partendo dal tutto e procedendo poi verso le parti: essa poggia su
configurazioni strutturali, vale a dire su categorie sensorie generalizzate
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,
richiamate di volta in volta da un certo stimolo che rientra nella suddetta
categoria. Per quanto attiene al ruolo dell’esperienza, i Gestaltisti non ne
eliminano del tutto il contributo nel processo della percezione, anzi ne
riconoscono l’influenza in determinate condizioni. Tuttavia, il primato
conferito all’esperienza, e quindi alla conoscenza pregressa dagli empiristi,
è del tutto smantellato e assoggettato a quelle che i gestaltisti identificano
come le leggi della Gestalt-psychologie. Possiamo rintracciare tra queste
leggi, che sono in realtà numerosissime, una serie di punti saldi che ne
definiscono i caratteri principali.
Un campo percettivo è un sistema dinamico che tende a strutturarsi e in cui
le singole forme compaiono già organizzate; inoltre esse presentano delle
relazioni che ne definiscono il significato. L'emergere delle forme in un
campo percettivo è dovuto alle condizioni del campo e alle relazioni formali
2
Arneheim R., Arte e percezione visiva, pag 58
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esistenti fra gli elementi del campo stesso: si parla a tal proposito di principi
organizzativi innati, ciascuno rappresentante una particolare tendenza ad
organizzare gli stimoli visivi in una certa direzione. Sulla base delle
possibili modalità di raggruppamento degli elementi di un pattern visivo
distinguiamo le leggi di somiglianza, pregnanza, prossimità, chiusura,
continuità di direzione.
Legge della somiglianza: gli elementi che presentano caratteristiche simili
vengono percepiti come uniti in un’unica forma.
Legge della pregnanza (o della buona forma): ciò che determina
l’apparire delle forme è la caratteristica di “pregnanza” o “buona forma” da
esse posseduta: quanto più regolari, simmetriche, coesive, omogenee,
equilibrate, semplici, concise esse sono, tanto maggiore è la probabilità che
hanno d’imporsi alla nostra percezione.
Legge della prossimità: quanto più vicini sono gli elementi di un certo
pattern visivo, tanto maggiore sarà la coesione con cui saranno percepiti.
Legge della chiusura: la nostra mente è predisposta a fornire le
informazioni mancanti per chiudere una figura, pertanto i margini chiusi o
che tendono ad unirsi si impongono come unità figurali su quelli aperti. Per
cui le linee che formano delle figure chiuse tendono ad essere viste come
unità formali.
Legge della continuità di direzione: gli elementi vengono uniti in forme in
base alla loro continuità di direzione (si consideri, ad esempio, una serie di
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elementi posti l’uno di seguito all’altro: essi saranno percepiti come uniti in
base alla direzione e alla forma della loro disposizione spaziale).
Oltre a tali principi, alla capacità percettiva è associata anche la possibilità
di riconoscere e distinguere la figura dallo sfondo; le innumerevoli relazioni
che questi due elementi stabiliscono dipendono da una serie di fattori in
grado di conferire un ruolo preciso e di volta in volta diverso a ciascuno dei
due. La facoltà percettiva, grazie alle leggi innate di cui parlano i gestaltisti,
riesce a riconoscere e separare facilmente (salvo che in casi particolari) la
figura dallo sfondo. Tuttavia è possibile incorrere in pattern più complessi,
in cui le forze agenti definiscono una instabilità tale da provocare una
inversione: ne sono un esempio le figure reversibili
3.
1. Coppa di Rubin
3
Le figure reversibili provocano un’alternanza periodica e regolare tra figura e sfondo,
derivante dall’attribuzione del contorno condiviso all’uno o all’altra porzione delimitata
del pattern. Per tale ragione risulta impossibile percepire contemporaneamente entrambi
gli elementi come figure.
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Questo esempio ci mostra come sia possibile riconoscere in un unico
pattern due immagini differenti: un calice nero (la porzione di piano in nero
è percepita come la figura rispetto allo sfondo bianco illimitato), oppure due
volti di profilo posti l’uno di fronte all’altro (la porzione di piano in nero
diventa lo sfondo mentre le due parti laterali divengono elementi di una
nuova figura). Da questo esempio possiamo constatare che le figure
reversibili mettono in evidenza la scelta obbligata, da parte dell’osservatore,
di concentrarsi prima sull’una poi sull’altra delle due configurazioni
alternative, costretto nell’impossibilità di percepirle contemporaneamente.