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ABSTRACT
This is a thesis about animality, this is a thesis about Sigmund Freud.
Animality doesn’t seem one of the most important psychoanalytic themes,
nevertheless the title of this thesis is: Sigmund Freud’s animals. Did Freud have a
zoological vision? This is own question.
In the first chapter, I am going to present animals in the Freud private life and
during his pre-psychoanalytic years. The young Sigmund, during his medical study,
made several researches about zoology e animal physiology, first with Carl Claus
and then whit Ernst von Brücke. In the laboratory he worked with eels, crayfishes
and some species of fishes.
In 1925, Freud gave to Anna, his daughter, Wolf, an Alsatian black dog. Wolf
was the first dog in the Berggasse house. It was followed by a succession of chows,
Freud’s favourite race. The first was a Dorothy Burlingham’s gift, her name was Lin
Yug or Lun Yu. Then arrived Jo-fi and at the end Lün. The psychoanalyst loved and
respected his dog for all his life.
Then the real animals in the Freud’s life, in the second chapter, I am going to
present the long and heterogeneous series of symbolic and representative animals of
the Freud’s works. We have dogs, wolfs, mice, horses, birds, insects and so one. In
the chapter there are also the presentations of the most famous cases history as the
wolf man, the rat man and the little Hans.
From all of this treatments it will constitute the theoretical nucleus that is
presented in the third and last chapter. Freud established a collection of fable about
animals out of the menageries of his analysands as well as his own textual,
extratextual and extraanalytic experiences; but did he have a zoological vision? I
going to try to understand the Freud’s thought and answer at this particular question.
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INTRODUZIONE
L’animalità non sembra rientra nelle tematiche portanti della psicoanalisi
di Sigmund Freud, eppure questa tesi porta il seguente titolo: Gli animali di
Sigmund Freud. Prendendo in considerazione i numerosi riferimenti freudiani agli
animali, che qualsiasi lettore delle opere dello psicoanalista viennese avrà avuto
modo di notare e la centralità affettiva che ebbero i vari esemplari di razza chow,
che negli anni popolarono la casa della Bergasse, nella vita di Freud, abbiamo
provato a rintracciare un possibile filo rosso dell’animalità tanto nella vita privata
quanto nelle opere e negli studi dello psicoanalista viennese. È possibile attribuire
a Freud una vera e propria visione zoologica? Sarà questo l’interrogativo al quale
cercheremo di dare una risposta nel corso di questo elaborato.
Il giovane Sigmund, negli anni dedicati agli studi medici, ebbe la
possibilità di portare avanti una serie di ricerche inerenti la zoologia e la fisiologia
animale. Nel corso degli studi sperimentali Freud entrò per la prima volta in
contatto con una serie di animali da laboratorio, come le anguille, i gamberi e
alcune specie di pesci. Sotto la guida prima di Carl Claus e poi di Ernst von
Brücke, Freud operò su questi animali fin quando decise di abbandonare
definitivamente gli studi scientifici e sperimentali, dando avvio alla propria
carriera psicoanalitica.
Oltre a questo primo approccio scientifico al mondo animale,
l’adolescenza del giovane Freud fu interessata da due particolari, quanto
interessanti, episodi inerenti gli animali, rintracciabili entrambi nella
corrispondenza adolescenziale intrattenuta da Freud con l’amico Eduard
Silberstein. I due, che si scrissero per circa dieci anni, erano soliti apostrofarsi con
i nomi di due cani, protagonisti della novella di Cervantes Il colloquio dei cani,
Berganza e Cipion. Inoltre, sempre nelle missive indirizzate a Silberstein, il
giovane Sigmund, attraverso un curioso gioco di parole, amava far riferimento
alla bella Gisella Fluss, suo primo amore, con il nome di una creatura fluviale
estinta, l’Ichthyosaura.
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Solo nel 1925 però gli animali entrarono veramente a far parte della vita
dello psicoanalista viennese. Freud infatti regalò alla figlia Anna un lupo nero
alsaziano che la giovane chiamò Wolf. Il primo cane fu seguito da una serie di
esemplari tutti di razza chow, per la quale Freud sviluppò una vera e propria
passione, che susseguendosi accompagnarono lo psicoanalista per l’intero corso
della sua esistenza. Il primo esemplare, dono di Dorothy Burlingham, era una
femmina di nome Lin Yug (o Lun Yu secondo altri biografi), seguita da Jo-fi e
infine da Lün. Jo-fi rimase in casa Freud per circa sette anni; ad essa furono
concessi privilegi unici nella casa della Berggasse. Si può ricordare infatti che la
cagna fu l’unica a essere ammessa nello studio dello psicoanalista anche nel corso
delle sedute analitiche. Lün invece accompagnò Freud fino a Londra e fu l’unica
consolazione avuta dallo psicoanalista nel corso della sua lunga agonia dovuta al
male che lentamente lo portò alla morte nel 1939. Ai vari esemplari di razza chow
si accompagnarono una gatta, che quasi di prepotenza si ritagliò un angolo sulla
poltrona di Freud e un esemplare di pechinese Jumbo, che però non entrò mai
nelle grazie dello psicoanalista. Queste furono le comparse animali reali nella vita
dello psicoanalista, che verranno prese in considerazione nel primo capitolo del
seguente elaborato.
Agli animali per così dire reali, si accompagnarono un’eterogenea serie di
animali simbolici e rappresentativi estrapolati dai sogni, dalle allucinazioni, dalle
zoofobie e dai deliri trattati da Freud nel corso del suo lungo operato da analista.
Agli scritti e agli studi di natura analitica faremo appunto riferimento nel secondo
capitolo. La trattazione sarà suddivisa in capitoli contrassegnati dal nome della
specie animale presa in considerazione. Avremo cani, topi, cavalli, uccelli, insetti
e felini. Si spazierà dai casi più noti, quali quello dell’Uomo dei lupi, dell’Uomo
dei topi e del Piccolo Hans ad analisi del simbolismo onirico fino a toccare
l’interpretazione di miti e di favole.
Infine nel terzo e ultimo capitolo il discorso verterà sulla presunta visione
zoologica freudiana. I dati biografici inerenti la vita privata dello psicoanalista,
raccolti nel primo capitolo, e la trattazione freudiana delle comparse animalesche
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nei racconti dei suoi pazienti presentata nel secondo capitolo, verranno integrati
da alcune interessanti speculazioni teoriche portate avanti da Freud. Fin dall’inizio
delle sue ricerche psicoanalitiche egli fu incline a intrecciare lo studio dello
sviluppo e della psiche individuale con quello del passato storico. Così lo
psicoanalista viennese cercò di andare oltre al proprio lettino analitico per
applicare le scoperte e le rivelazioni psicoanalitiche anche a questioni inerenti
l’antropologia, la sociologia e la storia dei popoli. Avremo modo di cogliere
quindi l’effettiva valenza analitica dell’animale, nonché di fornire una possibile
interpretazione della presunta visione zoologica, attribuita allo psicoanalista.
L’elaborato si concluderà con un’appendice nella quale presenterò un
indice psicoanalitico degli animali ai quali Freud fece riferimento nelle sue
numerose opere, in maniera tale da garantire una maggiore completezza
dell’intera trattazione.
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PRIMO CAPITOLO
GLI ANIMALI NELLA VITA PRIVATA E NEGLI ANNI PRE-
PSICOANALITICI DI SIGMUND FREUD
Sigmund Freud nel 1937 in risposta al manoscritto di quello che sarà
pubblicato con il titolo di Topsy (1937) ricevuto da Atene scriveva così alla
fedelissima amica e allieva Marie Bonaparte, autrice del testo:
Mi piace: è così commovente vero e reale. Non è naturalmente un lavoro analitico, ma
dietro questa creazione s’intravvede da parte dell’analista una ricerca di verità e di sapere. Esso dà
proprio le vere ragioni del fatto degno di considerazione che si possa amare così profondamente un
animale come Topsy (o la mia Jo-Fi): affetto privo di qualsiasi ambivalenza, la semplicità della
vita libera dai conflitti della civiltà così difficili da sopportarsi, la bellezza di un’esistenza perfetta
in se stessa. E malgrado la distanza nello sviluppo organico, v’è un senso di stretto rapporto, di
innegabile appartenenza reciproca. Spesso quando accarezzo Jo-Fi mi sorprendo a canticchiare una
melodia che, per quanto non portato alla musica, riconosco per l’aria (di Ottavio) del Don
Giovanni: un vincolo di amicizia ci lega entrambi (Jones, 1953, 252-253).
In queste poche righe può essere riassunto il profondo sentimento e la tanta
attenzione dedicata da Freud agli animali e in particolare ai suoi cani. Pochi
biografi hanno rivelato l’affetto e la dedizione che Freud usava rivolgere ai suoi
chow, cani di razza cinese, che si alternarono nel corso del tempo nella casa
viennese dello psicoanalista; e ancora pochi ebbero la necessaria sensibilità per
cogliere il benefico influsso che questi animali ebbero sul loro proprietario negli
anni difficili della malattia e dei lutti fino alla morte.
Perché Freud dedica tanta attenzione a queste semplici storie di cani? Da
una lettura attenta e orientata degli innumerevoli scritti dello e sullo psicoanalista
è possibile rendersi conto dell’enorme gamma di animali presenti nei sogni dei
pazienti, nelle fantasie inconsce, nelle fobie, nel pensiero magico-religioso dei
popoli primitivi e in generale nelle varie altre questioni e trattazioni
psicoanalitiche. Alcuni psicoanalisti, tra i quali Gary Genosko, hanno attribuito a
Freud l’appellativo di bestiarist, ovvero l’ artefice di un vero e proprio bestiario,
considerando lo psicoanalista viennese come un collezionista di favole sugli
animali, che compaiono non solo all’interno della trattazione strettamente
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psicoanalista, così come abbiamo precedentemente ricordato, ma anche in tutta
una serie di esperienze extra-analitiche, quali ricordi e memorie inerenti la vita
privata oltre agli studi portati avanti nei primi anni universitari (Genosko, 1993).
Proprio prendendo in considerazione l’ampio bestiario freudiano sarà possibile
portare avanti una lettura particolare del concetto di animalità nell’ambito della
psicoanalisi freudiana ma anche, forse, rivalutare il “ruolo” rivestito appunto dagli
animali nella vita e nelle ricerche del celebre psicoanalista.
1.1 Vita privata in casa Freud
La lettera citata nell’apertura del primo capitolo venne scritta da un Freud
vecchio e malato, ormai vicino alla morte, che sopraggiunse circa due anni più
tardi, il 23 settembre del 1939 (Major e Talagrand, 2008, 220). Prima di ogni
considerazione psicoanalitica sarà interessante ripercorrere il rapporto personale
di Freud con gli animali.
Un episodio curioso può essere rintracciato già nell’adolescenza del
giovane Sigmund, nello specifico nello scambio di lettere tra il futuro
psicoanalista e l’intimo amico di quegli anni Eduard Silberstein. Il fitto carteggio
tra i due giovani amici si sviluppò per circa dieci anni, e Silberstein può
sicuramente essere considerato il primo destinatario delle lettere di Freud. Le
missive vertevano sull’amicizia, sulla letteratura, sulla filosofia, sull’amore oltre
ad essere impreziosite da interessanti esercizi intellettuali, tra i quali uno ha un
particolare interesse per il nostro discorso: i due amici erano soliti apostrofarsi con
il nome di due cani Berganza e Cipion (Gay, 1988, 20). I nomi, il primo utilizzato
da Silberstein e il secondo da Freud non erano casuali; essi furono estrapolati da
una novella di Cervantes Il colloquio dei cani molto cara ad entrambi. Il dialogo
umoristico-filosofico tra due cani, sdraiati in contemplazione davanti alla porta di
un ospedale, spinse i due giovani ad appropriarsi dei loro nomi.
Le lettere di Silberstein non scamparono purtroppo alla continua opera di
censura portata avanti da Freud con l’intento di cancellare ogni piccola traccia
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della sua vita privata; la testimonianza ci fu lasciata direttamente da Silberstein, il
quale conservò con cura l’intero epistolario giovanile (Argentieri e Cancrini,
1992, 156).
Il cane cervantiano Cipion non fu però l’unico “animale” adolescenziale di
Freud: l’affetto di Sigmund negli anni intorno al 1872 non era rivolto
esclusivamente all’amico Silberstein ma anche e forse soprattutto a Gisella Fluss,
una ragazza di uno o due anno più giovane di lui, figlia di alcuni amici della
famiglia Freud che si occupavano di industria tessile così come Jacob Freud,
padre dello psicoanalista. All’età di sedici anni il giovane Sigmund tornò per la
prima volta al suo paese natale, Freiberg in Moravia, e lì si fermo dai Fluss, dove
conobbe Gisella, sua compagna di giochi, della quale subito si infatuò (Jones,
1953, 51). La giovane fanciulla, apparentemente, fu il primo amore del futuro
psicoanalista e la protagonista di molte delle missive scritte all’amico Eduard.
Con un curioso e dotto gioco di parole, Freud era solito apostrofare l’amata con il
nome di una creatura fluviale ormai estinta l’Ichthyosaura; la scelta non era
naturalmente casuale, in tedesco infatti fluss ha il significato di “fiume”(Gay,
1988, 20-21).
Gli animali veri e propri arrivarono solo più tardi nella vita di Freud: nel
1925 Sigmund regalò alla figlia Anna, su precisa richiesta della stessa, Wolf, un
lupo nero alsaziano con l’intento di assicurare compagnia e protezione alla
giovane ragazza nelle lunghe passeggiate solitarie attraverso le foreste del
Semmering. Wolf fu il primo cane ad abitare in casa Freud: Anna e suo padre
erano soliti trattare il grosso lupo come un bambino, provocando così le ire di
Martha Freud, moglie dello psicoanalista, che non condivideva con la figlia e il
marito l’amore per gli animali (Young-Bruehl, 1993, 85). Secondo una vecchia
storia familiare il cane lupo, che tutti i giorni Anna Freud portava a passeggiare al
Prater, una volta si divincolò dalla proprietaria perdendosi tra le strade di Vienna.
Il cane solo tra estranei saltò su un taxi mostrando con insistenza il medaglione
che aveva appeso al collo e sul quale era inciso l’indirizzo di casa Freud
«professor Freud, 19 Berggasse». Il tassista sorpreso dal comportamento
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dell’animale lo ricondusse ai proprietari, che lo ricompensarono generosamente
(Flem, 1987, 243).
Solo intorno al 1927 Freud ebbe finalmente un proprio cane Lin Yug
secondo alcuni biografi, Lun Yu secondo altri, una splendida femmina di razza
chow, dono di Dorothy Burlingham, signora americana che ben presto entrò in
analisi con lo stesso Freud, diventando amica dello psicoanalista e in particolare
della figlia Anna (Gay, 1988, 490-491). Il primo chow accompagnò Freud per le
vacanze estive, dopo le quali disgraziatamente morì a soli 15 mesi. Nell’agosto
del 1929 l’animale sfuggì alla stazione di Salisburgo a Eva Rosenberg, nipote di
Yvette Guilbert, una tra le favorite cantanti e attrici di cabaret dello psicoanalista,
e venne ritrovata solo tre giorni più tardi investita su un binario. La morte
prematura del primo chow provocò un profondo dolore in casa Freud; lo
psicoanalista in una delle sue corrispondenze affermò che l’intensità del
sentimento provato poteva essere paragonata a quella che si prova per la perdita di
un figlio In ogni modo la comparsa sulla scena delle prime due figure canine portò
lo psicoanalista ad interessarsi vivamente a questi animali che iniziarono a
susseguirsi tra loro; secondo alcuni Freud attraverso i cani sublimava il suo grande
amore per i bambini piccoli che ad una certa età naturalmente non poteva più
soddisfare (Jones, 1953, 172).
Poco tempo dopo la perdita del primo chow arrivò in casa Freud un’altra
splendida cagna, ancora della stessa razza cinese, Jo-fi, che divenne la fedele
compagna dello psicoanalista per sette anni. La cagna e Freud divennero subito
inseparabili. Dalle memorie di Paula Fichte, fedele cameriera della famiglia
Freud, sappiamo che a Jo-fi erano concessi infiniti privilegi: oltre ad avere libero
accesso al salotto e alla tavola di famiglia, sotto la quale la cagna si accucciava
paziente in attesa di ricevere qualche boccone dal suo padrone purtroppo già
ammalato e quindi con scarso appetito, era l’unico essere ad essere ammesso nel
luogo più sacro e privato di Freud, lo studio dove lo psicoanalista riceveva i
pazienti. Jo-fi presenziava ad ogni seduta analitica e il “giudizio” che la cagna
manifestava per ogni paziente veniva sempre tenuto in considerazione da Freud,
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che spesso osservò come in tutti coloro che non piacevano a Jo-fi c’era sempre
qualcosa che non andava. Sembra infatti che le persone che furono annusate
sospettosamente dall’animale non riuscirono ad entrare facilmente nelle grazie
dello psicoanalista (Berthelsen, 1990, 35). Durante la prima seduta di analisi di
Hilda Doolittle, scrittrice e poetessa americana, Jo-fi uscì fuori dal proprio
angolino per andare incontro alla donna appena entrata nello studio. Timidamente
la nuova paziente allungò una mano per carezzare il mantello leonino della cagna,
ma Freud l’ammonì dicendole di non toccarla perché avrebbe rischiato di essere
morsa dato che Jo-fi era molto indifferente con gli estranei. La Doolittle però non
si scoraggiò e la sua tenacia fu premiata dalla cagnolina che le annusò la mano e
poi accoccolò la testa contro la spalla della donna. Jo-fi aveva appena dato il
benvenuto alla donna che ben presto divenne una delle più care amiche dello
psicoanalista viennese. La cagnolina non solo era interessata ai clienti del proprio
padrone ma anche alla durata delle loro sedute; assisteva ai colloqui sdraiata sotto
un tavolino coperto di oggetti antichi e sbadigliava esattamente alla fine del tempo
dedicato da Freud a ogni singolo paziente, e questo comportamento provocava a
volte alcuni disagi, ignorati però dallo psicoanalista che non riusciva a rinunciare
alla compagnia dell’animale (Flem, 1987, 108).
L’amicizia e il fedele amore di Jo-fi furono un vero conforto per Freud
negli anni difficili della malattia: insieme amavano riposare a mezzogiorno, Freud
sdraiato sul divano con una mano tesa ad accarezzare il morbido mantello della
cagna e insieme affrontavano le dolorose cure e terapie alle quali lo psicoanalista
si sottopose per anni con la speranza di curare il proprio male. Freud ammirava
enormemente la vicinanza che il cane era solito dimostrargli e più volte ricordava
ad amici e parenti come secondo lui Jo-fi fosse veramente capace di capire tutto
quello che stava succedendo (Jones, 1953, 252). Oltre a dimostrare sensibilità nei
confronti delle affettuose attenzioni di Jo-fi Freud sembrava capace anche di
riconoscere e di rispettare l’identità animale della fedele amica. A darci
testimonianza di ciò è ancora una volta Paula: la giovane cameriera, ogni qual
volta lo psicoanalista era troppo abbattuto dalle sofferenze provocate dalla