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Introduzione
Questo lavoro nasce dall’esigenza di Cosis S.p.a. di sapere quanto i suoi
clienti siano soddisfatti dei prodotti e dei servizi che la società offre.
La Cosis S.p.A. in forma estesa Compagnia Sviluppo Imprese Sociali, è una
società per azioni senza fine di lucro che si occupa di supportare e sostenere la
nascita, lo sviluppo ed il consolidamento dell’imprenditorialità sociale in
Italia attraverso strumenti finanziari specializzati.
Per misurare la customer satisfaction ci si è serviti di un modello che ha
portato alla creazione di un questionario con specifiche caratteristiche, tale
questionario è stato somministrato all’intera clientela, il passo finale è stato
l’elaborazione dei dati tramite diversi metodi statistici.
Prima di passare alla descrizione degli obiettivi che ci si è posti e delle
metodologie utilizzate per raggiungerli, si è cercato di definire ed analizzare
questa particolare realtà che risulta, come si vedrà in seguito nella trattazione,
in continua crescita ed in perenne trasformazione.
Il lavoro è stato diviso in cinque capitoli.
Nel primo, si è cercato di precisare cosa si intende per terzo settore. Per farlo,
si è costruito un breve escursus storico dei termini utilizzati per indicare
l’ambito in cui e per cui lavora la Cosis S.p.A.; poi si è tentato di dare una
definizione multidisciplinare del termine, andando a definirlo secondo un
approccio sociologico, economico, statistico e giuridico. Dopodichè si è
passati a classificare le aziende che operano in questo settore individuando
aziende di erogazione, aziende autoproduttrici ed imprese sociali. Alla
tassonomia è seguita un’indagine quantitativa sulle risorse impiegate dagli
attori del nonprofit italiano e internazionale sia a livello di capitale, che di
personale impiegato, ma anche sulle aree su cui si trova ad agire. A questo
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scopo sono state utilizzate ricerche ISTAT per l’ambito italiano e la ricerca di
Salamoi e Anheier in ambito internazionale. L’ultima parte del capitolo
riguarda le forme di finanziamento del terzo settore, perché come noto, uno
dei problemi maggiori per gli enti nonprofit è quello dell’inadeguatezza delle
entrate che solo in piccola parte sono costituite dalle donazione; è in questo
ambito che va inquadrata la Cosis.
Il secondo capitolo è riservato allo studio delle cooperative sociali essendo la
quasi totalità delle operazioni di finanziamento poste in essere da Cosis rivolte
a questo tipo di organizzazione, ed essendo quindi proprio le cooperative le
destinatarie del questionario elaborato. Le cooperative sociali rappresentano la
forma di impresa sociale più diffusa e sembra essere la più adeguata a
sviluppare le potenzialità occupazionali del terzo settore. Lo scopo è quello di
individuare le caratteristiche di queste imprese sociali, di inquadrarle
all’interno del settore nonprofit, di analizzare quantitativamente e
storicamente come le cooperative sociali si collochino nella realtà italiana ed
infine di studiare la legge che sta alla base della regolamentazione di questo
tipo particolare di società, la 381/91 pioneristica in ambito europeo e che ha
riempito un vuoto legislativo da tempo in attesa di essere colmato. Per
cooperative sociali si intendono quelle che hanno lo scopo di perseguire
l’interesse sociale generale della comunità alla promozione umana e
all’integrazione sociale dei cittadini attraverso sia la gestione dei servizi
socio-sanitari ed educativi, sia tramite lo svolgimento di attività differenti,
come quelle agricole, industriali, commerciali o di servizi, finalizzate
all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Il capitolo tre parla di finanza etica descrivendone la mission e i vari
significati che questa assume asseconda del contesto dove viene utilizzata. Si
distingue cosi tra fondi etici, investimenti mirati ad aziende con specifiche
caratteristiche etiche, e credito per il terzo settore, che è quello che interessa
maggiormente ai fini di questo lavoro. Inevitabili, per una trattazione
9
esaustiva dell’argomento, sono i parafi sulle origini del microcredito e quindi
sulla Grameen Bank e sul suo fondatore, il professor Yunus. Necessaria
risulta anche l’approfondimento sulla Banca Etica, pensata sin dall’ inizio
come banca italiana del settore nonprofit. Si cerca quindi di delinearne le
principali tappe storiche, la sua mission come pure i principi di
funzionamento. Per completezza si descrivono brevemente anche altri
strumenti di finanza etica.
Sempre in questo contesto ma volutamente messa da parte va inquadrata la
Cosis a cui è dedicato tutto il capitolo quarto. Questa società a differenza
degli attori a cui è stato riservato il capitolo tre, si pone come intermediario
destinato ad operare adottando una logica di sostegno finanziario durevole e
consolidato: non solo concessione di crediti ma anche interventi diretti a titolo
di partecipazione al capitale sociale dell’ente. L’analisi della società parte
dallo studio della storia passando per la delineazione dei valori, della filosofia
e della mission aziendale per poi estendersi alla descrizione delle attività di
finanziamento anche tramite l’illustrazione delle caratteristiche dei prodotti
offerti. Viene dato spazio altresì all’aspetto istituzionale con una breve
esposizione di quelli che sono i sottoscrittori del capitale sociale della società.
Infine, vengono individuati tutti gli stakeholder e ne viene fornita una
descrizione esaustiva senza pretesa di completezza, si analizzano
sinteticamente i rapporti tra società e azionisti, finanziatori , clienti,
dipendenti e pubblica amministrazione. Per concludere viene presentato
quello che è il disegno strategico della società.
Una volta studiata l’area di intervento e gli attori protagonisti dell’indagine, si
è in grado di portare a termine l’obbiettivo principe di questo lavoro.
Nel capitolo quinto, viene presentato il modello utilizzato, descritto il
percorso di azione attuato e i risultati ottenuti nella misurazione della
customer satisfaction. Si parte, però con la definizione di qualità, perché la
customer satisfaction non è soltanto uno strumento attraverso il quale viene
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riconosciuta la centralità del cliente in un ambiente fortemente competitivo,
ma è anche la base fondamentale di programmi di gestione della qualità. Ciò
che consente di pervenire ad una valutazione della qualità del servizio offerto
è costituito dal giudizio espresso dai clienti/utenti, in ragione della loro
percezione dell’efficacia e dell’utilità del servizio rispetto ai loro bisogni da
soddisfare e alle loro conseguenti aspettative
1
. Definita la qualità e stabilito
che questa è misurabile attraverso la customer satisfaction, si è passati a
studiare in che modo questa misura potesse avvenire, il metodo più immediato
e in qualche misura più efficace da utilizzare è quello del questionario.
Si è proceduto per obbiettivi; per prima cosa l’individuazione delle
dimensioni della qualità, vale a dire i requisiti che un cliente si aspetta dalla
fruizione del prodotto offerto dalla Compagnia, il metodo utilizzato è
chiamato in letteratura “approccio allo sviluppo delle dimensioni della
qualità” e prevede il coinvolgimento del personale che direttamente eroga il
prodotto/servizio. Il secondo passo è stata la costituzione vera e propria del
questionario. Il modello prevedeva per questo step un sottomodello composto
di quattro passi: utilizzando le dimensioni della qualità individuate, stabilire le
voci del questionario; decidere il formato della risposta, aiutandosi con la
bibliografia esistente; scrivere la presentazione del questionario spiegando
quali sono gli obiettivi della ricerca, eventualmente come i dati ottenuti
saranno utilizzati, e senza dimenticare le istruzioni per la sua compilazione; il
quarto passo prevede la definizione del contenuto del questionario finale
tramite un lavoro in team con dei “giudici super partes”. Ottenuto il
questionario, e prima di somministrarlo, occorre stabilire il campione nonché
il metodo di somministrazione; in questo caso la Cosis riteneva che tutta la
popolazione fosse significativa e visto il numero contenuto di clienti, si è
deciso di sottoporlo a tutti. Una fase delicata del processo è stata quella di
raccogliere tutti i dati relativi ai clienti costruendo un elenco completo con
1
“Osservatorio ABI sulla Customer Satisfaction” di Bancaria editrice anno 1997
11
contatti telefonici e indirizzi elettronici solo dei clienti che avevano ancora
pratiche attive e che non erano in contenzioso. Vista l’urgenza della ricerca si
è stabilito di condurre l’indagine per via telefonica.
Ottenuti tutti i dati si è passati ad una sintesi degli stessi tramite indicatori
statistici quali media e deviazione standard nonché tramite istogrammi. Infine
per capire come e dove agire per essere più efficaci si sono analizzati i dati
utilizzando due modelli statistici: quello della correlazione e quello della
regressione che dovrebbero portare a capire quale delle dimensioni della
qualità è più collegata con la soddisfazione generale.
12
13
CAPITOLO 1
Il terzo settore
1.1 Un settore con molti nomi e tante anime
(…)Una tale vaghezza concettuale ha danneggiato seriamente
i nostri tentativi di alleviare la povertà, e la mancanza
di definizioni precise ha creato anomalie nella lettura dei dati(…)
Come boe di riferimento per chi naviga in acque sconosciute,
le definizioni devono essere chiare e prive di ambiguità..
Da: “Il banchiere dei poveri” di Muhammad Yunus
Sempre più spesso si sente parlare di Terzo Settore. Questo fenomeno si è
trovato all’improvviso al centro dell’attenzione dei ricercatori, dei politici,
degli amministratori e della stessa opinione pubblica.
Il terzo settore, è rappresentato da un insieme composito e variegato di enti ed
organismi, quali associazioni, mutue, organizzazioni di volontariato, enti
sociali, fondazioni, cooperative sociali, cooperative e imprese nonprofit tout
court. Al di là delle profonde differenze che connotano queste organizzazioni,
c’è una caratteristica che le accomuna: non distribuiscono a soci o dipendenti
gli eventuali profitti che derivano dalla gestione delle loro attività ma, al
contrario, usano questi profitti per aumentare la quantità e migliorare la
qualità dei servizi erogati.
Negli ultimi anni, specie dopo la crisi del welfare, le ricerche e le analisi
sviluppatesi intorno al nonprofit nonché il parallelo dibattito relativo alla sua
definizione e le caratteristiche di questo fenomeno, sono state numerose, tanto
da costituire ormai un settore di studi sia in sociologia, sia in economia e sia
in campo giuridico, non soltanto in Italia.
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Già sul modo di scrivere nonprofit si confrontano opinioni differenti: “no
profit”, “non profit”, “non-profit” o “nonprofit”.
La prima è la seconda dizione vanno categorizzate come errori di inglese, la
terza e la quarta sono in uso negli Stati Uniti ed assumono significati
leggermente differenti. Il termine non-profit, con la negazione “non”,
identifica il settore “in negativo”, differenziandolo dal resto dell’economia e
della società semplicemente sulla base del mancato perseguimento dei profitti.
Il termine “nonprofit”, al contrario, viene solitamente interpretato come
definizione in positivo, che riconosce un settore che si distingue dal resto
dell’economia per una pluralità di caratteri e che possiede caratteristiche
peculiari e uniche, non condivise da altre organizzazioni.
2
Il termine nonprofit si è affermato solo recentemente e rappresenta una delle
differenti espressioni usate per indicare il settore.
1.1.1 La storia dei termini di un concetto in continuo mutamento
Il primo vocabolo usato, per indicare il fenomeno oggetto di studi è
volontariato. Ha origine sociologica e comincia ad essere impiegato agli inizi
degli anni Ottanta per riferirsi, più che ad una specifica tipologia
organizzativa, ad un atteggiamento individuale nei confronti dei bisogni
sociali specie della fascia di popolazione più disagiata
3
.
Caratteristiche più importanti del volontariato sono la gratuità e
l’atteggiamento di solidarietà nei confronti di soggetti più deboli.
Chi fa volontariato è il volontario, egli, mette a disposizione tempo e
competenze per aiutare i più bisognosi e normalmente lo fa aderendo ad un
gruppo in cui si identifica.
2
Dal libro “Nonprofit” di Barbetta- Maggio pag 7-8
3
Proprio per la concentrazione nelle aree di attività socio sanitarie il settore viene spesso appellato come
volontariato sociale, quasi per distinguerlo da altre forme di volontariato che si occupano di ambiente o di
tutela dei beni artistico-culturali .
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L’azione del volontariato è più incline a concentrarsi verso le aree del servizio
sociale e della sanità. Per questo motivo è spesso interpretata come un modo
per affrontare la crisi del welfare.
4
Frequentemente si usa tale espressione riferendosi all’insieme delle
organizzazioni prive di lucro e non solo alla parte di esso in cui il ruolo dei
volontari è dominante, cosi come prevede la legge.
5
Dopo volontariato troviamo il termine associazionismo. È un’associazione
ogni gruppo di persone che si organizza per impegnarsi in attività differenti da
quelle di natura lucrativa. L’espressione risulta più generale e non implica
l’attenzione per il sociale propria invece del volontariato.
6
L’esigenza di una
distinzione del mondo associativo rispetto a quello del volontariato ha portato,
dopo un percorso laborioso all’approvazione di una legge
sull’associazionismo inteso come “area intermedia” tra quella più solidaristica
del volontariato e quella più imprenditoriale della cooperazione sociale (l.
383/2000
7
).
È a metà degli anni Novanta che si comincia a collegare la pratica della
solidarietà con l’esercizio di un azione economica diretta a produrre beni e
servizi che possano essere venduti e non solo distribuiti gratuitamente ed è
cosi che si comincia a parlare di impresa sociale. Inizia quindi la stagione
dell’imprenditorialità, già preannunciata con la legge 381/1991 in cui si
riconoscevano le caratteristiche peculiari delle cooperative sociali, prima vera
forma di impresa senza fine di lucro normata dal nostro ordinamento.
È sempre negli anni Novanta che iniziano a venire alla ribalta termini che
cercano di unire le diverse realtà del settore separandole dal resto
dell’economia e della società, troviamo quindi il termine terzo settore o terzo
4
Proprio agli inizi degli anni ottanta le difficoltà e le crisi del welfare si mostrano nella loro pienezza.
5
Le caratteristiche dell’azione dei volontari sono state la base su cui, nel 1991, il parlamento ha approvato
una legge (1. 266/1991) che definisce, promuove e regolamenta il volontariato e le organizzazioni di
volontariato.
6
Infatti, come scrivono Barbetta e Maggio, mentre alle associazioni di volontariato è associato il termine
“solidarietà”, alle associazioni è più frequentemente connesso quello di “partecipazione”.
7
La legge “ Disciplina delle associazioni di promozione sociale” del 2000
16
sistema, espressioni che inglobano tutte le organizzazioni che non fanno parte
del mercato (primo settore) o dello Stato (secondo settore).
8
Nella sua versione più ampia il terzo settore identifica, oltre che ai mondi del
volontariato e dell’associazionismo, anche l’intero comparto della
cooperazione e della mutualità.
Di fresca data è il termine di “economia civile
9
” che però non si presta ad
essere usato ai fini definitori.
1.2 Definire il terzo settore attraverso un approccio
multidisciplinare: sociologico, economico, statistico e
giuridico.
Trattandosi di una realtà sociale, economica e culturale in continua evoluzione
ed estremamente magmatica, è bene precisare che il fenomeno studiato non si
presta ad essere ricondotto a rigidi e univoci schemi definitori.
È bene premettere, che passando da un approccio disciplinare all’altro,
cambiano non solo le ipotesi e gli scopi e quindi i risultati dell’analisi, ma
anche la metodologia di osservazione e descrizione del fenomeno in sé con
tutto quello che ne consegue.
Con queste premesse, appare evidente come uno studio approfondito del
settore e delle organismi che lo costituiscono necessiti di un’analisi
multidisciplinare dei contributi sinora prodotti.
La prima definizione, la troviamo in ambiente europeo a partire dalla metà
degli anni Settanta; fu usata per la prima volta nel rapporto "Un progetto per
8
In molti paesi alcune organizzazioni come le cooperative sono escluse dal settore nonprofit. Usando il
termine terzo settore con un accezione anche politica e quindi come una sorta di terza via tra il capitalismo
selvaggio e la pianificazione centralizzata si tende ad inserire il più ampio numero di organizzazioni non a
scopo di lucro.
9
“Proposto dal economista Stefano Zamagni risulta più generale e meno utilizzabile ai fini definitori.con esso
si fa riferimento ai principi regolativi che presiedono alla vita delle organizzazioni cui facciamo riferimento:
economia perché ci troviamo di fronte a organizzazioni che producono beni, civile, perché il principio che
presiede alla vita delle organizzazioni sarebbe lo stesso che assieme le diverse componenti di una società
civile, e cioè il principio di reciprocità”. (pag 14 del libro Nonprofit)
17
l'Europa" in ambito comunitario nel 1978 assegnando al Terzo settore una
posizione che lo separa concettualmente dallo Stato e dal Mercato, favorendo
l'equiparazione dei tre settori a livello di società complessiva
10
.
Da questa caratterizzazione, il termine diviene sempre più frequente e diffuso
designando l'insieme delle organizzazioni che non appartengono né alla sfera
statale dato il loro carattere privato, né al mercato visto che forniscono beni e
servizi, svolgendo attività economica come le imprese classiche ma al
contrario di queste, non hanno fine di lucro.
1.2.1 L’approccio sociologico: definizione strutturale operativa
Un contributo importante per la definizione del settore è offerto da Salamon e
Anheier nel 1992, i quali dopo una rassegna delle varie definizioni delle
organizzazioni che compongono il terzo settore giungono ad una definizione
di tipo “strutturale operativa”. Definizione che si è rilevata utile ai fini
misurativi, tanto da essere utilizzata dall’ISTAT per la realizzazione del primo
censimento sul terzo settore in Italia.
Essi sostengono che affinché un’organizzazione possa essere definita
nonprofit, deve avere i seguenti requisiti:
Costituzione formale, in quanto deve essere istituzionalizzata, dotata di
un suo statuto o atto costitutivo, deve godere di una certa stabilità e
durata nel tempo.
Natura giuridica privata, separazione dall’apparato pubblico, con la
possibilità di impiegare liberamente le proprie risorse finanziarie.
Divieto di distribuzione dei profitti, che non va inteso come divieto ad
ottenere un ricavo economico, ma come una condizione che spinge a
reinvestire il ricavato al fine di perseguire gli scopi statutari preposti
(mission) invece di essere distribuito ai membri.
10
Da “Le ambiguità degli aitui umanitari.Un indagine critica sul Terzo Settore” di Giulio Marcon
18
Autogoverno, deve avere procedure di gestione interna e non essere
controllata da entità esterne.
Volontariato, in quanto deve impiegare, risorse umane gratuite messe a
disposizione dai propri aderenti e una certa quota delle sue entrate deve
derivare da donazioni volontarie.
Utilizzando queste caratteristiche si viene a creare un settore piuttosto ampio
caratterizzato da alcune esclusioni.
Vengono escluse le “organizzazioni informali” che sono prive di statuto, le
società cooperative che, almeno dal punto di vista giuridico violano il vincolo
di “non distribuzione dei profitti”.
11
Possiamo far rientrare questa linea interpretativa nell’ambito sociologico.
In quest’ambito si evidenzia la valenza espressiva e l'orientamento altruistico
delle relazioni che si instaurano all'interno del Terzo Settore implicando un
coinvolgimento personale degli attori.
Le indagini e le definizioni sociologiche mirano ad individuare gli aspetti di
natura motivazionale, culturale, valoriale ed etica dell’agire volontario nelle
organizzazioni nonprofit.
1.2.2. L’approccio economico
Passando alla letteratura economica, troviamo svariati contributi al tema della
definizione del settore sia per il crescente numero di organismi che vi
operano, e che quindi creano nuovi posti di lavoro, sia per il ruolo produttivo
assunto da queste organizzazioni e la caratterizzazione sempre più
imprenditoriale che queste prendono.
I vari autori (Archibugi, Barbetta, Zamagni) concordano sul vincolo di
distribuzione degli utili come elemento fondamentale di distinzione del
11
Si rimanda al paragrafo sulle cooperative per una più approfondita trattazione del argomento.
19
sistema nonprofit. Le opinioni tendono invece a divergere per quanto riguarda
le condizioni di contorno.
Barbetta (1992) suggerisce di considerare come appartenenti al terzo settore
quelle organizzazioni a carattere privatistico produttrici di beni e servizi
pubblici o semipubblici, anche se destinati a categorie di persone differenti.
Due autori americani, quali Young e Anthony (1998), rilevano come la
mancanza di reddito sia solo una delle caratteristiche delle organizzazioni
nonprofit, a questa vanno aggiunte, la mancanza di remunerazione del capitale
investito e la riduzione del valore informativo del reddito per un giudizio
sull’economicità, sull’efficacia e sull’efficienza della gestione.
Un contributo di notevole interesse per quanto riguarda la classificazione
delle organizzazioni nonprofit, è quello offerto da Hansmann, che propone
come variabili di classificazione:
La struttura di finanziamento dell’organizzazione. Distinguendo tra
organizzazioni “donative”, le cui entrate si basano su donazioni e
organizzazioni “commerciali” che basano le entrate finanziarie sui
corrispettivi della vendita dei servizi.
La struttura di controllo. In questo caso la differenziazione è tra
“mutual organization”, vale a dire organizzazioni controllate dai
donatori, e “entrepreneurial”, cioè organizzazioni imprenditoriali
controllate da strutture terze indipendenti dai benefattori.
Utilizzando il contributo della teoria economica siamo in grado di classificare
le organizzazioni appartenenti al terzo settore nella tabella di seguito
riportata
12
:
12
La tabella è presa da pag 26 del libro “Gestire ed organizzare nel terzo settore” di Alessandro Hinna.