Capitolo 1 – Il Brand Management
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1.1 Introduzione
Negli ultimi anni il modo di fare “impresa” si è differenziato sempre più
rispetto ai modelli dominanti degli anni passati. Con l’espressione “anni passati”
non si deve intendere che il cambiamento si è avuto rispetto alla teoria
organizzativa di inizio secolo quando H. Ford “inventò” l’organizzazione
funzionale su larga scala. Il cambiamento è avvenuto anche in relazione ai modelli
e le mode gestionali già di un passato recentissimo come può essere quello
rappresentato da due decenni fa. Dettato dall’evoluzione dei mercati e degli
ambienti di riferimento di ciascuna impresa, ha incalzato imponendo ritmi e nuove
modalità di competizione sempre più difficili e insostenibili per certe
organizzazioni o fonte di vantaggio competitivo per altre. Hanno progressivamente
perso importanza elementi tangible come l’attenzione spasmodica per il processo
produttivo (tipico del fordismo e toyotismo)a favore di una valorizzazione sempre
maggiore di tutto ciò di intangible che ruota intorno all’organizzazione stessa.
Infatti, in passato la strategia dell’impresa era prevalentemente orientata alle
vendite e si preoccupava essenzialmente di creare un buon prodotto al minor costo
possibile, cercando successivamente di venderlo, senza studiare, quindi sapere e
conoscere, le esigenze del consumatore.
In questi anni è cambiata sia la tipologia del mercato (sempre più
globalizzato)che quella dei consumatori. Quest’ultimo diviene sempre più attento,
più informato (grazie anche all’ausilio di alcuni media elettronici che pochi anni fa
non esistevano), che si ritrova a svolgere i propri acquisti in un mercato popolato
da un’infinità di prodotti e produttori che estendono la propria rete commerciale al
di là dei confini dei propri Stati.
Oggi l’impresa deve essere guidata dal consumatore, dalle sue esigenze e dai
suoi gusti; ecco allora che si parla sempre più di mercati “customer driver”. Ma
oltre alla creazione di prodotti che soddisfino le esigenze e i gusti del
consumatore, l’azienda deve dedicarsi anche ad un’opera di comunicazione
globale, a 360°, utilizzando appunto tutti i mezzi a sua disposizione, che
permettano all’azienda stessa di farsi conoscere e al consumatore di conoscere il
prodotto e soprattutto i benefici che se ne possano trarre dal suo acquisto e dal suo
utilizzo. Non a caso se si indaga sulle attuali strategie di marketing di qualsiasi
Capitolo 1 – Il Brand Management
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azienda, si può facilmente notare come la comunicazione sia diventata un elemento
di grandissimo rilievo e importanza per tutto il management aziendale. L’obiettivo
prioritario dell’impresa moderna, oltre ai profitti, è quello di farsi conoscere dai
consumatori e di cercare di rimanere presenti nelle loro menti. Naturalmente,
prima di fare ciò, è necessario creare, possedere e delineare alcuni punti di forza
che, successivamente, dovranno essere comunicati al grande pubblico.
Ulteriore cambiamento si è avuto, oltre alla tipologia di consumatore e mercato,
nel significato d’acquisto: mentre negli anni passati l’esigenza era soddisfare un
bisogno, oggi l’acquisto diviene una vera e propria esperienza che deve rimanere
impressa nella mente del consumatore. Per permettere ciò, l’impresa deve far leva
sulla propria “Marca” (da ora in poi Brand), intesa come valore distintivo e
difficilmente imitabile poiché composta da una serie di valori intangibili costruiti
nel tempo tramite un attento lavoro di comunicazione.
In un mercato caratterizzato dalla progressiva banalizzazione dei prodotti,
sempre più simili sotto il profilo tecnologico e funzionale, lo sviluppo del Brand
diviene il mezzo per contrastare la tendenza all’imitazione, introducendo elementi
di differenziazione legati ai valori e all’immaginario che lo stesso brand riesce a
ricreare nel consumatore. Inoltre la riduzione del ciclo di vita dei prodotti,
innovazione continua che richiede l’ausilio di risorse economiche in ricerca e
sviluppo, l’affollamento dei media, richiedono un continuo aumento dei costi che
l’impresa deve sostenere. In tale contesto, la capacità di gestire la nascita e lo
sviluppo della marca con un’adeguata strategia di branding diviene una
competenza chiave.
Non a caso il Brand è anche ciò che consente al singolo consumatore,
all’individuo, di esprimere anche socialmente la sua specificità individuale, poiché
la serie delle sue scelte di consumo, scelte di diverse marche, oltre che di diversi
prodotti, costituisce uno dei segnali più rilevanti, rispetto al contesto sociale, in
merito alla sua personalità, ai suoi orientamenti, ai suoi bisogni e ai suoi desideri.
“le impronte digitali non indicano chi siamo veramente, il DNA non fa capire perché siamo diversi
gli uni dagli altri, il timbro della voce non dice nulla sulla nostra identità…ciò che ci rende davvero
unici sono le nostre scelte!” (Spot ADV Bmw serie 1)
Capitolo 1 – Il Brand Management
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Inoltre non può essere negato il fatto che le scelte di consumo dell’individuo,
tra le quali la marca occupa un posto dominante, sono spesso l’opportunità che
permette di percepire e comprendere la sua visione del mondo e lo stesso mondo in
cui vive. Ciò dimostra come il Brand stia assumendo sempre più importanza per il
consumatore e stia diventando un asset rilevante nella gestione dei prodotti e dei
servizi dell’impresa. Risulta quindi fondamentale comprendere l’essenza, il valore
dello stesso e gestirlo adeguatamente.
Partendo da tali considerazioni, il mio lavoro mira proprio a far luce su i
delicati meccanismi che dominano la gestione di un Brand e come la scelta di una
comunicazione integrata in questo ambito sia un efficace strumento per accrescere
la notorietà di marca (o Brand Awareness)e incrementare le vendite sulla base di
un vantaggio competitivo sostenibile. Infatti nel primo capitolo mi occuperò di
come le organizzazioni gestiscono un Brand (Brand Management), mentre nel
secondo mi occuperò della cosiddetta “comunicazione integrata” con la quale
un’impresa ha la possibilità di rivolgersi ai suoi pubblici di riferimento. In
conclusione verrà presentato il caso studio riguardante Barilla e la Brand
Activation, di cui mi sono occupato, in merito al lancio della linea integrale.
1.2 Il Brand Management: una definizione
Uno dei primi studiosi dell’argomento, D. Arnold, in un suo lavoro ancora oggi
più attuale che mai, ha cercato di delineare tale processo nel seguente modo: “Il
brand management è soprattutto questione d’equilibrare tutta una gamma di input.
Tradizionalmente le imprese si sono sempre organizzate per funzioni – vendite,
produzione, contabilità. Tuttavia una marca, se da una parte attinge da tutte le
funzioni del management per avere supporto, dall’altra è un’entità unica, ed è una
percezione del consumatore, non dell’impresa. Dunque il brand management è
Capitolo 1 – Il Brand Management
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situato al punto di connessione tra impresa e cliente, e deve integrare le
dinamiche di decisione totalmente diverse di questi due mondi”
1
.
Inoltre può essere inteso come l'applicazione delle tecniche di marketing a uno
specifico prodotto, linea di prodotto o brand. Lo scopo è aumentare il valore
percepito da un consumatore rispetto a un prodotto, aumentando di riflesso il
Brand Equity (valore del marchio o patrimonio di marca).
Un giusto brand management genera un aumento delle vendite, rendendo il
prodotto più appetibile rispetto a quelli della concorrenza. Il brand equity è
determinato dall'extra-profitto che genera per l'impresa grazie all'utilizzo del
brand.
Con il cambiamento del paradigma dominante in cui l’azienda imponeva sul
mercato i propri prodotti ai consumatori e la totale inversione dello stesso, seguire
con grande attenzione i cambiamenti nei gusti del target è un compito
fondamentale e di primaria importanza per chi ha le redini del Brand. Essere in
grado di comprendere le future evoluzioni, adattarsi in tempo reale senza ritardi o
fughe in avanti, non rappresenta più un’opzione, ma è, in ottica di Brand
management, una regola di sopravvivenza.
Teorie come quella del ciclo di vita del Brand secondo la quale questo avrebbe
avuto, nel proprio destino, una nascita, una crescita un inevitabile declino per
concludere quindi con la sua morte
2
sembrano e sono del tutto superate. I
managers del brand quindi non posso far affidamento su modelli gestionali stabili
e che, come un’equazione matematica, assicurano a certe azioni risultati
prestabiliti e determinati.
La poca affidabilità della stessa teoria del ciclo di vita, credo non sia difficile
da comprendere per chi leggere, è confermata anche nella realtà. Infatti riportando
solo alcuni dei casi più famosi ed eclatanti di Brand che sono rimasti nella loro
1
D. Arnold, “Manuale del brand management. Come fare marca in modo sempre più competitivo”, Franco
Angeli, 1998, pag. 57.
2
Per un approfondimento sul tema del ciclo di vita delle marche si veda: G. Mazzalovo, M. Chevalier, Pro logo.
Le marche come fattori di progresso, Franco Angeli, 2003, pagg. 155 – 182.
3
A tal proposito A. Semprini afferma che la continuità rinforza l’identità di una marca, ma l’evoluzione ne
2
Per un approfondimento sul tema del ciclo di vita delle marche si veda: G. Mazzalovo, M. Chevalier, Pro logo.
Le marche come fattori di progresso, Franco Angeli, 2003, pagg. 155 – 182.
Capitolo 1 – Il Brand Management
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fase di maturità per svariati decenni e che ancora lo sono, appare piuttosto
evidente come questa risulti quantomeno riduttiva.
Non a caso basta vedere come determinati brand hanno saputo mantenere
inalterata la propria leadership anche per più di un secolo, senza un minimo
accenno all’invecchiamento. Esempi evidenti possono essere Coca-cola, Levi’s,
Gillette, ecc…
Alla base di un così duraturo successo di questi Brand (che possono essere
tranquillamente etichettati come evergreen)vi è sicuramente un lavoro di brand
management rivolto a cercare di mantenere inalterato il dialogo tra in e out, tra
l’azienda e un consumatore in costante mutamento.
La sfida più grande che si trova ad affrontare chi gestisce il brand è trovare il
giusto connubio tra evoluzione e mutamento (necessari per mettersi alla pari con i
cambiamenti generazionali)e mantenimento della propria fisionomia e soprattutto
la propria identità.
L’area prevalente di intervento per fare ciò è quella rappresentata dalla
comunicazione d’impresa.
Tutto il processo deve essere incentrato nel mantenere intatti i significati della
marca facendo in modo che mutino i suoi significanti, ovvero il sistema di codici e
di linguaggi con cui la marca si esprime, nonché i media ed i canali che veicolano
la sua comunicazione
3
.
Quindi il compito del Brand Manager è quello di far compiere al Brand stesso
un processo di armonizzazione con il proprio target e con il contesto in cui opera.
Inoltre deve selezionare i propri destinatari, individuarne sensibilità, gusti e valori,
seguirne l’evoluzione e la trasformazione, anticiparne il mutamento
4
.
3
A tal proposito A. Semprini afferma che la continuità rinforza l’identità di una marca, ma l’evoluzione ne
assicura la modernità. Queste due dimensioni, tutt’altro da essere opposte tra di loro, articolano una dialettica
fondamentale tra stabilità e trasformazione, fra tradizione e modernità. Per maggiori chiarimenti si veda: A.
Semprini, La Marca. Dal prodotto al mercato, dal mercato alla società, Lupetti, 1996, pag. 98.
4
Cfr. G. Fabris, L. Minestroni, op. cit.,pag. 256.
Capitolo 1 – Il Brand Management
21
Ovviamente questo processo deve avvenire sempre senza stravolgere il senso
del proprio discorso, altrimenti si vedrebbero minacciate credibilità e
autorevolezza della marca stessa.
Con alle spalle un brand management scrupoloso e preparato è possibile
recuperare Brand che ormai sono decaduti. Alcuni tipici esempi di ciò sono
Burberry
©
5
, Gucci
©
e Maserati
©
(approfondito nel box 1).
Se ben creato, ma soprattutto ben gestito, una Brand diventa quel quid
intangibile che trasmette all’impresa un valore aggiunto, un valore aggiunto
impossibile da imitare, trasformandosi all’interno dell’azienda stessa in redditività
e all’esterno in barriera alla concorrenza. Senza mai dimenticare che l’obiettivo di
qualsiasi impresa è la redditività (eccetto per le no profit)avere un processo di
gestione del Brand permette di sfruttare quel vantaggio competitivo tramutandolo
in una redditività più elevata.
5
Nel 1999 il secolare marchio inglese Burberry’s perde la sua “s” diventando Burberry. Inizia così una fase di
ringiovanimento e di vero e proprio “brand lifting”.
Capitolo 1 – Il Brand Management
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Tale marca è quella che Giampaolo Fabris, in un suo lavoro, definisce “marca
di culto. Coca-cola
©
, Lacoste
©
, Burberry
©
, Chanel n.5
©
, Swatch
©
, Vespa
©
, Mont-
Blanc
©
, Harley-Davidson
©
, Cadillac
©
, Ferrari
©
, Rolex
©
, Marlboro
©
, Martini
©
; sono
tutte marche divenute, alla fine, fatti sociali, fenomeni singolari ed irripetibili
della cultura e del consumo [...]. Si tratta di brand che sembrano eludere le
dimensioni tradizionali del valore fino a diventare accessori rituali, strumenti
altamente simbolici
6
”.
6
G. Fabris, L. Minestroni, op. cit.,pag. 265.
L'azienda fu fondata il 1 dicembre 1914 a Bologna da Alfieri Maserati e
all'inizio sviluppava auto per gare su strada. La fabbrica aveva soltanto 5
dipendenti e 2 erano i fratelli di Alfieri Maserati: Ettore ed Ernesto.
Dopo gli inizi caratterizzati dalla produzione di vetture dalla forte vocazione
sportiva dotate di trazione e motore posteriore, nel 1968 l’azienda
automobilistica francese Citroen ne acquista il controllo. Per la filosofia
aziendale e in concomitanza degli anni caratterizzati dalla crisi petrolifera, le
autovetture vengono equipaggiate con motori molto più efficienti nei consumi
(competenza distintiva della Citroen)e il motore viene alloggiato nel vano
anteriore. Tutte queste modifiche creano quel “rumore” tra la comunicazione e
la visone di brand che il target aveva e l’essenza del prodotto stesso
commercializzato sotto il Brand. In altre parole si snaturò la natura sportiva
della casa modenese (Brand Identity) associandola a valori che non
appartenevano alla stessa (consumi minori dettati da motori più efficienti ma
meno potenti). Tutto questo portò nel 1973, solo pochi anni dopo, a dichiarare
l’azienda in liquidazione. La ripresa del Brand si ha già a partire dagli anni 90
quando la Maserati viene acquistata da Fiat. Collocata nella stessa divisione
della Ferrari, riacquista la sua anima sportiva e il successo.
Box 1 Il Brand lifting della Maserati©. fonte elaborazione personale
Capitolo 1 – Il Brand Management
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1.3 Il processo di Brand Management.
Dopo aver fornito una definizione del processo e dei suoi obiettivi, ho ritenuto opportuno andare ad
analizzare le singole fasi di questo che ogni Brand manager deve rispettare. Inoltre è illustrato
nell’immagine 1.
Immagine 1 Il processo di Brand Management fonte: elaborazione personale
Capitolo 1 – Il Brand Management
24
1.3.1 La scelta del tipo di Brand.
Quando un’impresa ha un portafoglio prodotti dal quale attingere e
intende comunicare al mercato ha la possibilità di:
• Sviluppare un nuovo Brand;
• Associare il nuovo prodotto ad un Brand esistente;
• Utilizzare una combinazione tra un Brand esistente e uno nuovo.
SVILUPPARE UN NUOVO BRAND
Per quanto riguarda la prima tipologia, questa si verifica quando
l’impresa vuole introdurre nel proprio assortimento un nuovo articolo
7
e si
pone il problema di dove collocarlo sulla sua matrice brand-prodotto.
Questa ipotesi consente all’impresa di dotare il prodotto di un
posizionamento distintivo, del tutto svincolato da legami e obblighi di
coerenza con la restante offerta dell’impresa.
Una serie di motivazioni, di ordine ancora strategico, che possono
portare l’impresa a compiere la scelta di lanciare, in corrispondenza di un
nuovo prodotto, anche un nuovo Brand sono
8
:
1. La possibilità che il nuovo Brand ha di dominare una categoria di
prodotto, perché porta un beneficio funzionale rilevante per il
mercato di riferimento. In questo senso se il prodotto incorpora tra i
suoi attributi un’importante innovazione tecnologica o funzionale, il
nuovo Brand può diventare, nella mente dei consumatori, l’archetipo
della classe di prodotti posta da essa in essere.
2. Un motivo di ordine completamente diverso è l’incompatibilità tra
l’immagine del nuovo prodotto e i Brand esistenti, che obbliga
l’impresa ad introdurre uno nuovo più aderente alle caratteristiche del
target di riferimento. Nel mercato del lusso, è prassi introdurre nuove
7
Per un approfondimento del tema del lancio di un nuovo prodotto si rimanda a Urban e Houser (1993).
8
Adattato da AAKER D.A., JOACHIMSTHALER E. (2000), Brand Leadership, p. 120-126.
Capitolo 1 – Il Brand Management
25
marche per prodotti destinati a segmenti di livello inferiore, per
evitare associazioni negative alla marche di origine.
3. L’impresa può altresì abbinare una nuova marca anche ad un prodotto
destinato ad un segmento già coperto: cerca in questo modo di
attivare, in mercati già saturi, la ricerca di varietà dei consumatori ed
aumentare la propria copertura con più marche.
La scelta di contrassegnare un nuovo prodotto con un nuovo brand, se
ripetuta e fatta un sistematico principio di branding, si traduce nel
paradigma one brand-one product. I possibili svantaggi di questa politica,
resa celebre da Procter & Gamble, possono essere le mancate economie di
scala e sinergie in aree di business diverse, gli alti costi e il rischio di
polverizzazione tra i diversi Brand. In generale, tuttavia, nell’ultimo
ventennio, anche e soprattutto a causa dei cambiamenti del mercato nel
senso della saturazione ha portato a dissuadere le organizzazioni
dall’introduzione di nuovi brand: in altre parole, lanciare nuove marche è
sempre più difficile. Questo, unito ad una nuova consapevolezza e
attenzione intorno al concetto di brand equity (inteso come valore della
marca sul mercato di riferimento), spinge le imprese a cercare strade che
capitalizzino il valore delle marche esistenti piuttosto che a cimentarsi nella
creazione da zero di nuove. Una scelta talora operata da alcune imprese è
riportare in vita, qualora ce ne siano le premesse, un brand assente dal
mercato: infatti, potrebbero, dopo anni di tempo, essersi ricreate le
condizioni per l’esistenza e il successo di una marca, entrata per qualche
motivo in crisi e non più prodotta. Più in generale e semplicemente,
un’impresa potrebbe ritenere un vecchio brand, di proprietà o meno, idoneo
a commercializzare, previa adattamenti di immagine, la propria proposta.
Così come questa “operazione archeologica”, che si colloca nella pratica a
metà tra il lancio di un nuova marca e la rivitalizzazione di una vecchia,
anche le strategie di branding che ci si accinge a descrivere partono dalla
volontà di sfruttare il valore acquisito dai brand piuttosto che di cercare di
formarlo da zero.
Capitolo 1 – Il Brand Management
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ASSOCIARE IL NUOVO PRODOTTO AD UN BRAND ESISTENTE
Quando si decide di commercializzare un nuovo prodotto associandolo
ad un Brand già esistente, l’organizzazione può compiere una duplice scelta
sintetizzata nella immagine 2.
Immagine 2 Le scelte di Branding in caso di un nuovo prodotto - fonte: elaborazione personale
Nel primo caso la Corporate può divenire un tutt’uno con le marche, le
quali porteranno il suo nome, la sua cultura, la sua identità, i suoi valori
(immagine 3).
Immagine 3 Corporate e brand coincidono, unico prodotto o diverse versioni dello stesso nel medesimo settore.
Fonte: G. Fabris, L. Minestroni, “Valore e valori della marca. Come costruire e gestire una marca di successo”,
2004
Svariati sono gli esempi che possono essere fatti a tal proposito: da
McDonald’s a Nike, da Illy a Lavazza ecc, dove, appunto, il marchio
Corporate coincide con il brand il quale tramanda nome, cultura, identità e
Capitolo 1 – Il Brand Management
27
valori dell’azienda. Questa tipologia di Brand viene definita product-brand,
o marca prodotto. In questo caso il portafoglio di marca rispecchia quello di
prodotto.
Un secondo caso è quello in cui Corporate e Brand coincidono e si
declinano in diversi settori merceologici. Pur conciliando Corporate e brand,
la marca è presente in comparti del consumo estremamente differenti. Nel
secondo caso, la Corporate può conservare una propria autonomia, sia in
termini di identità che in termini nominali, gestendo le marche del gruppo
risultanti, a questo punto, diverse e distinte da essa (immagine 4).
Immagine 4 Corporate e brand coincidono declinandosi in diversi settori merceologici. Fonte: G. Fabris, L.
Minestroni, op cit., pag. 155
È il caso della Procter & Gamble dove, appunto, il marchio Corporate
non appare mai, facendo comparire una molteplicità di marche differenti,
ognuna con una propria identità ben delineata (da Pringles ad AZ, da
Pampers a Gillette, da Lines a Tampax, da Infasil a Pantene, ecc).
UTILIZZARE UNA COMBINAZIONE TRA UN BRAND ESISTENTE E
UNO NUOVO.
Un terzo e ultimo caso è una sorta di ibrido tra i precedenti, in cui
Corporate e brand coincidono soltanto in parte. La Corporate compare come
brand su di un prodotto, ma svolge anche un ruolo istituzionale rispetto allo
stesso commercializzato o nello stesso settore o in settori merceologici
differenti. Anche in questo caso un esempio può delucidare meglio. Se si
analizza il caso della Coca-cola Company risulta evidente che la Corporate
Capitolo 1 – Il Brand Management
28
coincide con il brand nel caso della bibita gassata Coca-cola, ma non appare
invece, rimanendo solo Corporate, per tutta una serie di bibite differenti
(Fanta, Sprite, Oasis, Schweppes ecc.), ognuna con il proprio marchio.
Appartiene a questa categoria, anche se con peculiarità leggermente
differenti, la cosiddetta marca ombrello
9
(indicata anche come marca
endorsed), dove il corporate brand può, inoltre, essere associato ad un
sistema più o meno articolato di product brand indipendenti (immagine 5).
Un esempio è costituito dalla marca Mulino Bianco, sui cui prodotti
appare ben visibile anche il marchio di corporate, rassicurando il
consumatore circa la qualità del prodotto (in questo caso Barilla, che è a sua
volta un marchio Corporate in una categoria merceologica differente). Si
cerca così di estendere la notorietà e la fiducia, e quindi il patrimonio di
immagine della marca corporate, alle marca ombrello beneficiaria (Mulino
Bianco, appunto).
9
L’utilizzo di questo termine è tutt’ora piuttosto ambiguo, poiché diversi autori definiscono con questo termine
situazioni assai diverse tra loro. In questo lavoro per marca ombrello si intende definire un tipo di Corporate che
controlla e gestisce un determinato portafoglio di brand ed è presente come corporate brand su determinati
prodotti (o linee di prodotti), piuttosto che altri, affiancando la marca del singolo prodotto (o singole linee di
prodotti). Per un maggior approfondimento sul tema si veda: G. Randall, Branding, Kogan Page, 1997, pag. 17.
Capitolo 1 – Il Brand Management
29
Immagine 5 Brand Ombrello Fonte: elaborazione personale
1.3.2 La creazione del brand
Nel caso l’organizzazione prenda la decisone di creare un nuovo brand
sotto il quale commercializzare nuovi prodotti, deve affrontare quello che è
chiamato il processo di creazione del brand. Esso si basa sulla
determinazione di alcuni elementi costitutivi di ogni brand come:
• Il nome;
• Il logo;
• I colori,
• Il lettering;
• Lo slogan.
Prima di andare a declinare singolarmente, ricordiamo che in letteratura
sono stati indicati diversi criteri che dovrebbero presiedere alla
progettazione e alla scelta del logo e/o dei singoli elementi.
Capitolo 1 – Il Brand Management
30
Secondo Keller (1993), i segni identificativi dovrebbero possedere i
seguenti criteri
10
:
MEMORIZZABILITA’: Questo criterio di natura costruttiva, ha come
obiettivo quello di creare consapevolezza del brand. Un elemento dello
stesso deve essere facilmente ricordabile e riconoscibile tra altri;
SIGNIFICATIVITA’: altro criterio di natura costruttiva che impone che
un elemento deve favorire le associazioni alla marca, deve contenere un
significato descrittivo (comunicare informazioni generali)ed un significato
persuasivo (comunicare informazioni specifiche su attributi del prodotto).
Inoltre deve essere idoneo, con il suo significato intrinseco, a favorire la
corretta ed efficace formazione delle associazioni di marca, riconducendola
alla categoria di prodotto alla quale appartiene e/o veicolando informazioni
sui benefici attesi; oppure scelti in modo tale che siano intrinsecamente
divertenti e interessanti o evochino immagini ricche sotto il profilo verbale
e visivo;
PIACEVOLEZZA: ultimo criterio sempre di natura costruttiva ritiene che
un elemento deve essere esteticamente attraente agli occhi del consumatore.
TRASFERIBILITA’: primo tra i criteri di natura difensiva, comporta che
un elemento deve essere trasferibile a nuove categorie di prodotto e a nuovi
ambiti geografici;
ADATTABILITA’: sempre un criterio di natura difensiva comporta che un
elemento deve essere adattabile nel tempo, quindi flessibile e facilmente
aggiornabile (immagine 6);
PROTEGGIBILITA’: ultimo e più importante criterio di natura difensivo
sostiene che un elemento deve essere giuridicamente tutelato, attraverso la
registrazione del marchio di fabbrica, sia dal punto di vista legale, mediante
formale registrazione, che dal punto di vista competitivo, evitando di
scegliere nomi che siano facilmente imitabili dalla concorrenza.
10
Poiché è difficile che ciascun segno identificativo soddisfi tutti i criteri illustrati (ad esempio, maggiore è la
significatività del nome, minore è la possibilità che possa essere trasferito in altri mercati e su altri prodotti), si
utilizza spesso una loro combinazione (logo).